martedì 30 novembre 2021

Luoghi del cuore 117: I tagliatori del Nagaland

Alla corte dell'Angh (al centro) di Hong Phoi

Ma è lecito aspettarsi ancora di vedere un re, nel pieno dei suoi poteri, che li eserciti per il bene della sua comunità di sudditi fedeli? Se lo vuoi devi girare, muoverti, guardarti intorno. E allora andiamo, venite con me ancora di villaggio in villaggio attraverso colline arrabbiate che conquisti con il faticoso borbottare del motore che ansima ad ogni curva. Tang Nyu è più nascosto tra il verde, con capanne basse e deserte, gli adulti nella foresta ed i bambini che corrono incontro alla novità della giornata. Poi il cammino ti riporta a Mon, questo agglomerato incongruo allo spirito di queste terre, fatte e predisposte ad una vita di lotta alternata tra uomo e foresta. Qui la crescita inarrestabile della specie ha costituito un formicaio di baracche che hanno azzannato il monte corrodendone i fianchi e le vallette circostanti, popolandole completamente di strade contorte, di case, di muri e di folla bramosa di vivere. Una esigenza di vita simile a quella che ormai si conosce, giacché le telenovele di Bolliwood portano anche negli angoli più nascosti e reconditi, vestiti leggeri che svolazzano e auto lussuose, case con bagni immacolati e banchetti di gente felice che balla e viaggia per il mondo, in paesi così lontani da non poter neppure essere immaginati e allora tutto questo si deve applicare anche a luride stamberghe di assi sbrecciate, ricolme di merci povere che scimmiottano quell'abbondanza sognata, un mercato che vive dello scambio di quei prodotti che comunque riescono ad essere a disposizione. 

Donne al lavoro
Gli angoli liberi si riempiono di motorette che sparacchiano fumi puzzolenti schizzando liquame di colature che escono da casupole cresciute senza merito. Le immondizie del mondo moderno non sono come quelle dei nonni. Anche i residui delle teste tagliate scomparivano velocemente al sole del tropico e l'acqua del monsone lavava facilmente sangue e bucce di banana che tornando alla terra si consumavano. Oggi lattine, sacchetti, cartoni e ogni altra invenzione che ha mosso il mondo, si accumulano negli angoli a a poco a poco invadono con la loro presenza molesta tutti gli spazi, poiché non si era in grado di prevederne la vita e la necessità, di come queste cose utilissime ed indispensabili, necessitino di un progetto che vada oltre il semplice uso, di una visione completa che conduca dalla nascita fino al loro smaltimento. Così Mon, mostro assetato ed alla perenne ricerca di materiale che lo alimenti, di energia che lo mantenga in vita e che arriva comunque a singhiozzo, quasi a mantenere una sorta di stato agonizzante e precario, continua a crescere come una ciste molle in un corpo un tempo sano anche se anoressico. Giovani inurbati dalle zazzere moderne, popolano gli angoli delle strade e gli anfratti del mercato. Hanno sguardi che la conoscenza dei fatti rende avidi ed al contempo spenti per la frustrazione, mentre attorno a loro le scorie di un mondo estraneo si ammucchiano. 

Anziani konyak
Anziani konyak
Frotte di ragazzini nella divisa delle diverse scuole, forse concorrenti tra di loro, stanno tornando a casa dopo la fine delle lezioni, lanciandosi i lazzi tipici dell'età. Tra i diversi collegi ci deve essere rivalità, quasi senti aleggiare lo spirito bellicoso dei nonni. Eppure queste ordinate gonnelline plissettate tutte uguali, le camicette bianche, i pantaloncini e le cravatte incongrue al luogo con lo stemma della scuola, raccontano di un marchio inglese ormai indelebilmente impresso in tutta l'India che unifica questa terra dai mille popoli anche al di là della loro stessa volontà e di certo molto più profondamente di quanto loro stessi credano. Mon non è una città piacevole da vivere, ma ci leggi la volontà inarrestabile di sopravvivere. Però c'è un altro paese perso nel bosco a una quindicina di chilometri verso nord, nel fitto della jungla, Hong Phoi, che bisogna vedere assolutamente. Poche case raggruppate attorno a tre morong, antichi, dalle travi scolpite con figure inquietanti, che raccontano di sacrifici di animali e di battaglie tra uomini. Qui forse c'è la più alta concentrazione di anziani, che rappresentano un passato che sta per scomparire definitivamente. Se ne stanno radunati nel morong principale, quello in cui quando erano ragazzi avrà visto i loro raduni prima delle incursioni ai villaggi nemici e le feste barbare al ritorno di quelli che, ancora vivi potevano esibire il loro macabro bottino a testimoniare il loro valore. Teste tagliate da appendere sulle picche sull'altare della piazza del villaggio, prima di farsi tatuare dalla regina la prova imperitura del loro valore sui volti e renderli ancora più truci, più spaventosi.

Lavori artigianali
Adesso pare il salone di un nostro circolo della boccia, con una decina di vecchi attorno al fuoco al centro che parlano del passato; forse l'unica differenza è che qui non possono lamentarsi delle pensioni che non hanno. L'angh del villaggio, il re, se ne sta al centro, muto, come chiuso nei suoi pensieri, col cappellino di pelliccia coronato da zanne di cinghiale, le pesanti collane coi teschi di ottone stilizzati e attorno ai polpacci i bracciali di turchesi, segno del comando. Gli altri che lo circondano, di certo vecchi compagni di battaglia, sono decisamente più loquaci e accolgono gli ospiti con evidente piacere, forse già pensando al dono di prammatica che i visitatori devono portare al re per omaggiarne l'importanza. Tutti stanno intrecciando cesti, con gesti attenti che seguono consuetudini antiche. Tutto appare quasi una di quelle sale di casa di riposo dove i vecchi devono fare attività diverse che li tengano occupati socializzando tra di loro e finendo inevitabilmente per litigare. Qui probabilmente no, anche grazie alla presenza dei lunghi ed affilati coltellacci che ognuno brandisce per svolgere il suo compito. I più gioviali ci vogliono comunque offrire un thé, che sta ribollendo sul fuoco ed altri generi di ristoro. Qualcuno esibisce pesanti bracciali di avorio, altri hanno le orecchie trapassate da nere corna di ungulati stanati e uccisi un tempo nel fitto della foresta. 

