venerdì 29 giugno 2018

Etiopia 18 - A Jinka


Giovane Hamer

Dalle alture di Jinka
Il nostro contatto con la valle dell'Omo sta piano piano arrivando alla fine. Non si può fare a meno di sottolineare lo straordinario interesse che ha questa zona isolata del pianeta, anche se a poco a poco il mondo moderno avanza anche qua e ne decreterà inevitabilmente un certo grado di omologazione. D'altra parte anche qui sono ormai arrivate le antenne delle telecomunicazioni che si ergono anche nelle aree apparentemente più lontane da ogni forma di civiltà come la intendiamo noi, quindi la strada si presume tracciata. Questo forse significherà perdita di identità e tradizioni, ma di contro potrebbe tradursi in un miglioramento delle condizioni di vita. E'difficile prevederlo, ma di certo non possiamo deciderlo noi, né trinciarne giudizi affrettati e faciloni. Intanto, per il momento conserva ancora la sua bellezza selvatica e ogni tribù sembra voler mantenere una identità spiccata. Noi per intanto arriviamo a Jinka,che è la capitale dellaregione e, tra le altre cose, anche la città dove vive il nostro Lalo. Ci arriviamo alla sera e rimane solo il tempo per dare un'occhiata in giro, per scoprire le aree centrali di questo villaggio cresciuto nel tempo attorno ad un mercato, sui fianchi di colline verdi che ne attenuano la calura durante l'estate. E' in tutto simile a tanti centri dell'Africa rurale con una strada principale che la attraversa ed un reticolo in larghe strade in terra battuta che le piogge trasformeranno di volta in volta in carrarecce fangose. 

Cima di capanna tradizionale
Chi se lo può permettere abita nella parte più in alto sulla collina, evidentemente più ariosa e piacevole e anche più salubre. Ma il cuore pulsante rimane come dappertutto il mercato cittadino, un dedalo di viuzze attorno alla piazza principale dove tutto il terreno è coperto di teli di plastica blu, dove le donne espongono gli ortaggi e la frutta che ricavano dai vari orti di periferia. Nelle vie attorno i negozietti o i banchi di tutti quegli altri poveri materiali, consueti nelle città del terzo mondo, particolari elettrici, attrezzeria agricola, arnesi da cucina e tutta l'oggettistica delle economie del recupero. Il settore stoffe e vestiario forma il solito colorato appezzamento dove si dispiega un po' del colore africano, anche se la maggior parte della roba arriva dall'oriente, magari dopo aver fatto tappa in Europa. Il mercato dura fino a tardi, alla luce di fioche lampade. Molti a fine giornata si rintanano nei locali che circondano la piazza a bere birra fatta in casa e a mangiare una injera firr firr coi fagioli. Forse molti dormono lì a terra tra i banchi aspettando l'arrivo del giorno successivo. Qui nei mercati di transito vedi genti di tribù diverse acconciate alla loro maniera, cosa che li distingue subito anche da lontano e che portano le loro caratteristiche con orgoglio, esibendole il più possibile, le masse di collane, le gonne di pelle ricamate, le bandoliere di conchiglie e soprattutto le pettinature elaborate.

Distribuzione delle principali tribù
Anche gli uomini esibiscono soprattutto il loro corpo magari ricoperto di scarificazioni ornamentali che segnano la pelle scura come ebano a contrasto con i colori forti delle fasce copricapo o i mantelli che servono anche da coperte per la notte. La maggior parte sono Hamer, gli uomini alti e muscolosi, il capo cinto di fasce di perline colorate con qualche piuma civettuola, le donne con la caratteristica mezza zucca multiuso in testa, ed il collare che le identifica come prime mogli se con la protuberanza fallica in avanti o seconde o terze se portano invece i collari più semplici di rame o di altri metalli. Ci sono tre tipi di matrimonio in questa tribù, cosa che è comune anche a molte altre dell'area. Ce n'è un primo tipo detto ereditario che viene stipulato tra le famiglie con gran pompa e feste e c'è quello detto per acquisizione in cui la ragazza viene in pratica acquistata dal padre in cambio di un certo numero di capi di bestiame, di solito tra i venti ed i quaranta, adesso è consuetudine aggiungere anche un kalashnikov per il fratello maggiore; è davvero incredibile constatare quante armi girino da queste parti. Infine c'è il cosiddetto matrimonio per rapimento, una sorta di fuitina, di norma col consenso della ragazza, conosciuta nelle varie feste dei salti dei tori o nei mercati, effettuata da chi non ha la disponibilità sufficiente di animali da donare alla famiglia, che si conclude dopo qualche giorno  di finte ricerche nella foresta, con un accordo tra le parti. 

