lunedì 31 marzo 2014

Ancora a Saigon

Al tempio


Una scuola di Kung fu
Bisogna lasciare il delta. Gli obblighi del turista si scontrano inevitabilmente contro le pulsioni del viaggiatore che vorrebbe prolungare il tempo e gli stati d'animo, la voglia di non tornare più. Vorresti continuare la strada delle acque, rimanere in barca, navigare portato dalla corrente lungo i bracci dei nove draghi per raggiungere la promessa dell'odore tenue di salsedine che senti nell'aria, arrivare all'Oceano per perderti definitivamente. Le palme e le mangrovie scorrono lente e tu vorresti andare a sud, promessa eterna di mondi lontani e perduti, forse perdenti ma desiderabili. Trovare zanzare che non ci sono, il senso di selvatico ormai svanito. Vorresti proseguire il cammino fino alla punta estrema, c'è sempre una punta estrema che non si riesce a raggiungere, un'ultima Thule che rimane sogno irrisolto di un mondo perfetto che non esiste mai, ma che vorresti vero. Bisogna tornare invece, lasciare la barca, l'acqua le traversate in traghetto, le stradine di terra, i pomeli maturi ed i caschi di banane. Cerchi una scusa per rimanere più a lungo in un tempio a sentire monaci che salmodiando canti e preghiere, fanno vibrare diaframmi profondi. Poi la macchina riparte; altri paesi da attraversare, un grande ponte ad arco, immenso trionfo di cavi d'acciaio gettato su un mare di acqua, quasi un abnorme ripetizione mille volte più grande di quei ponticelli giapponesi a schiena d'asino, su uno stagno di ninfee. Tagli le risaie che diventano via via più grandi, non come quella del fratello di Hà, poco più di ottocento metri quadri con cui riesce a malapena a produrre il riso che basta a mantenere sé stesso; anche la moglie lo ha mollato, forse attirata dalle sirene della città, una vita troppo povera per resistere sempre a mollo coi piedi nel fango. 

Per le strade di Saigon
A poco a poco il traffico aumenta ed è di nuovo Saigon, polipo gigante dove l'acqua è sostituita dalla corrente infinita dei motorini, che ti prende e ti porta verso il centro, fluida ed inarrestabile. La sera scende rapida e puoi camminare nella notte ad ascoltare l'ansimare della città. Ormai hai acquisito dimestichezza e attraversi senza patemi, giri sui marciapiedi senza più urtare nessuno, ti senti molto più in sintonia che i primi giorni, puoi viverla quasi da abitante, apprezzandone meglio il movimento, che forse comincia ad apparirti meno convulso, tutto sommato non troppo angoscioso come in certe altre città cresciute troppo tumultuosamente. La vita dei marciapiedi è tutto sommato familiare, venditori, ristoranti di strada ed avventori, un popolo che passa il tempo su una riva mentre a fianco scorre il fiume. I giardini di notte non sono affatto angoscianti come in altri paese, ma pieni di vita, di gente che chiacchiera, che mangia, che passeggia. Negli spazi, gruppi di ragazzi che allenano il kung fu; sotto grandi gazebi, coppie che ballano il tango, scuole di danza improvvisate al suono di una radio messa per terra. La città continua a vivere e non ti dà nessun desiderio di ritirarti a dormire, anzi invoglia a scoprire punti nuovi di osservazione. Lungo i grandi viali spunta sempre in fondo, la enorme sagoma della Bitexco tower, dai profili evidenziati dalla luce, quasi un monito di futuro, appena stemperato dalla vecchia che sull'angolo frigge spiedini sulle braci di una carbonella antica. Certo, bisogna mangiare qualcosa, cerchi un ristorante ma non è mica una cosa facile. 

Dalla Bitexco Tower
E' pieno di gente, dappertutto c'è la coda che aspetta. E' pieno di ragazzi e di coppiette. E' San Valentino e la maggior parte delle ragazzine tiene in mano un mazzetto di fiori. Molti sono andati assieme al tempio a lasciare una preghiera, una piccola offerta, ad accendere un mazzetto di bastoncini di incenso, per chiedere fortuna, forse per cementare il loro fresco rapporto. Lasciano il motorino sul marciapiede e cercano in qualche modo un tavolo. Sono tutti pieni, ma i camerieri si danno da fare, corrono da ogni parte; come per magia compaiono altri tavoli ed altre sedie pieghevoli, che occupano spazi improbabili, tra i motorini parcheggiati, zoppicando alla meglio tra le sconnessioni delle radici degli alberi del viale, ostruendo passaggi ed entrate ai negozi. Senza pietà e senza alla fine impedire niente, chi vuole fa lo slalom ed entra lo stesso, nessuno si lamenta e la fiera continua a tutta birra. Piccoli uomini corrono dappertutto trafelati con piatti di noodles fumanti, ciotoloni di acqua bollente in cui gettare verdure, gamberi, fette di carne; i fritti sfrigolano, la birra schiuma, dappertutto una frenesia calma. Non hai voglia di andare a dormire, così continui a passeggiare tra i fumi degli scappamenti, pronto a trovare una scusa per rimanere sveglio ancora un po', a prendere un caffé al Trung Nguyen, dove fanno lo Special San Valentino con la cialda a forma di cuoricino. Chissà cosa direbbe zio Ho.

Notte a Saigon

SURVIVAL KIT

Trung Nguyen Coffee 34 Le Duan StreetHo Chi Minh CityVietnam - Una catena locale che si pone in concorrenza con Starbuks. Il caffé vietnamita è buono, i prezzi in linea con quelli che vogliono essere di un locale alla moda (anche se la metà del suo concorrente). Qui ne trovate una grande varietà di tipi e di presentazioni.



