Visualizzazione post con etichetta Cuba. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Cuba. Mostra tutti i post

lunedì 2 novembre 2020

Luoghi del cuore 80: Il sòn di Cuba


Cuba - agosto 2002


Auto a la Habana
De Alto Cedro voy para Marcané
Llego a Cueto, voy para Mayarí...

Aveva occhi tristi e una voce leggermente roca, quel musicista anziano, reduce di certo di un'epoca passata, mentre le sue dita si arrotolavano sulle corde di un très cubano, quella chitarra particolare la cui accordatura anomala dava al sòn la sua nota di dolente rassegnazione. L'altro componente del duo, stava un poco più indietro maneggiando un imponente basso e faceva il controcanto nella ripetizione del distico del ritornello. Anche lui piuttosto vecchio, il viso rugoso, la voce che mimava quella di Compay Segundo, gli occhi rivolti verso l'alto, come a chiedere aiuto. La luna non era ancora alta nel cielo e la notte era scura a L'Avana. I lampioni radi emanavano una luce debole e giallognola che faticava ad arrivare alla terrazza del bar. 

El cariño que te tengo
No te lo puedo negar
Se me sale la babita
Yo no lo puedo evitar

Il daiquiri ghiacciato andava giù come l'olio e il chiacchiericcio dagli altri tavoli arrivava sommesso, lasciando che la sonorità metallica delle corde avvolgesse la penombra tra le colonne nella notte calda e densa dei profumi forti del Caribe. Il ritmo battuto del basso rendeva quel suono così giusto per il luogo e il momento che lo avrei continuato ad ascoltare per tutta la notte. Cuba è musica, soprattutto musica. E quella musica è Cuba e Chan Chan è la colonna sonora che ti aspetti e che sotto un certo punto di vista ti perseguiterà per tutto il tempo in cui girerai l'isola, nelle vecchie città coloniali, tra i palazzi della decadenza, sulle spiagge circondate di palme. La senti venir fuori dalle cantine, nei tardi pomeriggi assolati, quando il cielo comincia ad arrossare le cime delle palme e qualche gruppetto di ragazzi si raduna all'ingresso di queste piccole stanza dal fondo delle quali emerge il suono e gli altri ballano. Dove le ragazze ridono muovendo i fianchi al ritmo ipnotico del sòn.

Cuando Juanica y Chan Chan
En el mar cernían arena
Como sacudía el jibe
A Chan Chan le daba pena

Ogni strada, ogni piazza, ogni locale dell'isola è permeato completamente da questa musica leggera e pervasiva che ti si pianta nella mente mentre sorseggi il tuo mojito alla Bodeguita del medio, per compiere un omaggio letterario obbligato o se stai seduto a guardare il passaggio su una delle sedie di vimini del Floridita, mentre attorno passano vecchie immense cabriolet americane anni '50, che paiono calate giù dal set di un film, mentre sbuffano nuvole nere di gasolio da trattore. L'Avana è uno stato d'animo, con i suoi fondali quasi preparati per finta, la lunga curva del Malecon al tramonto, le stradine selciate, i vecchi palazzi dalle facciate scrostate e cadenti, con la sua colonna sonora ineguagliabile. Solo quando l'avrai assorbita completamente, quando avrai fatto tuo, il suo ritmo lento, il sapore ad un tempo forte e delicato, la potrai dire davvero conquistata, forse compresa, capita nelle sue difficili sfumature e sarai pronto a muoverti attraverso l'isola e la sua storia, da Santiago a Vinales, da Quatrocaminos a Trinidad a scavarne meglio l'intima bellezza e la sua anima gentile. Non farti annoiare dagli slogan tristi che ogni regime in crisi ha bisogno di esibire sui muri, sempre più grandi al diminuire del suo gradimento, anche questa è la noia della storia. Vai anche tu a "cernir la arena nel mar" e guarda con un sorriso dolce e senza troppa malizia le ragazze che "sacudian el jibe" sulla spiaggia. Sentirai anche tu, magari fumandoti un bel "puro", arrotolato con cura dalle mani abili delle sigaraie, sdraiato su una amaca all'ombra della sera che sta per arrivare. Così sulle ultime note di Chan Chan, lasciammo i due suonatori, con una buona mancia, mentre si spostavano verso il tavolo successivo. 

Limpia el camino de paja
que yo me quiero sentar
en aquel tronco que veo
y así no puedo llegar.

De Alto Cedro voy para Marcané
Llego a Cueto, voy para Mayarí...



Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

Slogan

Barbe a Teheran

Victoria falls

Delta dell'Okawango
Capetown
Il Nilo
Chicago
Il grande ovest americano
La Saona a Santo Domingo
Fare acquisti a Pechino
Il lago Atitlan
Chiapas
Matrimonio messicano
Le colline di Poltava
Bali
La torre di Lu

I Toraja di Sulawesi
Singapore

Urali                                                            
Imputato alzatevi

lunedì 28 novembre 2016

In morte del Lìder maximo

L'Havana - 2002

Beh, prima o poi tutti ce ne dobbiamo andare. E' toccato anche a lui dunque ed in questo caso, come accade per la maggior parte dei personaggi di spicco delmondo, le reazioni sono molto contrastanti, anche se ce le si deve aspettare in questi casi. Per la maggior parte borborigmi di pancia di fans o di nemici giurati, come si usa ormai nei tempi di social. Difficile leggere commenti che tentano di fare bilanci pacati, di esaminare la storia e la realtà. Forse è presto, queste analisi richiedono tempi lunghi che lascino smorzare appunto le reazioni di parte. Non basta di certo una generazione allo storico, d'altra parte poi, il tempo passa e la storia la scrivono i vincitori per cui neanche questa lettura dà certezze di verità. Erano così perfidi i Cartaginesi, chi può dirlo ormai. A caldo si possono solo esaminare, se si vuole mantenere una certa obiettività, i fatti più concreti ed evidenti, i numeri, i paragoni con situazioni analoghe sperando di fare le contestualizzazioni nel modo più corretto possibile, anche se ognuno poi non può fare a meno di portarsi dietro le proprie convinzioni. 

Nel nostro caso, partirei da alcuni punti fermi. Fidel è un personaggio che, forzatamente porta con sé luci ed ombre. Bisogna vedere se prevalgono le prime o le seconde. Non c'è dubbio che il carisma che lo ha sempre accompagnato, la forza del pensiero rivoluzionario, dell'opposizione ad un pensiero dominante con la ricerca di una soluzione che consentisse di non essere sopraffatti da un vicino scomodo e potentissimo, ne abbiano fatto una figura che ha acceso un'aura romantica e accattivante, bandiera per gli oppressi e i neocolonizzati di tutto il mondo. Tuttavia non si può negare che, come è accaduto in quasi tutti i casi, la spinta liberatoria e rivoluzionaria, si sia trasformata rapidamente in una dittatura che, come insito in ogni governo autoritario che non trova altro modo per autodifendere il proprio potere, ha sempre negato proprio quella libertà che affermava di avere conquistato. Non puoi non chiamare dittatore o tiranno chi imprigiona ed eventualmente, tortura e uccide anche un solo oppositore. 

Poi, però bisogna esaminare gli effetti che ha sulla vita reale di un popolo, un regime autoritario. Ad esempio non ci sono dubbi che a Singapore o nella Cina del dopo Mao, ci siano governi molto autoritari che negano una serie di libertà che il mondo occidentale non sarebbe disposto ad accettare, ma i risultati economici di questi governi sono tali da aver portato una serie di benessere materiale che per moltissime di quelle popolazioni, fanno passare assolutamente in secondo ordine, la richiesta di libertà che a noi appaiono  non negoziabili. Nel caso dell'esperimento cubano non è andata in questo modo. A Cuba è emerso per l'ennesima volta come l'ideale marxista di una società fondata sul socialismo distributivo del dare a tutti secondo i propri bisogni, nella pratica non funziona, forse perché nella genetica umana permane quel seme di egoismo inestinguibile che porta a far migliorare conomicamente la società in generale solo quando, ogni singolo individuo tenta di affermare la propria identità, spesso prevaricando il vicino, anche se rimanendo controllata in qualche modo dal sistema per non cadere nell'eccesso opposto, cosa che vediamo accade spesso nelle situazioni di liberalismo spinto. 

Il risultato è stato certo di eguaglianza generica, ma condita con un impoverimento totale e diffuso che chi è stato sull'isola non può negare in nessun modo. Il sistema socialista, ancora una volta ha dimostrato che non riesce a produrre ricchezza generalizzata o quantomeno un miglioramento degli standard di vita. Questo si accompagna poi sempre ad un aumento dello scontento interno, perché alla fine la gente tende a mettere davanti a tutto l'appagamento delle piccole necessità materiali, agli ideali di indipendenza, libertà e tutte le altre belle parole generiche che poi non riempiono la pancia. Quando ci sono stato per circa un mese, non ho potuto che registrare questo rumore di fondo continuo, nella stragrande maggioranza dei casi, in cui prevalevano sempre la sofferenza per la mancanza di beni conosciuti e desiderati o la voglia di andarsene in altri luoghi, idealizzati e sognati come un Bengodi favoleggiato. Solo la stupidità americana di un embargo spesso inutile, ha fornito una ottima scusa per giustificare completamente, da parte del potere, il fallimento economico di un sistema, oltre ad estremizzare una posizione internazionale che ha spinto il regime tra le braccia degli avversari di quel tempo. 

