domenica 30 aprile 2023

Lebanon 36 - La cittadella


La Cittadella - Tripoli - marzo 2023 - foto T,Sofi

L'ingresso della cittadella

Dal suq sono solamente pochi passi anche se fatti principalmente di scale scalette e salitelle contorte che risalgono la collina per arrivare al Castello che domina dall'alto tutta la città. Il suo nome, Cittadella di Raymond de Saint Gilles, dal nome del Conte di Tolosa che la costruì durante la prima Crociata per irrobustire la catena di forti che vedeva in Krak des Chevaliers, il suo punto chiave, teoricamente a protezione della via dei pellegrinaggi, in realtà per segnare il territorio conquistato, tanto da essere conosciuto anche come Raymond I di Tripoli. Così il forte fu eretto, tanto per cambiare, su rovine di templi romani preesistenti, su quello che si chiamava anche Monte del Pellegrino, a segnalare che si trattava di una delle tappe fondamentali del viaggio dall'Europa alla ricerca delle radici della Cristianità. In realtà il castello crociato era minuscolo e in quello che si vede oggi, riconosci a fatica le parti originali, in quanto la fortezza fu completamente ampliata dai Mamelucchi nel 1300 ed infine, e fino al raggiungimento dell'aspetto attuale, all'inizio del 1800, col nome di Qala'at Tarabulus, l'attuale nome arabo della città. L'ingesso alla fortezza è decisamente inquietante, occupata com'è in forze dall'esercito libanese che mantiene qui un presidio fisso, che comprende anche diversi mezzi corazzati che ne difendono la base e l'ingresso, dove sostano minacciose sei blindati ricoperti da teli mimetici. 

La grande moschea

Una presenza significativa insomma, che dovrebbe fungere da deterrenza ad eventuali rigurgiti di disordini, che questa città ha già ben conosciuto in tempi recenti e che è solita mostrare con fiammate improvvise. Tuttavia i visitatori, pochissimi in realtà e tutti locali, passano senza difficoltà, anzi accompagnati da sorrisi di incoraggiamento, purché non si facciano foto, ça va sens dire. La fortezza alla quale si accede da un bel portale di pietre bianche e nere in strisce orizzontali, come era costume del tempo e che abbiamo ritrovato in tutte le costruzione dell'epoca, religiose e non, è cupa e severa, buia nei suoi anditi ristretti e nascosti, da lunghi corridoi difensivi a cui si accede da portali con archi a ogiva. Le mura spesse nascondono passaggi nascosti e scale minuscole portano alle terrazze difensive che guardano la città dove erano disposti i cannoni. Le tracce della antica chiesa crociata a base ottagonale, le indovini appena, soffocate come sono dalle alte mura difensive erette tutte attorno. Di tanto in tanto emergono anche tracce lasciate dai romani, grandi pietre angolari affogare nei muraglioni che ancora mostrano gli altorilievi smozzicati dal tempo e dalle erosioni atmosferiche, evidentemente appartenenti ad antichi sarcofagi abbandonati di una necropoli che doveva essere importante come dimensioni. 

Il suq dei sarti

Grandi terrazze e lunghi camminamenti occupano tutta la parte sommitale, consentendoti di dominare con lo sguardo tutto la zona circostante. La città si stende ai nostri piedi e tutto l'immenso quartiere della città vecchia mostra con evidenza i punti focali ben riconoscibili. Ecco le cupole verdi della grande moschea col tozzo minareto quadrato, sormontato dalla minuscola torretta ottagonale dalla quale il muezzin cinque volte al giorno lancia la sua preghiera e che se non fosse per la mezzaluna sommitale potresti facilmente confondere per una delle torri o dei campanili della nostra toscana con la serie di monofore, bifore e trifore a salire, scandite da eleganti colonnine, che lo ornano. Ecco, poco più in là, il Caravanseraj Savoun, un po' malandato con le cupole della copertura già segnati dall'erba invasiva che esce dalle crepe e da ogni fessura. E più in là ancora quanti minareti, questa volta più alti e affusolati, alternati a qualche campanile isolato, almeno una decina, e tutti di confessioni differenti, tanto per cambiare, e ancora cupole di maiolica vicino alle quali scorgi le sagome di case semidistrutte con le travi del tetto che puntano al cielo, le finestre vuote e senza vetri, le mura annerite da un incendio recente. 