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venerdì 28 marzo 2014

La storia di zia Ncoc


La statua di zio Ho a Can Tho

Negozio di frutta a Saigon
Zia Ncoc se ne andata qualche anno fa. Per la verità non si sapeva bene neppure quanti anni avesse di preciso, perché veniva da un piccolo villaggio del delta e laggiù, all'inizio del secolo scorso, i bambini crescevano un po' selvatici tra le piene dei canali e nessuno andava a scuola, tanto meno le ragazze, figuriamoci se contavano gli anni. Però tutti i nipoti concordano sul fatto che sia morta con un gran sorriso sulle labbra, quando la trovarono al mattino senza vita, come se si fosse addormentata serena senza il problema di svegliarsi più. D'altra parte lei non si lamentava mai neppure dei dolori alle ossa che la facevano camminare un po' curva da molti anni ed era una presenza immutabile, seppure così minuta, sempre seduta in un angolo della casa, senza quasi dire parole. Quando si era sposata se ne era venuta col marito a stare a Saigon. La vita nel delta era difficile e faticosa e il signor Hò pensava che in città si sarebbe potuto vivere molto meglio, c'erano i francesi e giravano molti soldi anche se già c'era la guerra. Quando i francesi furono sconfitti e il paese si spaccò in due i due figli, che avevano avuto uno dopo l'altro, Hung e Minh erano già più che adolescenti. Le cose stavano prendendo una piega strana a Saigon e cominciarono ad arrivare gli americani. Hung era affascinato da quel mondo che sembrava nuovo, moderno e pieno di promesse ed essendo il primogenito, si infilò negli uffici del nuovo esercito che stava prendendo posizione. Era sveglio e cominciò a parlare inglese almeno per farsi capire. In breve fu arruolato a supporto dei nuovi arrivati e a fare la sua piccola carriera, mentre l'escalation procedeva serpeggiando. Minh, il più piccolo, invece era un carattere chiuso e poco espansivo e a scuola aveva solo amici come lui. Cominciò a partecipare a riunioni politiche che si tenevano di nascosto, terminate le lezioni, in vecchi magazzini un po' defilati e rimase subito affascinato dalle idee di uguaglianza e su cui battevano quelle persone che venivano da fuori per parlare con gli studenti. 




Preghiere in un tempio
Non gli interessavano molto i dollari che vedeva scorrere tra le mani del fratello, ma una sorta di orgoglio nazionalistico cominciava a serpeggiare in lui sempre più forte, fino a fargli considerare come un sopruso la presenza di quei ragazzoni dal collo rosso sempre sudati, che alla sera cercavano solo di bere birra e di portarsi a letto le ragazzine che si sdilinquivano loro addosso pur di scucirgli qualche biglietto verde. Quando le cose presero una piega più pesante e la nuova guerra cominciò a dispiegarsi chiaramente, dopo aver litigato a lungo col fratello, rimproverandogli di aiutare chi voleva distruggere il paese, una notte abbracciò zia Ncoc forte forte e uscì nell'oscurità, dove lo aspettavano un paio di ragazzi della sua classe. Se ne andarono verso nord e dopo qualche giorno per campi e risaie, sempre di notte passarono la linea di confine. Si arruolarono nell'esercito del nord, ebbero una specie di divisa, un cappello coloniale verde, un fucile e dopo un breve addestramento erano pronti a combattere. Lui, essendo di Saigon ebbe un destino già scritto. Dopo qualche mese, mentre i bombardamenti a nord diventavano sempre più frequenti, partecipò all'offensiva del Tet e vide morire i suoi amici, poi dopo una breve tregua, in quasi due mesi di cammino di notte nelle foreste, nei cunicoli nascosti, percorse tutto il sentiero di Ho Chi Minh e finì in un gruppo di guerriglia nel Delta, proprio dalle parti di Ben Tre, da dove veniva la famiglia, a pochi chilometri da casa. Per qualche anno fu un tira e molla terribile, si stava nascosti quasi tutto il giorno tra i canneti del fiume o in cunicoli stretti e profondi, per evitare bombe e napalm, poi quando gettavano il defogliante, il famigerato agente Orange, si cercava riparo ancora più sotto la terra, che rimaneva nuda e senza vegetazione. Di notte erano le truppe del sud a ritirarsi nei loro avamposti, chiusi nelle ridotte o sulle torri di osservazione. 

Un canale del Delta
Allora uscivano a riprendersi un villaggio, a cercare cibo, a parlare coi contadini che non si sapeva bene da che parte stessero. Ogni tanto si spingeva fino ad entrare a Saigon, fingendo di portare al mercato un carretto di ananas o di papaye. Arrivava dietro casa ed entrava di nascosto. Abbracciava la madre che ogni volta piangeva a dirotto, ma piano piano, per non farsi sentire da fuori. Zia Ncoc era terrorizzata che il figlio fosse preso e gettato in una delle prigioni di Thieu o portato nei campi sulle isole di cui si dicevano cose terribili o che peggio, si trovasse un giorno faccia a faccia col fratello in mezzo alle risaie a spararsi l'un l'altro. Minh la abbracciava stretta, le diceva di stare tranquilla che la fine della guerra era vicina e poi filava via da dove era venuto. Anche Hung le diceva le stesse cose, ma intendendo un finale opposto al fratello e Zia Ncoc non era contenta, continuava a piangere perché ognuno dei due finali avrebbe significato cose tristi per almeno uno dei suoi due figli. Una volta Hung rientrò prima e sorprese Minh che parlava con la mamma. I due si guardarono come se fossero due estranei, poi cominciarono a gettarsi l'un l'altro le recriminazioni più dure. Minh aveva tra le mani la lunga baionetta che portava sempre su di sé e si gettò sul fratello che estrasse la pistola di ordinanza con gli occhi carichi di odio. Zia Ncoc si gettò tra i due disperata, si mise in ginocchio, pregò, pianse e supplicò fino a che Minh raccolte le sue cose scappò dalla porta del retro mischiandosi alle ombre della notte. Nei mesi successivi, stette bene attenta e quando arrivava, silenzioso come un gatto nel cortiletto, lei lo nascondeva, bene attenta a non farli più incontrare. Intanto le cose volgeva al peggio a Saigon. La guerra aveva preso una piega inarrestabile, tutti avevano ormai capito come sarebbe finita e gli americani cominciarono ad abbandonare il campo. Tra chi gli aveva aiutati serpeggiava un malessere sempre più profondo, capivano di essere stati abbandonati e mescolavano quindi allo stesso tempo odio verso chi lasciava il campo in rovina e disperata richiesta di aiuto. 

