venerdì 10 agosto 2018

Etiopia 45 - Verso la Dankalia


Giovane Afar

Verso il Danakil
Stamattina c'è un po' di agitazione. Bisogna preparare la macchina caricando diverse masserizie per i prossimi quattro giorni. Lalo ci ha organizzato un giro nella depressione di Danakil o come la chiamiamo noi, nella Dancalia, una delle zone più estreme del pianeta, che arriva fino a 120 metri sotto il livello del mare e che ha una temperatura media sempre superiore ai 40°C. Insomma non è una passeggiata e le cose vanno preparate bene. Intanto ci vogliono dei permessi per arrivarci e poi è consentito andarci solo attraverso una organizzazione autorizzata che faccia una specie di convoglio di più macchine, insomma, sembra che anche alle autorità dia fastidio se qualcuno ci lascia la pelle in mezzo al deserto e rimanga la in mezzo come una pelle di salame rinsecchita. A questo scopo ci sono pure le solite guardie armate di kalashnikov al seguito, per sicurezza che non si sa mai e tanto per far campare tutti. Insomma, noi saremmo indipendenti, ma l'appuntamento con gli altri è davanti all'hotel Milano dove si radunano cinque mezzi di cui uno dell'agenzia, che caricano viveri, acqua e quanto servirà alla bisogna, per farci sopravvivere quattro giorni per quanto possibile, inclusi materassi e viveri vari. Alla fine si riesce a radunare tutta la banda, accompagnatori inclusi e a partire solo verso le 11. Risaliamo sull'acrocoro e poi dopo aver proceduto verso est, in un territorio sempre più secco e desertico, la strada comincia a scendere in spaccature sempre più profonde che segnano la terra, aperte da una erosione provocata da masse di acqua di cui non riesci neppure ad immaginare la potenza.

Il bar
E' un territorio sconvolto dalle forze della natura, vedi alvei secchi larghissimi, pieni di montagne di pietre e di rocce franate dalle pareti e pronti a riempirsi di nuovo portando con sé altre montagne di materiali.  I fianchi delle alture circostanti, scavati dalle forze della natura mostrano gli strati sovrapposti di epoche passate, come se le unghie feroci di un drago malevolo si fossero  piantate nella terra trascinando via tutto quanto possibile nella loro smania di ferire, di arrivare alle viscere più profonde, di afferrare l'anima di questo posto per trascinarlo fino all'inferno. Su una specie di promontorio si apre un'ampia veduta su una valle di cui non riesci a scorgere i confini. Forse è proprio questo il punto dove convenzionalmente nasce la Rift Valley, la ferita profonda che divide l'Africa da questa sua costola orientale destinata prima o poi a staccarsi definitivamente, di certo però non in tempi in cui ci si dovrà più preoccupare dei danni che l'uomo infligge al pianeta con la sua presenza corrosiva e parassitaria. In ogni caso non sarà un nostro problema. In distanza picchi isolati circondati da regolari coni erosivi. Punti e aree senza nome, mai calpestate da piede umano forse, anche perché laggiù non vi è nulla da vedere, da prendere, da sfruttare. Abbiamo lasciato ormai alle nostre spalle gli ultimi rari insediamenti, qualche casupola di pietra, riparo di pastori e carovanieri in sosta e la strada è ormai una pista tracciata in un deserto di roccia e pietre disordinate.