Giovani Hamer
Kala, un prestante pastore che sta ad un villaggio ad una trentina di chilometri da Jinka, ha avuto così la sua Kery che adesso vende pomodori al mercato. Questa mattina l'ha accompagnata fin qui col primo figlio al collo, ma presto la lascerà per andare al pascolo col piccolo gregge di capre dal lungo pelo nero e marrone e le corna ritorte. E' stato quasi tutto il giorno in fondo al mercato con gli altri pastori a bere birra di villaggio dietro i banchi della frutta e adesso è piuttosto cotto. Si rimette il mitra al collo e va a cercarsi un posto dietro i carretti del mercato, coprendosi col mantello blu, per passare la notte. Questo è davvero il centro della valle e qui li puoi trovare un po' tutti, anche perché questo rappresenta il punto di partenza se vuoi andare fuori dall'area, verso la capitale o verso i paesi confinanti, Kenia o Sud Sudan. Andiamo a mangiare un boccone in un albergo vicino che rappresenta un po' il centro della vita sociale di chi può spendere qualche birr e poi dopo aver camminato un po' per le vie ormai buie, correndo il rischio di finire in qualche buca fangosa, inseguiti dalle caprette in cerca di qualche scarto da mangiare, ci rintaniamo nel giardino del nostro alberghetto che si riconosce subito per essere un bar per amanti della birra dove si radunano, oltre ai clienti anche molti tiratardi locali. L'unico problema sono le zanzare, a cui bisognerebbe porre una certa attenzione, dato che proprio da queste parti, qualche anno fa, un mio amico si era beccato la malaria. Noi siamo imbottiti di Lariam, sperùma ben.

Hamer

SURVIVAL KIT

Nardos Pension - Jinka - Non peggio di molte altre. Basica ma con acqua calda e zanzariere. Camere piccoline, ragionevolmente pulite. Potete approfittare del ristorante o del bar che ha ottima birra fresca a 20 birr. Potete cenare anche al Goh hotel che ha un ristorante con qualche piatto internazionale, al di là della strada principale, più o meno alla stessa altezza. 


Pastori




Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

al mercato

mercoledì 27 giugno 2018

Haiku del mare




Dal mare al piatto
Concedi voluttà
Cozza pelosa

martedì 26 giugno 2018

Rinascimento fiorentino e scarpe di qualità

Mi sono preso qualche giorno di tregua nel mio buen retiro mentonese. E' cosa che di norma mi rilassa, un po' meno in questi giorni, anzi devo dire che qui i nostri telefoni si comportano in maniera strana, non funzionano più o non si connettono. A mia insaputa abbiamo già dichiarato guerra alla Francia o sono tutti annunci e niente sostanza? Mah, vedremo, nel frattempo cerco di recuperare le forze come un'otaria sulle rocce e mi rimane il tempo di notare che in questo finale di giugno, nella fauna che mi circonda, fatta la scrematura dei pensionati padani ingrugniti che leggono il Giornale, ma ce ne sono rimasti pochissimi, evidentemente hanno deciso di boicottare i mangiarane, pullula il russo e per russo non dico le solite sventole da rappresentanza al fianco di qualche truzzo porchato (con la Porche) che, per carità, ci sono anche quelle. Ieri sera, quando mi sono permesso di mangiare due pesci, ne avevo tre al fianco che sbocconcellavano con degnazione ostriche e branzini, innaffiate da fiumi di limoncello come se piovesse. Occhi languidi al cameriere e sbuffi dalla sigaretta elettronica, con strascicati daaaa alle profferte di ice cream alla vodka e giù grandi battiti di ciglia. 

No, vedo che spiaggiati al mio pari, tra i ciottoli levigati dall'onda lenta di un Mediterraneo più freddo del solito (si vergognerà anche lui?), ci sono parecchie famigliole con pargoli, coppie dalle trippe prominenti, gruppetti di amiche depassé che poi si varano tra le onde con gridolini di davai!, pojalusta, spassiba e così via, trascinandosi dietro epe prominenti, omeri tatuati e costumini anni 50. Insomma più russi del solito a confermare che questo angolo della Cote è sempre stata meta privilegiata per i figli della Sarmazia, sia quando venivano a schiattare da queste parti pensando di guarire dalla tisi che aggrediva diafane contessine e macilenti ufficiali zaristi, sia quando era rifugio di anarchici nichilisti (che per la verità preferivano Capri o Parigi, sia, in tempi più recenti quando hanno ricominciato ad attirare i nuovi ricchi del dopo glasnost. Sarà, comunque io, quando sento l'idioma sovietico, e così lo nomino perché era parlato da tutti in quelle repubbliche che oggi lo rinnegano con smorfie di nausea, ho sempre una sorta di languorino al cuore, specialmente se quella cantilena dolcissima è pronunciata da una donna, cosa che la rende ancora più fascinosa e seducente. Così chiacchierando con un vecchio amico, non ho potuto non andare indietro con gli anni a rinverdire qualche episodio della mia vita lavorativa e di gustosi ce ne sono stati così tanti!

Si era a Firenze una domenica di aprile, dopo che era stato firmato un polposo contratto per una macchina di imbottigliamento di vodka, in compagnia del responsabile della fabbrica, che con questa scusa, era riuscito ad uscire dalla Russia e a vedere un po' di Italia, il paese sognato da tutti i suoi connazionali, il classico viaggio premio insomma, che era sempre incluso come bonus per la firma di ogni contratto. Per venire incontro alla brama di bellezza che alberga in ogni russo, il mio amico era riuscito, tramite una conoscenza della moglie ad avere, come nostro accompagnatore un grande esperto d'arte fiorentino che di buon grado aveva accettato di mostrare le cose più belle della sua città a cotanta delegazione, allora di russi in giro non se ne vedevano. Il nostro maggiorente era venuto con un sottoposto silenziosissimo che diceva solo di sì con un cenno della testa ed una segretaria belloccia, detta il samovar, impegnata soprattutto a ripassarsi continuamente il rossetto sulle labbra, naturalmente prominenti e che di norma doveva allietare le sue notti, altrimenti solitarie. Dopo una colazione pantagruelica da parte dei due maschi, soprattutto il sottopancia era voracissimo, mentre la fanciulla aveva appena toccato cibo controllandosi continuamente il contorno labbra in un piccolo specchietto da borsetta, appena arrivato il nostro esperto accompagnatore, cominciò il giro tra le straordinarie bellezze fiorentine. Il professore parlava continuamente e devo dire che le sue dotte spiegazioni, puntualmente tradotte nei particolari più minuti dall'amico Gianni, avvincevano l'uditorio, mentre passavamo di chiesa in chiesa, tra monumenti e palazzi antichi, basiti davanti a statue celebri di cui potevamo finalmente apprezzare ogni gesto, ogni muscolo, ogni espressione. 

