martedì 30 novembre 2010

Recensione: Arthur Golden - Memorie di una gheisha

Superata la fase critica della bagna cauda di cui vi ho detto l'altro giorno e sistemate in via definitiva le problematiche di inquinamento dell'aria provocate in famiglia, ormai quasi completamente superate da un prolungato arieggiamento degli ambienti e dall'istallazione di appositi profumatori, possiamo voltare pagina materialmente. Quindi veniamo al consueto angolo letterario, per esaminare un libro ben conosciuto ma abbastanza interessante: Memorie di una gheisha, di cui molti avranno conosciuto l'elegante riduzione cinematografica di cui, benigno vi allego il trailer in italiano. La storia ripercorre l'intera vita di una di queste ragazze, dalla vendita da parte del padre, povero pescatore, fino all'apice del successo, durante quasi tutto il 900, offrendo così uno spaccato di vita giapponese, visto dall'interno e da un'angolazione del tutto particolare.

Per la verità, il libro è scritto da un occidentale e quindi questo mondo viene presentato da un punto di vista che sottolinea la preminenza dell'aspetto sessuale, sia pure di un tipo di prostituzione di alto bordo e assolutamente particolare. Non sappiamo quindi se questo aderisce davvero alla realtà o se il sesso non rappresenti un carattere secondario, se pur presente, per la mentalità giapponese. Di certo l'autore è stato, proprio per questo, pesantemente criticato in Giappone, con lo strascico di una causa milionaria da parte della gheisha, da lui intervistata ed ad alla cui vita sembra si sia in parte ispirato. Ma, a mio parere la cosa più interessante dell'opera è l'affresco mirabile della società giapponese, in tutte le sue sfaccettature, a noi incomprensibili e in parte sconosciute; lo scandaglio su una forma mentis per noi spesso non solo diversa ma estranea, che permette di capire meglio un paese e la sua gente. Tentare di comprendere le contorsioni di una mentalità lontana è spesso importante per spiegare motivi e cause dei fatti che accadono nel mondo. Secondo me questo libro aiuta in questa direzione e, a mio parere, questo approccio ne rappresenta il merito principale, al di là del fatto che rimane comunque di scorrevole e piacevole lettura, come accade spesso nella recente letteratura americana di consumo.






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lunedì 29 novembre 2010

Bagna cauda e inquinamento da biogas.

Essere attenti alle problematiche dell'ambiente è ormai un dovere di tutti, ma non sempre si riesce ad essere coerenti con le buone intenzioni. L'altra sera sono stato invitato ad una bagna cauda di stagione. Lo so, la consuetudine che che io sia morbosamente attirato da queste manifestazioni di gastrocultura, mi impedisce di valutare correttamente onori ed oneri del caso e conseguenze dirette ed indirette, anche se il fatto che la mia gentile signora si fosse defilata adducendo scuse di varia natura, ma mostrando comunque una volontà irremovibile di chiamarsi fuori, doveva mettermi sul chi va là. La serata è stata in ogni caso piacevolissima, essendo io posto accanto ad una serie di deliziose signore con cui si è chiacchierato amabilmente di argomenti vari, ma sempre interessanti, senza far caso, data la comunanza di intenti, alle zaffate agliacee che pervadevano l'ambiente, saturandolo al completo.

In realtà, come spesso mi accade, dispostomi ad ascoltare il più possibile, mi sono accorto di non riuscire, se non a tratti, a mollare il pallino della chiacchiera, ma sono fatto così e chi mi conosce mi sopporta e mi scusa. L'orgia di cardi, topinambour, peperoni, insalate, finocchi, sedani, seguiti da sottili fettine di deliziosa carne cruda, hanno sposato degnamente la densa salsa in cui l'aglio e l'olio, consumavano le acciughe accomunandone il destino in un matrimonio che mi è parso gentile e non così aggressivo come si mostra di solito il connubio. Un piatto di cappelletti in brodo e una piccola macedonia dovevano infine contribuire ad appianare la persistenza dei bulbilli profumati. Così almeno mi parve, a tal punto che giunto a casa, sono scivolato quatto quatto al fianco della consorte già dormiente, con la delicatezza astuta e silenziosa della faina che entra nel pollaio, scivolando subito nel sonno del giusto.

Non uguale è stato il duro risveglio, come oberato da un fardello troppo pesante da portare. Sceso dal giaciglio carponi, ho cercato di raggiungere a fatica il tavolo della colazione, dove mi attendeva una consorte viperica e dolente, in piedi dalle cinque del mattino a causa, a suo dire, dell'esser diventata la camera nuziale, un ambiente completamente irrespirabile, una vera e propria camera a gas dove pochi minuti di soggiorno provocavano una istantanea perdita di sensi o almeno un ottundimento di ogni capacità sensoriale. Non solo ma ormai, a sentire le sue motivate ragioni, fetidi miasmi pervadevano quasi tutti gli ambienti della casa, percolando irrimediabilmente attraverso le porte socchiuse e impedendo le attività vitali. Francamente la cosa mi è parsa un poco esagerata, anche perchè io non ho avvertito alcun mutamento sensoriale spostandomi nei vari ambienti, né olfattivo, né a maggior ragione, visivo, essendo l'asserita rilevazione di una sorta di nebbiolina odorosa che pervadesse l'aria una palese deformazione della realtà.

Per amor di patria e anche perchè, mentre, parlando pacatamente, difendevo il mio punto di vista, la mia controparte si teneva il naso tappato e cercava di mettere tra di noi la maggiore distanza possibile, dopo una rapida colazione per aggiungere qualche strato che in qualche modo tamponasse il contenuto del mio stomaco duramente provato, mi sono quindi ritirato e rinchiuso nella cameretta della bambina assente a fare il mio quotidiano dovere di blogger melenso. Intanto nel resto della casa venivano spalancate porte e finestre per arieggiare gli ambienti e fare correnti salvifiche, nonostante la neve cadesse copiosa e la temperatura stesse scivolando sotto lo zero. Tutto il resto della giornata è stato poi un purgatorio continuo, durante il quale, tenuto comunque a considerevole distanza di sicurezza, la mia forte fibra ha cercato di superare l'impasse, mentre la casa intera era scivolata verso temperature polari.

