Cuba - agosto 2002 |
Aveva occhi tristi e una voce leggermente roca, quel musicista anziano, reduce di certo di un'epoca passata, mentre le sue dita si arrotolavano sulle corde di un très cubano, quella chitarra particolare la cui accordatura anomala dava al sòn la sua nota di dolente rassegnazione. L'altro componente del duo, stava un poco più indietro maneggiando un imponente basso e faceva il controcanto nella ripetizione del distico del ritornello. Anche lui piuttosto vecchio, il viso rugoso, la voce che mimava quella di Compay Segundo, gli occhi rivolti verso l'alto, come a chiedere aiuto. La luna non era ancora alta nel cielo e la notte era scura a L'Avana. I lampioni radi emanavano una luce debole e giallognola che faticava ad arrivare alla terrazza del bar.
Il daiquiri ghiacciato andava giù come l'olio e il chiacchiericcio dagli altri tavoli arrivava sommesso, lasciando che la sonorità metallica delle corde avvolgesse la penombra tra le colonne nella notte calda e densa dei profumi forti del Caribe. Il ritmo battuto del basso rendeva quel suono così giusto per il luogo e il momento che lo avrei continuato ad ascoltare per tutta la notte. Cuba è musica, soprattutto musica. E quella musica è Cuba e Chan Chan è la colonna sonora che ti aspetti e che sotto un certo punto di vista ti perseguiterà per tutto il tempo in cui girerai l'isola, nelle vecchie città coloniali, tra i palazzi della decadenza, sulle spiagge circondate di palme. La senti venir fuori dalle cantine, nei tardi pomeriggi assolati, quando il cielo comincia ad arrossare le cime delle palme e qualche gruppetto di ragazzi si raduna all'ingresso di queste piccole stanza dal fondo delle quali emerge il suono e gli altri ballano. Dove le ragazze ridono muovendo i fianchi al ritmo ipnotico del sòn.
Ogni strada, ogni piazza, ogni locale dell'isola è permeato completamente da questa musica leggera e pervasiva che ti si pianta nella mente mentre sorseggi il tuo mojito alla Bodeguita del medio, per compiere un omaggio letterario obbligato o se stai seduto a guardare il passaggio su una delle sedie di vimini del Floridita, mentre attorno passano vecchie immense cabriolet americane anni '50, che paiono calate giù dal set di un film, mentre sbuffano nuvole nere di gasolio da trattore. L'Avana è uno stato d'animo, con i suoi fondali quasi preparati per finta, la lunga curva del Malecon al tramonto, le stradine selciate, i vecchi palazzi dalle facciate scrostate e cadenti, con la sua colonna sonora ineguagliabile. Solo quando l'avrai assorbita completamente, quando avrai fatto tuo, il suo ritmo lento, il sapore ad un tempo forte e delicato, la potrai dire davvero conquistata, forse compresa, capita nelle sue difficili sfumature e sarai pronto a muoverti attraverso l'isola e la sua storia, da Santiago a Vinales, da Quatrocaminos a Trinidad a scavarne meglio l'intima bellezza e la sua anima gentile. Non farti annoiare dagli slogan tristi che ogni regime in crisi ha bisogno di esibire sui muri, sempre più grandi al diminuire del suo gradimento, anche questa è la noia della storia. Vai anche tu a "cernir la arena nel mar" e guarda con un sorriso dolce e senza troppa malizia le ragazze che "sacudian el jibe" sulla spiaggia. Sentirai anche tu, magari fumandoti un bel "puro", arrotolato con cura dalle mani abili delle sigaraie, sdraiato su una amaca all'ombra della sera che sta per arrivare. Così sulle ultime note di Chan Chan, lasciammo i due suonatori, con una buona mancia, mentre si spostavano verso il tavolo successivo.
Limpia el camino de paja
que yo me quiero sentar
en aquel tronco que veo
y así no puedo llegar.
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