Davvero una gioia per gli occhi e per le orecchie, tanto che, a parte l'inespressività forse obbligatoria del guardiaspalle, forse un ex KGB, anche la fanciulla cominciava a sgranare tanto d'occhi. Giungemmo finalmente dopo una marcia forzata davanti alla facciata del Duomo, tra il campanile di Giotto e la cupola del Brunelleschi che incombevano sul nostro gruppetto. Mentre il professore si ammutolì improvvisamente lasciandoci in silenzio, il tempo di restare fulminati davanti a tanto spettacolo, ritenendoci ormai vinti dalla sindrome di Stendhal, il nostro ospite che ormai zoppicava vistosamente, appoggiato ad uno stipite si girò verso il mio amico e gli bofonchiò a mezza voce, un pensiero che evidentemente covava da un po' e che si può riassumere come segue: - Djanni, scusa ma ti son venuto dietro tutto il giorno ed ho i piedi come due salami pressati (nota specialità di una azienda moscovita), ma adesso, se non mi porti, prima che chiuda, in quel negozio di scarpe che mi avevi promesso e che era anche l'unico motivo per cui siamo venuti in questa cavolo di città, che non mi ricordo neanche come si chiama, quando verrai a Samara al montaggio della linea di riempimento, ti faccio appendere per le palle nel cortile della fabbrica.- Il discorso di cui non so riportarvi le esatte parole in russo, ma questo era assolutamente il senso, non fu tradotto nei dettagli al professore che ci accompagnava, a cui facemmo grandi ringraziamenti per la sua disponibilità e di apprezzamento per la sua sterminata cultura, anche da parte dei nostri soddisfattissimi ospiti, che essendo un po' stanchi, gradivano ritirarsi in hotel. Così lo lasciammo libero e il nostro amico direttore ebbe le sue scarpe fatte a mano. Il giorno dopo la delegazione partì e mai rumore delle ruote dell'aereo che se la portava via, fu più dolce. 





Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

domenica 24 giugno 2018

Tuscia 5 - Il lago di Bolsena

Isola Bisentina


Marta
Così è arrivato anche l'ultimo giorno di questo breve giro nella Tuscia, diciamo pure un assaggio in una zona che meriterebbe una permanenza decisamente più corposa. Anzi a dir la verità, sarà soltanto mezza giornata quella che abbiamo ancora a disposizione. Il programma prevedeva di dedicarla alla visita di Villa Caviciana, un'azienda molto particolare che ci avrebbe consentito di conoscere da vicino alcune realtà agro gastronomiche molto particolari, come l'allevamento dei maiali di razza Magalitza e delle pecore Zackel e della relativa produzione di particolari salumi di altissima qualità, oltre naturalmente a olio, vino e miele. Purtroppo un gravissimo evento occorso in questi giorni ha costretto l'azienda a cancellare l'appuntamento, che per quanto ci riguarda è soltanto rimandato. Si è deciso quindi di trascorrere la mattinata che ci è rimasta, prima di intraprendere la lunga strada del ritorno, con una esplorazione del lago di Bolsena, che abbiamo apprezzato nei giorni scorsi soltanto costeggiandone le rive o arrampicandoci lungo i bordi della grande caldera, che ricordo, lo rende il lago vulcanico più grande d'Europa. Intanto bisogna dire che questo lago ha caratteristiche davvero particolari e, benché sia piuttosto grande, il quinto come dimensioni, la presenza antropica che gravita nella sua area non è molto elevata, solo 8 paesi sono sulle rive, contribuendo a mantenere a tutta la zona una atmosfera di tranquilla solitudine ed isolamento, un po' misteriosa, un po' selvatica. 

Gli scogli
Le piccole spiaggette che si alternano a zone più paludose di canneti (vi ricordo che il lago è completamente balneabile), sono ricoperte di nera sabbiolina vulcanica; i piccoli capi ed i promontori che si affacciano sono quasi sempre aspri e ricoperti di una fitta vegetazione di querce e altre latifoglie di alto fusto. Anche le barche di pescatori che si avventurano sulla sua superficie, apparentemente calma, ma capace di mutarsi in tempeste piuttosto violente, le cosiddette lagheggiate, sono poche ed isolate. E dire che il lavarello o coregone, qui introdotto in un passato recente, è il pesce che più frequentemente troverai sulle tavole dei ristorantini che si affacciano sul lago. Questo tranquillo isolamento contribuisce anche a mantenere una ricchissima fauna avicola che nidifica in varie zone del lago e che si può vedere facilmente percorrendolo in barca. Dunque ecco arrivato il momento per imbarcarsi per questo giro sul lago, per poterne apprezzare i punti di vista migliori e che non si riescono a vedere da terra. La nostra imbarcazione parte dall'abitato di Capodimonte proprio alla sinistra di Marta, che col suo palazzo fortificato domina questo lato e si dirige subito verso il  centro del lago, punto dal quale hai un bellissimo colpo d'occhio su tutto l'ampia superficie e sulle rive lontane che incorniciano le sagome lontane del Bisenzio e dei monti Volsini. 

