lunedì 31 gennaio 2011

Il tao della neve.

E' nevicato di nuovo. Ormai sta cominciando a diventare un'abitudine. Un ritorno al passato, una ripresa dei normali cicli stagionali, almeno quelli a cui ero abituato quando ero bambino, in cui gli inverni caldi e senza neve, quelli sì che erano l'eccezione. Questa regressione ai ritmi naturali ti porta alla ripresa di abitudini che sono in palese contrasto con il movimento e la velocità efficiente a cui l'ultimo secolo ci ha abituati spacciandolo come il meglio per l'uomo. Alle nostre latitudini questa dovrebbe essere la stagione dell'ottundimento dei sensi, della predisposizione al letargo, il momento in cui anche il lavoro, così osannato ed innalzato sull'altare degli obblighi benefici, deve forzosamente rallentare, le attività si riducono al minimo vitale e l'uomo si ritira nella sua caverna in attesa dei tepori primaverili; al massimo crea, pensa, si dedica all'arte e al bello, riscaldando al meglio il suo corpo o cercando qualcuno che glielo riscaldi nel frattempo. Come è dolce è piacevole il rallentamento dell'attività delle sinapsi, lo sprofondare, ma con lentezza, nel pozzo dell'ozio privo di bisogni, protetto dal proprio nido, mentre fuori il bianco cancella colori e pulsioni, frena, calma, rallenta il battito.

Così il Buddha meditava all'alba. Sopra di lui una grande roccia lo riparava da tutto quanto potesse scendere dal cielo. La sua sensorialità era completamente distaccata da quanto lo circondava. Certo poteva sentire, attraverso gli occhi ridotti a fessure sottili poteva vedere, mentre la sua pelle nuda era esposta alle variazioni della temperatura ed alla carezza del vento. Ma tutto questo non arrivava quasi neppure alla sua mente che galleggiava lontana dal mondo della sensorialità. Solo le labbra erano piegate in un leggero sorriso di consapevolezza. L'alba appena sorta prometteva una lunga giornata. Davanti a lui un discepolo, ancora molto indietro nel cammino della conoscenza, volgeva lo sguardo inquieto qua e là, come per cercare aiuto, consiglio, approvazione. Non riusciva a trovare la corretta immobilità che lo aiutasse nella concentrazione meditativa, anzi tutto quella assenza di stimoli sensoriali, lo disturbavano non poco provocandogli una continua distrazione.

Così il tempo, concetto astratto privo di rilevanza, condizionava continuamente il suo debole pensiero. Dunque si rivolse al Buddha per cercare di carpire il segreto della sua imperturbabilità. - Maestro, - gli disse senza sapere se lui lo avrebbe ascoltato o se, addirittura, avvertisse la sua presenza materiale - ti prego dimmi, cosa intendi fare oggi, per tutto il resto di questa fredda giornata?- Per un poco il Buddha sembrò non avere inteso la domanda, la sua figura rimaneva immobile, la schiena diritta, il capo leggermente reclinato in avanti, le spalle morbide e prive di tensione, la muscolatura distesa. Poi, dopo un tempo indistinto, rivolse lo sguardo verso il discepolo impaziente e gli rispose: - Respirare. -


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domenica 30 gennaio 2011

Mediterraneo in fiamme.

Presi dai problemini nostrani, sotto montagne di fetida monnezza, tra case e nipotine, sentiamo solo di sfuggita le grosse grane che stanno capitando ai vari zii che invece ci sono molto, molto vicini. Ragazzi, il Mediterraneo al completo è in fermento come non lo è stato da decenni, mai in maniera così corale ed epidemica. Stiamo sottovalutando un fenomeno che potrebbe produrre effetti assolutamente dirompenti in qualunque direzione si evolva, cosa ancora imprevedibile. I media nostrani, diciamocela tutta, non hanno tempo, spazio e voglia di raccontarci queste cose, sono presi da altro; intanto, praticamente ai nostri confini milioni di persone sono in strada, a far sentire che esistono e che non accettano quello che li circonda, qualcuno anche a morire. Il virus si è esteso, dalla Tunisia all'Algeria, di cui non si parla, ma dove si muore, al Marocco dove brontola sotterraneo, è passato quindi virulento in Egitto e poi nello Yemen. In Giordania c'è gente per le strade, nei Territori Hamas e ANP si scannano, così come a Beirut, per non parlare dell'Albania.

Tutti accomunati dalle stesse problematiche. Paesi dove sotto una finta democrazia di facciata, regimi semi totalitari, hanno avuto una pax imposta per legge a soffocare ogni dissenso, che ora complice la crisi economica è rapidamente arrivata ad un punto di rottura. E' sempre stato così, quando la corda è troppo tesa, prima o poi si strappa e qui lo strappo è una vera e propria deflagrazione. Qui vediamo solo qualche spezzone qua e là, preso tra quelli che fanno più spettacolo, violenze, morti e saccheggi. Dove non ci sono le nostre beghe da pollaio, i fatti sono coperti in modo più serio. Da Al Jazeera e da altre televisioni che coprono i fatti, i servizi mostrano una situazione di proteste più o meno pacifiche con gente comune che soltanto non ne può più di governanti ladri e corrotti, con frange violente molto circoscritte. Ancora una volta il vero flusso sanguigno di questo movimento è la rete, di cui nessuno riesce davvero a fermare la penetrazione capillare e a cui non si può più nascondere nulla. Un mezzo che terrorizza dittatori e camarille locali che cercano in tutti i modi di bloccare il vero e unico spazio di libertà che il mondo abbia creato. Può far risere ma può far meditare (vedi foto, vista da Cristiana) e allora sì che è pericolosa davvero.

Gli osservatori competenti dicono che per ora il fanatismo religioso non è presente in maniera attiva, però io non mi farei illusioni, povertà e repressione sono l'humus ideale per questo tipo di estremismo e guardando i video, cominciano a comparire le barbe che arringano alla folla. Il nostro mondo ha coccolato e sostenuto i regimi locali ritenendoli buoni per contenere questo problema, fregandosene se erano composti da ladri e grassatori corrotti, troppa fatica tentare di accompagnare questi paesi verso un futuro realmente democratico. Il totale fallimento dell'operazione Saddam ne è stato l'esempio più lampante. Però niente è gratis e la storia presenta il conto prima o poi. Le rivoluzioni anche se non generano nuovi regimi (magari teocratici come in Iran) hanno inevitabilmente un periodo più o meno lungo di semianarchia, in cui le persone (in questo caso decine di milioni) disperate cercano di andarsene e di raggiungere qualche paese vicino, più tranquillo e più ricco. Sbarrare loro la strada con le tonnellate di rifiuti potrebbe essere l'unica opzione praticabile che ci rimane.




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sabato 29 gennaio 2011

Qiè, fēi.

Fare la concubina è stato sempre un mestieraccio da tutte le parti, figuriamoci in Cina, dove quel rompiscatole di Confucio voleva che tutto fosse rigidamente regolamentato e soprattutto controllato, per le tasse, mica per altro). D'accordo l'imperatore doveva rappresentare anche quello che per ogni persona doveva essere il sogno del massimo raggiungibile, quindi l'harem era il minimo a cui avesse diritto, ma non pensiamo che fossero tutte rose e fiori. Regolamento è regolamento e la morale è la morale. Che puntigliosamente predisponeva che avesse una regina, tre consorti principali, 9 di secondo rango, 27 di terzo e 81 concubine ufficiali. Inoltre i ranghi inferiori dovevano unirsi al re più frequentemente dei superiori e la regina aveva diritto ad un rapporto al mese. E non è che uno poi faceva come gli pareva, troppo comodo. Attenzione c'erano 30 dame di corte incaricate di accompagnare le aventi diritto nel letto nuziale, dove rimanevano per assistere alla consumazione prendendo diligentemente nota con inchiostro rosso (da cui "scrittura rossa" per letteratura erotica) dello svolgimento dei fatti e dei relativi risultati, trascrivendoli poi negli atti ufficiali del regno dove tutt'oggi sono visibili.


