giovedì 30 agosto 2018

Etiopia 58 - Il museo nazionale di Addis Abeba


Salem


Aspettando la colazione
Beh non dico che adesso che siamo nella capitale, dopo un mese di giringiro, come diceva Crocodile dundee, mi senta come a casa, ma poco ci manca. E’ ancora chiaro e prima che faccia buio, voglio proprio andare a provare quella gelateria italiana che avevamo adocchiato al nostro passaggio di metà strada. E’ proprio di fianco all’albergo e sembra un localino davvero simpatico. Salta subito fuori la proprietaria italiana, che però è nata ad Addis Abeba da genitori italiani e sposata con un altro italiano, ha messo su questa attività che sembra vada piuttosto bene, tanto è vero che questo è già il secondo locale in città. Di gente ne entra parecchia e si vede che sono tutti piuttosto di buon livello, d’altra parte i prezzi sono abbastanza internazionali e la parte meno fortunata della popolazione non se li potrebbe permettere. Intanto che si chiacchiera ci mangiamo un bel gelatone, che, sarà che abbiamo un mese di astinenza nella pelle, sarà che è davvero un bel prodotto artigianale, ma c’è davvero da leccarsi i baffi. Insomma dobbiamo davvero fare i complimenti alla signora, che gongola con evidenza, niente da invidiare alla roba nostrana e dire che noi siamo piuttosto bene abituati e intanto ce ne andiamo a sistemare la valigia che domani si parte. Alla sera, un ultimo salto al ristorante dell’albergo per tentare di mangiare l’ultima, si spera, bistecca-suola della serie e dopo aver appurato che il giro del nord del paese ha macinato 3580 km netti, ce ne possiamo anche andare a nanna. 

Lucy
Ci si sveglia riposati a questo punto forse per il fatto che hai sottopelle l’adrenalina della partenza. Sia come sia, quando è l’ora di tornare a casa, è pur vero che c’è la sottile malinconia degli addii, del dover lasciare delle persone ed un paese di straordinario interesse nel quale cominci quasi a sentirti a tuo agio, ma al contempo c’è anche quella voglia di tornare, unita alla sensazione che quando una esperienza è finita, non vedi l’ora che si chiuda rapidamente. Insomma, colazione in un localino dove fanno spettacolari frullati di papaya e uova strapazzate per cominciare bene la giornata e poi via al famoso museo nazionale, dove sta ad aspettarci la nostra antenata, l’ava di tutti noi, trovata lì nel fango mentre camminava per spostarsi verso nord, forse per cominciare una di quelle migrazioni che poi sono diventate una delle caratteristiche che ha diffuso la nostra specie su tutto il pianeta: Lucy. Sono soltanto poche ossa in una teca male illuminata, eppure che straordinaria suggestione ti arriva da questo ominide, Australopiteco afarensis che 3,2 milioni di anni fa muoveva passi incerti in posizione eretta, in quella depressione dove io, pochi giorni fa camminavo nello stesso modo, con la stessa affannosa fatica, incerto e timoroso di inciampare ad ogni passo. Dove andava Lucy quando l’inondazione la colse, assieme alla sua famiglia, seppellendone le ossa per così tanto tempo? E ce n’erano tanti altri come lei che si muovevano laggiù, nella culla dell’umanità, in un clima certo diverso, tra alberi e paludi, con quel piccolo cranio, dove però già si muoveva la scintilla di un’intelligenza superiore che avrebbe continuato a crescere implacabilmente. 