Cormorani
Il lago fu comunque abitato fin da tempi antichissimi, verso la fine del neolitico come testimoniano residui palafitticoli rinvenuti in diversi punti e poi successivamente da Villanoviani, Etruschi, Romani e via via è stato testimone di tutta la storia medioevale e rinascimentale. Tutti questi popoli hanno naturalmente lasciato abbondanti testimonianze della loro presenza. Ma la parte più affascinante del giro è senza dubbio la circumnavigazione delle due isole che emergono al centro come smeraldi verdi sulla superficie blu scuro, specchiandovisi con le loro pareti scoscese e selvagge. Purtroppo entrambe le isole sono private e non visitabili e questo aumenta un poco di più la loro aria misteriosa, quando scorri lentamente di fronte alle loro rive prive quasi di approdo. Ecco dapprima l'isola Bisentina tozza ed irregolare, con le sue alte pareti che circondano la parte centrale avvallata, completamente ricoperte da una fittissima vegetazione arborea da cui spuntano le cupole di piccole chiese e di altre costruzione religiose. Le scogliere che la circondano sono popolatissime di cormorani e grandi gabbiani, mentre aironi di grossa taglia si nascondono nei canneti della parte bassa. Il verde degli alberi si riflette nell'acqua profonda, cupa e misteriosa. Forse erano qui gli ingressi dell'Averno? 

Isola Martesana
Il luogo è davvero solitario e silenzioso, le costruzioni antiche che si intravedono tra i rami, appaiono come muti testimoni inaccessibili di un pianeta abbandonato dai suoi abitanti. A poche centinaia di metri l'altra isola, la Martesana è ancora più selvatica e solitaria. La sua forma, costituita da un'alta scogliera a mezzaluna, testimonia il suo passato di piccolo cratere interno al grande vulcano, che, essendo collassato in parte, ha mantenuto solamente una metà della sua cresta rocciosa. La leggenda dice che qui fu trucidata nel 535, la bellissima Amalsunta, figlia di Teodorico, dal bieco cugino Teodato e ancora prima avrebbe custodito le spoglie della Santa Cristina per evitare che cadessero nelle mani dei barbari. Anche qui intravedi costruzioni semiabbandonate e zone raggiungibili solo attraverso percorsi nascosti e scavati nella roccia. Tra gli alberi bassi, un tratto piano dove sorge un casale che si dice abitato da un pescatore, custode, che di certo non dovrebbe avere una vita troppo movimentata. Davvero uno spettacolo di paesaggi unici questo giro sul lago. Non c'è tempo per visitare l'abitato di Marta da dove parte l'unico emissario del lago, che ne regola anche l'altezza delle acque. 

Tracce del convento Agostiniano
Un ultimo sguardo dalla bella passeggiata del lungolago ancora piuttosto deserto in questa stagione, ma tuttavia, prima di prendere la via del ritorno devo darvi conto della esperienza enogastronomica più interessante dell'intero viaggio, quella avuta all'Hostaria del ponte a Lubriano. Intanto è stata l'occasione per buttare un'ultima occhiata da un lato, questa volta laterale, alla straordinaria Civita di Bagnoregio, che qui si può apprezzare in tutto il suo splendore da una lunga balconata che mette il colle turrito a bel contrasto con la verdeggiante vallata ed i grigi calanchi retrostanti e quindi ci ha consentito un ultimo incontro ravvicinato con la cucina dell'Alto Lazio, ricca, sapida e invitante. Mi è d'obbligo quindi farvi menzione di eccezionali gnocchetti zucca e tartufo nero, di cui sono stato obbligato a testare più volte la qualità, con successivi graditi rabbocchi, seguiti da ravioloni di melanzane, da un tenerissimo filetto al pepe in salsa per terminare con una torta sfogliata direi pregevole. Complimenti alla cuoca. Il ritorno non ci è pesato e voglio concludere questa breve relazione con un caldo ringraziamento alla D.ssa Giacomina Caligaris e a tutti gli altri Amici del Museo di Agricoltura del Piemonte che si sono spesi nella perfetta organizzazione di questo viaggio.

La Martesana

SURVIVAL KIT

Hostaria del ponte - Lubriano. Situata in un palazzo rinascimentale molto bello sulla balconata del paese in vista di Civita di Bagnoregio, offre bei menù del territorio. Servizio gentilissimo e veloce e piatti molto ben presentati. Il miglior ristorante del nostro giro. Assolutamente consigliato.

