venerdì 21 aprile 2023

Lebanon 29 - Piazza dei Martiri

Beirut - L'hotel Saint Georges - marzo 2023


Il Phoenician

Avrete dunque capito, dopo il pippozzo di ieri, che rileggendo ho trovato anche un po' noioso da seguire, come però sia impossibile girare per questo paese senza averne continuamente presente la storia recente, anche perché ad ogni angolo ti troverai davanti ad immagini che si richiamano a questi fatti e li spiegano. Diversamente non potresti comprendere come mai dovrai passare da zone sfolgoranti di vita moderna e rilucente, ad angoli decisamente bui, muri sbrecciati, case abbandonate e cavalli di frisia che chiudono strade, posti di blocco che affiancano vie di comunicazione, fili spinati e sguardi cupi. Adessi ci siamo fermati in un altro punto della corniche, tra alte costruzioni. E' un crocevia famoso proprio in fronte al porto turistico dove due edifici importanti si fronteggiano. Da un lato l'Hotel Phoenician, forse il più lussuoso della capitale, che completamente ristrutturato e rimesso a nuovo, accoglie da poco la crema dei visitatori della città e, dall'altro lato della strada il Saint Georges, che a sua volta era l'albergo più famoso della fine del secolo scorso, detto anche l'hotel delle spie, dove evidentemente avevano base i traffici internazionali più intricati e simili a sceneggiature di avvincenti. spy stories. L'edificio, maestoso e completamente abbandonato, mostra le occhiate vuote delle finestre nere, tutti gli accessi del pianterreno sbarrati e protetti per evitare intrusioni, mentre i suoi sette piani affacciati sul porto, con la piscina in disuso e in rovina dove il jet set degli anni sessanta trascorreva le giornate in attesa di trasferirsi la sera al casinò. 

Il monumento di piazza dei martiri con il recente murale

I segni della cosiddetta guerra degli hotel, quando i miliziani avevano occupato le terrazze superiori di questi ultimi, con i giornalisti e gli inviati di tutto il mondo stavano barricati nelle loro stanze e ci si sparava dalle finestre, qui è ancora visibile e presente nei ricordi di chi l'ha vissuta. In Libano ogni guerra o periodo di conflitto ha un suo nome specifico, diversamente sarebbe troppo complicato distinguerle l'una dall'altra, tante sono state. Il contrasto con le nuove risplendenti costruzioni sorte intorno acuiscono ancora di più la memoria e ne fanno risaltare la voglia disperata di voltare pagina. Tutta questa area, la più lussuosa della capitale, sembra sia stata acquistata da società con capitali prevalentemente del golfo e destinati ad una gigantesca speculazione edilizia, che fa sorgere ogni giorno nuovi palazzi all'intorno, i cui appartamenti hanno prezzi stellari, roba da milioni di dollari,  neppure pronunciabili in un paese in cui c'è gente che si è data fuoco davanti alla banca perché non poteva riavere i propri soldi lì depositati. Intanto percorriamo le strette vie del quartiere vecchio di Beirut bordate di case basse, il traffico è intenso, ma in qualche centinaio di metri arriviamo nella grande spianata di piazza dei Martiri, segnata al centro dal monumento in bronzo dedicato a coloro che si sacrificarono all'inizio nel secolo scorso nelle manifestazioni volte a conseguire l'indipendenza del paese. 

