Tindari - Sicilia - giugno 2004 |
La baia |
Forse è stato perché avevo letto da poco La gita a Tindari di Camilleri e l'attrazione ipnotica di quella prosa accattivante mi aveva attizzato la curiosità, oppure perché nella scorribanda siciliana di quaranta anni prima, le ero passato accanto trascurandola ottenebrato dalle smanie giovanili per le spiagge di Cefalù, ma quado vidi quel nome sul cartello dell'uscita della A20, ne fui attratto morbosamente e l'auto procedette verso quella meta come se già fosse dotata di una specie di guida automatica. Mi fermai ad un piccolo bar nel paese. Una piazzetta vicino al santuario ancora solitaria e dato che era ancora presto mi concessi una brioche con la granita alle more, una delizia che è ingiusto negarsi se sei da quelle parti. Poi mi addentrai nel parco archeologico, ovviamente spettacolare come mi aspettavo. Non c'era praticamente nessuno, era soltanto l'inizio di giugno e la luce chiara del sole del mattino inondava le balze del terreno digradanti in terrazze successive, colorando di oro le pietre, le colonne smozzicate, i gradini corrosi del teatro, affacciato sul promontorio. Che gusto delicato, che intuizione incredibile avevano i greci nel rivestire di pietra queste conche naturali davanti al mare e qui poter godere dello spettacolo del raccontare storie, circondati da un fondale naturale di tale grandezza. Quale mito, quali racconti di tragedie antiche non sarebbero magnificati, impreziositi, resi unici da queste quinte gratuite che nessuno ha dovuto preoccuparsi di erigere. Davanti ad una staccionata, una panchina solitaria, fatta apposta per mettersi a guardare il mare dall'alto, superficie infinita e lontana, nel blu intenso sulla quale non potevi rilevare increspature di sorta ma solo i leggerissimi segni delle ondulazioni successive, quelle che vedi, disegnate dal vento, nei grandi deserti di sabbia.
In basso, sotto la scarpata, le lingue di sabbia bianca contorte e arrotondate che abbracciavano piccole lagune formate dall'acqua. Ma lo spettacolo più straordinario, che emergeva dalla linea dell'orizzonte, grazie ad un'aria tersa e cristallina, di certo non comune, era dato dalle sagome nere delle isole che emergevano dal blu, come schiene di giganti addormentati. Vulcano, Lipari, Salina e quasi indistinguibili più lontane sulla sinistra Filicudi ed Alicudi. Intorno ciuffi colossali di agavi, siepi di fichi d'india, ulivi contorti. Una cartolina da far rimanere senza fiato e farti restare immobile per un tempo indefinito a guardare, facendoti sentire indegno di poter possedere anche solo con lo sguardo tanta bellezza. Nel silenzio assoluto, un frullar d'ali improvviso, una colomba impertinente che usciva in volo, un'ombra grigio azzurra, tra le foglie grigio verdi di un grande ulivo. Intorno profumi intensi, potresti dire inebrianti di Mediterraneo. Credo che questo sia uno dei paesaggi, delle situazioni, degli ambienti più belli che si possa avere opportunità di vedere al mondo e che non bisognerebbe negarsi, avendone l'opportunità. Rimasi a lungo su quella panchina senza trovare volontà di rinunciare a quella vista, in un silenzio totale, era ancora presto per l'incessante frinire estivo delle cicale, deciso a godermi il più possibile quel privilegio assoluto. Me ne andai, a malincuore, solo dopo un'oretta a causa di un appuntamento imperativo che avevo prima di mezzogiorno, scendendo lentamente il viottolo dell'uscita, percorrendo a piedi un lungo muracciolo di pietra a secco da cui debordavano cespi di fiori, che si offrivano alla vista come grazie di languide fanciulle orgogliose della propria bellezza.
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