Civita dalla Balconata di Lubriano



Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare

1 Montefiascone e Bolsena
2 Da Viterbo a Vitorchiano
3 Da Civita ad Orvieto
4 Da Tarquinia a Tuscania 

sabato 23 giugno 2018

Tuscia 4 - DaTarquinia a Tuscania


Tarquinia - La tomba dei leopardi



Tombe
Oggi altre due gemme dello scrigno prezioso di questa terra. La prima tappa è uno sprofondare nella storia più antica, quella che ci riporta al misterioso mondo degli Etruschi, un popolo che ha contribuito molto allo sviluppo della civiltà del nostro paese e senza il quale forse la civiltà romana non avrebbe potuto diventare quello che è stata. A Tarquinia, tra olivi e campi ubertosi, si trova la cosiddetta necropoli dei Montarozzi, una delle più ricche, che raccoglie in uno spazio tutto sommato abbastanza limitato un gran numero di tombe a tumulo, tutte riccamente decorate. Oggi la maggioranza di queste sono state rese agibili alla visita e benché svuotate di tutti gli arredi che vi si trovavano (per lo meno quelli non ancora razziati dai tombaroli di tutte le epoche), conservano una ricchissima serie di affreschi, che benché, come si può immaginare, siano di grandissima e facile deperibilità, hanno trovato una soluzione accettabile che ne garantisce la conservazione consentendone comunque la vista. Bisogna dire che una buona parte delle pittura è ancora ben leggibile e ci racconta molto di questa civiltà vecchia di quasi due millenni e mezzo, mostrandoci nelle sue policrome raffigurazioni, il livello di raffinatezza a cui erano arrivati e soprattutto, essendo poi queste delle tombe, il rapporto sereno che gli Etruschi avevano con la morte e con il mondo ultraterreno.

Sarcofagi
Sulle pareti della camera che fungeva da sepolcro si alternano scene di banchetto, di giocolieri, di sportivi, animali e spettacoli, quasi a voler rappresentare i momenti più belli della vita del defunto o forse per rallegrarlo dopo la morte. Ogni tomba è identificata con un riferimento a qualche caratteristica preminente dei suoi affreschi, così puoi passare, scendendo attraverso ripide scalette di legno, in questo mondo dell'al di là, per vedere attraverso vetrate protettive, la tomba del guerriero, quella dei leopardi, quella delle leonesse, quella degli àuguri, dell'orco, del barone e tante altre tra cui davvero puoi perderti senza riuscire a deciderti quale sia la più bella o la più suggestiva. Se riesci a capitarci quando non c'è molta gente, proverai a rimanere per un poco, solo al chiuso di quello spazio ridotto e un poco claustrofobico e guardare la volta bassa ricoperta di disegno geometrico mentre sulle pareti scorrono le scene di caccia e di pesca o di atleti che si sfidano nelle gare, cercando di sentirti almeno in parte in quel mondo così lontano nel tempo, dal quale, comunque e almeno in piccola parte provieni. Cosa pensava quella gente quando si allontanava da questi tumuli, vergate di quella scrittura bustrofelica e ondivaga, quando molta parte del mondo viveva ancora tra piane e foreste, tornando alle proprie case in vesti preziose che avevano solcato i mari per arrivare fin quaggiù, che conoscevano i quattro bordi del Mediterraneo, che scolpivano la bellezza dei sorrisi sereni nelle loro statue e capigliature complesse di boccoli nelle loro terracotte? 

Chiesa di S.Maria Maggiore
Forse il loro mistero viene dal fatto che i Romani, conquistandone le città, li hanno assimilati, facendoli diventare parte di se stessi, confondendosi a loro e impadronendosi anche della loro cultura? Difficile rispondere, ma forse proprio per questa conoscenza confusa, rimane più avvincente il percorrere questi luoghi e vedere il loro mondo perduto. Percorso che continua nel magnifico Museo Nazionale Tarquinese, che raccoglie appunto oltre ad alcune tra le pitture più belle, una ricca serie di sarcofagi tra cui la meravigliosa serie proveniente dalla tomba dei Partunu e le spettacolari sculture rimaste del frontone dell'Ara della Regina, oltre ad una ricchissima collezione di vasi ed altri oggetti, monete e monili che raccontano l'abilità di quegli artigiani e la loro capacità di trattare i materiali, dalla terracotta all'oro. Davvero una visita imperdibile, anche per il contenitore stesso, il palazzo Vitelleschi, anch'esso mirabile e perfetta opera d'arte dell'architettura gotico-rinascimentale. Sarebbe bello dedicare almeno una settimana a girare per queste campagne soltanto per andare a scovare i siti di questo mondo lontano: davvero ci sono tante cose da vedere. Nel pomeriggio balzo avanti nel tempo con l'abitato medioevale di Tuscania e le sue chiese assolutamente uniche sia per il loro aspetto intrinseco che per la posizione paesaggistica. 

Chiesa di S.Pietro
A partire dall'insieme degli edifici della Chiesa di S. Pietro che circondano un prato smeraldino che ha eguali solo nella piazza dei Miracoli di Pisa, già set del Romeo e Giulietta di Zeffirelli, qui raccolto con le due torri e la facciata intorno allo stretto spazio, davanti all'arco misterioso, dove si rincorrevano Davoli e Totò, nella sua ultima apparizione sullo schermo in Uccellacci ed uccellini. L'interno severo della chiesa ti lascia senza fiato con il suo spettacolare pavimento cosmatesco e quel che rimane dei suoi ieratici affreschi e più ancora quando ti addentri nel sotterrano mirabile della vastissima cripta che a sua volta ha affascinato registi di ogni epoca. Ancora più straordinaria la vicina chiesa di Santa Maria Maggiore con la sua facciata che è una trina preziosa di marmo a partire dal bellissimo rosone e soprattutto con il suo interno ricchissimo di preziosi affreschi tra i quali spicca un famoso Giudizio universale, oltre al particolare altare, al pluteo dell'VIII secolo e al fonte battesimale del XIII. Insomma una serie di capolavori a getto continuo, la maggior parte dei quali devi lasciare al lato della strada, mancandoti il tempo per poterli vedere ed apprezzare. Solo un'ultima occhiata ad uno dei panorami più gettonati di Tuscania, quello attraverso l'arco dell'ingresso al Belvedere, dalla quale l'abside della chiesa di S. Pietro si staglia sulle colline circostante; un panorama severo che di certo incantava i pellegrini che seguivano questo ramo della via Francigena per raggiungere la capitale. 