Un tratto del muro della green line

L'opera fu eretta nel 1965 ed il luogo è rimasto il centro di tutte le proteste e delle rivoluzioni che il paese ha attraversato nei sessanta anni successivi. I successivi restauri hanno voluto mantenere inalterati i buchi delle pallottole ed i recenti murales che ne colorano la base; tutto racconta la storia che questo monumento, col suo braccio levato al cielo e che fu anche il simbolo dell'ultima rivoluzione, vuole rappresentare. Lo spazio attorno è grande ed ai bordi campeggia la grande moschea di pietra gialla, la più grande del paese, detta incongruamente Moschea blu, forse dal colore della cupola. Ma da un lato dell'amplissimo corso che traversa la città, rimane ancora il lungo muro che delimitava la cosiddetta linea Verde, quando la città era spaccata in due in quartieri in guerra, suddivisi dalle appartenenze religiose, tra amici e nemici mortali e il muro separava ad ovest i musulmani ad est i cristiani. Gli altri, Drusi, Armeni, Greco-Ortodossi, sparsi qua e là in preda ai venti di violenza del momento. Una linea spezzettata che tra il 75 ed il 90 segnò uno dei tanti punti caldi del mondo, dove il Muro, con il suo inconfondibile e marchiante segno di divisione insuperabile, connota non solamente una situazione territoriale, ma uno stato dell'essere, una barriera psicologica e di odio feroce. Il lungo muro bordava così una specie di terra di nessuno che si è subito popolato di alberi e vegetazione che crebbe selvatica in mezzo all'asfalto e alle pietre, battezzando in questo modo questo confine di guerra. 

L'epicentro dell'esplosione

Dall'altro lato, il quartiere centralissimo che un tempo era il punto logistico con i palazzi del potere, con la sua architettura omogenea e quasi metafisica degli anni trenta, oggi completamente deserto e percorribile solo a piedi, dopo aver superato le barriere dei posti di blocco e dei cavalli di frisia, popolato da soldati gentilissimi che in tuta mimetica controllano e fanno passare come se ogni cosa fosse la semplice normalità. Meriterà un giro specifico che rimandiamo all'ultimo girono della nostra permanenza. Qui puoi rimanere solo a guardarti intorno cercano di selezionare tra le case che ti circondano, quali sono state appena costruite, quali sono state restaurate alla meglio, quali rimangono lì desolantemente vuote coi vetri ancora rotti e le porte sbarrate da lamiere e putrelle di ferro, le pareti o le recinzioni, ricoperte da murales inneggianti la rivoluzione. Il porto commerciale è vicinissimo, neppure cento metri a piedi e arrivato qui  puoi avere ancora ben distinta la visione di quello che è accaduto il 4 agosto del 2020, il tragico evento di cui vi ho parlato nel post precedente. Percorri il lungo muro sul quale sono disegnati i volti degli undici pompieri che persero la vita nel tentativo di domare lo spaventoso incendio che seguì l'esplosione. Il quartiere sul porto mantiene il suo antico nome di Qarantine, perché qui sostavano i nuovi arrivati dal mare in tempi in cui le epidemie erano frequenti.

Le immagini dei pompieri morti

Affacciandosi dal parapetto, su quello che era ed è ancora, almeno per quel che rimane, il porto commerciale della città, ti puoi rendere conto della devastazione che distrusse case e artefatti per un raggio di oltre 1,5 km, grandi capannoni volgono ancora al cielo lamiere e travi di ferro come se una mano gigantesca fosse scesa dal cielo per accartocciarle con una sorta di violenza brutale da esercitare su questo disgraziato paese, quasi non ne avesse ancora conosciuta a sufficienza. Le finestre di molti dei palazzi al di là della strada sono ancora sventrate dalla furia dell'esplosione ed i muri sbrecciati attendono qualcuno che li ripristini. Grandi costruzioni languono in attesa di essere abbattute definitivamente, altre nuove si fanno largo tra i ruderi quasi fosse germogli di nuova vita cresciuti da soli tra le macerie. Tutto rappresenta come in un enorme diorama a cielo aperto, la triste storia recente di questo paese. Oltre duecento  morti, una economia distrutta, per quindici chilometri attorno finestre in frantumi; dicono che per settimane a camminare qui intorno, si sentiva solamente il silenzio nel quale spiccava il crepitare del vetri che, a terra, si sbriciolavano al calpestio. Ancora adesso passeggiare tra questi scheletri vuoti di cemento annerito mette un groppo in gola. E' quasi impossibile non rimanere scossi a questa vista che si attenua solo allontanandosi via via dall'epicentro dell'esplosione. Solo allora hai la sensazione che la vita ricominci, che alla fine tutto possa rinascere dalle proprie ceneri, perché la volontà di resistenza dell'uomo è superiore a qualsiasi avversità anche la più tremenda.


La moschea blu
 

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