Vita nel Delta
A questo si aggiungeva la paura per quello che sarebbe potuto succedere non appena il nuovo esercito e il potere del nord sarebbe arrivato a fare giustizia di chi aveva collaborato con gli invasori. Si parlava di stragi terribili, un bagno di sangue vero e proprio nelle zone già liberate. Queste per lo meno erano le voci che metteva in giro il regime morente. Bisognava cercare di fuggire. Hung ottenne da un comandante di San Francisco un foglio che gli accreditava meriti per avere aiutato gli americani e con quello cercò un passaggio per le navi che stavano abbandonando il paese. Ma non era così facile, nel fuggi fuggio generale, mentre cadevano le bombe, si scatenarono gli appetiti più maligni e voraci. Anche nel disastro c'era chi sapeva approfittare delle situazioni che si erano create  e ci volevano soldi, molti soldi, per avere un posto verso la salvezza. Tutta la famiglia si attivò per salvare il figlio compromesso, vendettero tutto. Zia Ncoc portò i suoi orecchini d'oro, l'ultima cosa che possedeva, la casa se ne era già andata, alla sorella in cambio di un ultimo mazzetto di biglietti verdi. Con tutto quello che riuscì a raccogliere e una piccola valigia piena di niente, Hung riusci a trovare un posto su uno degli ultimi aerei che, in quel terribile aprile di attesa e di paura, lasciarono Saigon, verso l'America, verso la salvezza. Nessuno seppe più nulla di lui, ma zia Ncoc era finalmente contenta, figlio era salvo, libero e felice, l'altro sarebbe arrivato vincitore. In quella fine di aprile del '75 carica di attese, Minh entrò in città con le prime truppe, accolto dalle feste di gioia della popolazione. Abbracciò la madre serena finalmente per il fatto che entrambi i suoi figli erano salvi e la guerra era finita. Non ci fu bagno di sangue e le cose presero il loro verso; certo furono anni di fame e miseria, ma la famiglia a poco a poco si riprese, Minh stava diventando importante e aveva incarichi via via più prestigiosi, il futuro non era poi così brutto e Hung in America era di certo diventato ricco e finalmente tranquillo. Gli anni passarono in fretta e la famiglia si arricchì di nipoti e della serenità di una vita normale, ma zia Ncoc aveva sempre il tarlo nel cuore del suo figlio lontano, che certo se la passava molto meglio di loro, ma di cui non sapeva più nulla. 

Traffico a Cam Tho
Minh non parlò mai più del fratello lontano, si sentiva tradito come vietnamita da quella fuga, anche se questo intristiva la madre. Poi, dopo il disgelo degli anni '90, il secolo di guerre finì e col nuovo millennio arrivò una lettera dagli USA. Hung era ancora vivo certo, ma aveva avuto una vita triste e malandata, era malato e prima di morire avrebbe voluto rivedere almeno una volta sua madre, il padre era già morto qualche anno prima, ma era talmente povero da non potersi pagare il viaggio fino alla vecchia patria di origine. Zia Ncoc pianse molto. Rimaneva seduta per ore sulla sua piccola seggiolina in fondo alla cucina con quella lettera tra le mani ormai consumata dalle lacrime. Gettava di tanto in tanto verso il figlio Minh uno sguardo di supplica, una richiesta di aiuto muta che lui non raccoglieva. Anzi, si girava dall'altra parte con un moto d'ira repressa. Ci mancava ancora che lui aiutasse quel traditore. Zia Ncoc diventava sempre più piccola e curva. Un giorno Minh arrivò a casa più presto del solito dal ministero dove ancora lavorava e con un movimento brusco gettò sul tavolo una busta che conteneva il biglietto e i documenti necessari. Hung arrivò dopo un mese. Tutta la famiglia tranne Minh, lo andò a prendere all'aeroporto. Era molto invecchiato, curvo e malato. La madre se lo coccolava con gli occhi e non riusciva a staccarsi da lui, gli accarezzava le mani, gli parlava piano all'orecchio, dicendogli cose che nessuno sentiva. Quando arrivarono a casa c'erano anche tutti i vicini, una gran confusione, Minh se ne stava appartato e seduto in fondo al giardino senza partecipare. Quando tutti se ne andarono, Hung andò anche lui a sedersi su una panca sotto l'albero di frangipane appena fiorito. C'era un bel profumo nell'aria. Rimasero soli, muti, guardandosi a lungo negli occhi. Nessuno aveva cuore di disturbarli. Dopo più di un'ora zia Ncoc prese il vassoio del the e uscì da quella porticina del retro da dove il suo ragazzo scappava nella notte, tanti anni prima e lo portò sul tavolino di pietra. Li trovò abbracciati e muti. Pianse molto zia Ncoc, ma questa volta pianse di gioia, anche se fu triste quando Hung se ne ritornò in America. Poi per gli anni che ancora le rimasero non pianse più e quando se ne andò, quel mattino di primavera, trovarono tutti che aveva davvero un bel sorriso e che, nonostante l'età, quasi non si vedevano le rughe.


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giovedì 27 marzo 2014

Recensioni: Jovanotti - Il grande Boh!