Non ci sono le foto solo perchè non avevano telefonini, ma altro che trascrizione di intercettazioni, qui siamo di fronte ad informazioni testimoniali dirette ed inoppugnabili, uno sputtanamento mediatico senza se e senza ma, soprattutto se si considerano le cilecche. Naturalmente le concubine, essendo quindi ammesse con maggiore frequenza nel talamo imperiale, si davano un sacco da fare per ottenere prebende su cui il re largheggiava, perle, anelli e gioiellame vario, oppure per avere incarichi di importanza, ma qui non c'erano santi, la Cina è sempre stata meritocratica e non c'era verso che una concubina potesse avere un posto nella amministrazione imperiale. Nel letto va bene, ma finiva lì. E' molto interessante allora, esaminare i caratteri dal significato di concubina. Due erano principalmente usati. Come vedete in entrambi ovviamente era presente il ben noto segno che significa donna (sotto in qiè e a sinistra in fēi), l'altro segno invece descrive come sempre un aspetto particolare delle concubine di quei tempi. Nel primo caso il segno superiore significa "stare diritto" (la stilizzazione di una persona ben in piedi sulla linea del terreno) per dimostrare l'orgoglio con cui queste signore valutavano la loro importanza nella considerazione e nelle decisioni dell'imperatore, su cui esercitavano comunque un potere che potremmo definire ricattatorio, mentre nel secondo carattere la donna è abbinata al segno di "fili della trama" in quanto questo tipo di donna, nell'attesa di accedere al talamo, non fa altro che tessere trame e non si allude al telaio in questo caso. In ogni caso donne travagliate e tristi che non avevano diritto, come le mogli principali, di rimanere tutta la notte accanto all'imperatore, ma che, per così dire a missione compiuta, venivano accompagnate alle loro residenze dai membri della scorta, condannate a nutrire un sordo risentimento per questa ingiustizia. A tal proposito vi lascio con una poesia del già citato libro delle Odi, Le Stelline (altra parola usata per indicare le concubine).

Siamo solo tremolanti stelline.
Timide, camminiamo nel buio
mentre la notte regna nel palazzo.
Povere donne dal destino ineguale.




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venerdì 28 gennaio 2011

Mango maturo.



Sotto la scorza,
hai profumi lontani.
Senza saperlo.




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giovedì 27 gennaio 2011

Caffelatte.

Accidenti se ci siamo abituati bene. Voglio fare una pubblica confessione, poi se mi giudicate colpevole mi dimetterò. L'altro giorno sono andato a comprare la frutta dove andiamo di solito, una specie di supermercato specializzato che a poco a poco sta uccidento tutti i piccoli fruttaroli di un tempo grazie ad una scelta grande ed a prezzi per tutte le tasche. Ce l'ho in simpatia anche perchè non offre niente di "naturale" o "sedicente "biologico". Ma non è qui che voglio andare a parare. Bombardato dal flusso mediatico del chilometro zero, ho girato qua e là per ispirarmi tra montagne di arance e clementine, interi cassoni (si chiamano "bins" per i tecnologicamente informati) di mele di quattro diverse varietà, kiwi e altre frutti di stagione in quantità all'apparenza illimitata, per non parlar delle verdure ed ho riscontrato con orrore che papaie e manghi erano finiti.

Mi sono davvero irritato perchè, vi dirò la verità, ci ero quasi andato apposta e mi pregustavo questa sera di affettarmi di gusto quelle belle e carnose fette di mango maturo profumatissimo (lì hanno quello meraviglioso, il brasiliano coraçaõ de boy, una vera delizia) e di affondarmi il cucchiaino nella mezza papaya (laggiù la chiamano mamaõ, che nome sensuale! lo credo che le brasiliane sono così gettonate) mondata dei suoi semini neri, dopo averne riempito la cavità rimasta con una cremina ottenuta frullandone l'altra metà con rum e lime con qualche scaglia di cioccolata amara sopra. Sì, sì, me ne son tornato a casa davvero irritato. Adesso son qua che sto riordinando le vecchie foto di quando ero bambino, in fondo sono passati solo cinquanta anni, forse è per questo che molti ricordi rimangono così vividi.


C'è sempre tenerezza a ricordare il passato. Eravamo lì alla sera, attorno al grande tavolo della cucina, ascoltavamo la radio aspettando mio papà ferroviere che tornava a casa avendo finito il turno pomeridiano. Doveva allargare bene la porta per fare entrare la bicicletta, che stava in casa davanti alla macchina da cucire, ben protetta dai furti. Eppure allora non c'erano né zingari, né extracomunitari, però di biciclette gliene avevano già rubata una e ci stava attento, essendo l'unico mezzo di locomozione familiare. Così cominciava la cena. La mia mamma toglieva il bricco dalla stufa che mi stava dietro e serviva a me e a mio papà il caffelatte in una grande tazza dal bordo marrone. Mi girava anche lo zucchero: "űn cűgiar sul che se no 't ven la diabete". Da un pacchetto grande mi tirava fuori tre Biscotti della salute, che qui chiamavano i cruciòn, che tuffavo nel tazzone fino ad imbibirli al punto che una parte si staccava e cadeva rovinosamente nel latte stesso schizzando intorno.


Ma non venivo mai rimproverato per questo. Avevano un gusto confortevole, forse al fondo un leggero sentore di anice che non so meglio definire, ma che ho ben chiaro nel ricordo. Il bordo più consistente che si frangeva in bocca, la spessa polpa porosa imbevuta che sembrava saziare. La cena finiva lì, eppure ero già un bimbo, diciamo così grassoccio. I nutrienti necessari non sono poi molti. Non ho più sentito quel profumo, è vero che ci manca sempre qualcosa. Ieri mi sono consolato con un pomello, un delizioso agrume thailandese con enormi spicchi carnosi, che ti riempiono la bocca di fantastico mix dolceamaro di pompelmo e di terre lontane. Si fa una gran fatica a sbucciarlo però, accidenti a lui. E comunque tutto questo non prova nulla, non accanitevi contro di me che tanto non mi dimetto.



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Soldatini a cavallo.
Giallo oro.






mercoledì 26 gennaio 2011

Recensione: Nunziante - Che bella giornata.

Confesso di avere un debole per il buon Checco fin dalle sue prime apparizioni a Zelig, per la sua svagata e apparentemente ingenua nonchallance con cui butta lì come non parere battute fintamente svagate, ragionamenti e nonsense appena politically uncorrect e continue trovate fresche e divertenti. Davvero niente a che vedere con la sguaiatezza a cui ci vorrebbero ormai abituati i tanti cinepanettoni tette e culi, che pure il loro seguito lo hanno. Un po' di risate gustose seguendo l'iter del nostro Checco addetto alla security nella Brianza che tramite una serie di raccomandazioni molto all'italiana porta la sua incapacità ed inadeguatezza totale, ma sempre sicura e convincente ad entrare nella guardia del corpo del Papa, con effetti comici continui e piacevoli. Anche il rapporto, come dice lui, con il Mussulmanesimo è trattato con inconsueta levità. Una dimostrazione che si può divertire anche senza scollacciature e linguaggio da trivio.

Una cosa un po' controcorrente sembrerebbe, ma gli spettatori gli hanno dato ragione. Dunque l'esplosione e la scoperta di una nuova e dirompente forma di comicità? Un futuro filone che conquisterà il mondo? Eh accidenti, non esageriamo e manteniamo la cosa entro il suo valore reale. Ho letto l'altro giorno un articolo a riguardo sulla Stampa che santificava film e interpreti pronosticando in pratica futuri successi mondiali e calata di un nuovo verbo comico della cifra cinematografica. Davvero, caliamo le ali e manteniamo la cosa entro i termini del buon senso e di una corretta dimensione. Un filmotto divertente da lodare per la sua levità e piacevolezza, un esercizio di stile apprezzabilissimo di cui speriamo ci siano seguiti e poi direi, finita lì. I capolavori sono un'altra cosa.




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martedì 25 gennaio 2011

Il ronin e lo zen della morte.


L'inverno era cominciato da poco, ma già tutta la prefettura di Edo era coperta di neve. Nei giardini deserti i rami dei ciliegi trattenevano qua e là piccoli ciuffi di fiocchi bianchi come se la primavera fosse già arrivata ed i fiori delicati tremolassero alla brezza nel timore che il gelo li uccidesse. Itto Katamatsu aveva appena finito il suo lungo allenamento quotidiano. Depose la katana sul suo sostegno di legno nero con un leggero inchino, poi rimase ancora un poco a pensare nella stanza nuda. Il tarlo ricorrente gli disturbava il pensiero impedendogli una serena meditazione. Aveva dedicato la sua vita alla via della spada ed era di certo abile nell'arte dello iai, attraverso la quale sapeva estrarre la lama in maniera fulminea per colpire il suo avversario ancor prima che cominciasse l'attacco ed altrettanto nel ken-jitsu dove la sua abilità nello schivare fendenti era nota e la velocità dei suoi attacchi temuta da chi aveva avuto occasione di subirli.