L'arrivo della bambina nel pomeriggio, ha poi reiterato una serie di doglianze sui temi dell'inquinamento gassoso e sull'irrimediabile china verso cui scivola l'ecosistema del pianeta, cosa che mi è parsa francamente esagerata, anche se in linea con le estremizzazioni tipiche della gioventù. La notte è giunta misericordiosa e lenitrice a guarire le ferite morali e fisiche della dura giornata, mentre il sonno guaritore ha coperto pietosamente le asperità digestive, allo stesso modo in cui la coltre bianca che, scesa per tutto il giorno segnalando l'ormai definitivo arrivo di Nonno Gelo, ottundeva i rumori facendoli sempre più flebili e lontani.


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domenica 28 novembre 2010

Una novella perduta del Decameron.

La neve che scende copiosa inclina l'animo, se si può stare al calduccio, alle ricerche bibliografiche. Proprio nei giorni scorsi mi è venuta alle mani una antica pergamena manoscritta, molto mal ridotta che mi pare interessante e perciò, per quanto è ancora leggibile, ve la riporto. Trattasi di un'opera di un copista fiorentino del quattrocento, che la classifica addirittura come una novella perduta del Boccaccio.
Un re bellissimo, sentito il fervente amore portatogli da una fanciulla, mutato poi in disamore, le conforta e a lungo baciatala, la riporta a sé e sempre si dice suo cavaliere.
Commendata era stata molto la virile magnificenza del re dai lunghi capelli (quantunque alcuna, che quivi era di parte ghibellina, commendar nol volesse), quando Pampinea incominciò.
Niun discreto sarebbe, che non dicesse ciò che voi dite del nostro buon re, che non costoro che gli voglion male; ma ciò che a me va per la memoria, questo mi piace di raccontarvi. Essendo codesto bellissimo uomo, virile assai e dai neri e folti crini, benche vecchio, fattosi re in Roma, da uomo ricchissimo che già era, faceva nelli suo palagi meravigliose feste co' suoi baroni. Ne le qual feste armeggiando il brando come era uso, avvenne che una figliola, il cui nome era Amara, per lo suo volto triste e li belli occhi da cerbia che ella aveva, il vide e sì meravigliosamente le piacque, che una volta riguardandolo, di lui ferventemente si innamorò e divisò, avendo pur conoscimento della sua infima condizione, colpita dal di lui potere e grande bellezza, che in ogni modo gli si sarebbe concessa per ottener... (parte illeggibile)
...Ma le guarentige ottenute e vedendo che il re indietro si volea tirare e di lei più non si curava, ella provava intollerabil dolore. Per la qualcosa avvenne che, crescendo in lei la smania continuamente e una malinconia sopr'altra aggiungnendosi, che ad altre e ad altri cortigiani aveva il re dato la primazia sulle terre della giovine, ella infermò e di giorno in giorno, come la neve al sole si consumava. Gli amici dolorosi di questo accidente, con conforti continui in ciò che si poteva l'atavano; ma niente era, per ciò che ella, ferita nell'onore e nelle prebende, aveva eletto di lasciar per sempre lo re e più non volere vivere, in codesto diminuito potere. ...(parte illeggibile)
...così da un assai buon dicitore in rima a quei tempi, con prieghi lo costrinse a far giungere al re la canzonetta che segue:
Muoviti amore e vattene a messere,
e contagli le pene ch'io sostegno;
digli ch'a morte vegno
perdendo per temenza il mio potere.
Di' che sovente lui disio e amo,
se dolci cose mi concede ancora;
che per lo foco, ond'io tutta m'infiamo,
da lui subendo grave pena e dura,
la qual sostegno per lui disiando,
poter perdendo e vergognando.
Deh! Il mal mio, per Dio, fagli assapere.
Poi che di lui Amor, tutta m'ha avuta,
poter poco mi desti a sufficienza
e questo ognor mi tien tanto affannata.
Forse che non gli saria spiacenza
ch'altri m'avrà
s'ei non mi ridarà forza e possanza.
...(parte illeggibile)... Alla giovine piacque molto la risposta del re, e con bassa voce, volti li belli occhi al suolo così gli rispose: - E' il vero che, com'io ad amore di voi mi sentii prendere, così mi disposi di far sempre il voler vostro e per ciò, avrò caro quello il quale vi piacerà donarmi, che mio onore sarà che il piacer vostro mi sarà diletto. Avere uno re così bello e potente per cavaliere, sapete quanto mi conviene, perciò il bacio che volete, senza licenza vi sarà per me conceduto assai.- Al re piacque molto la risposta della giovine, e parvegli così savia come lo supponeva e molte gioie e care le donò e parimenti nominolla reina di Neapoli e Calatabellotta, due bonissime terre e di gran frutto dicendo:- Queste ti doniamo per dote o donna; quello che noi vorremmo fare a te, tu tel vedrai nel tempo avvenire. E intanto ora vogliam noi prender quel frutto che del vostro amor aver dobbiamo.- E detto questo alla giovane inginocchiata e presole con amendune le mani il capo ...(parte illeggibile)...
E secondo che molti affermano, il re molto bene servò alla giovane dai grandi occhi, il convenente. Così adunque operando si pigliano gli animi dei suggetti e le fame etterne si acquistano. Alla qual cosa oggi pochi o niuno ha l'arco teso dello 'ntelletto, essendo li più divenuti crudeli tiranni.
In una nota a margine, il copista afferma che la novella fu poi scartata o mutata dal Boccaccio essendo manifestamente tanto lontana dalla realtà da non esser creduta, pur trattandosi di una invenzione letteraria. Di più non posso riportarvi essendo, se pur tuttologo, incompetente in materia.


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venerdì 26 novembre 2010

Matofobia o matofilia?

