mercoledì 1 agosto 2018

Etiopia 39 - Gondar


Il palazzo di Ghebbi

Roccia con chiesa rupeste
La colazione di questa mattina era davvero ottima ed abbondante con uova e succhi di frutta deliziosi. Sarà per questo che mi sono addolcito un po' dopo il nervosismo di ieri sera quando ci è stata applicata una tariffa "foreing" o come si dice qui per faranji. Tento ancora una ripassata stamattina con minacce di invadere il web con giudizi negativi, ma il concierge è irremovibile, e fa chiaramente finta di non capire, niente sconto, non si tratta, pagare e tacere. Lalo non reagisce anche perché non mi sembra ancora molto in forze, intanto non ci sono ancora notizie della sua possibile malaria, anche qui non è riuscito ancora a vedere il dottore. A noi invece oggi toccherà l'onere di visitare alcune delle rovine più famose del paese, i palazzi reali del regno di Gondar, durato circa 300 anni, dal 1500 in avanti. Siamo ormai nella parte di Etiopia in cui ci si può misurare con la storia e non con la preistoria o le origini della specie; una terra che ha visto regni ed imperi in lotta tra di loro, ma soprattutto in guerra contro chi ha cercato, inutilmente di invaderla per possederne il corpo e lo spirito, dalle ricchezze del territorio alla sopraffazione religiosa, tentativi tutti miseramente falliti e noi ne sappiamo qualche cosa. Questa gente ed in particolare l'etnia preponderante al nord quella degli Amhara, assieme ai Tigrini, è molto combattiva e poco incline a cedere alle dominazioni esterne, ma non dobbiamo dimenticare che qui si trattava veri e propri stati organizzati con eserciti di nome e di fatto, non di tribù sparse ed in perenne lotta tra di loro. 

Radici
Sta di fatto che chi è arrivato fin qui con propositi da conquistatore ha sempre fatto una brutta fine, qualunque siano state le strategie utilizzate o la potenza di fuoco impiegata. Le vestigia rimaste di questo regno sono davvero imponenti, tanto da essere ormai patrimonio Unesco; si tratta di una cerchia murata contenete cinque palazzi principali, costruiti ognuno da successivi imperatori, moda piuttosto comune al tempo. Si tratta di costruzioni severe e massicce che l'uso della roccia basaltica scura rende ancora più cupi e minacciosi. L'interno è spoglio, tuttavia le dimensione delle sale e lo spessore delle mura fanno risaltare un senso di notevole potenza. L'altro luogo importante è costituito dai Bagni di Fasilide, un palazzo che ricorda alcune strutture Mogul, forse fin qui è arrivata anche l'influenza indiana, circondato da una vasta piscina che viene riempita dell'acqua proveniente da un fiume lontano più di 500 km e dove oggi vengono celebrate molte feste religiose, tra cui appunto i grandi battesimi di gruppo, dove la folla si immerge appunto nel grande cortile allagato tra il salmodiare dei preti. Sui muri cadenti della cinta si è sviluppata una straordinaria vegetazione con alberi dalle radici avvolgenti che ricordano il Ta Prom di Angkor Wat. Ognuno dei cinque re della dinastia che si sono succeduti, pare abbia voluto gareggiare in grandiosità nel costruire palazzi più belli dei suoi predecessori. Alcuni si chiamavano Giovanni (nome del resto piuttosto comune nell'area) e chissà che questo non abbia contribuito ad aumentare la leggenda del favoloso Prete Gianni e del suo regno ricchissimo, che tanti scrittori e viaggiatori hanno voluto identificare in qualche parte del mondo purché lontanissima ed irraggiungibile. 

Palazzi
Dalla falsa lettera che giunse a Costantinopoli nel 1165, magnificando questo regno potentissimo, a Marco Polo che lo identificava forse con i regni teocratici dell'inavvicinabile Tibet, ai portoghesi che lo cercarono proprio qui in Etiopia, fino al nostro Eco che fa del suo Baudolino il cantore di una ricerca che lo fece esploratore in cerca di animali fantastici ed esseri mostruosi, dai cannibali agli sciapodi dal piede unico o ai blemmi acefali col viso sul petto. Leggende insomma, che tuttavia fondavano la loro esistenza sulle notizie che venivano da mondi lontani ed irraggiungibili dei quali tuttavia si aveva conoscenza indiretta. D'altra parte queste sono state anche le terre della regina di Saba, quindi possiamo dire che ci sono stati tutti i presupposti. Pensare che a poche centinaia di chilometri di distanza, più a sud ci siano invece ancora tribù come quelle della valle dell'Omo, che noi definiamo decisamente primitive, appare strano ed in un certo senso incongruo, quasi non sia stato possibile un passaggio di abitudini e di conoscenze in aree tutto sommato contigue. Rimane anche il tempo per dare un'occhiata alla piazza Teodoro II dove riesci ancora ad intravedere, pur tra i rimaneggiamenti successivi, tracce di quell'architettura tipica del razionalismo italiano che è riuscita ad attecchire nei pochi anni della nostra presenza qui. Insomma una città che, per i molteplici interessi e le implicazioni storiche, merita un passaggio. 