Adesso che il periodo delle guerre era passato e le grandi battaglie dove aveva difeso l'onore del suo Daimyo erano un lontano ricordo, era rimasto un ronin, un samurai senza padrone che viveva in una povertà dignitosa, solo con i suo ricordi. Rimaneva sempre però il suo tormento rispetto alla via della spada. Certamente era abile, ma poteva definirsi un maestro? Da anni questo dubbio lo divorava e nessun allenamento condotto fino all'esaurimento, nessuna conferma del fatto di non essere mai stato ferito nei molti duelli sostenuti, gli potevano dare la ricercata certezza. La mattina all'alba, si alzò con decisione e vestita l'hakama pesante ed i suoi vestiti migliori anche se ormai resi logori dal tempo, e si incamminò lungo il sentiero verso la montagna dopo aver infilato nell'obi prima il wakizashi e quindi la katana. Era una lama stupenda quella che un grande maestro di forgia aveva creato in giorni e giorni per suo nonno, il primo samurai tra i Katamatsu. Conteneva l'anima della famiglia e non poteva fare a meno di sentire un brivido leggero, quando, nell'allenamento la estraeva dal fodero laccato nero e ne accarezzava con un piccolo movimento del pollice la tsuba sbalzata nelle forme di un drago dalla coda intrecciata, quando la lama fendeva gelida l'aria nei suburi veloci o quando provava a lungo le sequenze di yokomen.


Ma questa era davvero la maestria? I geta di legno sotto i suoi piedi ben protetti da pesanti calze di lana grezza, crocchiavano nel sottile manto di neve e i mulinelli di fiocchi gli sfioravano il viso con dolcezza quando giunse al di là di un'altura, alla capanna del Grande Maestro. Anche se sapeva che il vecchio non riceveva più nessuno da anni, era deciso a farsi ricevere, lui solo poteva giudicarlo. Aveva reciso con un colpo netto i crisantemi del vaso di fronte al cortile, un colpo di spada perfetto, senza sbavature, difficilissimo e li diede all'inserviente che stava sulla porta. L'anziano maestro avrebbe di certo capito. Poco dopo la porta scorrevole si aprì e la serva lo fece entrare. Tolse le spade dall'obi e le passò alla mano destra in segno di rispetto. Il vecchio era di spalle seduto in seiza e stava preparando il thé. Gli fece cenno di sedersi mentre versava lentamente il liquido bollente nelle piccole tazze davanti a lui. Itto aggiustò l'hakama con un colpo secco e si sedette a gambe incrociate con un leggero inchino. Bevettero il thè, poi il maestro alzò gli occhi su Itto e disse: -Ho visto il taglio, magnifico colpo, cosa vuoi da me?- - O'Sensei, tu sei il più grande e voglio diventare tuo allievo fino a quando io possa essere chiamato maestro. -


- Mostrami come maneggi la spada.- Così dicendo si alzò mostrando una agilità insospettabile e prese due bokken, porgendone uno a Itto, che lo afferrò al volo. Cominciò a mulinare fendenti che il vecchio parava o evitava. Andarono avanti per parecchi minuti. Poi il maestro lo fermò con un cenno e gli indicò i cuscini di seta. Si sedettero. -Non capisco - disse il vecchio - tu dici di non essere maestro eppure vedo nei tuoi movimenti e sento in te i segni della maestria. Raccontami dunque cosa c'è in te che ti rende così?- - Non lo so, Sensei, l'unica cosa che posso dire e che forse mi ha guidato in battaglia, è che non ho mai avuto paura della morte, così combattevo certo che quel giorno anche se fosse stato per me l'ultimo, era un giorno come gli altri. - Il maestro rimase un attimo a meditare, poi versò ancora due tazze di thé, ne ruotò una di 180 gradi e la porse a Itto, quindi alzò la sua bevendo lentamente. - Non posso insegnarti più niente allora, questo da solo, fa di te un Maestro.- Posò la tazza blu con piccole macchie bianche traslucide sul basso tavolinetto di bambù con un lieve cenno della testa. La bocca si piegò in un leggero sorriso. I fiocchi di neve avevano ormai smesso di scendere. Nel giardino di rocce, la grande pietra centrale era tutta bianca, come avvolta in un prezioso kimono candido e senza ricami.




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lunedì 24 gennaio 2011

Il Milione 36: Templi e spezie.


Gelo e brina ci avvolgono. Voglia assoluta di sud, anche quando questo possa voler dire calore insopportabile. Eccoci quindi rientrati nella carovana di Marco Polo, ormai plenipotenziario del Khan che viaggia nell'impero descrivendone gli angoli più lontani. Ha lasciato il Tibet e si muove ormai sempre più a sud seguendo i grandi fiumi che vogliono invadere la misteriosa jungla indocinese.

Cap. 120-123

E quando l'uomo si parte da questa provincia discende per una grande china per bene due giornate e mezzo. Poscia va per 15 giornate per un luogo disabitato e sozzo ov'à molte selve e boschi con leofanti e unicorni e altre diverse bestie assai...

Certo il nostro Marco sarà rimasto impressionato dalle jungle impenetrabili che allora ricoprivano completamente i territori indocinesi, una terra selvatica, pericolosa, tra tigri, elefanti e rinoceronti, dove forse era difficile e pericoloso muoversi ma che dovevano rappresentare per un veneziano curioso del mondo una attrazione irresistibile. Teniamo conto che il suo passaggio da questa parti corrispondeva ad uno dei periodi di massimo splendore della cultura Khmer, tuttavia probabilmente alla vista assai più rozza, forse, delle raffinatissima corte del Gran Khan. Si sarà mosso attonito e stupito attorno agli stupa di Angkor wat o sarà rimasto senza fiato dinnanzi ai grandi visi di pietra del Bayon, come me che per cinque giorni mi sono aggirato tra queste straordinarie rovine, dove la jungla impietosa, come allora combatte una battaglia quotidiana con l'opera dell'uomo cercando di avvolgere e assimilarne la presenza per annullarla completamente, per annichilirla infine nel suo abbraccio mortale.


Cap. 120-123

Caugigiu (forse la Cambogia) è una provincia del levante tra Aniu (Vietnam), Mien (Birmania ) e Bangala. Sono idoli e ànno lingua loro. E quivo ànno torri di pietre ch'elle sono alte e bene dieci passi e grosse come si conviene a quell'altezza. E quivi si trova molto oro e care spezie.

Niente da fare, il mercante alla fine prevale sull'attonito viaggiatore e lo riporta sulla terra, però possiamo immaginarcelo a fantasticare sui molti affari che si potevano imbastire da quelle parti. Sicuramente ci sarà già stato un gran movimento, che allora era composto prevalentemente di pellegrini, ma lì c'era già una grande città piena di posti di ristoro, come quelli che adesso nutrono i turisti che arrivano a frotte, gustandosi magari una cua nâu bôt bâng, la zuppa cambogiana di tapioca e granchio (per la ricetta vi rimando come al solito da Acquaviva). Io masticavo le mordide palline di farina di manioca pensando alla forza che, dopo 800 anni, emerge da quei visi di pietra che ti sorridono immobili e sereni, lui forse almanaccando le differenze di prezzo del pepe nero, franco porto di Venezia, naturalmente.










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domenica 23 gennaio 2011

Sole ghiacciato.

Certo, finalmente da un paio di giorni è uscito il sole, ma è un sole velenoso, condito con un aria gelida e graffiante, un momento di tregua malata prima che il cielo si ricopra e si oscuri, prodromo della notte livida che potrebbe non finire mai, un inferno ghiacciato postnucleare che surgela (non spegne, né uccide certamente) anche i livori e gli odi degli uomini che gli sopravviveranno, in attesa di dar loro nuovo vigore. Unghie gelate che fremono sul tuo viso mediterraneo prima di lasciare i rossi segni sofferenti, propri degli ambienti ostili e che ti annullano la voglia di uscire e ti spingono solo a cercare un riparo caldo sotto coperte pesanti e morbide come un grembo accogliente. Dalla finestra nel chiarore innaturale, quasi fastidioso per gli occhi cisposi di una nottata difficile, si vedono solo fumi verdastri che anneriscono l'orizzonte di polveri velenose. Mi par di essere a Ufa, nel pallido sole invernale degli Urali avvolto dai vapori senza odore del fenolo che ammorbava l'aria velenosa e che avvertivi solo quando i rossori sulla pelle non manifestavano pudore ma soltanto prurito. Voglio lasciarvi dunque con il solito Haiku meditativo, che mi sembra appropriato alla situazione.