Il prossimo Carnevale della Matematica si terrà il 14 dicembre su Matem@ticaMente di Annarita. Il tema è interessante, soprattutto quando senti da parte di molti su questo argomento, un chiamarsi fuori sdegnato. Ah io, il cassetto dei numeri ce l'ho sempre avuto chiuso! Eppure se andiamo a dare un occhiata nei nostri ricordi, si trova sempre qualche cosa che giustifichi un andamento ondivago tra i due estremi, fino a che, non si sa bene quando, è scattato qualche cosa che ha fatto saltare definitivamente il fosso verso una delle due trincee, in cui barricarsi per il resto della vita. Anche a me credo sia successa la stessa cosa. E' cominciato tutto alle Medie, dove ero caduto nelle mani di una professoressa di altri tempi: la famigerata Signorina Trucco. Era costei una vecchina (così almeno mi sembrava) piccolissima e minuta, direi alta come noi ragazzini. Sempre vestita di nero arrivava, temutissima, davanti alla porta come un fantasma ed immediatamente il chiacchiericcio fanciullesco si chetava. Un vento gelido attraversava l'aula mentre noi, in piedi (almeno mi sembra, ma il tempo può essere bugiardo) attendevamo che scalasse la cattedra da dove ci dominava dall'alto con occhio indagatore. Parlava a voce bassa in un silenzio perfetto, riempiendo la lavagna velocemente con un cancellino nella sinistra ed il gessetto che strideva.

Era rigorosissima e ci impartiva (questo è proprio il verbo adatto) lezioni perfette e precise, pretendendo l'esecuzione puntuale di montagne di espressioni che ci facevano riempire pacchi di quaderni e che dovevano essere risolte in modo ordinato e combaciare sempre col risultato con il libro. Non c'è dubbio, in quel periodo temevo la materia come non mai, però la terribile Signorina (che in realtà era poi buonissima e alla fine dell'anno anche generosa nei voti e che, tanto per dire, in tutto il suo tempo libero si occupava a tempo pieno dell'ultimo orfanotrofio rimasto in provincia) mi aveva inoculato un qualche tipo di germe misterioso che dentro di me si moltiplicava invadendo irrimediabilmente i miei pochi e deboli neuroni e insinuandomi quella sottile voglia di trovare la soluzione dei problemi, che ti fa isolare dal mondo quando a tutti i costi vuoi finire un Sudoku difficile e niente riesce a farti posare quella maledetta matita fino a che non sei arrivato in fondo. Infatti col tempo direi che ho a poco a poco abbandonato la parte oscura della forza e mi sono appassionato, sempre con moderazione naturalmente come si confà a noi tuttologi.

L'ultimo combattimento con Dart Fenner per risucchiarmi nel vortice della fobia, avvenne nel mio tentativo di diventare ingegnere. Lo scontro con il capitolo I Rotori di Analisi 1 e il mio esame di Geometria 1 col prof. Longo che si puliva l'interno dell'orecchio con un pezzo di carta arrotolato, strappato con disprezzo (o commiserazione) dal mio scritto, mi furono quasi fatali e per poco l'odio definitivo non prevalse. Il 30 e lode di analisi dell'anno successivo a Scienze Agrarie (di altro livello ovviamente) mi riappacificò con la materia, ma il salto della quaglia definitivo lo diede, credo, la rubrica di giochi matematici di Martin Gardner su Le scienze, che girava come una Bibbia nel nostro alloggio di studenti assieme al Mondo di Pannunzio. Eh sì, possiamo dire che da allora mi sono iscritto definivamente alla congregazione dei Matofili (con moderazione, naturalmente).


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giovedì 25 novembre 2010

Il Milione 31: Tre fagiani per un soldo.


La Cina, lasciati i picchi innevati delle montagne più alte del mondo ed i deserti sconfinati dell'Asia centrale, diventa una immensa pianura solcata da grandi fiumi. Impetuosi e soggetti a piene devastanti, sono però la fonte di vita di questa terra che percorrono, irrorandola di linfa vitale, base di tutta l'agricoltura e di tutti i commerci. Fino a pochi decenni fa erano assieme, barriere invalicabili e confini netti ma, allo stesso tempo vie d'acqua insostituibili. Il Fiume Giallo divideva da millenni il Catai dal regno di Mangi a sud. Quando arrivi davanti a queste masse d'acqua, quando ne scorgi a mala pena la opposta riva lontana, rimani attonito per la dimensione, per l'impossibilità di passare dall'altra parte ancor prima che il flusso incessante si spezzi negli innumerevoli e popolatissimi bracci di delta sterminati. Anche i piccoli fiumi vicino a Pechino paiono enormi. Ma vediamo come li descrive Marco Polo, quando comincia a muoversi per la Cina come osservatore imperiale nel suo primo viaggio di ispezione.
Cap. 104


E il Grande Kane mandò per ambasciadore Messer Marco per quattro mesi verso Ponente. Quando l'uomo si parte da Cambaluc, di lì a dieci miglia si truova un fiume che va infino al mare Ozeano e quinci passa molti mercatanti. E su questo fiume àe uno molto bello ponte fatto di pietre che al mondo non à uno così fatto, lungo bene 300 passi che vi puote andare dieci cavalieri al lato; e è tutto di marmore e dal capo del ponte àe una colonna di marmore con uno leone e di sopra un altro, molto belli e molto ben fatti e dall'una colonna all'altra è chiuso di tavole di marmore perciò che nessuno possa cadere in acqua, sicch'è la più bella cosa da vedere del mondo.

Forse è questo il ponte descritto da Marco e quando rimanevo a contemplarlo seduto in uno dei ristorantini poco lontano mangiando trote al vapore, il tempo era immobile, mentre lo zefiro scendeva leggero dalle Colline Profumate a riscaldare l'aria della primavera ancor fresca. La cottura a vapore è uno dei grandi settori della cucina cinese, che si serve dei caratteristici cestelli di bambù da impilare uno sull'altro, ormai ben conosciuti anche da noi, colmi di ravioli, pesci, verdure ed ogni altro ben di Dio, che ordini indicandoli al carrettino di passaggio e ti mangi tranquillo, come le polpettine di carpa insaporite dallo zenzero e dalle salsine di soia o all'ostrica cinese (assolutamente deliziosa, vedere la ricetta di Acquaviva). I grandi leoni di marmo restano a guardia del ponte, severi e attenti, insensibili al passare dei secoli. Ma la strada corre ancora verso sud-ovest.

