giovedì 5 novembre 2020

Luoghi del cuore 82: Le tribù dell'Orissa



Bambini Dongria Khond


Donna tigre tribù Kotia Khond
E' un cane che si morde la coda, tutto quello che aiuta e rende più facili alcune cose, alla fine ne distrugge altre. Hai così vantaggio ineguagliabile nel poter fare cose in altri tempi impossibili, mentre contemporaneamente molte di queste sono andate irrimediabilmente perdute. Lo stupendo vantaggio della globalizzazione che ha reso più facile e accessibile il muoversi per il mondo, anche dal punto di vista dell'approccio mentale, fa il paio con l'omologazione che elimina le differenze e quindi l'interesse nello scoprirle e viverle. Quindi se è verissimo che oggi  (virus a parte) puoi organizzarti in proprio, praticamente qualunque viaggio in ogni parte del mondo, anche il più remoto ed apparentemente impossibile da raggiungere, dall'altra gli interessi cosiddetti etnografici, vengono di giorno in giorno limitati se non cancellati completamente. Che volete farci, i jeans sono più comodi che una complessa body art fatta di tatuaggi complessi e particolari vesti ricamate da generazioni di manine impegnate a fare corredi ricchi e colorati. Tenere i capelli lunghi due metri e lavarseli ogni mattina nelle gelide acque del fiume, pettinandoli per un paio d'ore come le donne Yao del Guangxi cinese diventa oneroso se lavori all'ufficio della posta invece di farsi un bel taglio a caschetto e la permanente, magari con mèches bionde e colpi di sole. Insomma il mondo cambia molto rapidamente e, se ti rimangono da ammirare paesaggi, cultura e città, le differenze dei modi di vita di molti popoli va relegandosi sempre di più a gestioni da proloco da esibire nelle feste di paese ad uso soprattutto del turista da parco dei divertimenti. 

Donne Bunda
Questo rappresenta comunque una notevole conquista di benessere materiale per quei popoli, ma una perdita insostituibile per chi gira il mondo per conoscere e vedere questa differenze, che erano invece in larga parte preminenti peril viaggiatore del passato. Dunque bisogna fare di necessità virtù e godersi, se vi piace quelle poche cose che ancora rimangono genuine, accontentandosi anche di quelle che genuine completamente non sono più, pur di vedere ugualmente qualche cosa. L'india è uno di quei paesi che ancora molto conservano sotto questo aspetto, mantenendo ancora diverse centinaia di milioni di popolazione, i cosiddetti Adivasi (quelli che c'erano prima), che vivendo in zone ancora piuttosto isolate o per il fatto che amano conservare tradizioni distintive, possono rappresentare un interesse assolutamente unico e comunque in via di progressiva scomparsa. Vero è che oggi l'India tende giustamente a proteggere il più possibile queste realtà (che per la verità fino a ieri ha tentato di omologare annichilendole il più possibile), limitandone i contatti e bandendo alcune zone agli stranieri. Tuttavia con le opportune cautele, è possibile ancora vedere molto. Lo stato indiano dell'Orissa, probabilmente è quello più ricco di queste diversità. Ricco come pochi di foreste e di aree selvatiche, rappresenta un'area completamente diversa dallo stereotipo dell'India dei maharaja coi suoi palazzi fantasmagorici, ma nella sua parte più interna conserva una natura ricca di colline e montagne ricoperte di boscaglia impenetrabile solcata da corsi d'acqua impetuosi, inframmezzate da piccole realtà rurali, fatte di aratri a chiodo e agricoltura antica, punteggiata di villaggi abitati da etnie dall'aspetto e dalle abitudini molto diverse tra di loro. 