Il pavimento cosmatesco

SURVIVAL KIT

Dal belvedere
Necropoli di Tarquinia - Ingresso 6 € - A 3 km dalla città, loc. Montarozzi. Oltre duecento tombe su 750 ettari, di cui visitabili una quindicina, che conservano bellissimi affreschi. 

Museo Archeologico - Palazzo Vitelleschi - Ingresso 6€ (con la necropoli 8) - Tre piani di reperti, affreschi e sarcofagi etruschi provenienti dalle necropoli circostanti,tra i più belli in assoluto, esposti in modo molto interessante ed avvincente, in un palazzo esso stesso opera d'arte. Da non perdere.

Tuscania - Tutta la città da vedere col suo centro storico, se si hanno soltanto un paio d'ore non mancare le due chiese di S. Pietro e di S. Maria Maggiore, coni loro interni ricchi di opere d'arte e il colpo d'occhio dal belvedere. 

Agriturismo Bagaglia Loc. Vaccareccia. Sul litorale, classico agriturismo che sfama torme di turisti e vacanzieri. Servizio rapido e cortese. Piatti classici, bruschette e fujot coi fegatini di pollo, risotto e tagliatelle al cinghiale, arrosto morbidissimo e zuppa inglese. 


Interno del palazzo Vitelleschi

Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare

1 Montefiascone e Bolsena
2 Da Viterbo a Vitorchiano
3 Da Civita ad Orvieto 

venerdì 22 giugno 2018

Tuscia 3 - Da Civita di Bagnoregio a Orvieto

Civita di Bagnoregio

La piazza
Ancora colli selvatici ed impervi per arrivare ad una delle perle assolute di questo territorio, Civita di Bagnoregio, uno dei borghi più straordinari di questo lembo di Italia, universalmente noto per la sua posizione unica. Arrivi fino al belvedere dell'abitato di Bagnoregio, volendo con una comoda navetta o a piedi se hai voglia di fare una sgambata e poi dalla balconata ti si apre una veduta unica in tutti i sensi. Qualunque sia la stagione,davanti a te si apre una valle scoscesa e ricoperta di boschi fitti con poche radure a ridosso di castagneti e pochi gruppetti di case antiche. In mezzo alla valle, che in epoche lontanissime era la sede di una gigantesca area vulcanica, si eleva un monte dalle pareti a strapiombo che le erosioni ed i crolli successivi hanno reso inavvicinabile. Sulla cima abbarbicato alla roccia fragile, proteso sull'abisso, un paese dalle case di pietra unite le une alle altre come fossero cosa unica, Civita appunto. Un fragile ponte attraversa l'abisso sostituendo quello che un tempo era un minuscolo camminamento che terremoti e intemperie hanno fatto definitivamente crollare, conducendo i viandanti alla porta di accesso. Dietro un panorama mozzafiato, una serie continua di calanchi grigi che si stanno disfacendo a poco a poco, ogni anno diversi, a formare quinte successive di roccia friabile che vento ed acqua scavano senza pietà mantenute a volte insieme dalla roccia soprastante un poco più solida. 

I calanchi
Qui è frequente la nebbia ed allora la cima del borgo che emerge da quel mare lattiginoso, la cui base rimane nascosta alla vista lasciando all'immaginazione di ognuno, la sua forma e la sua consistenza, è una magia sospesa nel vuoto come le rocce volanti del pianeta Pandora create dalla fantasia del film Avatar, ma che evidentemente, per quanto folli frutti della fantasia, possono essere reali. Una cartolina medioevale come poche altre, che tuttavia devi conquistarti perché la salita per raggiungere l'abitato è dura e faticosa, arrivi alla porta completamente senza fiato, un po' per la salita, un po' per lo spettacolo nuovo che ti si apre all'interno del paese, abitazioni antiche di pietra chiara che i raggi del sole colorano di toni aranciati, scalette e finestre coperte di fiori, piccoli giardini nascosti, muraccioli in cui si scavano la vita piante di capperi, cespi di acanto dalle foglie barocche e dai fiori rigogliosi. Raggiungi la piazzetta entrale dove si è appena svolta la festa, una sorta di palio ed entri in una chiesa severa e solitaria. Nella navata centrale ci sono ancora i resti dell'infiorata del giorno prima. Poi ti perdi nei vicoli che si allontanano dal cammino principale per arrivare fino allo strapiombo ed ogni volta è una veduta mirabile e unica. Non osi pensare al momento in cui la folla dei turisti, che il luogo ormai conosciutissimo attrae da tutto il mondo, se ne andrà, lasciando il paesino deserto e vissuto dalla decina di abitanti che lo popolano, in uno squarcio di medioevo attuale a tutti gli effetti. 