Fabbrica del sapone
La fabbrica

La città vecchia ti appare come un accatastamento confuso seppure perfetto, di mattoncini di un Lego perverso che non ha lasciato spazi inoccupati, fatti di case cubiche con le terrazze che ne incorniciano le sommità, percorse da file di panni stesi e piccole antenne paraboliche già rugginose, testimoni del tempo, qualcuna ormai storta, forse bersaglio di recenti cecchini, non certo delle balestre crociate, seppure a tiro di freccia dalle mura più alte. Al di là, nel lontano orizzonte, il mare è di un azzurro indaco, anche se la massa confusa delle case nasconde il porto, lasciando vedere solo le navi alla fonda al largo, per lo più vecchie carrette del mare anch'esse apparentemente vecchie e rugginose. Alle nostre spalle sulla collina che sale ancora al di là del fiume che divide in due la città, la città nuova, con le sue case più alte, ma ugualmente malandate e sbrecciate, costruite farraginosamente a cascata le une sulle altre, in un horror vacui che farebbe invidia ad uno dei sarcofagi che giace sotto di noi ancora qui dopo quasi duemila anni. 

Riscendiamo verso la città vecchia percorrendo la strada in discesa lungo il fiumiciattolo apparentemente innocuo, delimitato da uno spazio pubblico verde, un parco con giochi di bimbi e aiuole fiorite e che, contrariamente a quanto mostra, è stato protagonista in tempi recenti di una rovinosa alluvione che ha devastato tutto il suq adiacente e nel quale ci ributtiamo per mescolarci e confonderci nel colore che lo pervade completamente, oltrepassando piccoli locali che servono caffè e bibite, con le seggiole spaiate fuori e gli anziani che fumano davanti alle scacchiere di backgammon, il gioco più diffuso da queste parti, almeno così sembra. Siamo nel cosiddetto suq dei sarti e dei tessuti, contrassegnato da una serie di alti archi in muratura che ne coprono i vicoli e circondano un cortile di almeno sessanta metri di lato. E' il Khan el-Khayyatin, dove i negozietti di alternano mostrando schiere di manichini che mostrano bellissimi vestiti, adatti naturalmente a tutte le confessioni religiose, esibendone quindi i dettami e le alternative possibili e consentite. Eccone uno che espone keffiah a pié de poule rosse tipicamente giordane ed altre in bianche nere palestinesi; qui ecco veli femminili che ricoprono in misura varia il viso, neri, colorati ricoperti di perline che mostrano solo gli occhi, accanto a jeans e leggins che fasciano il corpo strizzando le chiappe per mostrarle al meglio.

Più avanti lunghe tuniche monocolori che coprono fino ai piedi e appena di fianco una fila di manichini dalla prorompente femminilità fasciati di abiti multicolori con ampi spacchi su schiena e fianchi che cercano di mostrare tutto il possibile e anche di più, bikini paiettati inclusi. Insomma tutto e il contrario di tutto, una specie di testimonianza di questo paese che ogni cosa vorrebbe includere ed assorbire in linea con quella che è stata la sua storia millenaria, di popoli, di culture, di sensibilità differenti. Appena aventi ecco un altro caravanserraglio, più piccolo e molto malconcio. All'interno regna una gran confusione di magazzini pieni di rottami, merce apparentemente abbandonata e piccole attività artigianali. Al primo piano, al quale si accede attraverso scalette nere di muffa, una specie di piccola fabbrichetta di sapone, tenuta in vita da due anziani, marito e moglie che con vecchissimi attrezzi continuano questa attività tramandata loro dai genitori o chissà dai nonni. Lei, malferma ti mostra vecchi miscelatori rosi dalla ruggine, forme e taglierine corrose dal tempo, bilance dai piatti malfermi. Lui apparentemente molto più vecchio di quello che sarà nella realtà, capelli e baffi grigi, seduto su un deschetto, rifinisce a mano, con una lama ricurva, pezzi di sapone a cubetti multicolori che ammucchia poi in pile che si innalzano in equilibrio instabile. Home made soap factory, recita pomposamente il cartello appeso sulla pietra scrostata, anch'esso tuttavia corroso dal tempo.

Rifinitura delle saponette



Resti della cappella crociata
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Un negozio del suq



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