Interessante questo lavoro del rapper italiano più famoso. L'ho sentito molto vicino al mio modo di sentire ed interpretare il viaggio. Un insieme di sensazioni, di stati d'animo, di piccole cose messe insieme mentre percorri strade, deserti, paesaggi, mentre parli con gente con cui non hai lingua in comune, mentre dividi il cibo con persone che non vedrai mai più. Un libro alla Kerouak, on the road, naturalmente con le dovute proporzioni. Un libro di immagini, di racconti, di storie, di poesie, un po' come piacerebbe fare a me e come cerco di fare quando torno da qualche posto lontano. Così ho trovato molto coinvolgente, ad esempio, il racconto del suo viaggio solitario in Patagonia, uno dei miei desideri futuri, naturalmente in macchina e non in bicicletta oppure la storia della nascita di un suo disco, L'albero, anche qui una descrizione che ti apre un mondo di ricerca, di travaglio interiore che dovrebbe essere davvero quella propria di un artista. Si legge in un attimo, poi ti viene subito la voglia di partire.


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mercoledì 26 marzo 2014

Wēi jī

Ma cos'è questa crisi, paraparapappapappa, diceva la canzoncina del secolo scorso. Se lo sono chiesto in tanti, con risposte diverse, e molti continuano a chiederselo, per lo più con una intonazione catastrofistica e assolutamente negativa, una contingenza da cui certo bisogna in qualche modo uscire, ma solo a costo di gravissimi sacrifici che nessuno vuole accettare. Forse è vero, ma non bisogna esaminare meglio la cosa, cercare di trovarci qualche valenza, non dico positiva, ma di speranza per il futuro? Allora, tanto per stare in tema col nostro blog, vediamo un po' i cinesi che ne pensano a proposito. Un tempo, per la parola crisi si utilizzava la parola wēi jí, ma con il secondo accento sul secondo ideogramma, una intonazione crescente che dà proprio la sensazione di una sospensione dubbiosa e piena di ansia. I due caratteri usati 危急, significano Pericoloso, rischioso il primo e Ansioso, violento, in emergenza, il secondo con ulteriore senso rafforzativo. Quindi la crisi era vista come un pericolo duro e emergenziale, creatore di ansia a causa dei rischi insiti nella situazione. Il primo carattere è costituito infatti da tre segni: Coltello, Precipizio e Sigillo. Estremamente significativo in quanto il segno di sigillo è sempre associato ai concetti di ufficialità e importanza, quanto alla presenza del coltello che ti spinge sull'orlo di un burrone, mi sembra che poche immagini siano più adatte a descrivere il senso di pericolo e di rischio. 

Il secondo, rafforzativo del primo, ha in sé nuovamente il segno del Coltello e poi quello della Testa mozza di maiale, sopra al segno di Cuore che rappresenta sempre sentimenti e concetti di astrazione legati alle passioni, quindi violenza associata ad ansia. Non si potrebbe trovare una combinazione più calzante, ma nel cinese moderno, quando si parla di crisi, in particolare legata all'economia, si utilizza un altro carattere, che anche se si pronuncia quasi allo stesso modo, con il primo accento piano invece del secondo, più riflessivo e tranquillo, cambia e non poco, il senso generale della parola, introducendo un'altra interessante sfumatura. Infatti, il secondo carattere della parola moderna 危机 - wēi jī, significa Macchina, Strumento e anche Occasione, Opportunità. Quindi Congiuntura ufficialmente rischiosa e densa di pericolo, ma che contiene opportunità. E' davvero interessante notare quindi come la mentalità cinese, sempre piuttosto positiva, veda in ogni crisi economica anche delle occasioni da cogliere. Chi è attento e non si fa vincere dalla sola negatività catastrofista, può trovare delle occasioni da cogliere per rafforzare le proprie posizioni al momento in cui ci sarà la ripresa, per quanto la crisi sia grave e profonda. Saranno poi così scemi questi cinesi?  


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martedì 25 marzo 2014

Amore, orgoglio e pregiudizio.

Una barcaiola del Delta



Una cuoca
Le terre del Delta sono un succedersi di risaie. Ormai, dopo la rivoluzione organizzativa della fine degli anni '80, più moderne e di certo più vicine ad una agricoltura attuale, che a prescindere dalla possibilità climatica che consente addirittura tre raccolti all'anno, ha aumentato la produzione a tal punto, attraverso la diffusione della meccanizzazione e delle moderne tecniche di coltivazione, da portare il paese a diventare il secondo esportatore mondiale di riso, mentre prima ne era importatore netto, nonostante il forte aumento della popolazione. Così le strade attraversano risaie infinite, tra canali e ponti sulla immensa pianura, punteggiata di cappelli a cono chini sul fango, uomini e donne al lavoro; sembra che quasi la metà della popolazione vietnamita si dedichi al riso. Certo forse un tempo le fatiche maggiori dell'agricoltura se le assumevano, come in tante parti del mondo, le donne, la cui condizione era decisamente triste, come dettava la tradizione della cultura orientale di stampo cinese. Una condizione assolutamente subalterna che metteva la donna su un piano decisamente inferiore a quella dell'uomo. Le cose in parte sono cambiate dopo la riunificazione. Oggi le donne sono molto presenti nella vita sociale, almeno la metà degli studenti universitari sono donne, anche se poi le opportunità lavorative sono forse diverse, ma tutto sommato si può dire che abbiano fatto un notevole passo avanti. Una svolta la diede senz'altro, all'inizio del 1800, uno dei più famosi poeti vietnamiti, Nguyen Du con il suo celeberrimo poema La storia di Kieu, un'opera che supera finalmente tutti i pregiudizi sociali della condizione femminile. 