Il re (angh) di Hong Phoi
Uno, forse il più vecchio ha i lobi sformati da due grossi oggetti di plastica rotondi, un'aggressione del nuovo che avanza piegandosi all'antico. Le domande vengono spontanee. Cosa ne pensa questa gente del mondo nuovo che avanza, di tutto quello hanno visto stravolto come mai avrebbero potuto credere, unica generazione ad aver avuto questo privilegio o questa maledizione. I volti completamente tatuati di nero, si fanno immobili e pensosi, sculture di ebano scavate da sgorbie decise che ne hanno segnato incavature profonde, disegni barocchi nella carne viva. L'angh pensa a lungo prima di parlare, forse passano nei suoi pensieri, ricordi lontani, battaglie sanguinose, vendette di generazioni, canti di vittoria attorno al falò dei sacrifici, quando le notti erano illuminate dai fuochi delle torce e le ragazze ballavano tenendosi per mano lanciando occhiate ai guerrieri appena tornati ancora carichi di adrenalina e di violenza ancora inappagata che forse avrebbe trovato pace nell'abbraccio notturno. Poi sembra scrollare un po' la testa quasi per allontanare ricordi che possono generare solo rimpianti. "No, adesso in fondo si sta meglio di un tempo". La voce vuole mostrare la saggezza che lo ha portato a diventare re, ma nel fondo degli occhi scuri, circondati dai segni neri che il tempo a poco a poco ha sbiadito, leggi una scintilla, un moto di orgoglio non sopito di chi ha vissuto una storia diversa. Il sole, rosso antico, intanto, scende tra gli alberi in attesa della prossima notte.
 

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sabato 27 novembre 2021

Luoghi del cuore 116: Sacrifici nell'Arunachal Pradesh

Donna Apatani della valle di Ziro


Le manifestazioni di alcune culture rimaste isolate possono essere solo per stomaci forti e la valle di Ziro nell'Arunachal Pradesh, è una di queste, lontana da raggiungere e lontana dal nostro sentire. Tuttavia quel giorno mi è rimasto impresso nella testa come se me ne avessero inchiodato le immagini a viva forza. Guddi trotterella sulle sue gambe grassocce fasciate nei jeans troppo stretti; si ferma a parlottare con un gruppetto di donne che sembrano tornare dai campi anche se siamo solo a metà giornata, la gerla piena sulla schiena, poi, convinta, cambia direzione di marcia. Seguiamo le donne che vanno veloci verso Dutta, un piccolo gruppetto di case, di poco fuori della strada al limitare del bosco. Il sentiero sterrato sale appena verso il centro del paesino; a fianco, le case di legno hanno quasi tutte una bandierina azzurra con le insegne del sole e della luna, il segnale che contraddistingue gli animisti. Molte, appena fuori della veranda hanno i piccoli altarini di bambù che segnalano sacrifici recenti. Contrariamente agli altri abitati, qui sta circolando molta gente che si dirige verso il centro del paese, uno spazio triangolare più aperto presieduto da un'alta piattaforma in legno, riparata dalla solita copertura di lamiera ondulata arrugginita. Gli anziani sono già tutti radunati lì. Nella case intorno, intanto si stanno assiepando molte donne e ragazze, con il vestito tradizionale della festa, sopra una sorta di sarong rosso con una larga fascia blu e una blusa bianca con una sciarpa blu elettrico ricamata di mille colori che finisce sulla schiena. Ma la cosa che più colpisce sono i fasci di collane di perline, all'apparenza piuttosto pesanti, di turchesi e altre pietre che pendono dal collo ricoprendo la veste fino alla vita.


Lo sciamano
I ragazzi invece hanno attraverso il corpo un grande scialle bianco che li avvolge completamente, con i bordi oro e blu. A tracolla portano solo un lungo filo di grandi pietre bianche rotonde, quasi una specie di rosario. E' subito chiaro che una festa è in pieno svolgimento. Una famiglia importante della comunità ha deciso di ingraziarsi gli spiriti della natura per avere un anno particolarmente prospero e fortunato, per cui ha pagato una grande festa per tutto il paese, che avrà il suo culmine nel sacrificio propiziatorio di due animali, a cui seguirà un grande banchetto comunitario e grandi bevute per tutta la notte. E' stato convocato lo sciamano che da ore sta infatti salmodiando sulla piattaforma, seduto tra gli anziani che lo ascoltano. La presenza nostra non sembra turbare affatto la cerimonia, anzi veniamo subito invitati a prenderne parte. Lo stesso sciamano, mentre continua a cantare, fa cenno di avvicinarci. Ripete da ore una serie di mantra in una lingua che lui solo conosce, diversa dal dialetto del paese, per cui nessuno lo segue nel canto, anche se tutti sembrano ascoltarlo, mentre vengono fatte altre cose, comunque riguardanti lo svolgersi del rito. Le donne della famiglia officiante che si fa carico della cerimonia, continuano a girare intorno offrendo al resto del paese dolcetti, involtini di riso e altre cose mangerecce. Anche le soglie delle case vengono per così dire benedette con farina di riso sparsa a terra. 