Una botte del museo
Non vorresti lasciare il posto e continuare a goderti ogni angolo, ogni casa, ogni scalinata. Davvero un luogo affascinante. Non lontano da qui, nella stessa Bagnoregio la interessante visita di un frantoio tradizionale, racconta la storia di un territorio vocato alla produzione di molte eccellenze alimentari per le quali il nostro paese è famoso nel mondo. Il racconto della produzione dei vari tipi di olio dalle diverse fragranze non è disgiunto dalla vista di macchine moderne che danno le maggiori garanzie di qualità ai molti prodotti dell'azienda Piensi. Assaggiare alcuni di questi oli, gustandone le differenze con verdurine e pane locale, ti consente di apprezzarne le diversità, i sapori, i profumi fruttati. Difficilmente si riesce a resistere dal portarsi a casa qualche esempio, piccole bottiglie che ti ricorderanno, giunto a casa, questo angolo di Alto Lazio. Bisogna far decantare tutto questo e l'agriturismo Tenuta di Campolungo, letteralmente sepolto tra infinite siepi di rose bianche, in un paesaggio di pascoli e campi, è il luogo adatto per provare l'acqua cotta e l'amatriciana della tradizione, assieme ad un delizioso spezzatino di maiale. Ma non c'è tempo per riposare ci aspetta il Museo del vino Muvis a Castiglione in Teverina, costituito all'interno di una vecchia e tradizionale cantina che era stata una delle aziende più importanti della zona e occupava moltissimi addetti tra le due guerre. 

Un vicolo
Il museo è costituito da una serie di oggetti riguardanti la coltura della vite e della produzione vinicola, accompagnati da una ricchissima iconografia con fotografie d'epoca che illustrano la produzione dell'azienda, con le prime macchine di riempimento e confezionamento. Le cantine scendono per cinque piani al di sotto della collina e contengono una serie di vasche e moltissime botti di proporzioni colossali dove i vini terminavano il loro invecchiamento. Questi sotterranei, durante la guerra, sono serviti da rifugi anti aerei per tutta la popolazione del paese. Ma la giornata non è ancora terminata, rimane infatti da fare una breve passeggiata nella città di Orvieto, una delle più affascinanti di tutta la zona, a partire dal famoso pozzo di S. Patrizio per arrivare attraverso le vie dei quartieri medioevali fino alla gemma del duomo, dalla notissima facciata. Davvero curioso, guardare la folla che si raduna via via sul sagrato antistante e rimane lì a testa in su a bocca aperta senza riuscire a profferire parola davanti a tanta bellezza. 

La facciata del Duomo
Considerare i particolari ti prenderebbe giorni di attenzione, la stessa guida che ci ha accompagnato, confessa che ogni volta che si ferma davanti a questo capolavoro, nota nuovi particolari, punti di discussione, caratteristiche che non compaiono ad una prima lettura. Insomma un quadro perfetto da ammirare nel suo insieme perdendosi poi nei suoi meandri più segreti e nascosti. Anche la visita dell'interno è un continuo susseguirsi di capolavori a partire dalla cappella di San Brizio con lo spettacolare ciclo di affreschi del Signorelli e la cappella del Corporale che racchiude la reliquia del lino insanguinato del miracolo di Bolsena di cui vi ho già parlato, con altri affreschi spettacolari e la pala della Madonna dei Raccomandati, tanto per dirne una. Una serie di pezzi così straordinari da far passare quasi in secondo ordine altri capolavori come la Madonna con Bambino di Gentile da Fabriano all'ingresso e cento altri pezzi che da soli varrebbero la visita. A questo punto bisogna riprendere le forze e devo dire che il carpaccio di pere e lo stinco di maiale alle prugne dell'Osteria delle donne è stato decisamente in linea con i capolavori che abbiamo assaporato in questa importante giornata.

La cappella del Corporale

SURVIVALKIT

Civita di Bagnoregio - Da Bagnoregio al belvedere possibilità di prendere una navetta, poi 1,5 km a piedi lungo il ponte per accedere alla città. 5 € festivi , 3 feriali. Cercate di arrivare prestissimoper evitare le code infernali. Dopo aver apprezzato lo spettacolare panorama (bellissima vista anche dal costone opposto di Lubriano) fare un giro nella cittadina senza perdersi gli angolini più segreti, la chiesa (se non è in restauro) e la vista dei calanchi che la circondano. E' possibile anche fare un itinerario a piedi alla base del monte che sostiene il paese.

La tenuta di Campolungo - Agriturismo - Vicolo Monterado - Bagnoregio - Posizione bellissima in mezzo ai roseti, ai ciliegi e alla campagna. Acqua cotta e pici all'amatriciana, cosciotto di maiale al ginepro, dolce. Locale piuttosto rumoroso.

Frantoio Piensi Frantoio nei pressi di Bagnoregio, dove è possibile l'assaggio degli oli e degli altri prodotti dell'azienda con relativi acquisti. Tutto è spremuto a freddo e vengono prodotti oli diversi anche con varietà di olive tradizionali

Museo del Vino MUVIS - Castiglione in Teverina - ingresso 6 Euro, 3 ridotti e gruppi. Di grandi dimensioni (5 piani). Ben disposta tutta la prima arte con molte foto d'epoca e interessante filmato che raccontano una classica cantina di grosse dimensioni operativa durante le due guerre mondiali. Belle cantine sotterranee con botti colossali.

Duomo di Orvieto - Pezzo unico imperdibile, anche se si ha poco tempo. Ingresso 4 euro. Munirsi di guida per non perdere tutti i capolavori dell'interno, in particolare la cappella affrescata dal Signorelli. Dedicare almeno una mezz'oretta per godersi la facciata nei particolari più minuti, forse la più nota e bella d'Italia. Alla sera a favore di sole si ha la vista migliore.