Vento gelato.
La foglia ormai caduta
non ha più freddo.

Non vorrei sembravi esageratamente crepuscolare e gotico e non è che non me ne vada mai bene una, ma sono un metereopata e come se non bastasse, ieri, nel dare aria alla camera da letto, mi sono dimenticato le finestre aperte fino al momento in cui sono andato a dormire verso mezzanotte, quando la temperatura ambiente, a termosifoni ormai spenti, era ormai scesa sotto lo zero. Notte di tregenda, vado a farmi una doccia bollente per rasserenarmi. A domani.



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sabato 22 gennaio 2011

Recensioni: Johar - Il mio nome è Khan.

Con questo lavoro il regista Karan Johar dimostra che la cinematografia indiana può affrontare efficacemente temi contemporanei e difficili che, anche se apparentemente trattati con ingenuità o con un apparentemente esagerato tono melodrammatico, sanno prendere anche gli spettatori scafati e pretenziosi. Io me lo sono visto nella versione completa di oltre tre ore, che alla fine non pesano e mi è sembrato un buon film. Certo ci sono tutti gli ingredienti facili per una platea di bocca buona. Come si sa è facile far piangere con bambini che muoiono, amori impossibili che si realizzano, handicap che consentono attraverso la volontà di arrivare comunque. La critica lo ha demolito rifacendosi al fatto che essendo stato costruito con tutti gli ingredienti per piacere ad una platea mondiale, il risultato, benché perfetto tecnicamente, sia piaciuto poco agli indiani per la scarsità di ingredienti bolliwoodiani e abbia lasciato freddo il disincantato occidente con un mix retrò troppo semplice e sorpassato da decenni. Potremmo anche dire un film buonista, ma come sapete già, io, questo lo ascrivo alla colonna dei meriti.


Un film apparentemente facile quindi, che riprende il filone alla Forrest Gump, anche se con qualche fresca strizzata d'occhio all'ammiccamento bolliwoodiano e molto bravo Shah Rukh Khan, famosissimo attore del subcontinente, che interpreta in modo magistrale l'autistico Rizvan (comunque non deve essere difficile interpretare questa sindrome, perchè tutti quelli che ci provano lo fanno in modo convincente da Hoffman a Marcoré). Ripeto un buon film di cui vi allego il trailer e che vi esorto a vedere. Tutto il finale ruota sulle aspettative e le speranze che hanno accompagnato l'elezione di Obama. Ma quel tempo è già passato, infatti negli Stati Uniti (ma anche in Italia) il film è stato un flop completo avendo incassato in tutto solo 4 milioni di dollari, ma pare che ormai gli americani siano oltre il presidente abbronzato, pochissimo inclini a parlare di tolleranza e, ben influenzato dai prossimi governanti, qualcuno ricominci a sparare sui loro politici. Il messaggio del film è lontanissimo dal loro sentire del momento e forse, purtroppo, anche dal nostro.




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venerdì 21 gennaio 2011

Un imperatore cinese.


Oggi ho la vena storica, d'altra parte, come si dice Historia magistra vitae, dunque un'occhiata al passato serve sempre ad illuminare le menti ed è utile ad allontanare il chiacchiericcio dai soliti argomenti che a lungo andare vengono a noia. Torniamo quindi in Cina, una Cina molto lontana nei tempi, dei cui sovrani rimangono solo racconti e leggende che probabilmente sono lontani dalla verità storica, ma si sa che le cose col passare dei secoli vengono sempre ingrandite, nel bene e nel male fino a descrivere fatti talmente esagerati da sembrare incredibili. Eccoci quindi al regno dell'Imperatore She Hsin, un personaggio quasi mitico, ricordato soprattutto per la sua ricchezza e munificenza ed alla descrizione delle sue favolose feste. In particolare si ricordano quelle dette del Grande Inverno, in cui si cantava la Morte del sole e che corrispondeva più o meno con il solstizio d'inverno. Come sapete i tempi in Cina, civiltà essenzialmente contadina, sono sempre state scandite dai tempi del cielo.


Dunque in questa occasione, l'imperatore, ogni anno organizzava in uno dei suoi sontuosi palazzi, feste rimaste famose per l'esagerata esposizione di ricchezza. Queste cerimonie si svolgevano alla fioca luce delle fiaccole e gli eccessi di cui si favoleggiava, preoccupavano i saggi e gli anziani del regno che non vedevano di buon occhio questi atteggiamenti del sovrano, convinti che tutto andasse a detrimento del buon governo del regno, che tra l'altro in quel periodo attraversava una fase di gravi carestie. Ma queste feste erano ormai una scadenza inderogabile e diventavano sempre più sontuose. Vi erano invitati tutti i più fedeli servitori dell'imperatore, che brigavano in tutti i modi per potervi prendere parte e si dice che venissero innalzate montagne di cibo in cui si scavavano stagni ricolmi di vino e di ogni altre rare e preziose prelibatezze.


Tutti i partecipanti dovevano bere a sazietà mentre le concubine dovevano lappare il vino dallo stagno come bestie all'abbevaratoio, tra i lazzi del partecipanti, per poi lanciarsi in danze sfrenate e nella rappresentazione di scene di antiche commedie licenziose. Poi si scatenava l'orgia, in cui l'imperatore arrivava, a detta dei suoi detrattori, a superare ogni limite umano e bestiale. La festa culminava col sacrificio dell'Imperatrice le cui carni arrostite venivano divorate dagli invitati come segno della munificenza del sovrano. L'imperatore si diceva immortale, ma come tutti i Reich millenari, il suo regno durò circa una ventina di anni. Il sacrificio di una moglie all'anno, infine non rappresentava una grossa perdita, si dice infatti che avesse 932 concubine che, pare, soddisfacesse con regolarità. Ma queste sono cose così fantasiose che pare difficile avessero un reale riscontro e si sa che questa storia esagerata e manifestamente incredibile, la scrissero i nemici del re per perseguitarne la memoria.




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giovedì 20 gennaio 2011

Cronache di Surakhis 37: L'assedio.

Eravamo ormai all'ultimo atto. Nell'inverno livido di Surakhis, le bufere impietose spazzavano il pianeta con furia devastante. L'imperatore si era rinchiuso nella Rocca per attendere l'ultimo assalto della canea degli oppositori. Lassù si sentiva ragionevolmente sicuro e ben difeso, avendo disposto sulle mura imprendibili del castello schiere ben armate di Ad Vocats, scelti tra i migliori della galassia che continuamente costruivano nuove difese, scudi fotonici e impedimenta di vari gradi, man mano che gli assalitori, divisi in gruppi scomposti, sgretolavano le vecchie. In una torre lontana avevano imprigionati i più riottosi Judicantes che ora attendevano la giusta punizione. Forse la soluzione migliore era quella di darli in pasto alle processioni degli Adorantes che riempivano le ecclesie del partito unico in continue novene di salvazione in nome dell'Imperatore straziato dalle persecuzioni. Il Martirologio imperiale comprendeva ormai centinaia di preci dedicate. Non aspettavano altro per sfogare su qualcuno la loro rabbia.

All'interno della Rocca intanto si svolgevano con il consueto ritmo le Sacre Orge per mantenere di buon umore la Satrapia anche in quei difficili momenti. Come sempre il Fedelissimo Visir e i più accreditati Lenones avevano convocato il meglio delle sacerdotesse galattiche, con le più diverse specializzazioni, tutte di una bellezza morale straordinaria e capaci di allietare e risollevare qualunque depressione. Dalle più abili Multilinguate dell'universo conosciuto, fino alle adepte della sorellanza delle Risucchianti, capaci, si diceva di formarsi a comando nuovi orifizi in ogni parte del corpo, tutte circondavano il letto dove l'imperatore giaceva immobile. Le sue carni stavano imputridendo da tempo, ma i frequentatori della rocca si erano fatti asportare i nasi e non erano infastiditi dalla puzza tremenda che ammorbava il salone delle feste. L'unico organo attivo stava lì, come un orgoglioso misirizzi esposto in tutta la sua gloria.