Cap. 109

E quando l'uomo va verso ponente dal castello di Caitui (Chiang Zhou) per 20 miglia, truova un fiume chiamato Carameran (il fiume Giallo, lo Huang Ho), ch'è si grande che non si può passare per ponte e va infino al mare Ozeano. Quivi son molti mercatanti ed artefici. Nella contrada nasce molto zinzibero e àcci tanti uccelli ch'è una maraviglia, che per uno viniziano danno tre fagiani.
La meraviglia per questo immenso fiume dalle acque limacciose che porta con se tutto il fango strappato dai loss di argilla gialla, sarà ben stata grande, ma un occhio agli affari va sempre dato, soprattutto se di fagiani, cibo pregiato, ve ne danno tre per un soldo. Era giovane il buon Marco, ma mica scemo.






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Fibra d'amianto.

Ammassi.

mercoledì 24 novembre 2010

Con la cultura non si mangia.

Si fa presto a parlare di cultura. C'è chi dice che la cultura non si mangia, altri estremizzano sottolineando che "con" la cultura non si mangia, dimenticando, magari chi ci vive. Sarà pur vero che senza soldi non si fa cultura, ma alla fine io credo che in qualche modo a questo pane è difficile rinunciare e si tentano strade parallele. Ero al primo anno di università e grazie ad un inatteso risultato alla matura, avevo avuto un posto gratuito al Collegio Universitario di Torino. Uscito quindi per la prima volta dal guscio di una cittadina di provincia, dove al massimo avevo visto la Corazzata Potionkin al circolo del cinema del sabato mattina (con conseguente dibattito, naturalmente), mi ritrovavo di fronte ad un'offerta vasta e stimolante di musei, arte e spettacoli a cui non ero abituato.

Mi attirava soprattutto il teatro, ambiente e fenomeno a me ancora completamente sconosciuto. Che però costava un sacco, cosa che pareva tagliar la testa al toro. Fui così coinvolto da un compagno di collegio, un napoletano scafato alle difficoltà della vita, che mi aprì le porte del gruppo della clack del teatro Alfieri. Si andava una mezz'oretta prima dell'inizio dello spettacolo e in uno stanzino, un anziano, almeno così mi sembrava, capoclack ci dettava le malizie del mestiere. La mano a conchiglia per dare un colpo secco e il più possibile ritmato e rumoroso, ben distinguibile dalla massa che si sarebbe subito posta al seguito, scatenando un applauso fragoroso.

I momenti topici per il battimani, dalle entrate in scena della prima donna, ai punti chiave dove l'attore, al termine di un pezzo importante, disponeva una acconcia pausa in attesa dell'applauso; la ripresa quando, alla passerella finale, l'approvazione del pubblico, che si stava alzando per andarsene a casa, sembrava scemare prima delle varie uscite previste della compagnia. L'ordine era di non sprecare le forze quando la folla faceva il suo dovere, guidare invece il gradimento quando l'intensità dello stesso era sul punto di spegnersi, sempre con apparenza casuale, non preparata. Il capo avrebbe dato l'avvio con un paio di colpi ben scanditi e noi dietro, si era in cinque o sei, a rendere corposo l' avvio, poi le cose marciavano da sole. Lui stesso pensava a dispensare qualche "bravo" qua e là al momento opportuno.

Così mi feci tutta la stagione, affascinato da quel contatto con la parola viva, così lontana dalla patinatura della celluloide, così reale e vicina, così coinvolgente come mai avrei pensato. Mi godetti Gassman, Poli giovanissimo, Foa e tanti altri. Fui stravolto da Beckett e Ionesco, ammirato da Molière, stordito da Shakespeare e come mi parve affascinante la leggerezza di Goldoni che nelle letture a scuola pareva così insipido. Un orgia di sensazioni mai provate insomma. L'unico problema era quello di cercare di sfilarsi, mettendosi in fondo alla coda degli applausi finali, sfuggendo alle occhiate del cerbero che ci controllava. Il Collegio chiudeva a mezzanotte e venti e anche correndo, se arrivavi dopo, ti toccava andare a dormire alla stazione.


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martedì 23 novembre 2010

Gān bēi.

Oggi post di utilità (non sono richiesti ringraziamenti particolari). Dunque nel caso siate invitati in occasioni conviviali da amici cinesi, certamente sarete coinvolti in grandi brindisi con uso abbondante della tipologia di alcool presente sulla tavola, ma di certo verrete invitati a bere tutto d'un fiato con l'accompagnamento stentoreo della parola "gān bēi". Questa frase che sta per il nostro "alla salute" è in realtà l'invito di "asciugare la coppa", discutibile abitudine, forse mediata dai russi, di svuotare sempre il bicchiere, pena la scortesia. Questo uso popolaresco è in realtà in contrasto con l'antico galateo cinese che invitava l'ospite a degustare cibi e vino con lentezza taoista. Ma i tempi cambiano per tutti. Dunque esaminiamo i due interessanti caratteri.

Il secondo, bēi -Coppa, è formato da due segni più semplici, legno +non, come dire (ma è una mia interpretazione) che una coppa degna di questo nome non può essere di legno ma di nobile porcellana, mentre il primo, il verbo gān (asciugare, finire) aveva il significato originale molto più duro di colpire, percuotere, offendere, in quanto il segno stesso potrebbe avere due differenti origini. Infatti se questo è la stilizzazione di uno scudo ne deriva il senso di proteggere, seccare (nel senso del cibo per la conservazione), difendere. A esempio ci sono chiari composti come Hàn - 旱, dove il segno è posto sotto il sole a significare "siccità" (il sole che secca).