Sacrificio di un uccellino
Non si sa bene quando verrà il momento del sacrificio. Il canto dello sciamano che può durare ore ed ore, deve richiamare gli spiriti dalla foresta. Solo quando lui li sentirà presenti e disponibili ad accettare l'offerta delle due vite, darà il via alle operazioni. Per cui, da qualche ora, tutto il paese continua ad aggirarsi lì intorno in una attesa compunta, anche se a volte distratta; non sono pochi, infatti i gruppetti di giovani o di ragazze che ingannano il tempo giocherellando col telefonino. Ai piedi della piattaforma intanto, legati con due corde intrecciate, una piccola vacca marrone e un colossale mythun pezzato dall'alta gobba e dalle tozze corna coniche, cercano di brucare i pochi rimasugli di vegetazione che ancora cresce attorno. Ogni tanto qualcuno passa loro al fianco, li guarda con palese approvazione, qualcuno li accarezza e le donne della famiglia vanno a benedire anche loro con la farina di riso, tanto che le corna degli animali sono ormai completamente bianche. I grandi occhi dei due bovini guardano intorno, ruminando, come stupiti di tanta attenzione, non ancora consci del loro destino. Le cose sembrano andare per le lunghe, pare che gli spiriti amino farsi pregare a lungo, ma Guddi assicura che tra non molto si arriverà al dunque. Intanto sulla piattaforma avvengono attività strane, mentre continua una generosa distribuzione di alcool di riso. 

Con le padrone di casa
Uno dei partecipanti è ormai talmente ubriaco che cerca di alzarsi e dare movimento alla cerimonia stessa, ma due ragazzi lo prendono di peso e lo portano verso la sua capanna, non ritenendolo evidentemente idoneo a continuare. Lui cerca di uscire un paio di volte, ma viene sempre riacchiappato e nell'ultimo caso, almeno, convinto con metodi alquanto bruschi ad andare a riposare. Uno dei più anziani accanto allo sciamano, un vecchietto dall'aria buona e dagli occhi dolcissimi è arrivato con un uccellino tra le mani e lo accarezza con amore, poi comincia a strappargli le piume mormorando preghiere prive di pietà e le lascia andare nel vento, mentre i pigolii si fanno sempre più disperati. Un altro ha un gallo nero tra le mani, gli torce il collo con un movimento brusco, poi estrae il coltello che, come tutti gli uomini, porta appeso al fianco e gli estrae il fegato che viene esaminato con cura da un aruspice incaricato della bisogna. Tutti fanno cenno di approvazione, evidentemente gli auspici sono favorevoli. Qualcun altro porta sulla piattaforma generi di conforto, un pentolone con brodi e trippe varie. Solo lo sciamano si astiene, continuando la monodia ritmata che nessuno sembra capire, anche se si guarda intorno con occhio svagato. Tuttavia qualche cosa si muove. Il suo tono cambia e si fa più rapido e affannato. 

Una famigliola di partecipanti

Intanto la piccola folla comincia a dirigersi verso la casa dei festeggiamenti. Andiamo anche noi, che evidentemente considerati ospiti di riguardo, veniamo prima ricevuti nella camera centrale dai padroni di casa e poi sul grande terrazzo interno in muratura che dà sul cortile, a segnale della agiatezza della famiglia. Qui è già stata preparata una incastellatura di bambù che oltre ai pennoni alti ed agli ornamenti obbligatori, ha anche una specie di giogo all'altezza del terreno. Intanto i giochi si stanno compiendo, la processione percorre le strade del paese e arriva alla casa, preceduta dal gruppetto dei giovani che fanno festa. Lo sciamano prende posto sul balcone prospiciente il cortile; intanto davanti al corteo arriva la mucca che si guarda attorno con occhi impauriti, forse già conscia del suo destino. Viene trascinata verso l'altarino e la corda è assicurata al giogo basso, in modo che quasi non riesca a muovere il muso. La padrona di casa, la cui veste bianca contrasta con il rutilare di colore che gira intorno, si avvicina all'animale con un secchiellino argenteo ed un mestolo rituale e le sparge farina di riso e burro fuso sulla testa e poi si ritira, mentre da dietro, acquattato e quasi senza farsi notare, arriva un uomo robusto con una grande ascia. 

Il sacrificio della vacca
E' un attimo, con il movimento rapido di chi è abituato a colpire i tronchi robusti nella foresta, la lama si abbatte sul collo dell'animale che piega le ginocchia, mentre una ventina di ragazzi, che da ore attendevano il momento le si gettano addosso. Chi la prende per una zampa, chi per la coda; in tre le afferrano il collo torcendolo allo spasimo e facendola stramazzare a terra con un muggito straziante. Due le spalancano le fauci, mentre un terzo le getta in gola un secchiello di farina di riso bianca, non si capisce se per benedirla ulteriormente o per farla soffocare. L'animale si dibatte furiosamente mentre un uomo le ficca una lunga asta di bambù nel costato per raggiungerle qualche organo interno. Spinge, torce, grida, il sangue schizza dappertutto, fiotti di liquidi si spargono a terra, mentre il salmodiare dello sciamano sale alto e si spande sulla folla che grida, prega, ride, in un sabba arcaico e feroce. Subito compaiono lunghi ed affilati coltelli che vanno a piantarsi nell'animale che per fortuna ormai ha terminato le sue sofferenze e viene spostato di forza in fondo al cortiletto, dove altri addetti cominciano a sezionarlo in pezzi. Le voci si calmano e una pausa irreale scende sulla scena. Ma dal vicoletto arriva la seconda processione e il canto si alza di nuovo sulla folla estasiata. 