Gli era appena stato trapiantato ed era in perfetta efficienza, senza contare che questa volta avevano scelto un Megalopenico di Antares III per la donazione e il risultato lasciava senza fiato anche le sacerdotesse più esperte. Tutte facevano a gara per esercitare la loro specialità sulla mostruosa estroflessione, intanto, mentre gli aghi psichici stimolavano i centri del piacere senza sosta e un sorriso soddisfatto era come dipinto sul suo volto, quelle che avaveno finito di operare, cercavano di nascondere nelle borse capaci qualche piatto d'oro o una preziosa stoviglia di pietra di Baum. Nessuna sapeva se ci sarebbe stata un'altra occasione; intanto l'imperatore era completamente avulso da quanto lo circondava, concentrato solo sulle immagini che gli arrivavano direttamente al cervello della bellissima Sapphire, una extra galattica arrivata con una astroscialuppa dalla Magellanica Minore che ballava nuda ritmando con movimento ipnotico le dodici enormi mammelle. La cascata di riccioli biondi che gli incorniciavano il nobile viso si scosse appena mentre una morbidissima Tentacolata di Rigel terminava la posizione della Scimmia Urlante Abbracciata all'Albero e subito l'imperial vulcano esplose spruzzando per alcuni minuti le baccanti che danzavano sfrenate attorno alla barella, cercando qualcosa da rubare.

Era il clou della serata che tutte aspettavano e di cui si favoleggiava tra gli Adorantes. A questo scopo, nell'ultimo trapianto i dirigenti della banca degli organi avevano provveduto ad innestare una vaschetta accessoria da 5 litri con schizzatore automatico per rendere il tutto più realistico. Ad ogni modo le sacerdotesse aspettavano solo questo per sciamare festose dal Pagator che preparava le sacche zeppe di crediti. Una Tentacoloide di Capella aveva registrato tutto con una telecamerina innestata in un oculo frontale, avrebbe sempre potuto servire un domani. Oltre le mura la battaglia infuriava disordinatamente. A tratti tutti tentavano di squarciare il muro principale con i laser, un attimo dopo, con il cervello devastato dalle sonde mentali che li informava della variazione dei loro conti sulle galassie esterne, straziavano i vicini a colpi di lancia.

Sharp che aveva lanciato il primo assalto, faticava a tenere unite le sue schiere che, man mano giungevano notizie contrastanti, passavano dall'altra parte dello spalto e sparavano sugli alleati di poco prima. Alcuni stavano a metà, incerti sul da farsi, in attesa di come si metteva la battaglia, venendo straziati da entrambe le parti. Gli schiavi non partecipavano all'assalto, erano rimasti intrappolati nella miniera di Paularius, dove i Morigeratores li avevano trattenuti per decidere se i loro organi dovessero essere espiantati prima del decesso o direttamente durante le ore lavorative. Lontano, dal fondo della valle, arrivavano forti e chiare le giaculatorie ritmate degli Adorantes: "Pau-per - im-pe-ra-tor! Pau - per -Im-pe-ra-tor!". Nell'ombra, le Gilde rimanevano silenziose, la presa definitiva del potere, adesso era davvero più vicina.



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mercoledì 19 gennaio 2011

Etologia della danza.

Oggi bisogna alleggerire un po', se no l'aria diventa troppo pesante; già la nebbia è implacabile e non smette di avvolgere la città come l'Alessandria dei tempi migliori. Comunque una delle dimostrazioni, se mai ce ne fosse ancora bisogno, del fatto che l'uomo e la donna sono due specie diverse è data dal ballo. Questa strana attività, che comunque accompagna le nostre due individualità fin dai primordi, nasce come tante, arte, attitudine alla filosofia ecc, per appagare qualche bisogno nascosto che trova sfogo nell'applicarsi a cose apparentemente inutili alla vita ed alla sopravvivenza, ma che evidentemente danno una qualche utilità accessoria che, con la soddisfazione che concede, rende l'attività stessa congrua e giustificata. Come ho già detto, la sottospecie maschio, alla fine un qualche utile di fondo lo ha di solito trovato, basta osservare lo sguardo famelico che i giovanotti hanno sempre avuto quando si aggirano nei luoghi deputati, controllando le aggregazioni dell'altra sottospecie per valutarne l'attitudine e marcando continuamente il territorio.

Nella femmina invece gli accadimenti sono strani e di più difficile interpretazione. Appena nell'aria si snoda una melodia o meglio ancora un ritmo, sia esso provocato dalla siringa di Pan o da percussioni tribali, sia che le note si dipanino suadenti come a formare un tappeto fiorito che addobba come palcoscenico naturale un qualunque ambiente, ecco che un fremito smuove l'aria, con movimento involontario, le ginocchia sono prese da un tic nervoso, i piedi si muovono da soli, il corpo intero comincia a contorcersi come a liberarsi delle pastoie della ragione e le baccanti improvvisate vengono travolte dalla furia coreutica e scatenano le loro pulsioni tersicoree su palchi improvvisati. Tutto ciò probabilmente ha una spigazione ancestrale in cui l'esibizione dei corpi, il sottile languore che viene trasmesso dai movimenti sinuosi ed il ritmo ossessivo è fondamentale nell'ottundere i già scarsi processi mentali del branco famelico della sottospecie avversaria, di cui abbiamo detto prima, attirandola morbosamente al fine di poter sceglierne gli esemplari migliori, eliminando gli altri, inutili co-attori di questa recita infinita. La realtà è che la femmina ama ballare senza se e senza ma. Il problema è che col passare del tempo, il branco famelico diminuisce continuamente di numero, appesantito ed appagato da altri soddisfacimenti meno raffinati e decisamente più rozzi, dal cibo ormai abbondante e disponibile, all'ordalia sportiva che placa il germe violento dell'ormone infiacchito dall'età.


Così per appagare comunque la voglia mai sopita di muovere i corpi al ritmo delle cetre e dei timpani, sono sorti come funghi appositi luoghi dove strutture dedicate campano di questi desideri, istruendo le novelle Menadi alle ultime novità. Naturalmente le poche fortunate che hanno ancora a disposizione un rappresentante della sottospecie nemica, adatto alla bisogna e anzi ben contento di sottoporsi alla fatica, possono spaziare nel vasto mondo dei balli di coppia, dal liscio al latino americano, fino al sensuale ed avvolgente tango argentino. Le poverette, invece, che non riescono ormai più a smuovere i corpacci in disfacimento su cui un tempo, avevano cullato dolci illusioni, li abbandonano nelle poltrone dotate ormai di vibromassaggio e si trovano costrette a ripiegare sui cosiddetti balli di gruppo, nati appunto, come è giusto, vista la richiesta, per soddisfare questi pruriti. Grande successo quindi, grazie alle novelle Mimallonidi, per il Country line, ballo che arriva dal nuovo mondo, ma che si avvale di esperienze antiche e che può dare finalmente le cercate soddisfazioni. Certo bisogna controllare che l'investimento dia i risultati attesi. Ecco quindi a corredo della chiacchierata di oggi, la performance della mia sposa appartenente ormai di diritto al corso advanced.







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La musa inquietante.






martedì 18 gennaio 2011

Referendum a Mirafiori.


Ho lasciato passare qualche giorno per lasciar decantare un po' la questione, ma oggi voglio dire la mia, anche perchè la cosa non ha preso, secondo me, una piega di valutazione oggettiva dei fatti. Si sono invece sempre di più estremizzati i punti di vista ed i commenti, tutto a danno di una visione reale e produttiva. Ascoltando con attenzione tutti i commenti politici e giornalistici ed anche le chiacchiere da bar tra amici, le due posizioni si sono cristallizzate con una completa mancanza di comunicazione, deformando fatti e generalizzando situazioni al solo fine di dipingere una verità che tale non è e per demonizzare la parte avversa a fini forse diversi dall'effettivo contendere.

Io penso che siano stati fatti errori da entrambe le parti e mi piacerebbe poter esaminare il tutto da un punto di vista oggettivo e non schierato, come si dovrebbe sempre fare per avere una valutazione utile di un problema e del risultato scaturito alla fine. Naturalmente come è umano e giusto, ci sono molte verità diverse ed in apparente contraddizione tra loro, quindi sbandierarne una, non significa automaticamente poter imporre il proprio punto di vista, perchè come in tutte le cose ci sono interessi particolari, diversi e contrastanti, ci sono interessi comuni, altri ancor più generali e infine ci sono realtà funzionali di sistema che devono essere accettate a prescindere fino a che questo sistema è in atto.