L'Osteria delle donne  - C. Cavour 212- Orvieto - Uno dei ristoranti migliori del giro. Cordialità e ottimo servizio, pur nel locale affollatissimo. Delizioso carpaccio di pere con formaggio, ombrichelli al rancetto sapidi e succulenti, meraviglioso stinco di maiale di morbidezza unica che ho mangiato in quantità esagerata, dolce. Da riprovare per sentire gli altri piatti.

Civita - Scale 

Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare

1 Montefiascone e Bolsena
2 Da Viterbo a Vitorchiano 

giovedì 21 giugno 2018

Tuscia 2 - Da Viterbo a Vitorchiano


Vitorchiano

Viterbo - Palazzo dei Papi
Al mattino presto la vista sul lago dal balconcino della tua finestra non ha prezzo. Sarà pur vero che il lago induce di per se stesso alla melanconia, ma che piacere stare qui a guardare il clic dell'onda leggera che si rivolta sul ghiaino della riva, mentre una serie di paperelle si infila tra i salici ed i canneti. Ma gambe in spalla, che il tempo non è molto e le cose da vedere tante. Si risale la caldera e tra boschi di querce, vecchi olivi a quinconce e nuovi impianti di noccioli, questa è la regione con la maggiore produzione italiana, grande fornitrice della Ferrero, si arriva a Viterbo, la città dei Papi, severa e racchiusa nelle sue alte mura col palazzo e la città che si stagliano all'orizzonte formando una skyline indimenticabile ed immediatamente riconoscibile, altro che New York o Dubai, per dire. Qui dal belvedere del giardino di fronte la vista del grigio palazzo famoso, subito richiama alla mente tempi antichi e paramenti paludati di conclavi complicati. Forse proprio qui prese il via la parola che definisce la riunione che dà luogo all'elezione papale. Qui in questo palazzo severo, la popolazione esausta che da anni manteneva a ufo la massa di cardinaloni che non si decidevano a votare il prescelto, fu richiusa dentro appunto cum clave, nel palazzo privo di tetto e pare anche di cibo fino a che non si si fossero messi d'accordo, cosa che fecero immantinente. 

Viterbo - Quartiere San Pellegrino
Potenza della persuasione popolare. Certo che questo dovevano essere tempi pericolosi per la detenzione del potere, infatti durante il periodo papale in città, che fu di soli 24 anni, si alternarono al soglio ben nove pontefici, una moria diciamo pure sospetta. Comunque la piazza antistante il palazzo e la preziosa loggia è davvero spettacolare e non meraviglia sia stata scelta come set per numerosi film, compresa la serie del Commissario Rocca. Ma la meraviglia continua camminando tra fontane e giardinetti per le vie dell'antico quartiere San Pellegrino, con le sue case addossate le une alle altre, le scale esterne aggettanti e ricoperte da cascate di fiori, insomma ce n'è veramente in eccesso per essere orgogliosi del nostro paese. Anche pranzare in un ristorante ricavato in una antica casa, tra archi di pietra e volte a botte fa sembrare ancora migliori i piatti tradizionali che abbiamo provato, dalle croccanti bruschette, al risotto all'ortica, alla classica amatriciana e via via fino al semifreddo finale. Poi primo pomeriggio alla villa Lante a Bagnaia, forse un poco meno nota delle consorelle a Caprarola o di Villa Farnese o villa d'Este, ma assolutamente imperdibile con uno dei parchi più belli d'Italia ed un giardino all'italiana di tale perfezione da rimanere incantati. Che bellezza passeggiare nei vialetti tra le siepi di bosso a scoprire fontanelle nascoste e altre maestose, giochi d'acqua e cascate gorgoglianti, statue in peperino ricoperte di muschi e i mori del Giambologna al centro del parterre.

Villa Lante il giardino all'italiana
Tutte opere meravigliose che la dicono lunga di come in tutte le epoche avere molto danaro a disposizione poteva dare luogo a opere magnifiche ed il cardinale Gambaro che la portò al suo massimo splendore, ne ha fatto davvero un pezzo unico. Peccato che le due costruzioni quadrate che costituiscono le ville vere e proprie, siano visibili all'interno solo in alcuni ristrettissimi periodi dell'anno. Rimane allora la curiosità che dovrebbe indurre al ritorno. Ancora un appuntamento per terminare la giornata, l'abitato di Vitorchiano, abbarbicato su uno sperone di roccia con le sue case abbracciate le une alle altre, quasi appese nel vuoto sulle rocce fessurate che minacciano di spaccarsi da un momento all'altro e far precipitare nel baratro tutto il paesino. All'interno del borgo accedi solo attraverso strette porte e le stradine mostrano tutta la bellezza dell'abitato medioevale che scende ripido verso la parte esterna, dove il sentiero esce quasi a precipizio nella forra sottostante nel punto che certo affascinò Monicelli nel 66 quando qui volle posizionare una delle scene topiche della sua Armata Brancaleone. Il colpo d'occhio dalla balconata di fronte è davvero spettacolare, con il sole che sta scendendo dietro i rilievi lontani. La curiosa statua di un Moai dell'isola di Pasqua che completa lo spiazzo, è uno dei pochissimi scolpiti fuori dall'isola da un gruppo dei suoi abitanti che hanno girato il mondo in cerca di condizioni analoghe alle loro e che hanno trovato nella cava della pietra di questi luoghi il materiale idoneo a lasciare una testimonianza della loro cultura. 




Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

1 Montefiascone e Bolsena 




Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 114 (a seconda dei calcoli) su 250!