Se invece, come è più probabile, deriva dalla forma di un pestello da mortaio, ecco che arriviamo all'azione fisica della percussione ripetuta all'infinito e quindi il traslato morale di offendere, ingiuriare, fare del male. E' di certo il modo più terribile per fare del male ad una persona, non il colpo deciso, violento, inferto magari in un momento di stizza, di cui ci si pente subito dopo, ma quello lento e ripetuto, meditato, che con malignità percuote come un pestello, all'infinito, la persona da distruggere, calunniandolo, colpendolo nei suoi affetti e nella sua persona ogni giorno, tutti i giorni come una goccia che a poco a poco crea nella pietra una fessura insanabile. Lasciate fare ai cinesi che la sanno lunga e limitatevi a vuotare il bicchiere.


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lunedì 22 novembre 2010

Il carretto dei gelati.

Nell'aria spessa del primo pomeriggio di quelle estati assolate c'era un silenzio gommoso, neanche il ronzio di un insetto, neppure un gorgoglio sordo di qualche ranocchia dal fondo di un fosso. La calma stanca e appisolata della campagna afosa. Ad un tratto, erano da poco passate le due, come da un'eco lontana, sentivi uno strombettio breve e stridulo, un perepeeee che arrivava dalla stretta strada del Dazio, dalla cima della collina. Si ripeva un paio di volte, sempre più vicino, quasi allarmato, come se dicesse -Attenzione, sbrigatevi, guardate che arrivo.- Ancora un paio di perepeeee e poi l'uomo gridava - Gelatiiii!- seduto di sbieco sul suo carrettino bianco a tre ruote che si era fermato su uno slargo della strada ragionevolmente in piano. Uscivamo ad uno ad uno dalle case vicine, come topini richiamati dal pifferaio magico e la voce suadente e la cornetta, non avevano più ragione di chiamare.

Eravamo in un attimo tutti lì, un gruppetto di bambini ansiosi che il pusher aveva ormai fidelizzato da tempo, un drappello disordinatamente ordinato in attesa del turno, ognuno stringendo nella manina le due monetine che le mamme avevano da tempo stanziato alla bisogna. Ci affollavamo tutti attorno al carrettino osservando le operazioni di fornitura con spirito critico, in attesa del proprio turno. Quando il gruppo si era formato in maniera definitiva, l'omino metteva fine alle attese e con gesto sicuro allungava la mano sollevando uno dei due coperchi dei bidoncini nascosti nel ventre magico del carrettino. Era un coperchio che pareva d'argento, su cui il sole forte e verticale delle due del pomeriggio, lanciava la gibigianna giocando sulle sue superfici sfaccettate; un cono gibbuto e pesante all'apparenza, con un grande pomello che sembrava doversi sollevare a fatica. C'erano un paio di gusti per ognuno dei due contenitori, così l'omino sollevava la paletta e ti guardava con aria interrogativa. -Da venti lire fragola e limone. Tutto cioccolato. Panna e nocciola.- Con la sinistra prendeva uno dei coni impilati con ordine in una cassettina laterale, poi allungava il braccio nel contenitore misterioso, affondandolo con mestiere.


Rimestava un po', come se volesse privilegiarti scegliendoti il punto migliore, mentre ti guardava di sottecchi e un sorrisetto complice gli compariva all'angolo della bocca. Poi la paletta riemergeva colma della pasta preziosa, soda e gelida al tempo stesso. Con maestria e con gesto di mestiere, ne appoggiava la quantità principale a riempire superficialmente la cavità del cono, poi con palettate successive, aggiustava la montagnola di gelato a formare un bozzo ben saldo e sicuro. Gli dava ancora una ritoccatina, come l'artista che dà le pennelate finali all'opera prima di licenziarla e poi lo consegnava al cliente ritirando le monete che finivano in una sportina vicino ai coni, prima di passare al bambino successivo. Ce ne stavamo lì ad osservare la magia della generazione spontanea dei coni, in silenzio rispettoso, rotto solo dall'ordinazione dei gusti -Ciccolato. Tutto limone. Panna e nocciola- Fino all'ultimo bambino, cercando di buttare l'occhio all'interno dei contenitori da cui sembrava salire un vento freddo, come dalla profondità della terra di mezzo.

Terminato l'officio, l'omino si guardava attorno ancora un attimo, poi prendeva la trombetta e suonava un perepeeee di saluto, afferrava il manubrio inarcandosi sui pedali per avviare lo scoppiettio del motorino che necessitava di almeno un paio di pedalate, un pas d'adieu definitivo, mentre il carrettino prendeva l'abbrivio giù dalla discesa. Dopo la curva spariva alla vista, si sentiva soltanto ancora un - Gelatiiiii - strozzato dalla distanza e un perepeee che l'effetto Doppler rendeva ormai grave e lontano. Rimanevamo lì, seduti sul muretto leccando con gusto il nostro cono e pensando a quei contenitori senza fondo. Chissà se nasceva da solo il gelato, là dentro, una volta che i coni d'argento ne avevano chiuso l'accesso?



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domenica 21 novembre 2010

Cronache di Surakhis 34: Colline profumate.

Novigorad era bellissima come sempre, distesa sulle falde dell'immenso cratere, fin sulle rive del golfo come una femmina Voluptaria della terza luna di Surakhis. Il mare che lambiva le basse scogliere attorno al vecchio porto era di un violetto intenso, un colore pastello che ormai ispirava i poeti e le canzoni e bagnava le rocce corrose con piccole onde calme e ritmate che si frangevano con calma sollevando piccoli spruzzi bianchi. Pioveva ormai da tre mesi sulla città e la sottile umidità verdastra che colorava la foschia, avvolgeva quasi completamente le altissime colline che scendevano quasi a precipizio sul mare. Erano ormai per tutti le Colline profumate che si erano formate decenni prima, quando si era ormai compreso che lo smaltimento dei rifiuti non poteva avere una soluzione.

