domenica 23 agosto 2009

Chaberton!


Adesso basta! Non ce la faccio più; tutto questo va al di sopra delle mie possibilità di resistenza fisica. E teniamo conto anche del fatto che sono convalescente! Il problema è che il gruppo di sodali dai quali sono circondato, sono delle vere e proprie macchine da guerra e hanno trasformato questa vacanza estiva in un vero e proprio tour de force, una gara di resistenza fisica volta alla conquista di tutte le cime (e non solo) che circondano questo sventurato paese. In poco più di un mese oltre 15 mete conquistate a furia di gambe e sfinimenti. Sta di fatto che, a quantità industriali di calorie spese debbono corrispondere altrettante necessità di recupero delle calorie medesime ed a me che non partecipo (quasi) mai alla prima fase, pare brutto astenermi anche dalla seconda; non voglio essere giudicato un asociale, quindi obtorto collo, mi aggrego alle cene che seguono con metodica cadenza le imprese scalatorie. Ieri era in programma una cima impegnativa, lo Chaberton, punto chiave della linea di difesa tra Italia e Francia in tempi passati, oggi testimone di un’epoca che non c’è più, ma tuttavia, meta impegnativa per gambe provate da tante precedenti imprese; diciamo quasi cinque ore per raggiungere la vetta dove consumare i consueti formaggini, tra lo spirare dei venti. Io stesso, che ho mantenuto occupato il tavolino alla Rosa Rossa, per non perdere la prelazione, mi sono sentito affaticato ripassando mentalmente l’itinerario. Certo che poi alla sera bisogna recuperare le energie, quindi tutti a casa degli amici carissimi, che non contenti di essersi sciroppati la giornata di sport, ci hanno preparato un menù a dir poco strepitoso (non è chiaro come abbiano fatto, ma io, sebbene appostato, non ho visto nessun incaricato di catering che se la svignasse dal retro). Il salto del tappo della vedova Clicquot, ci ha reso partecipi di un Kir royale impreziosito da relativa fogliolina di menta ed ha aperto la strada al delirio di hors-d’oeuvres, iniziati con le sottili fette di una coppa stagionatissima, olive taggiasche e cetriolini, seguite da un tourbillon di crostoncini con patè di cinghiale della Maremma, di olive nere, di olive verdi con riccioli di robiola, di crema di pomodori secchi e di bocconcini di salmone, formaggio ed erba cipollina. Per poter fare onore abbiamo dovuto raddoppiare la dose di Kir, prima di attaccare un cestello di radicchio ripieno di mazzancolle in salsa aurora al Remy Martin. Qui è entrato in scena uno Chambave Muscat della Valle d’Aosta di notevole spessore, che ha dato, a me che non lo conoscevo se non di fama, sensazioni difficili da dimenticare. Un bouquet aromatico affascinante che lascia spazio a sensazioni gustative che sembrano essere state appositamente create per unirsi al crostaceo in un abbraccio stravolgente. Ne sono ancora scosso al solo pensiero! Dal forno sono quindi emerse delle deliziose Croques Madame la cui dorata crosticina di formaggio delle valli nascondevano l’insidia di una temperatura al calor bianco, subito lenita dal vino di cui sopra. A questo punto la cena ha potuto aprirsi ufficialmente col piatto denominato: L’alta marea arriva a Fenestrelle, una sontuosa insalata di polpo insaporita da ogni profumo, tra cui spiccava, a ricordo di una gita precedente, il timo serpillo raccolto sulle ripide balze della Fionière. Ma non è certo finita qui; come accompagnato da un rullo di sonorità maghrebine e mediorientali ecco arrivare il Profumo di Libano, il Tabouré, un freschissimo piatto estivo felicità dei vegetariani, dove l’incontro ardito con un Brunello di Montalcino ha aperto la porta di una commistione tra culture diverse. Come nell’antica tradizione piemontese, la Pausa di velluto, una delicatissima passata di porri, ha dato fiato col suo tepore morbido a corpi esausti ma non domi, per prepararli al gran finale. Uno Chaberton gateau, preparato per l’occasione, con incorporata fotografia su ostia non consacrata della montagna ormai vinta, ha trovato posto con l’aiuto di una malvasia passita di alta classe negli stomaci non ancora completi, assieme al più tradizionale e delizioso bounèt piemontese, che ha segnato la chiusura delle danze, bagnato da un sorprendente rum nicaragueño invecchiato Flor de Caña, che per essere compreso, ha dovuto essere assaggiato diverse volte. Oggi ho un leggero mal di testa, per cui ho avuto un pranzo estremamente misurato. D’altra parte devo anche pensare a stasera; ci attende un’ordalia di melanzane alla parmigiana.

4 commenti:

ParkaDude ha detto...

Ti prego Enrico, metti un segnale prima di certi post culinari... qualcosa come una bandierina italiana, un'icona di spaghetti, che so... leggerli e' un piacere ma poi, appena finito, la mia pancia brontola e mi smadonna dietro (poiche', ad esempio, piena di spaghettacci barilla col sugo pronto acquoso).
Cio' detto, mi fa piacere che te la passi bene!

Anonimo ha detto...

Si e' una delizia leggere i tuoi scritti !solo sul piatto vegetariano non ti sei dilungato !!
Aspetto il prossimo ........
Gianna

AdriRips aka Ginevra ha detto...

una delizia leggerti, sì, e anche per chi alla mitica cena che descrivi ha partecipato ... ma nulla eguaglia il piacere di sentirti commentare live i cibi, e non solo quelli, che ci troviamo a condividere in questi giorni!
Un abbraccio dalla calda milano, domani torno di corsa li' (con chiavetta :)

barni ha detto...

Ma chi è venuto a Fenestrelle quest'anno? Gualtiero Marchesi e gentile signora? Mecenate con Lucullo? Che invidia!!!
Ciao
Barni

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