Donna Amhara |
Panorami |
Arriviamo a Dessiè che è quasi sera. La città è piuttosto
grande ed è l’immagine dell’Etiopia moderna in perenne caotico sviluppo,
disordinata e viva, dove le piccole attività commerciali fioriscono in continuazione,
creando mercati spontanei affollatissimi. Tutto attorno la città cresce in
tutte le direzioni, nuove abitazioni che cominciano per arrestarsi in attesa di
soldi, vecchi edifici che si arricchiscono di parti nuove o di altri piani,
insomma un furore continuo e progressivo di sviluppo economico che coinvolge
tutti e contribuisce a far crescere questo paese poverissimo, nel tentativo di
riuscire a sfamare una popolazione in crescita continua ed inarrestabile.
Intorno al nostro albergo si è sviluppato un mercato selvaggio ricco di
bancarelle di ogni tipo, soprattutto venditori di frutta e verdura e povere
cose di uso comune, alternati a zone per così dire di ristoro, dove viene
distribuito caffè, cibi di base, l’onnipresente injera e bevande confezionate,
oltre a succhi di frutta freschi che a dir la verità, ingolosiscono solo a
guardare le cataste di manghi, avocados, arance, ananas e banane che paiono
cascare giù per terra, tante ce ne sono. Non riesco a resistere e mi faccio un
succo di papaya dolcissima alla faccia della flora intestinale, tanto tra due
giorni saremo nell’ovattata tranquillità sanitaria della nostra vituperata
civiltà.
Al bar |
Davvero buona. Il mattino dopo, visto che la notte è passata in
tranquillità, replica allo stesso baraccotto; la ragazza, completamente coperta
dalla testa ai piedi, col foulard colorato, ma con un niqab nero pece che
arriva fin sulla pancia e che lascia appena intravedere una sottile striscia di
occhio, che tuttavia sembra sorridere, ormai mi conosce e infila i dieci birr
sotto la veste con fare furtivo e complice. Il pollo e lenticchie di ieri sera
era buono ma evidentemente il mio stomaco non ha ancora l’abitudine a questo
bouquet di spezie e la digestione latita, me lo sento ancora qui, a mezzo
stomaco che vaga su e giù, evidentemente in attesa di succhi gastrici dedicati.
Cerchiamo del caffè che qui dovrebbe essere quasi regalato, ma scopriamo,
entrando in un paio di negozietti che se la danno da similsupermarket, che qui non
si vende già tostato, ognuno si compra i chicchi verdi e poi provvede da sé a
casa, così la qualità della bevanda diventa ancor di più, appannaggio della
padrona di casa. Per la verità le commesse con i capelli sbionditi e lisciati
all’inverosimile, hanno poca voglia di comunicare, intente come sono a compulsare
i loro smartphone, già alla fine tutto il mondo è paese, mettiamola così. Partiamo
quindi per il lungo trasferimento che dovrebbe portarci infine alla capitale,
attraverso montagne verdissime e valli di alta quota.
Carne trita e injera |
Per la verità sarebbe
previsto anche un breve trekking (3 h) in mattinata per godere dei panorami della
regione dell’Amhara, ma diciamo pure che con scuse varie, a partire dal
precario stato di salute della nostra compagna di viaggio, riusciamo a darlo per
fatto e spuntato dalla lista. Così sgranocchiando orzo tostato (io) e
masticando qat (Abi e Lalo, che sembrano sempre più allegri, non si capisce se
per l’euforizzante o per il fatto che finalmente presto si libereranno di noi)
arriviamo fino ad un’altra cittadina che potrebbe essere Debre Birhan, dove abbiamo l’occasione di
assaggiare un piatto particolare, un impasto di carne fritta tritata con uova,
sbattuta sulla onnipresente injera. Anche Abi però, accusando misteriosi
problemi di stomaco finisce per lasciarla tutta nel piatto, forse non era una
grande specialità. Il paesaggio continua tra le montagne verdissime tra boschi
e radure fino ad un colle al di là del quale tutto diventa improvvisamente
giallo e secco e comincia un altopiano infinito, dove grandi campi coltivati a
cereali sono stati evidentemente mietuti da poco e le stoppie colorano la
terra, mentre qualche asinello si aggira sui fossi brucando quel poco che è
rimasto. Sul colle ci deve essere una specie di area franca, vista la fila dei
banchetti che vendono esclusivamente bottiglie di Johnny Walker, un bel mercato
per questa marca.
Succo di papaya |
Altro granchio; in realtà mi spiega Lalo, siamo nella zona
dei distillatori clandestini di qualunque vegetale possibile ed in ogni capanna
si produce alcool di dubbia qualità che viene successivamente imbottigliato in
recipienti riciclati, esclusivi di questa marca, garanzia di qualità del
tarocco che vengono recuperate negli alberghi e negli esercizi della capitale. Procediamo
ancora per un paio d’ore e poi finalmente le prime disordinate periferie della
capitale, appaiono ai bordi della strada. Il traffico si infittisce ed Addis
Abeba ci accoglie per l’ultima volta, mostrando la confusione della sera di una
megalopoli dove milioni di persone si accalcano per tornare a casa, salire
sulle migliaia di mezzi che straboccano di gente appesa anche fuori delle portiere,
di auto malandate che perdono i pezzi, di motorini e carretti che ingombrano le
strade, come in ogni parte del terzo e quarto mondo che si rispetti. La nostra
meta sulla collina ci aspetta. Ormai la conosciamo. La città non ancora, ci sarà
tempo domani, che sarà anche l’ultimo giorno di un vol d’uccello per un
incontro finalmente ravvicinato che ci darà l’ultima visione, la figurina
mancante del collezionista, da applicare all’album di questo straordinario paese,
prima di riporlo nel cassetto dei ricordi.
Abi |
SURVIVAL KIT
Hotel Melbourne - Buwanbuwa Wuha Kebele 10 - Dessiè - Uno dei migliori hotel che abbiamo avuto nel giro a nord di Addis. Piuttosto nuovo e molto pulito. Abbiamo avuto un problema con l'acqua e ci è stata subito cambiata la camera. Tutto funziona bene, prese, elettricità, acqua calda abbondante e free wifi buono. Camere normali. Personale molto gentile. Ristorante con piatti vari di buona qualità a prezzi consueti. Colazione ottima con succhi di frutta freschi. Consigliato, anche se la città, punto di passaggio verso Lalibela, non presenta interessi particolari.
Jacaranda |
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