Così nella sua infinita bontà, il lungocrinito Imperatore aveva promesso che in sole 24 ore avrebbe risolto il problema e prima del mattino seguente, come sempre, per questo era osannato dalle folle, aveva emanato un decreto che, pena l'impalamento, vietava di portare via le immondizie dalla città, che anzi avrebbero contribuito, con il lavoro di una apposita commissione di architetti del rifiuto, a formare la nuova skyline della città, anzi ne avrebbero costituito la caratteristica unica e attrattiva anche ai fini turistici, cosa per cui la città divenne meritatamente famosa in tutto il pianeta. A poco a poco gli strati si accumularono gli uni sugli altri e nuovi bastioni si eressero orgogliosi, barriere compresse del moderno modo di intendere lo smaltimento. Ormai erano alte parecchie centinaia di metri e pur essendo in continua crescita, le piogge solforiche ne assestavano la consistenza, rendendone omogenei i materiali e anche gli smottamenti che avvenivano periodicamente erano utili a dare movimento al paesaggio urbano e anche a mantenere un certo qual controllo demografico automatico. Tutto il sistema economico ne aveva beneficiato, intanto erano fonte proteica di valore, arricchita con la grande fauna di roditori esatropi che oramai la popolavano in quantità e la fermentazione naturale forniva un ottimo distillato che aveva un certo successo anche nei migliori bar della capitale.

Le ghiandole sebacee di questi animali, poi fornivano un liquido che, lavorato, dava un ottimo formaggio a pasta filante che aveva ottenuto importanti riconoscimenti di qualità. Anche il problema abitativo, un tempo grave nella zona, era ormai risolto, in quanto ogni abitante era libero di scavarsi nei fianchi delle montagne di immondizia, comode e calde grotte che si estendevano nel ventre della montagna per ambienti successivi, dove la comintà viveva in armonia, distillando il percolato e traendo dalle viscere del monte di che vivere in abbondanza. Certo, all'inizio c'era stato qualche problema, soprattutto per quanto riguardava la puzza che le aveva per così dire battezzate, ma gli abitanti delle Colline Profumate, potevano ormai dire con orgoglio di essere gli unici abitanti della regione che non erano più infastiditi dalla puzza delle vicine centrali a merda, i cui fumi venivano inevitabilmente spinti dalle brezze verso il mare.

Dalla sua piccola grotta a Ciorniemorie, che dava direttamente sul mare, Hort guardava lo specchio viola in cui si specchiavano gli spicchi delle tre lune, tra barbagli di gas e fuochi fatui che illuminavano la sera. Di tanto in tanto pensava ai tempi lontani, quelli che da piccolo gli raccontava suo nonno, tempi strani e tristi in cui gli uomini di Novigorad vivevano in maniera confusa e pericolosa, dovevano preoccuparsi di cercare il cibo ogni giorno, il sole fastidioso bruciava la pelle e addirittura la gente aveva ancora le narici. Mentre la seconda luna stava tramontando, si girò per andarsi a coricare sul fondo della grotta; in alto sopra di lui, il rumore ritmato dei camion che scaricavano e quello più soffocato dei tritatutto si mescolavano in un suono dolce e monocorde al ronfare soffocato dei digestori.


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venerdì 19 novembre 2010

Seminario: Biodiversità in allevamento.

Sono reduce dall'interessante seminario che si è tenuto oggi a Torino presso la facoltà di Veterinaria sulla Biodiversità nell'allevamento, organizzata dalla Associazione Museo dell'Agricoltura del Piemonte sul cui sito a cui vi rimando, dove tra breve compariranno gli atti nei dettagli. L'argomento era davvero stimolante ed è un piacere ascoltare i contributi in un contesto di serietà, quando alla base c'è un approccio scientifico e ragionato, perchè i numeri e le ragioni scientifiche non sono discutibili se non con altrettanti argomenti provati allo stesso modo. Il problema viene solo quando queste tematiche (anche queste che appartengono alla tipologia di quelle che apparentemente non si mangiano, mentre è poi proprio il contrario) vengono spesso prese a pretesto per andare a sostenere fuffe varie bio-organico-dinamiche (tanto cominciano nello stesso modo).
Come sempre per dimostrare e tenere in piedi la fuffa bisogna sempre partire da argomentazioni valide. La biodiversità invece è un argomento serio a cui va dedicata attenzione, investigandone tutti gli aspetti e le ricadute. Comunque una giornata ben spesa ad ascoltare come può diventare conveniente oltre che giusto mantenere in buono stato di conservazione la maggior parte possibile di biodiversità nel campo delle razze allevate, considerando un ritorno globale che comprende una attenzione specifica dedicata alla salvaguardia preventiva del territorio, alle nuove necessità di turismo desideroso di ecocompatibilità, ai nuovi prodotti di nicchia e così via. Tutte cose il cui giusto approccio deve essere molto scientifico ed economico e poco emozional- teosofico come spesso capita di sentire in altri luoghi.
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giovedì 18 novembre 2010

Il Milione 30: Vino di riso.


La parte centrale di Pechino, ripete dopo secoli lo schema ordinato, si potrebbe dire da accampamento romano, che ha mantenuto nel tempo, lo stessa che ha visto Marco Polo, che forse anche oggi riconoscerebbe i grandi viali diritti e larghi, in un certo senso sorprendenti per una città il cui progetto urbano risale a quasi mille anni fa.

Cap. 99

...or sappiate per vero che 'l grande Sire à ordinato per tutte le mastre vie, che vi siano piantati gli albori lungi l'uno dall'altro, su per la ripa della via, due passi. E questo acciò che li mercatanti o altra gente no possa fallare la via, quando vanno per cammino e questi albori sono tamanti che bene si possono vedere da la lunga.