Per esempio io potrei dire che il sistema ecomomico su cui si regge l'economia mondiale non mi piace e che lo vorrei diverso, però devo ammettere che per primo non vorrei rinunciare ai benefici che questo mi comporta ed inoltre devo riconoscere che questo sistema si è rivelato il migliore per il benessere della gente, mentre tutti gli altri proposti fino ad ora hanno dimostrato di essere peggiori, in termini pratici ed etici. Ciò premesso, vorrei esaminare il contenzioso dai vari punti di vista, tutti con pari dignità evidentemente. Il sistema economico in cui viviamo e di cui non possiamo (per il momento) fare a meno, prevede che una azienda di queste dimensioni, per alcuni prodotti come l'auto, per esistere non possa ragionare se non in chiave mondiale e quindi al di sopra dei punti di vista dei singoli stati e per sopravvivere debba comunque cercare il massimo della sua efficienza, pena la morte.

Questo si raggiunge con un mix complesso che comprende, la scelta dei siti produttivi, condizionati dai mercati di vendita e dagli aiuti che tutti gli stati offrono per accaparrarsi gli investimenti, la ricerca per avere i modelli più appetibili al mercato al prezzo più conveniente, ottenuto tramire, la migliore organizzazione aziendale e non ultimo anche se minoritario del costo del lavoro. Tutto questo al fine di avere utili, fine unico e giustificativo dell'esistenza stessa dell'azienda. Quindi un'azienza deve correttamente perseguire, pena la sua chiusura, tutti questi punti senza esitazioni. Un altro punto è quello delle organizzazioni sindacali. Queste devono tendere all'ottenimento delle migliori condizioni possibili per i propri iscritti e contemporaneamente, se possibile non accettare soluzioni che diminuiscano il loro potere nella partita in gioco, anch'essi pena la loro stessa sopravvivenza.

Il governo, da parte sua, dovrebbe, valutando la situazione economica globale, le peculiarità del paese e delle leggi in vigore, operare per consentire le migliori condizioni a che l'azienda avesse interesse ad aumentare l'investimento nel paese per migliorare quindi la condizione economica non solo di quei dipendenti ma di tutti, quando questo influisce sull'indotto e sull'intero territorio. I singoli, da un lato sono interessati ad avere le migliori condizioni possibili, dall'altro ad avere certezze sul mantenimento del lavoro, con tutta una miriade di situazioni personali diverse quando non opposte, con gente interessata a lavorare di più pur di guadagnare di più, ad altri che vorrebbero più tempo libero, altri preoccupati solo di averlo il lavoro, altri ancora infine che sono quasi al termine della loro carriera e che vedendo assicurato l'atterraggio alla pensione dalla tempistica e dalle protezioni sociali, sono meno sensibili al successo dell'azienda di fronte alla prospettiva di aggravare anche se in piccola parte il loro carico di lavoro. Punti di vista diversi, tutti comprensibili e di pari dignità a mio parere. A questo punto ci sono dei punti fermi che difficilmente possono essere criticabili. Può un'azienda accettare di perdere denaro e di condannarsi alla chiusura? Ci sono modi per impedire ad un'azienda di chiudere e di andarsene prima di fallire? Si può difendere onestamente un assenteismo che vada al di là di una percentuale fisiologica?

Non credo che si possa dire ad uno: porta qui i tuoi soldi alle mie condizioni. Io non glieli darei. Esaminiamo adesso i fatti storici. Fiat era nel 2004 una società ufficiosamente fallita, i cui responsabili cercavano solo il modo di uscirne chiudendo la baracca e vendendo alla meno peggio lo spezzatino. Nessuno può onestamente negare che il buon Sergio abbia rivoltato la frittata. Ha confezionato il pacco alla GM, poi a poco a poco ha comiciato a risanare, turando le varie falle provocate dalla incapacità e dalla cattiva volontà di chi lo aveva preceduto, questo mi sembra, con utilità dell'azionista, ma anche di chi ci lavora e del paese nel suo complesso. Con l'operazione Crysler, ha dimostrato di poter fare di Fiat un player globale, ma pare che gli unici a non crederci siano proprio gli italiani, che con una mentalità molto alessandrina, stanno appoggiati all'angolo della piazzetta con occhio diffidente ad aspettare la caduta. Noi siamo i primi e più convinti detrattori della qualità delle auto Fiat e ne meniamo vanto. Bisogna considerare altresì che tutte le aziende dell'auto sopravvissute (e non è ancora finita) hanno usato le stesse armi per uscirne fuori. Tralasciando il terzo mondo, sia in USA che in Germania i lavoratori hanno accettato anche riduzioni salariali (non di ipotetici diritti) per cercare di farcela. Per questo io ho pensato che la proposta Marchionne non negoziabile andasse accettata.

Dove ha sbagliato? Secondo me, non ha valutato a sufficienza, forse mal consigliato, che nella nostra realtà devi concedere molto all'immagine e alla ricerca dell'ottenimento di un consenso più generale. Inoltre ha sbagliato a porre la sfida con il tono del ricatto, cosa che punge l'amor proprio di chiunque. Il governo ha sbagliato nell'essere totalmente assente dalla vicenda, mentre in tutti gli altri paesi vengono fatte offerte di tutti i tipi e ponti d'oro per mantenere investimenti di questa portata. La FIOM ha sbagliato nel estremizzare i sacrifici richiesti (remunerati comunque) facendone lo schermo al timore preponderante di perdere la propria posizione di potere. Il cittadino comune e l'intellettuale hanno sbagliato quando vogliono prendere come giusto e assoluto un atteggiamento tale solo nella teoria, ritenendo inaccettabile subire un'imposizione o una perdita, di qualunque tipo essa sia, senza valutare il caso nella sua complessità e soprattutto ineluttabilità.

Forse anche io avrei votato No se fossi stato a tre anni dalla pensione e non fossi in fondo interessato ai destini aziendali. Al di là della fisiologica area di dissenso penso che questo punto abbia portato al risultato finale, che sinceramente, credevo sarebbe stato più rotondo per il Sì. Personalmente se avessi un'azienda il Sergio lo assumerei subito e se fossi un operaio avrei votato Sì, perchè credo che fosse la soluzione più vantaggiosa comunque, se fossi stato il responsabile FIOM avrei valutato che comportandomi in questo modo avrei avuto un certo successo immediato (il 46% è un successo a tutti gli effetti) ma che sul lungo periodo tutto questo sarebbe stato dannoso anche al sindacato, se fossi stato il governo, ragazzi, avrei avuto da pensare al bunga bunga, quindi per cortesia, non avreste dovuto farmi perdere tempo in queste sciocchezze.

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lunedì 17 gennaio 2011

Casa Russia.

Era sulla trentina, faccia aperta, baffi e sorriso allegro, mi sembra si chiamasse Serghiey Odoevskiy, come lo scrittore. Faceva l'autista per noi in quegli anni difficili dove quando arrivavi a Mosca telefonavi dall'aeroporto all'ufficio per dire la targa del taxi che prendevi, dato che la leggenda metropolitana raccontava di stranieri appena arrivati e ritrovati nelle periferie, nudi dentro a un fosso. Chissà se era poi vero o se quei tali, sessantenni strapanzoni sudaticci, avevano pensato che qualche diciottenne con gli zigomi alti e gli occhi da gatta che fa le fusa, si fosse innamorata perdutamente di loro e l'avevano seguita a casa dalla mamma malata. Situazioni normali in cui molti amano credere quello che vorrebbero che fosse la realtà.