Una cantante di canzoni tradizionali
Fino ad allora la donna doveva essere capace nel lavoro, bella, saper parlare bene e essere eticamente inappuntabile, un essere che aveva il dovere di apparire perfetto insomma, ma che però aveva solo i cosiddetti tre compiti, servire il padre, poi servire il marito, infine, morto questo, servire il figlio secondo un ciclo immutabile. Era paragonata alla cicogna in una antica poesia: Com'è stanca la cicogna, all'argine del fiume Che al marito porta il riso assieme al pianto. Diceva poi una antica canzone popolare: Una donna è come una goccia di pioggia che cade senza poterlo decidere, su una casa lussuosa o in una risaia. Un destino in cui le decisioni che la riguardavano venivano prese da altri. Con la storia di Kieu invece cambia completamente il punto di vista. Kieu è bella ma anche intelligente e proprio per questo subisce le gelosie e le ingiustizie del mondo, mentre il poeta ne mette in rilievo i pensieri e la considerazione che ad essa è dovuta. E' la prima volta che nella letteratura si sottolinea  un punto di vista nuovo per le donne, che dovevano sopportare pregiudizio e irrilevanza, mettendone invece in rilievo i pensieri profondi, le sue tristezze ed il coraggio di combattere per se stessa per acquisire indipendenza e rispetto.  Ma com'è oggi la ragazza vietnamita? A tutta prima hai l'impressione di una dolcezza infinita, sguardi teneri e sorriso accomodante soprattutto se paragonato ad una certa rudezza degli uomini, un po' sguaiati, un po' menefreghisti, interessati più a trascorrere il tempo con gli amici o nei divertimenti tipici della loro cultura, il gioco o gli sport moderni come il calcio che sta andando per la maggiore. Se si appoggia a te e canta una ninna nanna con la testa leggermente reclinata da un lato, socchiudendo gli occhi come se sognasse, la sua voce perde le asperità della lingua e diventa suono dolcissimo e avvolgente. 

Una caramellaia
Vorresti tornare bimbo tra le braccia di una madre. In realtà, pare che la ragazza vietnamita, quando qualcosa gira storto e non si risponda alle sue aspettative, sappia velocemente trasformare la dolcezza del suo sorriso in una piega dura della bocca, due piccole rughette verticali si formano tra le sopracciglia come fossero tagliate da una lama d'acciaio e subito sprofondi in un mutismo di quelli che durano settimane, mentre la risposta alla domanda: "Ma cos'hai?", riceva il classico e implacabile: "Niente", la più tranchant delle risposte. Sanno essere crudeli eppure sono così terribilmente romantiche. Trascinano i fidanzati riottosi, ma accondiscendenti, almeno fino al matrimonio (così dicono le mogli piccate) nelle sale karaoke per cantare accanto a loro canzoni dolcissime e poi mentre i loro compagni si accendono davanti alle prodezze del Barcellona o del Manchester United, si lasciano andare nelle cucine davanti alle telenovele thailandesi o coreane e sempre più spesso vietnamite, che i vari canali televisivi passano senza sosta e piangono, piangono copiosamente alle tristissime vicende delle varie eroine che si sacrificano per amore. Ecco perché il più famoso libro della letteratura straniera del Vietnam è L'amante della Duras (di cui consiglio anche la bellissima ed elegante riduzione cinematografica di Annaud). Una vicenda in cui amore e sacrificio, cose non dette e doveri improrogabili, si intrecciano continuamente ed alla quale si aggiunge il fatto di essere stata storia vissuta autobiograficamente dall'autrice, proprio qui, tra le risaie del delta, dove viveva ragazza e dove si dipanò la sua storia d'amore incompiuto. La casa dove si sono svolte le vicende tra Cam Tho e Saigon è tuttora meta di pellegrinaggi da parte di fanciulle dagli occhi sognanti che poi, alla fine, si accontenterebbero anche solo di ricevere un mazzolino di fiori e di essere portate a cena dal loro ragazzo a San Valentino.

Una tessitrice di stuoie

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lunedì 24 marzo 2014

Cam Tho. Al mercato galleggiante.

Il Mekong a Cam Tho

Cam Tho si può considerare la capitale del delta. E' una città adagiata nel punto dove un ramo del Mekong si spezza in due nella sua pigra ansia di raggiungere il mare. Ti dà la sensazione di una vita tranquilla da trascorrere sulle rive del grande fiume. Dalla terrazza sul tetto dell'Hotel proprio sulla riva, ti puoi godere l'alba con la palla rosso arancio che sale adagio dietro le brume lontane, che a poco a poco rischiara l'aria. All'orizzonte tremolante compaiono i ponti lontani, le risaie i bracci di acqua che marezzano la pianura come una trina merlettata. I barconi di ogni dimensione che risalgono i canali carichi di derrate, sabbia, materiali da costruzione, hanno un andamento lento che ti condiziona il pensiero, ti dà una intonazione di calma tranquilla, che è poi l'aria che caratterizza tutto il delta. Anche questa era una delle città calde della guerra, presa e perduta continuamente dalle due parti, ma adesso, quella vicenda è tutta acqua che non macina più, storia passata, che il grande fiume ha fagocitato, digerito, resa inoffensiva ai sentimenti, come se il dolore si potesse attutire col tempo e con i decotti di foglie di loto. Puoi camminare nelle strade della città vecchia, guardare i banchi dei mercatini, quelli per i turisti e quelli della vita normale, carne, pesce, verdure, ma inevitabilmente arrivi al fiume, una calamita potente a cui non si riesce a sfuggire. Prendi una barca e ti lasci andare alla corrente. Sfiori le chiatte immense, passi il ponte al bordo della città, l'alba è passata da poco, c'è ancora il tempo per vedere molto sul fiume. Sulle rive scorrono le attività della periferia di Cam Tho, le lavorazioni, del cocco, quella dei tronchi immensi che arrivano proprio dal fiume. 