Sistemazione per la notte
Nell'ultimo paese, prima di imboccare questa deviazione verso il nulla, abbiamo mangiato in uno dei tanti baraccotti che stanno sul lato della strada, un piatto di riso e una ratatouille di verdure, abbastanza discreta, circondati da uomini che non sembrano capaci di sorriso; poche le donne, discrete e completamente velate. Siamo nella terra degli Afar, gente combattiva e abituata a continue guerre e scaramucce coi vicini, per lo meno questa è la sensazione, almeno a vedere la quantità di armi che girano, appoggiate con semplicità alla spalla o posate a terra mentre si sorbisce un caffè. Facce dure e poco socievoli, anche i bambini, non ridono o forse non ne hanno troppa voglia. Nessuno gioca, si limitano ad osservare, con sguardi difficili da interpretare. Nel deserto invece non senti più, almeno per ora, la presenza di umanità. Percorriamo ancora un po' di chilometri verso il nulla, fuori la temperatura continua ad aumentare, finché arriviamo al campo, per lo meno l'area di terreno coperta di ciottoli, dove ci fermeremo a dormire questa notte. C'è una capanna di frasche, vicino ad una baracca di lamiera e sparsi sulla terra qua e là un po' di brande all'apparenza abbandonate, di bastoni di legno e corda intrecciata, molto simili ai charpoi indiani che vedi negli slum del Rajastan. Lasciamo lì una parte delle masserizie, materassi e pentolame.

Deserto di sale
Un gruppo di ragazzi sull'ultima auto arrivano dopo un'oretta, erano rimasti bloccati dopo aver attraversato il letto di un torrente in secca per fare qualche foto e poi tutto d'un tratto hanno sentito un gran fragore ed una fiumara di fango e pietre è arrivata di colpo riempiendo la depressione e isolandoli dalla riva sulla quale avevano lasciato l'auto. E' la pioggia di questa notte che è caduta sull'acrocoro e che è arrivata di colpo fin quaggiù. Ci è voluta un'ora perché il livello dell'acqua scendesse e potessero riattraversare. Riunita la carovana, le auto ripartono lungo una pista nera e bordata di pietre. Adesso il deserto circostante è soltanto più una linea chiara all'orizzonte. Anche le pietre e le rocce sono scomparse e la superficie che ci circonda si è mutata in un tavolo,dapprima grigio, poi sempre più bianco e solo leggermente increspato. Siamo nel deserto di sale del Danakil, una delle zone più aride del mondo. L'auto corre per chilometri circondata soltanto dal biancore abbacinante di quei cristalli invisibili che solo fermandoti, scendendo a terra e toccandoli, puoi avvertire come una ruvida tela che gratta la mano, la disidrata e cerca di attirarti a sé per assorbire l'acqua che ti porti dentro, per seccare i tuoi tessuti e farti suo per sempre. Il sale bianco ti acceca se solo ti giri verso quella palla rovente che sta scendendo lentamente nel cielo, ma che non riesce ad mostrare i suoi raggi gialli di sole anomalo e perverso, anch'esso mummificato a mezz'aria in una luce innaturale e aliena.

Al di là del lago
La linea dell'orizzonte è lontana ed irraggiungibile, ma più vicini appaiono specchi traslucidi che riflettono l'indaco del cielo. Miraggi che il calore estrae dalla terra e che neanche tu puoi credere possibili. Invece man mano che ti avvicini, la superficie di un lago immenso di cui non riesci a valutare il confine, in uno stato fisico incerto tra liquido e solido, diventa sempre più reale. E' una superficie immobile e fissa, come un invaso di mercurio o come forse sono gli oceani di metano ghiacciato dei satelliti perduti nelle profondità dello spazio. Uno specchio perfetto e privo di imperfezioni che si perde al'infinito. Quando ti avvicini fino a toccarlo avverti subito che si tratta solo pochi centimetri di acqua salsa, destinati via via ad evaporare, facendo ritirare sempre di più questa morgana malefica e ingannatrice che respinge la vita, ma che, all'opposto, fa di tutto per attirarti morbosamente a sé, vinto dalla sua mortale bellezza. Cammini su una superficie granulosa e scricchiolante per avvicinarti alla riva che sembra sfuggire sempre un poco più in là. Le concrezioni di sale sono dure e quasi tagliano le tue suole morbide. Fatichi a calpestare l'acqua, quasi temessi di penetrare un liquido venefico, pericoloso o addirittura corrosivo e invece puoi immergervi le mani o i piedi, per sentirli subito ricoperti di una sorta di oleosa salsedine.