Noi, per stare tranquilli, avevamo Serghiey, con la sua Zhiguly malandata che però, lui, ingegnere e appassionato di meccanica automobilistica, manteneva in condizioni accettabili, riuscendo a procurarsi gli introvabili ricambi che la situazione consentiva. Parlava anche un discreto italiano e andando verso il centro raccontava sempre l'ultima barzelletta sui nuovi russi che cominciavano ad infestare gli ultimi brandelli dellUnione Sovietica che stava affondando. Ti rispondeva "Non ci è probliema" anche se gli chiedevi "Che ore sono?". Rideva sempre alla fine, mai sguaiato, con la stessa allegria triste che accompagna questo popolo che ama crogiuolarsi nelle sventure, ma che è fatto principalmente di gente buona. Quella volta che arrivavamo a Domodiedovo da Samara, io e Ste., come sempre stanchi ma curiosi, una coperta bianca ed infinita avvolgeva le foreste di betulle intorno alla strada. Un pallido sole lontano, la faceva risplendere come polvere di diamanti del diadema di una regina del nord. La strada attraversava un piccolo fiume ghiacciato, credo il Pakhra, che si allargava in una grande ansa piatta con qualche piccola formichina nera, pescatori seduti sulla lastra davanti al loro piccolo buco nel ghiaccio. Sulla ripa digradante del mantello bianco, le torri di un piccolo monastero, con un muro basso a protezione dei pochi edifici sparsi davanti al fiume. Un atmosfera resa magica dalla solitudine assoluta, dall'aria frizzante e dai baluginii dei raggi sui candelotti di ghiaccio che scendevano dai tetti.

Ci rimanemmo una mezz'ora, senza parlare, godendo di quell'atmosfera rarefatta, senza inseguire quel pope nero, lontano, che sgusciava da una porticina di un campanile sormontato da una grande cupola dorata a cipolla. La Zhiguly ci aspettava lontana al margine del bosco, ce l'ho ancora nitida nella mente e l'ho rivista l'altro giorno in un vecchio film, Casa Russia, girato proprio lì (non è male se vi capita dateci un'occhiata). Mi ci sono ritrovato di colpo, quasi spostato dalla macchina del tempo. Quando cominciammo a sentire la fitta al petto che segnala che la temperatura è davvero bassa e conviene andare al coperto, tornammo lentamente alla macchina; la bassa periferia di Mosca cominciò ad avvolgerci nel suo abbraccio suadente, mentre la neve fresca che tentava di scendere con fatica, a piccoli fiocchi gelati, crocchiava sotto i pneumatici consumati. Serghiey non parlava più, ma sorrideva. Dopo poche settimane se ne andò per seguire il suo sogno, un officina attrezzata di tutto punto per automobili, che immaginava come un Bengodi pieno zeppo degli introvabili e desideratissimi ricambi.







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domenica 16 gennaio 2011

Grigio nebbia.

Una nebbia mortale avvolge la città, grigia sul grigio. Prima di dedicarmi al riposo come impone il buon senso, vi posterò un piccolo haiku che la situazione mi suggerisce.


Nebbia tremula.
Che ansia, questa notte
sognare il mare.



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Vena poetica.
I fiumi non ritornano.
Caravanserraglio.

sabato 15 gennaio 2011

Il Milione 35: Escort e corallo.


Strade deserte e difficili, passi solitari, sentieri erti o stradine terrose che ruotano attorno ai templi, il Tibet ti appare sempre e comunque selvatico e misterioso. Negli sguardi di chi incontri, negli animali, essi stessi selvatici, nei poveri indumenti della gente, come ricorda il nostro Marco "che il loro vestire è di canavacci e di pelle di bestie", ritrovi l'isolamento montanaro e la solitudine delle tribù dei deserti assieme ai loro usi particolari. Sono questi che alla fine incuriosiscono il viaggiatore, che se li fa raccontare, spesso con prurigine malcelata attorno al fuoco degli accampamenti tra risolini e sogghigni, masticando la tsampa o una delle povere minestre d'orzo (vedi la ricetta da Acquaviva), nelle poche varianti che può dare, a queste quote, la ridotta disponibilità di ingredienti. L'aria è sempre fine, il cielo di un indaco scuro con fiocchi di nubi bianchissime che paiono riccioli di burro in cerca delle guglie del tempio a cui legarsi. Le ragazze ti passano accanto ostentando copricapi ricoperti di pietre e lanciando occhiate furtive al viaggiatore incuriosito forse oggi come allora. Racconta Marco Polo:
Cap. 114/115

In questo luogo àvvi l'oro in paglieola in grande quantità, e quivi si espande l'azzurro (i turchesi) e lo coraglio e èvi molto caro, ch'egli lo pongono al collo di loro femmine e ànnolo per grande gioia.

E come non si può rimanere colpiti da questa ostentazione di rosso e azzurro, in pietre grezze, ma elegantemente raccolte e formare collane, pendenti e ornamenti di tutti i tipi che le ragazze mostrano con orgoglio, forse a riprova delle antiche usanze che tanto affascinavano il nostro giovane viaggiatore, sentiamo come continua il libro:

...Questo Tebet è una grandissima provincia. Quivi àe uno cotale costume di maritare che vi dirò. Egli è vero che niuno uomo piglierebbe neuna pulzella per moglie e dicon che non vale nulla, se non è costumata co molti uomini. E quando li mercatanti passano per queste contrade (questo sempre come guida di utili consigli), le vecchie tengon le loro figliuole sulle strade e per gli alberghi e per loro tende e fannole giacere con questi mercatanti e poscia le maritano. E quando il mercatante à fatto il suo volere, conviene che le doni qualche gioia (noblesse oblige) acciò che la pulcella mostri come altri àe avuto a fare seco; e quella ch'à più gioie e più belle, è segno che più uomini sono giaciuti con essa e più tosto si marita. E anzi che si possa maritare conviene ch'abbia almeno 20 segnali al collo per mostrare che molti uomini abbia avuti e quella che n'àe di più è tenuta migiore e più graziosa che le altre.

Così quando passeggi a Lasha attorno al Jokang o quando respiri a fatica lungo l'erta sassosa che ti conduce a un monastero, siedi su una pietra a riposare e porta con te gli sguardi languidi che le ragazze lanciano al passare. Il taglio esotico dei loro occhi brilla come il giaietto. Le pietre rosse e azzurre spiccano orgogliose tra i capelli neri, corone di colore che scendono ad ornare il collo delicato in volute complesse. Passano girando appena il capo, lasciando dietro di sé, forse, l'ombra del sorriso malizioso delle loro nonne.




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venerdì 14 gennaio 2011

Il vento del Maghreb.

Cari miei ve la possono raccontare come vogliono, di star tranquilli che tutto va bene, ma se la realtà è diversa, se per qualcuno le cose invece non vanno affatto bene, se questi qualcuno diventano massa, la corda si tira, si tira sempre di più, diventa sempre più sottile, poi un bel giorno alla fine si rompe e son dolori. Allora tutti a chiedersi come mai, ma sembrava tutto tranquillo, che ogni cosa andasse bene, e adesso che succede? Così il Maghreb è diventato una polveriera. Le nazioni che ci parevano più tranquille e più al riparo da problematiche sono quelle che esplodono. Quelle che sembravano ormai sazie di lotte e di violenze si riaccendono. Il problema è che tu puoi con pugno duro cercare di tenere tutto sotto controllo, ma quando da una parte trionfano corruzione e malaffare e dall'altra alla gente togli la speranza, prima o poi la parte più viva della popolazione, i più disperati che prima di morire vogliono almeno farsi sentire un ultima volta e vengono presi inevitabilmente dalla voglia di spaccare tutto. Tanto uno cos'ha ancora da perdere. E così corre il sangue dei ragazzi, come sempre, perché come da ogni parte sono quelli più compressi e quelli a cui si presenta un futuro sempre più nebuloso e privo di opzioni percorribili. Una volta era più facile soffocare tutto. Oggi la splendida opportunità della rete, si ritaglia spazi di libertà un tempo imprevedibili.

Oggi da qualunque posto, anche sotto le peggiori dittature, si riesce a scivolare nelle falle del sistema e attraverso il net far sentire la propria voce in tutto il mondo. Oggi è davvero vietato vietare. Perchè chi vuole, a duro prezzo certamente, la libertà se la prende e grida il suo dissenso e tutti quelli che vogliono possono sentirlo, vederlo da FB, a Tweetter, a Youtube. Il potere corrotto ne chiude un paio come tunisine.com o @slim404, credendo di tappare le bocche e ne nascono cento altri come a7ki.net o nawaat.org a mostrare cosa sta succedendo. Una politica che si disinteressa completamente dei problemi reali per cercare di risolvere solo i propri affari, sottovaluta la polveriera che ha sotto la sedia. E' difficile fermare i fiumi in piena ed è sciocco non capire il pericolo, perchè queste cose, oltre che diffondersi a macchia d'olio, sono alla fine, facile preda di movimenti sempre interessati ad impossessarsi del dissenso per perseguire interessi ben più duri e peggiori. Integralismi di ogni tipo sono in agguato dappertutto. Mettete su una cartina dei nomi con il simbolo di un mirino e troverete con facilità chi tira fuori le pistole e spara, dopo non puoi nasconderti dietro ai non volevo, non intendevo. Semini quello che poi raccogli e come diceva Ford, se nel film compare un fucile, prima della fine quello spara.