Qui un piccolo cantiere per le barche, attrezzo indispensabile, di là un grande mulino per lavorare il riso con le chiatte in attesa di caricare. Poi dopo un altra ansa, il fiume sembra quasi sbarrato da barconi, mezzi e pontoni di ogni genere. In un attimo ci arrivi dentro; è il più grande mercato galleggiante all'ingrosso della zona. Vieni preso in mezzo e quasi stritolato, tu nel tuo piccolo guscio, dalle grandi barche cariche di merci che sono alla fonda. Ognuna, sono grandi sampan dalle vele abbassate, ha un lungo pennone, una decina di metri, issato a prua. In cima, un mazzo di ananas, un grande jackfruit, manghi, papaye, pannocchie di mais, cavoli o altra frutta o verdura. E' il segnale di quanto offre la barca. Se vuoi comprare rambutan, cerchi da lontano la barca che issa un bel mazzo di pallini rossi e pelosi, ti accosti, se vuoi sali a bordo, se no ti fai gettare un campione, lo guardi, lo valuti, lo assaggi e poi cominci la trattativa per la quantità che ti serve a seconda se sei un consumatore o un rivenditore con un banchetto al mercato. E' tutto un fervore di trattative, le barchette vanno e vengono come api attorno attorno all'arnia, si discute, si definisce, si caricano caschi di banane e poi via verso un altro barcone a farsi lanciare gli ananas come palle da rugby, fino a riempire, fino a che l'acqua sfiori il bordo del natante che pare affondare nell'acqua calma. 

Poi tutto un contorno di barchette di servizio che offrono bevande, piatti pronti da consumare al volo, veri e propri negozietti di droghiere e di utensili di plastica di ogni tipo. Ecco lì un cappello a cono chinato su un fornelletto a cuocere il pho, la zuppetta di noodles, il piatto vietnamita più comune in ogni parte del paese. La donna alza la testa e te la offre con poche parole, con l'accento gutturale e modulato della lingua vietnamita, di certo magnificandone la bontà. Quante attività in contemporanea. Forse non c'è lo stesso colore dei mercati galleggianti thailandesi, dove però ormai trovi più barche di turisti che di acquirenti, ma è comunque davvero piacevole mescolarsi all'andirivieni convulso ed al traffico di questo enorme agglomerato di natanti. Fai fatica a distaccartene, anzi alla fine chiedi di fare ancora un ultimo giro, poi te ne fai una ragione, te ne devi staccare e torni verso il pontile centrale della città per fare ancora due passi nel mercato di terra, dove gli acquirenti dettaglianti arrivano anche loro per rivendere ai consumatori quanto comprato lontano in mezzo al fiume. Non puoi tornartene in albergo senza portarti dietro un sacchettino con un enorme pomelo dalla spessa buccia verde scuro e qualche mango delizioso verde oro, già morbido e pronto da sbucciare. E' a perfetta maturazione, giusta stagionalità e chilometri zero, cosa vuoi di più!    



SURVIVAL KIT  10

Cam Tho è la capitale del delta, ci si può arrivare in bus da Saigon o con i vari tour organizzati del delta di 2/3/4 o più giorni. Gradevole cittadina in cui aggirarsi tra mercati e vie circondate di vecchie case.

Hotel Kim Tho 1 Ngo Gia Tu, Can Tho - Uno dei migliori 3 stelle visti durante il mese (attorno ai 40 Euro la doppia). Moderno con camere spaziose e mobili di design. Pulito, WiFi free. Dalla sala ristorante e colazione vista magnifica sul fiume specialmente alla sera e all'alba.

Da vedere: 
Mercato all'ingrosso galleggiante di Cai Rang. Andare al mattino più presto possibile. In barca dal mercato di Cam Tho circa 6 km (calcolate 2 ore in tutto).
Tempio di Ong - Buddismo  mahayana - Sul lungo fiume- molto frequentato anche da giovani (e coppiette specialmente a San Valentino)
TempioMunirensay - Di buddhismo Theravada come quelli della Cambogia, con monaci.
Mercato della città - ricco di banchetti molto fotogenici sempre sul lungofiume, all'arrivo della barca dal mercato galleggiante.

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sabato 22 marzo 2014

La donna di sabbia






Ricordo un bellissimo film del '64 di Hiroshi Teshigahara, La donna di sabbia, per chi volesse vederselo cliccare qui. Un lontano villaggio ai limiti del deserto era minacciato dall'avanzare di una duna, gli abitanti avevano scavato una trincea ai limiti del paese, dalla parte dove soffiava costante il vento da nord, che però doveva continuamente essere svuotata dalla sabbia che avanzava ogni giorno. Una lotta senza fine. Quando passava uno straniero, gli abitanti del villaggio lo catturavano e lo buttavano nella buca dove già c'era una donna, condannata per chissà quali crimini a continuare lo scavo. Un lavoro infinito che i due schiavi dovevano continuare se volevano essere alimentati. Una storia estrema, forse impossibile nella realtà. La fornace è là, quasi dietro la collinetta, sulla riva di sinistra di questo braccio minore del Mekong. L'imbarcadero è un po' più solido degli altri, segno che di quando in quando arrivano barche un po'  più grosse a caricare i mattoni. Subito dietro tra le palme, i grandi coni arrotondati della fornace. Grandi termitai di mattoni alti una decina di metri l'uno, costruiti con una certa cura architettonica, le strette porte d'ingresso con uno strombo di archi rientranti a sesto acuto. Paiono trulli, nuraghi, cupole di templi khmer abbandonati, tombe ipogee che archeologi lungimiranti hanno individuato e da poco portato alla luce. Lungo la circonferenza, una fila di mattoni sporge creando una scala per salirvi fino in cima, ma creando allo stesso tempo un fregio ornamentale molto gradevole all'occhio.