Il mythun
Il mythun, tirato da due ragazzi arriva nel cortile seguito dal grosso della gente che ne occupa gli ultimi spazi ancora liberi. Le terrazze e i balconi che danno verso l'interno sono tutti affollati di donne festanti e di bambini che suggestionati dal momento urlano senza posa. Il grande bovino è certamente molto più faticoso da gestire della povera vacchetta che lo ha preceduto, ma anche lui, nonostante gli scrolloni del grosso testone ed i muggiti riottosi viene legato al giogo dell'altare. Ancora una volta si ripercorre il cammino della benedizione, mentre l'uomo con l'ascia gli scivola dietro furtivamente. Adesso sulla folla aleggia un silenzio irreale, un'attesa ansiosa e partecipata, neanche i bambini presenti in massa tra le gambe tre grandi, gridano più. Di nuovo il gesto rapidissimo e preciso e la pesante ascia si abbatte sul collo dell'animale. Ma questa volta la massa è molto più grande e dura da abbattere. Dalla folla sale un urlo animalesco. Il gruppo di ragazzi che gli si gettano addosso, pur determinato e feroce, fatica molto a gettarlo a terra, tra muggiti e urla selvagge. In tre cercano di torcergli il collo afferrandolo per le corte corna e gettandoglisi addosso con tutto il loro peso. Gli occhi della bestia sono rivolti al cielo, quasi una preghiera perché tutto finisca in fretta. 

Si sventra il mythun
Poi, le corde che erano state legate alle zampe, opportunamente tirate, hanno ragione della forza dell'animale e la vicenda si ripete, con furia ancor più bestiale. I coltelli compaiono quando ancora il gigantesco bovino scalcia disperatamente, mentre i muggiti si sono spenti nella gola soffocata dalla polvere bianca e cominciano a squarciare la pelle, sventrando i tessuti mentre ogni cosa fuoriesce, quando ancora il lungo palo verde viene agitato dentro e quasi sfugge di mano al lanciere determinato a colpire al cuore. Un ragazzo quasi invasato dalla furia colpisce con calci feroci i testicoli del mythun tra gli applausi della folla che ruggisce a lungo. Poi è una furia devastatrice, chi taglia gli zoccoli, chi cerca il fegato, subito separato in pezzi e dati alle personalità presenti. Un anziano se ne va soddisfatto con la sacca dei testicoli in mano. Sono passati soltanto pochi minuti, il cortile è ormai una macelleria, una piccola processione che segue lo sciamano, se ne va verso il luogo dove si terrà il banchetto. La furia orgiastica della folla si placa a onde. Le grida dei giovani a poco a poco si spengono, come quella degli ubriachi ormai ebbri di violenza e di sangue. Il cortile pian piano si svuota, rimangono solo i residui della rabbia. Gli spiriti del bosco forse se ne sono già andati.

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venerdì 26 novembre 2021

Luoghi del cuore 115: I templi dell'Assam

 Dato che la situazione virus comincia a lasciarmi privo di speranze a breve termine su quanto riguarda quella trentina di viaggi che vorrei fare prima di tirare definitivamente le cuoia, comincio a rassegnarmi al fatto che ormai mi rimangano solo più i ricordi su cui rimuginare, masticando amaro. Ecco perchè voglio riprendere qualcuna delleimmagini che mi hanno maggiormente toccato nei tempi felici (espressione del mio amico Zhenia), quando ancora si poteva andare a cercar di scoprire cosa c'è dietro la collina. E oggi mi voglio ricordare di quella che ho vissuto quasi come una fuga, anche se forse era proprio quello il modo giusto per lasciare Calcutta. Alle 4 di mattina, di soppiatto, come ladri che scappano senza farsi notare quando è ancora buio ed i fagotti sui marciapiedi sono ancora immobili. Così mi ritrovo proiettato in quel mondo dove non c'è ancora nessuno per la strada, per lo meno quasi nessuno; in effetti a certi incroci ecco già il movimento di chi sta preparando la giornata che sta per arrivare, qualcuno che carica materiali, frutta, cocchi, balle di tessuti. Qualcuno che riempe camioncini che andranno a scaricare più in là, dove tra poco l'ansia di sopravvivere sta per riprendersi la città. Qualcun altro semplicemente si stiracchia, allontanando lo straccio sporco che è stato il suo riparo notturno e si avvia verso una pompa pubblica, godendosi la temperatura ancora accettabile se pure a te si appiccicano già i vestiti sulla pelle. Sembra che a quest'ora i rossi non valgano, agli incroci neppure si rallenta, tanta è la furia con cui si vuole scappare da questa India tumultuosa. Anche l'aeroporto è ancora semideserto, un'area franca nuova, anonima, quasi corpo estraneo innestato qui per necessità, ma con un'anima differente. Ma bisogna ripartire da qui per raggiungere d'un balzo un'altra India ancor più differente, assolutamente diversa da quelle che ho conosciuto prima. 