Ardi
A qualche centinaio di chilometri più a sud, in Tanzania, in una altra gola, vicino al cratere di Ngorongoro, sono state trovate orme di un altro gruppo di Australopitechi in marcia verso nord, sorpresi forse da un’eruzione. Le vidi qualche anno fa ed il calco dei piedi di Lucy si adattavano perfettamente a queste orme lontane; che tracce straordinarie del nostro passato! Nella teca vicina giace invece Salem, un bimbo ritrovato 26 anni dopo, uno scheletro quasi completo di 120.000 anni più antico ancora, un altro tassello a dimostrare che la razza umana è una sola, se ancora ce ne fosse bisogno, un ceppo unico da cui siamo poi venuti tutti. Fa tenerezza al vederlo così piccolo e indifeso, esposto a guardarti con le occhiaie vuote del suo cranio quasi intatto, forse vorrebbe formulare un giudizio su tutto quello che è avvenuto dopo di lui. Certo allora i suoi soli bisogni erano quelli di sopravvivere per moltiplicarsi, non aveva tempo e possibilità di immaginare quale sarebbe stato il futuro della sua specie. Il ritrovamento di Lucy, che tra l’altro ha preso il nome, pare dalla famosa canzone dei Beatles, Lucy in the sky with diamonds che suonava in continuazione nel campo degli antropologi in cerca di ossa, fu un evento epocale in quel 1974, girò per il mondo per quasi quarant’anni e ritornò a casa soltanto nel 2013. Era alta poco più di un metro, già piccolina anche per la sua specie e morì verso i 18 anni, forse di sfinimento, sulla riva di quella che era una palude e, abbandonata dai suoi, fu sepolta dal fango prima che i predatori ne spargessero le ossa intorno. 

Il Museo nazionale
Di certo aveva già avuto figli e il suo DNA ha così viaggiato nella storia dell’uomo contagiando con la sua presenza postuma, tutta la terra. La sala sotterranea del museo è quasi avvolta dalla penombra delle luci fioche che provengono dalle teche, ma questo piccolo essere giganteggia, imponendo la sua presenza a tutti coloro che arrivano fin qui a renderle l’omaggio che merita. La sua forza incredibile e quella di Salem che l’ha preceduta e quello di Ardi, l’altro compagno che giace a pochi metri da lei, esce dal sotterraneo e guarda il mondo che la circonda, il suo mondo, quello che lei e la sua piccola insignificante tribù di ominidi, hanno contribuito a creare. Senza di loro, nulla di quello che ci è intorno in questo momento, sarebbe stato possibile. Nulla avrebbe importanza, non ci sarebbe nessuno a discutere di migrazioni, di giustizia, di libertà, di dei e potere. Non ci sarebbero re e schiavi, direttori e servi, preti e fedeli. Sono soltanto dei minuscoli giganti di un metro, sulle spalle dei quali noi, piccoli nani, riusciamo, dopo milioni di anni a vedere un pochino più lontano, tante cose strane e diverse che allora tra le felci e le erbe alte della palude non si potevano ancora immaginare nemmeno con la più fervida fantasia. Nulla, solo spazio senza fine, senza rumore e senza parole. Nulla, come nulla di importante oltre a questo ti appare se continui a girare nelle altre sale di questo edificio, dopo aver salutato Lucy ed i suoi compagni.




SURVIVAL KIT


Gelateria Ice Dream - Queen Elizabeth Str. - Di fianco all'Hotel Green Valley - Ottima gelateria italiana artigianali. Sembra faccia arrivare i prodotti dall'Italia. Qualità eccellente, ben frequentata, a prezzi quasi italiani (40 birr la pallina). Un intermezzo assolutamente piacevole se vi viene la nostalgia di casa.

Al parcheggio
Museo Nationale dell'Etiopia - King George VI str. - Un museo che oltre agli emozionalmente straordinari reperti degli Australopitechi ritrovati nel triangolo degli Afar, ha ben poco altro da mostrare, anche per la povertà assoluta delle modalità espositive. Tuttavia proprio per questi ritrovamenti di assoluta importanza storica e culturale, rimane una visita imperdibile. Gli scheletri sono al piano sottoterra mentre negli altri tre piani, vari reperti della storia più o meno attuale del paese, inclusa una esposizione di tele recenti di dubbio interesse, ma che possono rappresentarvi la tendenza della pittura etiope moderna.





Nel giardino del museo
Verso il centro

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