Cucinandol'injera
Intanto riprendiamo il nostro cammino verso nord per raggiungere forse il più famoso parco di montagna del paese, il Simien Mountain National Park. La strada sale oltre i duemila piuttosto rapidamente, poi si prosegue sull'altopiano. Ci fermiamo vicino ad un gruppo di case dove nel cortile, una donna dall'età indefinibile sta cuocendo le injere nell'apposito fornetto. Si tratta di un arnese circolare di terracotta di forma lievemente conica coi piedini, nei casi di maggiore sofisticazione, sotto il quale vengono messe le braci continuamente alimentate. La signora prende una mestolata da una pentola che contiene della pastella fermentata per due o tre giorni, fatta con la farina di tef, il cereale base dell'Etiopia, del quale abbiamo viste grandi coltivazioni in ogni areale attraversato e la cola con attenzione sulla cima del cono. Questa cola lungo la parete stendendosi su tutta la superficie, con leggeri aggiustamenti. In pochi minuti la pasta già densa si solidifica completamente formando una sorta di larga crepe piuttosto porosa che viene tolta con cura ed arrotolata come una tovaglietta oppure impilata con le sue compagne. Al bisogno verrà poi stesa su un grande piatto di alluminio e sarà la base sulla quale verranno disposte le pietanze, lenticchie, altri legumi o carni sminuzzate o verdure. Con le mani se ne strapperà un lembo raccogliendo anche parte del companatico e lo si porterà alla bocca, rigorosamente con la mano destra (come si sa, la sinistra serve per altri usi impuri ed in luoghi dove l'acqua è sempre stato un grande lusso, è meglio non confonderle). 

La piscina
Ha un sapore piuttosto acido dovuto alla maggiore o minore fermentazione, ma non curatevene, tutto viene sopraffatto dalla piccantezza di quanto ci sta sopra. Ecco qua il piatto principe ed unico di tutto il paese. Mancificata adeguatamente la signora, che per questo ci invia larghi sorrisi, percorriamo l'ultimo tratto di strada che ci porta ai 2800 metri di Debark, praticamente la porta di ingresso del parco, che vedremo domani. L'albergotto, forse l'unico della zona è molto frequentato da stranieri, ad esempio oggi c'è un bel gruppo di motociclisti spagnoli e un'altra masnada di francesi, che hanno voglia di fare festa. Ma che vogliono fare tutte queste pantere grige, dagli inadatti codini e con gli antichi tatuaggi che si stanno slabbrando, in giro? Mah. Ci si raduna tutti nel bar dove una bella folla mista di faranji e locali stanno guardando una partita della Liga. Non dico che sembri di essere in un pub inglese, ma l'atmosfera è la stessa, birra a fiumi ed esultanza alle azioni più significative. Insomma tutto il mondo è paese quando si tratta di pallone e anche qui sembrano piuttosto scaldati. Le montagne intorno sono magnifiche. Dal verde che si vede e che insiste anche alle quote più alte è evidente che qui piove parecchio e la vegetazione ne beneficia. Comunque per adesso sarei piuttosto stanco, ma non è che siamo qui a pettinare le bambole. Bisogna subito mollare tutto in camera e sbrigarsi perché ci aspetta un altro trekking sulla montagna. Intanto andiamo a fare i biglietti, presto che è tardi.

L'interno
SURVIVAL KIT

Rovine di un palazzo
Gondar - Città di 200.000 abitanti a circa 150 km a nord da Bahar Dar sul Lago Tana, che conserva diversi monumenti storici risalenti al XVI-XVIII secolo, patrimonio Unesco dal 1979. La cittadella circondata da mura su un'area di 7 ha comprende una interessante serie di edifici costruiti dalla dinastia regnate in quel periodo. Potrete anche vedere il quartiere Musulmano e quello dei Falascià, gli ebrei etiopi, nei quali era stata divisa la città durante il regno. In città urono presenti anche gli italiani e qui si svolse una celebre battaglia con bombardamenti da parte degli inglesi della parte monumentale.

Simien Park Hotel - Debark - Hotel in continuo sviluppo dato l'aumento della richiesta data la sua ottima posizione quasi all'ingresso del parco. L'affollamento è notevole, quindi meglio prenotare anche fuori stagione. Cercare di farsi assegnare le stanze più recenti nella palazzina al di là del cortile. La camera doppia di dimensioni normali con bagno ben attrezzato e soprattutto con acqua calda abbondante, che sarà preziosa al vostro rientro dalle camminate nel parco. Ragionevolmente pulito e personale gentile. Frequente il taglio della corrente elettrica. Se fate prenotare da chi vi accompagna, pagherete il prezzo etiope e non quello "speciale" per faranji! Locale bar affollato dove potrete bere una birra e guardare la televisione, con free wifi.  Ristorante annesso con piatti consueti e prezzi sempre più o meno uguali. Forniscono anche cestini pranzo per le escursioni. C'è un lodge che dicono molto più lussuoso all'interno del parco, ma francamente non so se ne vale la pena. 



Ingresso ai bagni di Fasilide




Un arco
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