Uno scavatore
Tutto attorno non c'è traccia di vita. Qui non può esserci nessun tipo di vita. A queste temperature ogni essere si rifiuta categoricamente di rimanere in vita. Risaliamo sulle macchine solo per smentire questa sensazione imbarazzante. Facciamo ancora qualche chilometro nel bianco che gradualmente, mentre cala il sole muta il suo azzurrino venefico in un rosato malsano. Poi in mezzo al nulla ecco apparire qualche cosa. E' un gruppo di esseri scuri e quasi immobili. Quando arriviamo più vicino, l'assembramento si rivela essere un'area di scavo del sale. Una dozzina di uomini scurissimi percuotono il terreno, fendendolo lungo linee precise con picconi e marre, poi tramite lunghe leve di metallo, sollevano lastre di materiale che si stacca secondo linee obbligate, segnate da differenze di colorazione dei depositi più scuri. Le lastre pesantissime vengono spezzate in più punti, poi altri uomini, accoccolati a terra, con scalpelli appuntiti, ricavano mattonelle regolari togliendo via le parti scure e formando pezzi quasi perfetti del peso di circa 7 chili. Altri ammonticchiano queste mattonelle di sale, che vengono via via impilate con cura.


Il camioncino dei dannati della terra
Se ne fanno pacchetti di una decina che vengono caricati, una da una parte e una dall'altra più qualcuna in soprannumero negli spazi rimasti vuoti, sul basto di una fila di dromedari accucciati a terra, che brontolano sonoramente ad ogni successivo carico, ma qui sono gli unici a protestare, girando il muso verso l'uomo che li grava del peso, con una smorfia dolorosa ed un verso che grida il proprio disappunto, fino a che si raggiungono i circa 150 chili previsti. Guadagnano 1 birr al chilo di prodotto e vengono pagati alla fine della giornata, quando finalmente si scende sotto i 40°C e arriva l'ora di smettere il lavoro, mentre la carovana si mette in marcia. Ti parrà assolutamente impossibile che si possa lavorare a queste temperature ed in queste condizioni, eppure questa gente è arrivata qui all'alba e dopo aver scavato tutto il giorno, salirà dopo il calar del sole su qualche camioncino scalcinato che verrà a prenderli, perché anche qui c'è un trasporto per i dannati della terra, per andare a passare la notte in qualche baracca, aspettando l'alba successiva per andare a scavar via un altro pezzo di deserto. Questo luogo è davvero estremo. Non so come possa essere raccogliere pomodori nel sud dell'Italia, che a conti fatti rende anche un pochino di meno, ma a quanti dicono che questa è gente che non ha voglia di lavorare, auguro di cuore di rinascere proprio qui e di riuscire a trascorrervi una vita serena.

Il lago salato



SURVIVAL KIT

Depressione del Danakil (Dankalia)- Per visitare questa regione è obbligatorio servirsi di una agenzia specializzata che organizza giri di 2-3-4 giorni, con partenza e arrivo a Macallé, che prevedono una visita abbastanza completa della regione e forniscono il pacchetto completo a cifre varianti tra i 250 e 350 Euro al giorno, prendere o lasciare, che comprende le auto, vitto, due notti all'aperto nel deserto o sul vulcano e una in un ostello di fortuna in una cittadina a mezza strada, le guardie armate obbligatorie, materassi e cucina. Una di queste è Ethio travel and Tours. A Macallé la trovate sotto l'Hotel Milano, se arrivate lì con pullman. Scegliete il tipo di giro che vorrete fare e verrete aggregati ad altri viaggiatori per la "spedizione". Noi siamo arrivati con la nostra macchina aggregandoci al gruppo e usufruendo quindi di un altro contratto assai meno oneroso, cosa che vi consiglio di fare.

Sale pronto per il carico





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