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giovedì 13 gennaio 2011

Péng yǒu.

Siamo ancora in Cina per esaminare una parola moderna, esempio della evoluzione della lingua. Nato come monosillabico, il cinese mandarino, va aggiungendo al vocabolario sempre un maggior numero di vocaboli formati da due o più sillabe. Questo per arricchire meglio i concetti e per superare il problema della confusione creata dai troppi bisensi, provocati dal basso numero di sillabe utilizzate. Tutto questo aumenta la ricchezza di sfumature della lingua unendo concetti diversi nello stesso pensiero. Un esempio di questo è la parola che vediamo oggi e che significa semplicemente "amico". Anche i due ideogrammi che anticamente si usavano separatamente avevano lo stesso significato ma illustrava aspetti diversi. Il primo, rappresentato da due deliziosi spicchi di luna, vede nell'amicizia il momento della confidenza, dell'aprirsi a raccontare le cose più intime, come possono fare gli amici davanti alla porta di casa, in una bella sera rischiarata dai raggi lunari. L'amicizia viene qui interpretata soprattutto come sentimento.


Nel secondo, invece dove si vede bene la stilizzazione più semplice della mano, rappresentata solo attraverso il pollice e l'indice, si privilegia l'aspetto dell'aiuto che puoi aspettarti di avere da un vero amico. Che deve essere presente nel momento del bisogno, appoggiandoti una mano sulla spalla per dirti, stai tranquillo, io sono qui e non ti lascio cadere, perchè se un tuo amico sta bene, se riesce a risollevarsi dopo una scivolata, anche tu stai meglio. Così nella parola sono evidenziati tutti i significati che deve avere l'amicizia. Però attenzione che gli affari sono affari e se la Cina si mette a comprare i bond europei dei PIIGS, non lo fa solo per il concetto di péng yǒu. Intanto il 7% è un buon affare, poi se sprofondiamo noi a chi andranno a vendere i loro prodotti? Conviene in qualche modo tenerci in piedi. In ogni caso così rafforzano notevolmente la loro posizione geopolitica e infine se la inettitudine dei nostri politici ci farà sprofondare definitivamente, basterà allargare il pollice e l'indice della manina con cui ci tengono sollevati per la collottola e lasciarci sprofondare nel baratro. Vuol dire che per un po' avranno lavorato gratis e le merci andranno a venderle in Africa.








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Gamberoni e rambutan.
Ai.

martedì 11 gennaio 2011

Passare il ruscello.

Vi ho già detto che tutto gli argomenti di sesso in Cina sono accompagnati da una notevole dose di pruderie. Soprattutto nel linguaggio, che poi i fatti sono gli stessi da tutte le parti del mondo, vengono usate perifrasi complesse e poetiche per riferirsi a cose che a chiunque dovrebbero imporporar le guance al solo pensiero. Forse un tempo non era così. La società cinese infatti nasce matriarcale e si sa che quando comandano le donne queste si danno più libertà di movimento.

Contrariamente a quanto è accaduto da noi, dove le cose più antiche scritte sono andate in gran parte perdute, in Cina è rimasta molta documentazione, cosa che permette di investigare molti aspetti della vita comune. Era una civiltà contadina dove le donne avevano assoluta preminenza, prendevano le decisioni ed erano custodi, oltre che delle ricchezze del villaggio, delle preziosissime sementi che conservavano durante l'inverno ed i figli erano proprietà esclusiva delle madri. Il Libro delle odi è il più antico di cui abbiamo traccia e risale al 1600 a.C. e vi possiamo leggere la prima poesia d'amore cinese che vi propongo come esempio.


Se m'ami ancor, mio bello,
alzo la gonna e traverso il ruscello,
ma se non pensi a me,
altri ci son meglio di te!

Se tu m'ami ancor, mio bello,
alzo la gonna e corro da te,
ma se tu non sei più quello
ne trovo un altro meglio di te!

La giovane contadina invita un giovane a farsi avanti, a non esser timido, potremmo dire. Allora pare non fosse ben chiaro il meccanismo della procreazione, tanto che sembra si credesse che le fanciulle che traversavano il fiume alzando la gonna rimboccata fino alla vita (avrete notato la mia levità orientale nell'uso di questa circonlocuzione per non dire "senza mutande") rimanessero incinte. Gli uomini erano considerati (ufficialmente) esseri inutili (alla riproduzione ci pensava il fiume, al più erano utili solo di tanto in tanto, diciamo per il divertimento), necessari al più per il lavoro nei campi d'estate e che la notte si avvicinavano furtivi alle stuoie femminili sempre col timore di essere cacciati via in malo modo.

Stava però finendo l'epoca del matriarcato per dare luogo ad una forma più paritaria in cui uomini e donne erano come due corporazioni separate, i maschi a lavorare nei campi in estate, le femmine a tessere in inverno, in corretto equilibrio naturale, come sempre ricercato laggiù. Così d'inverno comandavano le donne e d'estate gli uomini, primavera ed autunno invece erano le stagioni in cui gli eserciti nemici si incontravano e si mescolavano, erano le stagioni dell'amore. Così nelle grandi feste dei villaggi, contadini e tessitrici passavano il fiume senza troppi problemi, tanto la colpa era sempre dell'acqua del ruscello. Ma a poco a poco l'espressione "passare il ruscello" assunse una connotazione decisamente sessuale e volgare. Così, con astuzia, abbiamo preso il sopravvento e abbiamo cominciato a dettare leggi che regolamentassero la difesa del pudore.






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lunedì 10 gennaio 2011

Ritrovamenti.

Incredibile. Un altro ritrovamento inaspettato. Rovistando in un bailamme di robe vecchie, quaderni ammonticchiati, collezioni di Linus, libri di scuola polverosi, è saltata fuori qualche vecchia foto e un quadernetto dove negli anni sessanta sfogavo il mio genoma letterario che vegetava già in coma farmacologicamente indotto (dagli agnolotti credo) dentro di me. Certo erano elucubrazioni piuttosto banalotte di un giovane brufoloso in attesa di collocazione psichica. Cercavo forse senza saperlo un mio posizionamento senza avere ancora capito bene quale brick in wall sarei potuto essere. Che splendida visone allucinata avrebbero avuto i Pink Floyd dopo solo qualche anno! Scorrendo però le pagine ingiallite e rese fragili dal tempo (c'è quasi la stessa emozione del ritrovamento di un manoscritto medioevale) mi accorgo che lo stile era già decisamente quello del blogghettaro in nuce, con brevi paginette e poesie adolescenziali. Ma gli argomenti erano pochi, per la verità. Oltre alle pulsioni ormonali mascherate da amori impossibili e ad un vago scientismo d'accatto, mi riscopro ossessionato dalla guerra nucleare, che evidentemente in quegli anni era piuttosto gettonata. Così ho deciso che qualche cosa ve lo riproporrò, tanto per farvi capire che la testa era già bacata all'inizio e si sa quando la pianta vien su storta... Eviterò naturalmente le cose più compromettenti (per il mio decoro, eheheheh) quindi oggi beccatevi questo breve pensiero del dicembre del 67, evidentemente generatosi durante la preparazione dell'esame di microbiologia.
Esherychia coli story.
Abbandonato dolcemente, quasi avvolto dall'agar, ieri (ma ha un senso usare questa parola?) sono morto (forse è meglio dire fissato) mentre pigramente mi distendevo contro una ammiccante Euglene viridis, inconsapevole della sua bellezza morbida. La fuxina fenicata è penetrata lentamente nel mio corpo, senza avvertire come per caso, colorandomi di un bel rosso vivace. Ma cosa può saperne un povero microrganismo di tutto questo?
Ora però tutto è diverso, non ho più sensazione di essere, ma sento crescere dentro (ma cosa è ora il dentro?) il desiderio impellente e violento della vendetta.
L'esame poi andò così così, un pallido 23, ma più che sufficiente e poi che importanza può avere oggi?


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