Alcune sono vuote, altre in via di riempimento. Far mattoni, una pratica ancestrale che ha condotto l'uomo nei millenni dai villaggi alle città. L'ansia di costruire, racchiusa tra fuoco, terra e sudore. Fatica primordiale di uomini dalla schiena spezzata ad impastare fango e poi a cuocerlo con la stessa dedizione del vasaio. Ti aggiri in un dedalo di mattoni, quelli ancora crudi, quelli già cotti pronti ad essere mandati là dove serviranno a costruire, ad elevarsi nella loro nobiltà, a diventare casa, da strumento grezzo che sono. Muri rossi senza fine, ancora soltanto merce da vendere, ma che già sono strade tra un forno e l'altro e forse già la loro sustanzialità di voler essere abitazione si mostra con la sola presenza. Tra le barricate rosse infatti si stende una tettoia, dei teli, si creano quasi automaticamente spazi, angoli, corridoi. Laggiù in fondo, un deposito enorme di pula di riso. Già perché per cuocere i mattoni, non basta farli dall'argilla cruda nelle apposite forme, portarli, accatastarli al chiuso dei forni in pile ordinate e costruite secondo schemi precisi per ottenere una cottura perfetta, ma bisogna poi, per giorni, cuocerli con un fuoco costante, sempre uguale e che non si spenga mai. L'uomo deve mantenere la sua attenzione viva in continuazione per non rovinare l'opera precedente. per portare alla fine in modo perfetto il lavoro. Il fuoco va alimentato con un paio di badilate di pula ogni quarto d'ora. Il carburante vegetale deve scendere come la sabbia di una clessidra a poco a poco nel fornello e mantenere la fiamma via. 

Una specie di fuoco sacro che non si spenga mai e che per questo ha bisogno della sua vestale che gli dedichi la vita. Così, su una sedia sgangherata di plastica, sta la signora Linh. Sotto la tettoia aperta e circondata dai bastioni di mattoni, in un angolo un po' nascosto, c'è una larga stuoia che le serve da giaciglio e nell'altro angolo una pentola su un trespolo e qualche altro arnese che funge da cucina. Non riesci a dare un'età a quel viso rugoso, ma di certo non è giovane, come non lo è il marito che giace a dormire sulla stuoia. La signora Linh aveva una piccola risaia, 500 metri quadri a mezzaluna, delimitati da un arginello contorto e un orto con una capanna di frasche a lato. Quel poco che produceva, aggiunto ad un po' di anatre, un maiale e i pesci che si trovava nella nassa, erano appena sufficienti a nutrirli, ma in fondo avevano bisogno di poco. La vita scorreva nel ricordo di quegli anni lontani, la paura, la morte che arrivava dall'alto, i soldati che spuntavano di giorno dalla Nazionale, gli altri di notte dal bosco in fondo alla risaia. Bisognava cambiare la bandiera esposta due volte al giorno, al mattino quella del sud, alla seta quella rossa con la stella gialla per il Fronte. Quella mattina, la bomba arrivò con un sibilo dietro la capanna, il rumore dell'esplosione così forte che per giorni non si poterono più parlare, gridarsi la loro disperazione, per i loro due figli che erano dentro le pareti di legno in fiamme, mentre erano in fondo al campo a trapiantare il riso. 

Poi, il resto della vita che scorse piatta e senza scopo. Non ha avuto altri figli la signora Linh. L'anno scorso il marito aveva constatato di essere troppo vecchio per continuare ad arare il campo, rifare l'argine con la zappa dal manico corto; ogni volta che piegava la schiena gli pareva di non riuscire più ad alzarsi. Così sono venuti alla fornace. La famiglia che ci stava prima con due figli piccoli, aveva deciso di andare a cercare un'opportunità in città, non poteva continuare a crescerli selvatici tra la foresta di mattoni. Il contratto di lavoro è semplice. Devi stare qui sempre, devi vivere tra i mattoni in attesa che passi quel quarto d'ora per buttare le due palate di pula di riso e mantenere acceso il fuoco sacro del tempio che non si può spegnere mai. Dopo dodici ore ti butti sulla stuoia e dormi e il tuo posto lo prende tuo marito, una alternanza senza fine, una schiavitù da cui non ti puoi liberare, mai. Forse ti serve a non pensare. Tra una palata e l'altra rimane giusto il tempo per riscaldare qualcosa sul fornelletto, buttare un po' di pula, poi mandare giù due sorsi di zuppa. Linh, la donna di argilla, non sembra soffrire questa condizione, sorride. Alla coppia danno anche 80 dollari al mese, quanto basta per comprare quello di cui sfamarsi. Racconta senza affanno. Poi si scuote e corre a gettare una badilata di pula nel fuoco.

L'interno di un forno


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venerdì 21 marzo 2014

Il delta


Lavorazione dei cocchi

Capanna di pescatori sul Delta
Andare a sud, sempre più a sud, dove la terra diventa sabbia e fango, dove si mescola con l'acqua, presente in rivoli sempre maggiori, dove la presenza del fiume non è più episodica ma sostanziale, dove alla fine prende il predominio e si sostituisce alle strade ed i canali ai sentieri, dove conta di più la barca che l'auto. Di nuovo il Mekong, l'immenso fiume dell'Indocina. L'ho seguito per anni, da quando ancor piccolo, ma già minaccioso e prepotente scendeva dalla forre tibetane, a quando più calmo e disteso, già largo diventa confine tra Thailandia e Laos, percorrendolo al battito lento del motore di grandi barche che risalgono la corrente e più a sud quando ingloba in sé isole grandi quanto intere provincie o si spezza in mille rivoli, popolato da genti che vivono sul fiume e del fiume, dove non ci sono ponti e lui è barriera che unisce. E poi ancora in Cambogia, dove diventa lago e mare, immenso, dove quasi non distingui più l'altra riva, potente motore di vita. Lo ritrovo qui, dove si spezza in nove bracci, i nove draghi capricciosi, ognuno immenso e ansioso di giungere ad abbracciare quel mare che sembra non arrivare mai, anche se ci sei sempre più vicino, con la corrente che le maree fanno rientrare e le barche gigantesche che lo percorrono come globuli nel sangue vivo di questa nazione, dove questo fiume ha contato tanto. Più nulla scorgi dei luoghi della guerra, che pure qui è stata terribile, la corrente si è portata via i morti e il loro ricordo è storia lontana. Adesso è il tempo del lavoro, delle attività, degli affari che percorrono il fiume. 