Pescatore Dharuva

Poter girare in piena libertà in questi ambienti selvatici, trovando ogni giorno comunità così inusuali, mi aveva completamente affascinato. Prakhash, un piccolo driver di Bubaneshwar, era di gentilezza straordinaria e guidava con attenzione la vecchia Ambassador, per le strade strette e fangose che zigzagavano tra i boschi e le colline. Si era affezionato alla nostra ragazzina e se la portava in giro tenendola per mano, se la portò addirittura dentro un tempio off limit ai non Hinduisti, facendola passare per sua figlia muta, schiacciati in una folla pregante, una esperienza che lei ricorda ancora. Passavamo di villaggio in villaggio, in cui lui era abbastanza conosciuto, perché veniva sempre accolto e noi con lui, con una certa allegria. Tra i Dongria Kond, una tribù piuttosto fumantina e bellicosa, poco incline a familiarizzare con gli estranei, usò tutte le cautele ma ci consentì di arrivare al centro del villaggio, dove era impiantato il palo dei sacrifici, ora solo animali, ma che qualche decennio fa era usato per tagliare a pezzi il Meriah, esponente unico di una speciale casta, mantenuta per anni dal villaggio a pappa e ciccia, ma che veniva barbaramente ucciso, quando qualche calamità si abbatteva sulla comunità, per ingraziarsi gli dei. Dedicammo quasi un'intera giornata al mercato del mercoledì di Onukudeli, dove convergono una dozzina di tribù diverse dalle colline vicine, tra le quali le donne Bonda dalle pesantissime collane di metallo e le cosiddette donne tigre Ghond, dai visi completamente tatuati. 
Khond

Apprezzammo le straordinarie capigliature piene di fiori dei Malli e le trecce maschili dei Dharuva, pescatori con arco e frecce, sul bordo di un fiumiciattolo dalle acque vorticose, dove qualche anno dopo un gruppo di Naxaliti, una frangia di estremisti piuttosto violenti che si ispirano al Maoismo puro, rapirono a scopo dimostrativo un ragazzo torinese e la sua guida, rilasciandolo dopo qualche giorno e per questo successivamente la zona è diventata off limit per gli stranieri. In questa tribù è ancora di uso comune il matrimonio tra bambini, in realtà una promessa ufficiale che avviene tra i sette e dieci anni, combinata dalle famiglie. Poi i ragazzi tornano nel loro villaggio e l'unione reale avviene solo alla maturità della ragazza. Un ragazzino ci portò a vedere la casa che con l'aiuto del padre stava costruendo per la sua futura sposa. Ne era molto orgoglioso. ci mostrò il muro solido di fango e paglia, ormai essiccato di fianco allo stipite dell'ingresso, dove andava completando la soglia, opportunamente rialzata per evitare che vi entrasse l'acqua e che lisciava con cura. Poi vi avrebbe inciso i segni di buon augurio. Aveva dodici anni Prem e sembrava avere fretta di terminare i lavori che andavano già avanti da un anno almeno. I lavori della sua nuova casa, dove, con una grande festa, entro un anno o due avrebbe condotto, dal villaggio vicino, la sua sposa che aspettava già da quattro anni, quando lei ne aveva sette. - Lei è bellissima - ci assicurò con gli occhi perduti nel cielo e continuò a lisciare con cura il fango ancora umido e morbido della parete appena finita. E poi i Parajas con gli anellini con le pietre colorate al naso e i Deday, dagli abbigliamenti sontuosi anche nella vita quotidiana, quando le donne si radunavano attorno al pozzo con le grandi brocche di ottone, in fondo alla strada del villaggio dove il sentiero si perde nella foresta. Fu in questo viaggio che mi appassionai alla poesia di Tagore che racconta spesso di questi momenti nelle sue Gitanjali, una terra e una gente indimenticabile.

Ero sola al pozzo, dove l'ombra degli alberi cade obliqua. Le donne già erano tornate con le brocche colme fino all'orlo. Indugiavo pigra, perduta nel mio fantasticare. L'ora del mattino è tarda e l'uccello canta note stanche; sopra il mio capo stormiscono le foglie del grande neem e io siedo, sola, a pensare e pensare. (Gitanjali, Tagore)

Al pozzo


Donna Mally
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