Era davvero un piacere, quando ero laggiù, passeggiare per questi ampi viali, dai marciapiedi larghi che alternavano i parchi agli isolati di Hu Tong, le tradizionali case cortile che la rivoluzione non era riuscita a distruggere completamente. Quando già la primavera ed un pallido sole cominciavano a riscaldare l'aria, camminavi più lentamente osservando un mondo in grande fermento intorno a te. me lo sono sempre sentito vicino, il nostro Veneziano, mercante come me, ma osservatore curioso di quel mondo così nuovo e diverso, attento a spiarne differenze e punti in comune, cose positive e difetti. Di certo è la caratteristica mercantile quella che attira di più l'occhio. E' tutto un susseguirsi di negozi, bancarelle, attività commerciali e artigianali, mercati e luoghi di ristoro per soddisfare una folla in ricambio continuo con le sue continue necessità. Le bancarelle dello street food, poi sono dappertutto e sempre affollate di gente che mangia e beve a tutte le ore del giorno e della notte, come è tipico delle città vive. E' tutto uno sfavillar di fuochi sotto i wok anneriti dall'uso e pieni di olio sfrigolante dove saltano pastelle, spaghetti, tocchetti di carne di ogni tipo, fumi e vapori di cotture lente e profumate, odori di spezia, che tanto interessavano a Marco, e fiumi di bevande, bottiglie di liquori tradizionali (magari, per deformazione professionale, io andavo controllando il tappo delle bottiglie più moderne, dei quali avevamo fatto una grande fornitura all'azienda più importante) e piccoli contenitori di terracotta di vino di riso da bere riscaldato o da usare nei tanti piatti proposti, dal pollo dei tre bicchieri ai teneri e profumati bocconcini di manzo con le cipolle che ci racconta qui la nostra vivandiera Acquaviva, sapientemente aromatizzati da questo alcool morbido e vellutato e da gustare nelle piccole ciotole da tenere in mano, mentre le bacchette pescano nel cibo fumante tentando di afferrarli.

Cap. 100

Ancora sappiate che la magiore parte del Catai bevono un cotale vino com'io vi conterò. Egli fanno una pogione di riso e co molte altre buone spezie e concialla in tale maniera che egli è meglio da bere che nullo altro vino. Egli è chiaro e bello e inebria più tosto che altro vino, perciò ch'è molto caldo.
Piace ai cinesi bere in compagnia, le liriche Tang, da Li Po a tutti gli altri poeti successivi, fanno di questo vino la base della convivialità e dell'amicizia. Quando il mio amico Ping mi portò a casa dei suoi suoceri, parlammo di tante cose, compreso il calcio, argomento in cui noi italiani siamo ritenuti intenditori. Proprio il suocero era appassionato di questo sport e ammirava il nostro paese anche per questo (tutto serve nelle relazioni internazionali, meditate). Bevemmo assieme e quando me ne andai volle regalarmi due contenitori di quell'alcool, non solo bevanda ma spesso, anche simbolo di amicizia. Li ho ancora qui, non ho potuto togliere la ceralacca che li sigillano; mi piacerebbe farlo assieme ancora una volta, perchè questo è il loro senso.



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mercoledì 17 novembre 2010

Tramonto.


Mi sento proprio pigro e svuotato, per fortuna è uscito un po' di sole. Allora oggi per voi solo una lirica di Li Shang Yin, un poeta triste e malinconico del tardo periodo Tang.

Vagando nella pianura.

E' sera: tra pensieri inadeguati
guido il carro verso l'antica piana.
Il sole al tramonto è straordinario,
però si avvicina l'imbrunire.



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A Tan Ciu
Lao shi.
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martedì 16 novembre 2010

Vieni via con me.

Mi sono preso una settimana di tempo per vedere la seconda puntata prima di dire la mia al riguardo. Il successo come si sa è figlio di tanti padri, ma non si può negare che tutto quello che Fazio tocca diventa oro, anche se tutti cercano di dargli una mano. Intanto la polemica con Masi sembra fatta ad hoc, non credo che nessun esperto di immagine avrebbe potuto inventarsi qualche cosa di più efficace per guadagnare share. Detto questo, bisogna dire che la grande invenzione questa volta, è stata quella di studiare una trasmissione televisiva che più antitelevisiva non poteva essere. Credo che proprio qui stia il segreto, oltre ai contenuti naturalmente, che però riguardano solo la platea dei fedelissimi.

Facendo un discorso puramente metatelevisivo, bisogna rimarcare che la totale mancanza di ritmo, che al contrario di solito è la prima cosa che viene richiesta nella televisione moderna, ha dato al programma una sua teatralità che ha saputo stupire e comunque affascinare lo spettatore. E non è che sia stato tutto oro. Un Abbado completamente fuori ruolo, ha tenuto il suo pezzo con grande difficoltà, il buon Saviano rigido e chiaramente poco tagliato per lo show, ha anzi saputo fare di questa mancanza un pregio, dando la netta impressione di credere in quello che fa, anche se francamente i suoi interventi sono un po' troppo lunghi e si sa che non si riesce a mantenere l'attenzione delle persone, qualunque cosa si dica, per più di venti minuti. Forse è questo che la gente chiede. Stanca di sentire proclami, vuole ascoltare gente credibile.

Mi è piaciuto poco anche Rossi, un po' confuso, mentre la conferma di uno stepitoso Albanese, ha bissato il buon Benigni che, anche se è partito, sottotono e un po' ingessato, ha finito in un crescendo irresistibile, forse il momento topico delle due serate. Comunque il nostro buon Fabio, che di certo ha tratto ispirazione dalle liste del penultimo libro di Eco, ieri sera era nervosissimo, si mordicchiava frequentemente il labbro inferiore, mostrando la classica salivazione azzerata di chi è sottoposto ad uno stress pesante. Mettersi in gioco ogni volta, circondato da un cerchio che aspetta solo il momento buono per farti lo sgambetto, non deve essere facile. La presenza dei due politici con il loro comizietto, chiave indispensabile purtroppo per l'aumento dell'ascolto, hanno dimostrato ancora una volta i minimalia della politica italiana. Mirabile il finale degli Avion Travel. Per le prossime due puntate, se ci saranno, consiglierei qualche coup de theatre. Comunque il fatto che di certo anche ieri sera, il Grande Fratello, sarà andato sotto, si può definire consolante in senso lato.