Campanelle
Questa volta invece l'intenzione è di arrivare in un'India diversa e sconosciuta, quel pezzo nordorientale del paese che anche geograficamente pare un corpo estraneo rimasto attaccato per sbaglio al subcontinente, una frattaglia di territorio posto al di là del Bangla Desh e che non si sente neppure troppo legato alla madrepatria se si vuol tenere conto di tutti i vari movimenti separatisti che contraddistinguono tutte le minoranze bizzose di questo mondo, popolata di genti dagli occhi diversi che sopravvivono in una terra dalle poche risorse, l'Assam, una grande pianura depositata dal Bramaputra, disceso dal Tibet raccogliendo le acque di tutti i torrenti che piovono giù dalle montagne himalayane, prima di unirsi al Gange per formare uno sterminato paesaggio di paludi e di bracci laterali che si allunga verso il golfo del Bengala. E' la terra delle avventure di Sandokan e Tremal Naik, delle Sunderbands popolate di cobra, tigri ed elefanti, con i babiroussa dalle zanne aguzze che si nascondono tra i cespugli e i tughs con il laccio attorno alla vita. E' stato il primo libro che ho letto nella mia vita: I misteri della jungla nera e si svolgeva proprio qui, in questa terra estrema. Salgari mi aveva innestato questo chip maligno nella testa più di sessanta anni fa. Prima o poi dovevo venire a verificare. Lo sentivo quasi come un obbligo.

Acquisti di fiori e caprette
Questo pezzo di India non attira turisti, niente Taj Mahal, niente forti maestosi o palazzi dei maharaja, solo questa grande pianura assamese, l'immenso fiume che la attraversa e le colline scoscese ed impraticabili che fanno barriera alle montagne più alte del mondo, ricoperte proprio da quella jungla fitta e difficile da penetrare che forse però, nasconde cose che vale la pena vedere. Guwahati è la capitale dell'Assam, cittadona sovrappopolata in cui si mischiano India e oriente. Vedi facce diverse, quelle piccole e nere dei bengalesi arrivati da occidente, a fianco di larghi volti dai nasi schiacciati che rivelano l'origine tibetana e poi facce dalle guance pienotte delle ragazze del sud, occhi tagliati alla birmana, turbanti sikh e vestiti multicolori di tutte le fogge del subcontinente che si mescolano nella consueta confusione del sovrappopolamento. Ma la città apparentemente anonima, nasconde un luogo particolare. Prendendo una stradina tortuosa si sale su una vicina collina dove sorge il tempio Kamakhya, uno dei centri principali del neo-Vaishnaismo, una delle mille religioni indiane e loro varianti, comunque la principale qui nell'Assam. Tanto per riassumere questa corrente dell'hinduismo, vi racconto la storia di Sati o Shakti, che innamorata di Shiva il distruttore, lo sposa nonostante la furiosa invidia del bieco Shakhta. 

Per non farvela lunga, disperata per gli insulti di Shakhta, la povera Sati si sacrifica, ma il marito, il bizzoso Shiva dopo aver staccato la testa all'invidioso e averla sostituita con quella di un caprone, comincia una danza macabra sul corpo dell'amata Sati deciso al termine della quale, a distruggere l'intero universo. Solo attraverso l'intermediazione di Visnu, Shiva il distruttore si placa. Il corpo di Sati viene smembrato in una cinquantina di parti che vengono sparse in tutta l'India. Le dita dei piedi finiscono a Calcutta, mentre su questa collina finisce la sua yoni (l'equivalente del maschile lingam insomma, tanto per capirci) dove sorgerà questo tempio tantrico dedicato alla femminilità, tanto che il festival annuale in giugno celebra appunto la fine delle mestruazioni della dea. Quindi il punto chiave di questo luogo tantrico è il sangue, sangue e ancora sangue, ottenuto dallo sgozzamento sacrificale di una quantità di caprette belanti che potrete portarvi da casa o acquistare direttamente al tempio. I pellegrini che salgono qui con ogni mezzo, formano una folla compatta e pervasiva, come in ogni santuario di ogni religione che si rispetti. Dovunque bancarelle per comprare generi di conforto o materiali per le puje, ghirlande di fiori o caprette per il sacrificio.

Per la erta scala che ascende la collina verso il tempio ti devi fare largo tra famigliole in vacanza e gruppi di fedeli più motivati e compatti i cui uomini sono coperti da larghi scialli bianchi bordati di rosso, l'emblema di questa setta di adoratori di Visnu, in particolare della suo avatar Khrishna, quel giovinetto blu appoggiato su una gamba sola che suona il flauto alle sue pastorelle, le Gopi, nella iconografia più tradizionale. Lungo la scalinata una serie di sadhu dalle lunghe barbe ed i volti segnati da emblemi colorati, si rivolgono alla carità dei fedeli. Mentre sali tra la folla ti sembra di entrare a far parte di un rito tribale ed arcaico. All'interno del tempio attorno al grande edificio centrale dove è nascosto il sancta sanctorum a cui affluisce il sangue delle caprette sacrificate in una sorta di tettoia mattatoio laterale, dove i sacerdoti addetti, dopo averle benedette inseriscono il loro collo in una specie di giogo, su cui abbattono una pesante scimitarra, la gente si accalca per entrare e vengono formate tre diverse file a seconda della entità dell'offerta. Per quella semigratuita, la folla infinita viene fatta infilare in una specie di strettissimo corridoio ingabbiato da sbarre che si snoda attorno a tutta la costruzione e qui le persone vengono chiuse dentro a chiave ad aspettare il turno per ore. 

Il sacrificio
Nello spazio non ci passano più di due persone alla volta (o una grassa) ed una sensazione claustrofobica indescrivibile ti prende solo a guardarle queste gabbie, dove, invece la gente si accoccola serena chiacchierando in attesa del turno. Qualcuno mangia le provviste portate da casa, i giovani digitano sugli smartphone, gli altri ti scrutano con curiosità. Pagando, l'accesso è immediato e trovarsi all'interno buio del tempio rinnova il senso di prigione, accentuato dall'odore dolciastro del sangue e delle offerte versate con cura sul lingam centrale, latte, burro fuso, fiori e altro. Un rito ancestrale segnato dal salmodiare di sottofondo dei sacerdoti che come in ogni luogo santo pregano e all'occorrenza benedicono e raccolgono offerte. Fuori, tutto dà invece l'impressione di un'area picnic, con ragazzi e famiglie che sfruttano la giornata di vacanza, chiacchierando sull'erba, ansiosi di farsi un selfie con lo straniero, merce rara da raccontare a casa, la sera al proprio ritorno. I belati delle caprette quasi non si avvertono soffocati dalle risate argentine ed acutissime delle ragazze indiane che ciondolano la testa in segno di soddisfatta approvazione. Scendiamo a valle, perché oggi ci sarà ancora un sacco di strada da fare.