Albero di pomelo
Certo ci arrivi in macchina, ma non ti senti a posto, ne rimani estraneo, perché nelle terre d'acqua ti senti a tuo agio solo sull'acqua, andando lungo la corrente al suo ritmo, sentendo l'onda leggera che scivola sul fianco mentre vai e ti lascia il tempo di osservare quanto passa vicino, quanto accade sulle rive. La vita tranquilla dei fiumi. Intanto i pescatori lo popolano numerosi, con piccole reti o grandi bilancieri lasciati a mollo nella corrente, oppure nelle zone lasciate più tranquille dalla corrente, nelle mille anse un po' defilate, che diventano campi di raccolta cosparsi di nasse e altre trappole d'ogni misura, dove la gente di fiume viene a mietere. Sulle rive coperte dal rigoglio del tropico, una vegetazione fitta e verdissima, palme, mangrovie, cocchi di acqua, felci e tanti alberi d'ogni forma e dimensione. Molti carichi di frutta, manghi, rambutan, frutti del drago, papaye e banane, tante e d'ogni dimensione. Qui non è difficile vivere, la natura è generosa e invita a passare le ore più calde su un'amaca tesa tra due tronchi vicini, a godere il riposo nell'afa umida del meriggio. Sono poche le risaie della fatica, della vita trascorsa a mollo nel fango. Qui pare che basti allungare le mani e raccogliere. Tante piccole attività però fioriscono ad ogni caletta isolata, Un pontile traballante ed ecco una montagna di cocchi da cui ricavare di tutto, fibra per stuoie, olio, pasta, caramelle. Di là arnie selvatiche da cui raccogliere miele, più oltre si tesse il rattan.

In barca sul Delta
La barca si inoltra in canali sempre più piccoli. L'acqua è uno specchio verde che si infila in gallerie naturali di alberi e foglie. Scendi a vedere un frutteto che pare un giardino dell'Eden, tanta è la varietà. I grandi jackfruit, anomalie genetiche che pendono dai tronchi, attaccati a piccioli che paiono incapaci di reggere tutto quel peso, mangostini piccoli e numerosissimi, un alberello gracile che è letteralmente ricoperto di pomeli dalle dimensioni mostruose, quasi fossero palle artificiali appese ad un albero di Natale troppo piccolo per sorreggerle tutte. In fondo ad un viottolo, una serie di grandi orci ben chiusi da coperchi di legno. Un odore terribile ne emana, puzza di marcio insopportabile. E' la fermentazione del pesce per produrre il nuoc mam, la salsa alla base della cucina vietnamita, che viene poi imbottigliata e vi troverete sul tavolo in ogni ristorante. In fondo non è altro che il garum dei latini, ma che puzza, ragazzi! Sbarchi su una riva rialzata. Isola o terraferma, è impossibile distinguere nelle terre del delta. Qui solo piccoli sentieri che conducono da una capanna all'altra. Ogni tanto incontri piccoli agglomerati di case, qui si tesse, là si intrecciano stuoie o si lavora il riso, frutto di qualche campo occultato dal verde. Girare in bicicletta su queste stradine è cosa d'altri tempi, senti solo il rumore dell'acqua ferma, qualche ronzio di libellula sui canneti, il frusciare di foglie secche. 

Cocchi d'acqua
La casa del signor Nguyen è nascosta dietro un piccolo canale, dove lui ha ripulito uno spazio trasformandolo in praticello, con un paio di tettoie, qualche amaca, tavoli e sedie. Una piccola attività che col tempo diventa prevalente alla fatica del pescatore. Intanto ti porta in tavola una sapida zuppetta coi ravioli, gli onnipresenti involtini fritti, un maiale stufato in bocconcini morbidi e saporosi, delicati ed enormi gamberi di fiume bolliti da bagnare appunto nella salsa nuoc mam ed uno straordinario pesce orecchio d'elefante, dalle carni morbidissime che ti mette in pace col mondo. Un bicchierino di grappa di riso fatta in casa per finire. Ride, ride sempre di gusto il signor Nguyen, le cose non vanno male adesso. Guarda con occhio tenero le nipoti che aiutano a portare via i piatti. Non è come una volta, quando arrivavano gli elicotteri dalla parte del mare e quel rumore tambureggiante, voleva dire terrore e morte e tutti scappavano dietro i terrapieni sperando che quella volta se ne andassero oltre a scaricare il loro veleno. Ma sono storie vecchie, il signor Nguyen non ha voglia di raccontare, non gli va forse di ripensare a quei tempi, sia che fosse un semplice pescatore che voleva solo salvare la pelle, sia che di notte uscisse dai nascondigli tra le risaie per assaltare i posti di blocco dei soldati di Thieu sulla nazionale. Adesso in verità, gli interessa solo che tutti i giorni qui gli arrivi qualche gruppetto di turisti a mangiare, a stare un po' distesi sulle amache e se sono americani, meglio ancora, che adesso invece di napalm scaricano dollari.
Il pesce orecchio di elefante

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SURVIVAL KIT 9

Escursioni nel delta vengono offerte da tutti gli alberghi e da tutti i bugigattoli che fungono da agenzia. I prezzi variano, ma attenzione che a prezzi troppo bassi corrispondono servizi scadenti. Ho sentito molti che si lamentano. Io come sempre mi sono trovato molto bene con Asiatica travel

E' possibile arrivare anche in barca dalla Cambogia con un itinerario di tre o quattrogiorni. Anche qui le testimonianze dei viaggiatori sono contrastanti. 

Nella zona tra Ben Tre e Vinh Long è possibile fermarsi a dormire in famiglie locali, quelli che noi chiameremmo agriturismi per assaporare la vita locale.

Comunque il fascino principale rimane quello di girare in barca a motore lungo i rami del fiume o a remi nei canali più piccoli per godersi il fiume e le sue attività. Consigliatissimo un giro di una mezza giornata in bicicletta (si trovano facilmente in affitto).


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