Dunque un regime che non ha dato risultati validi per il benessere generale di un popolo automantenendosi inoltre con forza e durezza inaccettabile. Però non si possono negare che ci siamo anche delle luci in questo processo. Per avere un giudizio obiettivo, il paese va paragonato agli altri dell'area nelle medesime condizioni. In questo caso non si può negare che tutti i vari staterelli centroamericani sono stati preda di situazioni opposte ed in quei luoghi la gente è parimenti poverissima e nella maggior parte dei casi sta anche peggio. Infatti non si possono negare al regime i risultati nel campo della sanità e nel sistema scolastico, di cui possono godere i cubani rispetto ai loro vicini. Spesso neppure gli stessi cubani scontenti si rendono conto di questo. Forse dovendo scegliere se nascere a Cuba o ad Haiti, Guatemala, Honduras, Belize, Nicaragua ecc. non avrei avuto dubbi e anche questa ritengo sia una realtà innegabile. 

Ora la morte di Fidel, anche se effettivamente era lontano dalla stanza dei bottoni da anni, segna un passaggio che sicuramente darà luogo a cambiamenti, attesi da molti con speranza, da altri con timore. La storia ha insegnato che in generale questo tipo di passaggi sono sempre forieri di sofferenza e pesanti disagi per la popolazione che vi viene sottoposta. Ci sono già feroci belve in lista di attesa, dalle zanne sguainate che non aspettano altro. Ritrasformare l'isola nel postribolo per americani come era precedentemente oppure per liberalizzare ghiotte opportunità predatorie per i neocolonialisti all'opera in tutte le parti del mondo, come sta accadendo alla grande in Africa è la bramosia generale che pervade chi è interessato dall'esterno. Difficile che lo status quo possa mantenersi a lungo adesso che la diga teorica rappresentata da Casto si è rotta. Troppo vecchi e consumati gli epigoni al potere attualmente per poter resistere a lungo su una linea di intransigenza. Un cambiamento graduale sarebbe certo, a mio parere il meno traumatico per i cubani, ma difficilmente questo avviene di solito. In ogni caso una cosa è certa, chi vorrà andare a vedere questa meravigliosa isola, di gran lunga il paese più interessante del Caribe, non la troverà più uguale a quella degli anni scorsi. Staremo a vedere.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

venerdì 28 agosto 2009

Impiantistica varia.