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lunedì 15 novembre 2010

La fine dell'Impero Romano

Pur se sick and tired, voglio riportarvi il contenuto di questa antica pergamena che ho ritrovato in fondo alla mia biblioteca. In alcuni punti è illeggibile e inoltre la traduzione che ho tentato di fare è assai approssimativa, date le mie scarse rimembranze del latino tardo (o forse sono io il tardo).

Manlius Lentulus Simplicio suo salutem,
Persuade tibi hoc sic esse ut scribo, ma quanto ogni giorno passa sotto i miei occhi mi provoca malessere e disperazione. Sono oramai passati oltre mille e cento anni e più ab urbe condita e l'Impero, invece di trovare forza nel suo splendido passato, va scivolando inevitabilmente verso la fine. L'Imperatore ormai lontano dalla vita civile, non si cura né del governo, né del buon andamento della cosa pubblica. Circondato da empi sacerdoti è ormai dedito a sfrenati baccanali, passando da una all'altra delle sue splendide villae, dove tutte le ricchezze accumulate negli anni dorati vengono dissipate senza cura. Drappi trasparenti che arrivano dai lontani Sinii e costose porpore di Tiro adornano le lascive lupae che ormai lo circondano di giorno e di notte, per dare sollazzo alla sua insaziabile cauda salacis. Al punto che a qualcuna di queste concede cariche civili e le ricopre di importanti prebende. Il Senato non è più luogo di discussione tra uomini nobili e virtuosi che solo hanno a cuore il bene dello Stato, ma lupanare dove si scambiano favori e ..... (parte illeggibile)...

... le famiglie mandano le loro figlie più belle ai templi di Venus Fellatrix, ogni giorno ne vengono aperti di nuovi e più splendenti, ritenendo questa carriera come buona e onorevole per giungere ai fasti ed alla ricchezza. I teatri abbondano di femmine impudiche che esibiscono i loro corpi callipigi per avvicinarsi al potere. Chi si oppone, ricordando la morale antica dei nostri maggiori, viene mandato in esilio sul Ponto Euxino o indotto ...(parte illeggibile)... Davanti alle porte dei potenti, orde di clientes, ogni mattina aspettano di riscuotere la mercede delle loro nefandezze. Intanto i barbari sono alle porte e spingono sgretolando ogni giorno un pezzo di quell'impero che un tempo guidava con giustizia i popoli dalle Colonne d'Ercole alla Sogdiana.

Sarmate arroganti e giovani ermafroditi dagli occhi bistrati invadono le insulae portando le mollezze d'Oriente mentre eserciti di Etiopi spauriti passano il mare periglioso per aumentare la massa degli schiavi che un giorno si ribellerà travolgendoci. I Celti, rozzi e ignoranti che con malizia si sono ormai insinuati nella guardia imperiale, fingendo di difendere l'Imperatore, oramai maschera di sé stesso, stanno per pugnalarlo alle spalle e prenderanno presto il potere, deponendolo con ignominia. Anche i popoli un tempo nostri sottoposti, oggi ci deridono con epigrammi feroci. Amico mio, Simplicie fidelis, mala tempora currunt... (parte illeggibile) .... perché come è detto maioribus nostris: 'sera parsimonia in fundo est' e quando si consuma la fiaccola del potere non rimane la parte più piccola ma la peggiore.
O mio Simplicio ave atque vale.

Mi chiederete perché, in questo grigiore tardoautunnale, occuparsi di cose così lontane nel tempo. Avete ragione sono solo elucubrazioni un po' inutili per farmi ingannare il tempo in attesa che mi passi la diarrea.


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sabato 13 novembre 2010

Bǐ, běi .

Come certamente sapete, in Cina non si usano le posate a cui noi siamo abituati. Niente coltello (dao) volgare ed aggressivo, relegato nei meandri delle cucine fumose, inutile in tavola a cui arrivano soltanto cibi in minuscoli pezzettini. Niente forchette sostituite dalle bacchette (kuài zǐ- 筷子). Ma al fianco del minuscolo piattino su cui si depongono i cibi prelevati dai piatti comuni al centro, ecco apparire un delicato e particolare cucchiaio di porcellana, in tono con i piatti, usato per sorbire con rumorosi risucchi il brodo o le zuppe che di solito chiudono il pasto.

Durante le mie permanenze laggiù ne compravo sempre qualcuno, affascinato dalla loro forma elegante. Il carattere che lo rappresenta ( Bǐ ) si riferisce ad un antico utensile da cucina, una sorta di mestolo che rimaneva appoggiato al tavolo la cui grafia è derivata da quella di Uomo scritta a rovescio. Viene usato in molti composti, ad esempio nel comune e usatissimo ideogramma cardinale Nord (běi ), dove lo stesso radicale viene rovesciato. Due uomini che si voltano le spalle. Perché il nord è il simbolo del freddo, del gelo, dell'incomprensione ottusa, del rifiuto dell'altro che è sempre il nemico, il barbaro. Non a caso i barbari contro cui si devono costruire le più inutili muraglie, arrivano da nord.

Il contrapposto Sud è invece il simbolo del caldo, della solarità, della gioia, della comprensione reciproca. Al caldo il cervello lavora meglio e la cupa oppressione mentale non ottunde il pensiero con l'odio e l'intolleranza. Secondo i principi del fang shue le porte si devono aprire verso sud, così come a sud devono essere rivolti il trono del re e le poltrone dei teatri, perché la mente sia più aperta a comprendere, a capire, a interpretare. Se giriamo l'omino, ripetendo due volte il radicale otteniamo Bǐ - 比, in cui i due cucchiaini posti l'uno accanto all'altro significano "confrontare". Solo se due uomini si guardano e si confrontano possono valutare le differenze ed apprezzarle. Solo da un confronto sereno e sincero può nascere l'apprezzamento reciproco e la tolleranza per i reciproci difetti.



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