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giovedì 25 novembre 2021

Mugugni

dal web

Giornata uggiosa che invoglia ai mugugni e alla lamentela, così si apre la stura sul supercrin gràs, prendendosela con chi cerca di fare le cose al meglio e fino ad adesso mi sembra che ci sia riuscito bene, almeno confrontandolo coi nostri vicini, invece di prendersela col virus, l'unico che ha colpa in tutto ciò. I giornalai televisivi intanto continuano a dare spazio a personaggi che andrebbero davvero inviati a conoscere da vicino una dittatura reale; perché bisogna pure che anche la stramaggioranza di chi ha fatto quello che si doveva fare, cominci ad alzare la voce e dire che ne ha piene le balle di questa marmaglia che grida scemenze nelle piazze. Un po' va bene ma poi alla lunga basta. Intanto, per dire che se si comincia la lamentela, ci si estende a tutto, qualcuno comincia a menare il torrone anche sul fatto che la splendida serie di Zerocalcare, su cui ci sarebbe tanto da dire e da meditare, sia in romanesco, tra l'altro il dialetto più facilmente comprensibile d'Italia e poi si è beccato Squid Game in coreano senza battere ciglio. E basta! Ne abbiamo pieni gli zebedei. Sarà ora di spingere ancora una volta quella che una volta era chiamata la maggioranza silenziosa a scendere davvero in piazza per mettere a tacere le chiassate di questa feccia della società, tronfia e arrogante che usa a sproposito parole come libertà e democrazia. 

Non so, ma mi comincia a sembrare il caso, almeno di dirlo e quando 'sta gente ti alita in faccia le loro scemenze accidiose, rispondergli per le rime, che almeno capiscano, che non va bene così. Che poi, come sempre 'sti perdigiorno (escludendo quelli che hanno un interesse politico a soffiare sul fuoco perché peggio vanno le cose e meglio va per loro) capirebbero meglio se solo li si toccasse nelle tasche. Le multe comincia a farle per davvero e se uno dice porcherie, bufale, falsità e le fa girare sui social, viola decine di leggi e quindi castigare senza pietà, niente prigione, ma basta colpire il portafoglio che solo questo capisce la gente. Vedi che poi ci pensano prima di dire che vengono irrorati di vaccino dall'alto. Che poi non sarebbe mica una cattiva idea, altoparlanti che superano gli ululati della folla dicendo: - Attenzione, attenzione, stiamo irrorando da un drone un vaccino pieno di feti morti e microchip 5G, mettersi al riparo al più presto se non si vuole essere contagiati. - Chissà che fuggi fuggi. Poi ci sono quelli che un giorno vogliono mitragliare sulla battigia quelli che sbarcano a Lampedusa e il giorno dopo mettono post lacrimevoli sui bimbi congelati al confine bielorusso e giù filmati di gattini. Pezzi strappalacrime su quanto siano disgraziate le donne afgane, delle quali non gliene può fregar di meno, ma è tanto per fare del soffocoealimentare un po' odio che non guasta mai e in contemporanea, gli stessi fenomeni, maledicono le Onlus che sono rimaste a dare una mano oppure incitano a ricacciare a casa loro le stesse donne che bussano alle frontiere della grassa Europa. Non se ne può più. Tanto per lamentarsi un po'. Ma se uscisse un po' di sole son sicuro che 'sta micrania mi passerebbe. 


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Autunno

lunedì 22 novembre 2021

Tanka petrosa

 

Cellamonte - Pietra da cantone

tenera pietra

scavata sotto i colli -

eppur resisti

sorreggi muri antichi

conservi vecchio vino



venerdì 19 novembre 2021

Ecologia facile 6: La triste storia degli imballi

dal web


 Ieri sono stato ad una riunione di ex-compagni di scuola di università e assieme abbiamo visitato l'attuale facoltà di Agraria nel Campus di Grugliasco. Davvero una realtà interessante di cui abbiamo potuto valutare diversi aspetti, la parte agronomica, l'entomologica, l'apicoltura, la meccanica agraria ed abbiamo discusso dei diversi aspetti degli studi riguardanti l'agricoltura di oggi e del prossimo futuro col Prof. Grignani, direttore del dipartimento, che ci ha chiarito molto bene assieme ai suoi collaboratori, la direzione verso cui sta andando questo mondo. La facoltà, mi è sembrato, sta lavorando molto bene per portare il senso di una agricoltura moderna verso la strada giusta, che, a mio parere, non può essere che quella di risolvere il problema di sfamare il mondo senza perdere di vista la sua "sostenibilità". Ovviamente l'uso di questa parola che appositamente ho messo tra virgolette, va intesa non nel senso becero di etichetta d'obbligo senza la quale ormai non si può più neppure introdurre questi argomenti (assieme a "green" e a diverse altre) ma nella sua reale accezione, ciòe al fatto che quando si pensa all'avanzamento tecnologico necessario che deve essere forzatamente ricercato per far fronte al numero degli individui che popolano e popoleranno il pianeta in numero sempre maggiore, bisogna esaminare tutti gli aspetti che devono essere messi in atto per ridurre al massimo possibile ed in maniera globalmente utile, le diverse facce del problema, quello della produzione delle quantità necessarie, riducendo al massimo emissioni, consumo di suolo, inquinamento e così via. 