La pianura tra Crimea e Ukraina è sconfinata. L’occhio corre all’orizzonte e si perde in quella linea infinita che scandisce in primavera il cielo azzurro chiaro dalla terra nera che comincia a colorarsi di tenero verde. Le strade sono rettilinee come negli stati centrali degli States e per kilometri e kilometri non incontri anima viva, poi un’insegna ad una strada laterale ti avvisa che da qualche parte c’è qualche cosa. Nel nostro caso era il Kolkhoz Rodina dove eravamo attesi dal direttore in persona. Il kolkhoz è in realtà un paese al centro di una grande area coltivabile. Nel nostro stavano quasi duemila persone, in grandi case a più piani che circondavano una grande piazza/aia centrale, assieme a caseggiati più bassi, magazzini, officine, depositi, servizi vari. La sensazione è di essere sperduti al centro del nulla. Gente se ne vedeva poca in giro, un po’ perché le semine primaverili e gli altri lavori agricoli erano finiti, un po’ perché il sistema agricolo sovietico stava tirando le cuoia insieme al resto e chi poteva se la filava in cerca di occasioni migliori. In fondo alla grande piazza una lunga costruzione a tre piani cadeva a pezzi. Era stato il centro di produzione polli, ne andavano via due camion al giorno, poi non era più arrivato il mangime, forse qualcuno si era dimenticato di quel kolkhoz sperduto o c’erano altre destinazioni più importanti, così i polli erano morti di fame. Quelli che si poteva, erano stati mangiati, il mercato della città era troppo lontano e non c’era la benzina per portarli, così tutti gli altri li avevano buttati nella fossa dietro il caseggiato che aveva cominciato a marcire. C’era anche una fabbrichetta con una specie di linea per fare le patatine fritte, anzi prima si faceva una specie di purea, poi questa veniva laminata in sottili gallette e il tutto era fritto in un olio nero che sembrava quello esausto dei camion. L’addetta farfugliò qualcosa a proposito di semi oleosi trattati con trielina e soda caustica, ma ritenni opportuno non approfondire. Nonostante questo fui obbligato all’assaggio di qualcuna delle gallette nerastre che uscivano prima di essere stipate un scatolette di cartone da pacchi. Non riuscii a togliermi quel pizzicore sulla lingua per ore, anche quando incontrammo il direttore responsabile del centro. Era giovane e prestante, decisamente atletico per un dirigente agricolo di campagna e dopo aver esaminato le sue richieste che si riassumevano in una ricerca di fondi da investire in mirabolanti attività di sfruttamento dei prodotti agricoli del kolkhoz, dai maiali, alle patate al girasole, cercammo di salutare ed andarcene. Non riuscimmo a svignarcela, ma fummo coinvolti nella cena d’onore tra molteplici brindisi all’imperitura amicizia italo russa; la vodka garilka scorreva a fiumi e notai grande feeling tra il nostro Misha e il direttore-atleta. Entrammo più in confidenza e gli chiesi come era finito in quel buco. Si intristì subito e mi parlò del suo recente e più glorioso passato quando svolgeva l’importante incarico di “consigliere” a Cuba. Anni straordinari pieni di ricordi piacevoli e ambrati, non era chiaro se riferiti più al rum o alle cubane con le quali aveva maturato una buona intesa commerciale. Grandi pacche sulle spalle al nostro Misha che risultò aver avuto anche lui, un passato di “consigliere-consulente commerciale” e non solo a Cuba, ma anche in Angola, Cambogia e altre parti del mondo. Strani paesi per fare affari, ma si sa, le buone opportunità si nascondono dove meno te le aspetti. Troppo curioso come sempre, chiesi cosa vendevano da quelle parti. Si guardarono in tralice. “Abarudovnjia, impianti” fu la risposta, poi si cambiò discorso e si aprirono le altre bottiglie di vodka, tra canti sguaiati e rimpiangendo i bei giorni felici dei tempi passati. Ce ne andammo il giorno dopo mentre la bruma del mattino avvolgeva i ferri contorti ed arrugginiti del deposito trattori pieno di macchine abbandonate.

lunedì 3 novembre 2008

¡Que linda es Cuba!

Ci sono luoghi dove l'aria ti invita a non avere fretta. Nuotavamo (si fa per dire) nell'acqua bassa nella baia blu di fronte a Cienfuegos. Si aveva voglia solo di aspettare che il sole tramontasse per godersi un altro po' di sfumature di rossi, quando un tizio con una bella bambina coi riccioli ci attacca un bottone e alla fine propone: - ¿Le gusta a usted de comer en mi casa una dorada rellena de langosta? A los italianos le gusta mucho-. Sono sensibilissimo a queste proposte e dopo aver concordato il prezzo accettammo di buon grado, non prima di averlo pregato di non farci un pacco. Tenendo stretta in braccio la bimba sorridente assunse un aria offesa e portata la mano sul cuore promise: - Palabra de pescador. A las ocho en frente al gasolinero.- e si allontanò lungo la spiaggia. Ci presentammo puntuali e la bambina che ci aspettava mi prese per mano e ci condusse attraverso il paese a una casetta un po' cadente come tutte a Cuba. Nel piccolo cortile interno c'era già un gran fervore di preparativi. La famiglia del palandar (così si chiamano questi ristoranti familiari semiclandestini, in realtà tollerati) al completo era in movimento, da José, il nostro pescatore, a un gran numero di figlie, oltre alla moglie che dava ordini in cucina. Un ragazzino finiva di dare gli ultimi ritocchi alla tavola imbandita appositamente per noi tre. Infine dopo un mojito abbondante, mama Dolores arriva con un gigantesco piatto contenente una orata mostruosa (almeno 40 cm) ripiena di delicata aragosta. Tralascio altri stucchevoli dettagli ma alla fine dell'ordalia, Josè arriva con in mano un sigaro grosso come una banana:- Ahora necesita un puro- Maledizione non fumo! Perchè devo negarmi questo piacere? Compay Segundo diceva :- No puedo vivir sin mi puro- Non potevo però deluderlo, così comprai il sigaro. Infine, dopo caldi abbracci a tutti e adeguata compensazione ce ne andammo satolli nella notte cubana a sentire musica. Ancora lo conservo quel sigaro, ormai secco e triste per non aver dato la gioia per cui era stato preposto.




Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 121 (a seconda dei calcoli) su 250!