mercoledì 29 agosto 2018

Etiopia 57 - Da Dessiè ad Addis

Donna Amhara



Panorami
Arriviamo a Dessiè che è quasi sera. La città è piuttosto grande ed è l’immagine dell’Etiopia moderna in perenne caotico sviluppo, disordinata e viva, dove le piccole attività commerciali fioriscono in continuazione, creando mercati spontanei affollatissimi. Tutto attorno la città cresce in tutte le direzioni, nuove abitazioni che cominciano per arrestarsi in attesa di soldi, vecchi edifici che si arricchiscono di parti nuove o di altri piani, insomma un furore continuo e progressivo di sviluppo economico che coinvolge tutti e contribuisce a far crescere questo paese poverissimo, nel tentativo di riuscire a sfamare una popolazione in crescita continua ed inarrestabile. Intorno al nostro albergo si è sviluppato un mercato selvaggio ricco di bancarelle di ogni tipo, soprattutto venditori di frutta e verdura e povere cose di uso comune, alternati a zone per così dire di ristoro, dove viene distribuito caffè, cibi di base, l’onnipresente injera e bevande confezionate, oltre a succhi di frutta freschi che a dir la verità, ingolosiscono solo a guardare le cataste di manghi, avocados, arance, ananas e banane che paiono cascare giù per terra, tante ce ne sono. Non riesco a resistere e mi faccio un succo di papaya dolcissima alla faccia della flora intestinale, tanto tra due giorni saremo nell’ovattata tranquillità sanitaria della nostra vituperata civiltà. 

Al bar
Davvero buona. Il mattino dopo, visto che la notte è passata in tranquillità, replica allo stesso baraccotto; la ragazza, completamente coperta dalla testa ai piedi, col foulard colorato, ma con un niqab nero pece che arriva fin sulla pancia e che lascia appena intravedere una sottile striscia di occhio, che tuttavia sembra sorridere, ormai mi conosce e infila i dieci birr sotto la veste con fare furtivo e complice. Il pollo e lenticchie di ieri sera era buono ma evidentemente il mio stomaco non ha ancora l’abitudine a questo bouquet di spezie e la digestione latita, me lo sento ancora qui, a mezzo stomaco che vaga su e giù, evidentemente in attesa di succhi gastrici dedicati. Cerchiamo del caffè che qui dovrebbe essere quasi regalato, ma scopriamo, entrando in un paio di negozietti che se la danno da similsupermarket, che qui non si vende già tostato, ognuno si compra i chicchi verdi e poi provvede da sé a casa, così la qualità della bevanda diventa ancor di più, appannaggio della padrona di casa. Per la verità le commesse con i capelli sbionditi e lisciati all’inverosimile, hanno poca voglia di comunicare, intente come sono a compulsare i loro smartphone, già alla fine tutto il mondo è paese, mettiamola così. Partiamo quindi per il lungo trasferimento che dovrebbe portarci infine alla capitale, attraverso montagne verdissime e valli di alta quota. 

Carne trita e injera
Per la verità sarebbe previsto anche un breve trekking (3 h) in mattinata per godere dei panorami della regione dell’Amhara, ma diciamo pure che con scuse varie, a partire dal precario stato di salute della nostra compagna di viaggio, riusciamo a darlo per fatto e spuntato dalla lista. Così sgranocchiando orzo tostato (io) e masticando qat (Abi e Lalo, che sembrano sempre più allegri, non si capisce se per l’euforizzante o per il fatto che finalmente presto si libereranno di noi) arriviamo fino ad un’altra cittadina che potrebbe essere Debre Birhan, dove abbiamo l’occasione di assaggiare un piatto particolare, un impasto di carne fritta tritata con uova, sbattuta sulla onnipresente injera. Anche Abi però, accusando misteriosi problemi di stomaco finisce per lasciarla tutta nel piatto, forse non era una grande specialità. Il paesaggio continua tra le montagne verdissime tra boschi e radure fino ad un colle al di là del quale tutto diventa improvvisamente giallo e secco e comincia un altopiano infinito, dove grandi campi coltivati a cereali sono stati evidentemente mietuti da poco e le stoppie colorano la terra, mentre qualche asinello si aggira sui fossi brucando quel poco che è rimasto. Sul colle ci deve essere una specie di area franca, vista la fila dei banchetti che vendono esclusivamente bottiglie di Johnny Walker, un bel mercato per questa marca. 

Succo di papaya
Altro granchio; in realtà mi spiega Lalo, siamo nella zona dei distillatori clandestini di qualunque vegetale possibile ed in ogni capanna si produce alcool di dubbia qualità che viene successivamente imbottigliato in recipienti riciclati, esclusivi di questa marca, garanzia di qualità del tarocco che vengono recuperate negli alberghi e negli esercizi della capitale. Procediamo ancora per un paio d’ore e poi finalmente le prime disordinate periferie della capitale, appaiono ai bordi della strada. Il traffico si infittisce ed Addis Abeba ci accoglie per l’ultima volta, mostrando la confusione della sera di una megalopoli dove milioni di persone si accalcano per tornare a casa, salire sulle migliaia di mezzi che straboccano di gente appesa anche fuori delle portiere, di auto malandate che perdono i pezzi, di motorini e carretti che ingombrano le strade, come in ogni parte del terzo e quarto mondo che si rispetti. La nostra meta sulla collina ci aspetta. Ormai la conosciamo. La città non ancora, ci sarà tempo domani, che sarà anche l’ultimo giorno di un vol d’uccello per un incontro finalmente ravvicinato che ci darà l’ultima visione, la figurina mancante del collezionista, da applicare all’album di questo straordinario paese, prima di riporlo nel cassetto dei ricordi.

Abi

SURVIVAL KIT

Hotel Melbourne - Buwanbuwa Wuha Kebele 10 - Dessiè - Uno dei migliori hotel che abbiamo avuto nel giro a nord di Addis. Piuttosto nuovo e molto pulito. Abbiamo avuto un problema con l'acqua e ci è stata subito cambiata la camera. Tutto funziona bene, prese, elettricità, acqua calda abbondante e free wifi buono. Camere normali. Personale molto gentile. Ristorante con piatti vari di buona qualità a prezzi consueti. Colazione ottima con succhi di frutta freschi. Consigliato, anche se la città, punto di passaggio verso Lalibela, non presenta interessi particolari.

Jacaranda


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