Per esempio ci si aspetta molto dalla produzione di insetti da trasformare in sostanza nutritiva per gli allevamenti (anche per l'alimentazione umana, per quanto credo che nella nostra cultura rimarrà sempre un aspetto marginale). L'affermazione di questa linea, se esaminata nel suo aspetto circolare, è davvero interessante anche per l'utilizzo di frazioni importanti di scarti dell'agricoltura stessa, che spesso rappresentano essi stessi un problema da risolvere. Stessa cosa per l'uso di molti scarti agricoli nella produzione di energia. Infatti, come avevamo detto all'inizio di queste chiacchierate, una cosa è rappresentata dalle problematiche del global warming, un'altra, spesso in contrasto, sono quelle degli scarti prodotti dalle nostre necessità, che sono inevitabilmente connaturate con l'esistenza della nostra specie. Vivere produce scarti. Deiezioni fisiologiche, parti di cibo che per cause diverse (deterioramento, parassiti, semplice spreco) non sono più consumabili, imballaggi, fondamentali perché aumentano in maniera sostanziale la resistenza al deterioramento diminuendone di conseguenza lo spreco. Da sempre l'uomo, che non è una specie stupida, ha cercato di ridurre lo spreco di nutienti, dato che il procurarseli era assai faticoso e impegnativo in termini di consumi energetici. 

Via via sono stati messi a punto molti sistemi per aumentare i tempi di conservazione che, favorendo anche il trasporto, permettevano alle derrate la fruizione in luoghi e tempi lontani dalla produzione, migliorando di molto la disponibilità di cibo, alla faccia della religione del kilometro 0. Salagione, affumicatura, essiccazione, trasformazione in prodotti più conservabili come i formaggi dal latte. Il consumo del'alimento fresco, di certo più appetibile e apportatore di migliori nutrienti, corrisponde purtroppo ad una sua scarsità di utilizzo e ad una fortissima percentuale di spreco. Sopravvenendo i metodi più moderni e innovativi, inscatolamento, liofilizzazione, surgelamento, sotto vuoto, senza citare neppure i più moderni e sofisticati, si è potuto diminuire considerevolmente lo spreco che attualmente, nei paesi più avanzati, è inferiore al 30% e ogni nuova tecnologia contribuirà a diminuirlo sempre di più senza illudersi di poterlo azzerare, per tutta una serie di motivi che necessiterebbero di altre analisi, che al momento non è il caso di fare. Tutto il settore dell'imballaggio è parte fondamentale in questo processo, carta, alluminio, vetro, ma soprattutto plastica, sono la chiave di questi processi, creando a loro volta un problema di scarti da smaltire. Dunque un cane che si morde la coda? Certamente no, in quanto dobbiamo capire che lo scarto, qualunque esso sia, in un sistema circolare, in luogo di essere un problema di cui liberarsi, deve essere considerato una preziosa risorsa da utilizzare. Gli scarti devono essere la nostra futura miniera d'oro. 

Intanto considerate che già al momento attuale qualunque materiale necessario a questi scopi è perfettamente riciclabile e riutilizzabile, anche in due o tre modi diversi, con le tecnologie già esistenti, basta che le filiere si organizzino e vengano alimentate con continuità. Le possibilità di scelta già oggi sono tecnicamente molte e bisognerebbe sempre dare la precedenza a quelle più "sostenibili" appunto, valutando bene ogni punto del processo, dalla nascita dell'imballo al suo completo riciclo, calcolando quali sistemi siano più efficienti. E' inutile pensare di risparmare nell'utilizzo di un certo tipo di imballo, se poi questo mi produce una maggiore perdita e spreco di prodotto, ad esempio. Ricordo sul web la presentazione di frutti a rapido deterioramento in vaschette avvolte di pellicola, con i commenti di un deficiente che lanciava maledizioni all'indirizzo della plastika e dei suoi utilizzatori colpevoli di uccidere tartarughe e delfini (questo fa sempre colpo sulle anime semplici). Naturalmente non aveva considerato di quanto in questo modo, di prolungasse la conservazione di quei frutti con relativa diminuzione di spreco del prodotto stesso, mentre qualcuno più furbo di lui lo aveva invece calcolato ritenendo quindi più conveniente metterlo lì in atmsfera controllata di azoto, invece di lasciarlo nudo e crudosul bancone in attesa che marcisse e fosse gettato. 

Poi si possono sbagliare i conti, per carità, ma il sistema di procedura è corretto. E per le isole di rumenta di plastica grosse ormai come il Pacifico, come la mettiamo? Sento una voce dal fondo. Ma benedetta zucca vuota, se tu il sacchetto di plastica lo butti per terra invece di riciclarlo, sei tu il maiale a cui piacerotolarsi nel brago, non la plastika, che è la più importante scoperta del secolo scorso, che ha permesso una infinità di processi applicativi, con una popolarizzazione di consumi infinita, riducendo i costi a tal punto che moltissime cose esclusive potessero diventare accessibili a tutti ed allo stesso tempo è la sostanza più facilmente riciclabile oggi conosciuta, con l'ecobalance (il consumo in TEP- tonnellate-petrolio equivalenti, dalla sua creazione al suo completo riciclo) più favorevole tra tutti gli altri materiali che siano vetro, plastica o alluminio. Bisogna sempre avere l'umiltà di fare i conti prima di triciare giudizi (magari inconsapevolmente guidati dalle lobbies delle sostanze concorrenti). Ricordatevi dunque che il problema della pollution, al contrario del global warming, che come abbiamo visto nei giorni precedenti potrebbe essere una grana non risolvibile con i sistemi oggi conosciuti, è al contrario, tecnicamente affrontabile con le tecnologie attuali e gestibile con la dovuta organizzazione. I rifiuti dovranno sempre di più essere considerati una ricchezza, una miniera insostituibile, da utilizzare completamente e non da seppellire stupidamente. Questo si può fare, basta volerlo.


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sabato 13 novembre 2021

Alla fiera di S. Baudolino

Il lacabòn di S. Lucia


Teoricamente oggi sarebbe stata quello che si dice una giornata uggiosa che non invitava affatto ad uscire. Già la partita di ieri sera mi aveva messo di cattivo umore, con quel rigorino piovuto dal cielo e sbagliato al novantesimo, che la farina del diavolo va in crusca e stamattina, complice una cervicale malefica, ma qua ad Alessandria ce l'abbiamo tutti dolente, con l'umidità nebbiosa che ci avvolge consumandoci l'animo e l'intelletto, me ne sarei stato volentieri nell'umidiccio tepore delle coperte pesanti invece di quello novembrino che alita negli strati bassi, che quelli alti manco si vedono. Invece, complice uno sgradevole impegno che mi è costato un'ora di coda fastidiosa in un ambiente che pullulava di germi coronati e di altrettanti penitenti con la loro brava ammenda in mano da regolare, sono sceso nel vasto mondo che mi circonda e ho attraversato la città, lento pede, autoconvincendomi che comunque un po' di moto, non può far che bene. Che l'umidità mi penetri invece l'osso fino al midollo, non fregherà a nessuno, ma diciamo che facciamo finta di niente. Nella coda in piedi, che all'anziano infastidisce comunque parecchio, ho però avuto modo di rallegrarmi un poco al sentire le querule lamentazioni dei postulanti che mi circondavano, tutti con duolo peggiore del mio e per di più sempre caduto tra capo e collo, come sempre immeritatamente. Insomma mal comune mezzo gaudio e se il male altrui è peggior del tuo, la cosa ti rasserena ancora. 

Non è malevolenza tignosa propria dell'anziano accidioso che si crogiuola della altrui disgrazia, ma è come un senso di sollievo che ti fa considerare come, in fondo le tue rogne, meno gravi, le devi ponderare con giusta misura e quindi valutare come non siano poi meritevoli di troppe grida di sconforto. In fondo poteva sempre capitarti di peggio. Così ho adempiuto al mio dovere di cittadino e poi mi sono accinto a fare un giro tra i banchetti che popolano il centro, in verità anche troppo affollato, ma si sa che il cittadino, l'alessandrino in particolare, se gli dai da mangiare, anche solo in esposizione, lo attiri con facilità. Dunque eccoper le vie principali dellacittà, tutto un pullulare di banchi grevi di forme d'ogni qualità e dimensioni, dai grati profumi di capro e di bovina, alcune intere, altre già tagliate in spicchi golosi per allettar l'acquirente alla vista di tanto ben di dio. Marezzature di blu nei formaggi più affinati, candide tome d'alpeggio, golori e rari Montebore e caci di Murazzano e poi al loro fianco serti gioiosi di salumi lunghi, corti, sottili o panciuti, esposti in cascate golose o messi lì, puntati verso il cielo in pose offensive come misirizzi oscenamente offerti alla gola ingorda delle passanti. Banchi, piccoli questi ultimi come si merita perimpreziosiremaggiormente ilprodotto, che esponevano rari ebitorzoluti tartufi, un po' asfittici per la veritàseppure odorosi a prezzi di assoluta affezione, capià, quest'anno con la siccità e il cambiamento climatico, bisogna pagare di più, se no anche Greta si incazza. Se poi son patate vietnamite punturate di essenza, ce ne si farà una ragione. 

Tanto il tartufo è un'idea più che una sostanza avrebbe detto Don Ferrante. Profumi forti e delicati dunque che si alternavano a quelli di montagne di funghi secchi e cioccolati e torroni e il proverbiale lacabòn di S. Lucia che mi stimola sempre ricordi di bimbo goloso e inappagato. Insomma passeggiare tra i banchi di queste feste rionali mangerecce mi allegra sempre e poi S. Baudolino, con la sua valenza di Santo del tutto particolare, vuol la sua parte. Insomma basta poco per far felici vecchie e bambini. Tuttavia il tocco finale che mi ha aggiustato definitivamente la giornata, c'è stato mentre prendevo stancamente la via di casa. Devo dire che ogni anno che passa faccio sempre più fatica a ripercorrere il cammino del rientro, sembra che ogni volta la mia casa si sia spostata un poco più lontano, anche se sono quasi certo che non è così, deve essere la memoria che comincia a perdere colpi come dice quel signore tedesco. Dunque, dicevo, mentre stavo meditando sulla caducità delle vita e sulle sue miserie, arrivo in via Trotti e vedo una signora più o meno mia coetanea che, aggrappata nervosamente ad un trolley da spesa al supermercato, si guarda attorno stranita, mentre le macchine svoltavano stretto nella via cercando di evitarla. Mentre le passo accanto, con una vocina flebile mi fa: - Scusi giovanotto, mi aiuterebbe ad attraversare la strada che non vorrei inciampare nelle pietre e andare sotto ad una macchina - Mi si è allargato il cuore. - Signora - le ho detto - se mi chiama di nuovo giovanotto, la porto fino a casa in braccio. - Ha riso e mi ha preso il braccio e, tenedoci stretti, abbiamo attraversato quel torrente impetuoso, metafora della nostra vita.




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