mercoledì 31 marzo 2021

Recensione: Leonardo

dal web

 Ho aspettato almeno la seconda serata della serie Leonardo, per poter dire la mia e voglio rimarcare che anche questi episodi confermano l'impressione dei primi. Il lavoro, essendo destinato ad un pubblico mondiale, pare che sia già stato venduto in oltre cento paesi, è evidentemente curato e di alta qualità. A questo contribuisce il cast internazionale, lo splendore dei costumi ed in particolare la scelta delle ambientazioni, curate e mirabili. Quando spendi il grano, si vede. Tutto in linea con le aspettative di un pubblico che così si immagina e vuole immaginarsi l'Italia, paese di grandi bellezze storiche ed artistiche. Anche la storia, accattivante, è congegnata per piacere ed in linea con le aspettative di tale pubblico che si immagina un'Italia tardomedioevale, un po' cupa e pervasa da intrighi e congiure (vedasi la precedente serie sui Medici). Insomma un prodotto creato ad hoc con un risvolto soprattutto commerciale, che si vede bene e destinato ad un probabile grande successo internazionale. Gli stessi attori, di grande bellezza e scelti con cura, come l'interprete di Caterina da Cremona personaggio centrale ancorché totalmente inventato, contribuiscono alla qualità dell'opera. C'è solamente un problema, che dall'intero lavoro, manca un elemento che dovrebbe essere se non fondamentale, almeno importante. Non c'è infatti Leonardo da Vinci. Direi che il grande genio non è decisamente presente, sostituito da un personaggio col suo nome, ma quasi senza alcuna delle caratteristiche del Maestro. Naturalmente qui non voglio parlare della realtà storica completamente travisata che in una fiction ci sta; anche se le motivazioni dello stravolgimento della realtà sembra sia dovuta alla necessità di "non annoiare il pubblico" e ritengo soprattutto, dalla volontà di strizzare l'occhio alla platea americana, con personaggi e omicidi inventati e in stile indagini del bravo commissario. Ieri sera abbiamo assistito ad esempio all'omicidio del piccolo Gian Galeazzo Sforza che nella realtà morì di malattia  venticinquenne. 

Neppure mi soffermo sul calcamento di mano nell'aspetto dell'orientamento sessuale dell'artista, che comporta l'obbligo, per essere giudicati attuali e moderni, di esibire almeno qualche bacio omosessuale, se no non sei alla moda. Sarebbe criticabile, ma alla fine posso accettare che ci stia. No, quello su cui non mi sembra di poter concordare è lo snaturamento della figura dell'artista. Questo aspetto di uomo perseguitato dalla maledizione che lo insegue dalla nascita, che comincia con il rapace che si avvicina alla culla, episodio forse avvenuto ma di tutt'altra natura e che lo costringe in guai gravi, non esiste proprio. Pur essendo figlio illegittimo Leonardo fu infatti uomo amato ed aiutato dalla famiglia che mai lo abbandonò. La madre fu addirittura con lui a Milano dove morì e uno zio gli lasciò anche una discreta eredità. Il padre sempre provvide al suo mantenimento e gli procurò varie commesse introducendolo nel mondo artistico fiorentino e nessuna sua opera fu rifiutata, al limite fu lo stesso Leonardo che preso da mille passioni ed interessi lasciava lavori a metà per dedicarsi ad altro. Ma soprattutto la serie presenta un Leonardo unicamente come immenso pittore che faceva anche altre cose minori, sopportate più che altro per sbarcare il lunario, che né lo interessavano più di tanto, né amava. La realtà è ben diversa. La pittura fu per il Maestro una passione quasi secondaria, tanto che non dipinse più di una ventina di opere, qualcuna pure lasciata a mezzo, altre prodotte con tecniche sperimentali che ne decretarono una precoce rovina, vedi il Cenacolo. Ma c'è una straordinaria lettera che rivela bene tutto questo. Si tratta di quello che possiamo, con buona ragione, definire curriculum che invia a Ludovico il Moro, per chiedere di essere assunto come artista di corte. E' talmente interessante che potrebbe essere presa come modello per la stesura di una attuale domanda di lavoro. 

Il nostro elenca infatti la serie di quelli che oggi si chiamerebbero skills, circa una decina, per convincere il suo futuro datore di lavoro di essere adatto allo scopo. Si presenta come esperto architetto militare, inventore di macchine da guerra, progettista di opere idrauliche, grande conoscitore delle fusioni in bronzo, creatore di strumenti musicali (portò con sé un'arpa appositamente progettata che pare suonò con grande perizia), disegnatore di costumi e vestiti per nobildonne e regista di spettacoli teatrali (se ne fa cenno nella serie). Al termine della lettera, come ultima capacità, scrive questa straordinaria frase: "Inoltre, tra l'altre cose, sono ritenuto anche esser discreto pittore". Ineffabile, il creatore della Gioconda si giudica e non per modestia dato che magnifica le altre sue doti come le conoscenze nelle fusioni dei metalli, in cui lo stesso Ludovico, lo giudicò "poco pratico", si ritiene "discreto pittore". In effetti Leonardo fu soprattutto appassionato ingegnere e studioso della natura, della scienza, dell'anatomia, letterato e amante anche dell'arte. Il fatto che fosse straordinario in tutto non significa che egli stesso non si ritenesse sopra ogni cosa un ingegnere ed uno studioso. La pittura certo gli era utile anche per far soldi, ma sarebbe assolutamente riduttivo se comprimessimo il suo genio, limitandolo a questo pur straordinario campo. E tutto questo purtroppo nella fiction non c'è o è assolutamente marginale. Peccato perché all'attenzione del pubblico mondiale passerà solamente questa immagine di grande pittore maledetto, un po' Caravaggesco, che odiava la guerra e amante degli animali, vegetariano, cosa obbligatoria per spingerlo nelle simpatie new age di moda, anche se è una panzana, basta vedere le ricette che descrive a base di gamberi, crudi di pesce e petto di piccione, la lista della spesa di carni e pesci per i banchetti che organizzava, nonché i suoi progetti per macchine girarrosto e addirittura una macchinetta affettauova e trascurando quella vena progettuale che invece era la sua principale passione. Vedremo le prossime puntate.


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martedì 30 marzo 2021

Cappa di piombo

 E' ormai scoppiata la primavera e sembra già quasi estate; il sole è forte e ti fa venir voglia di mare. La cappa di piombo però è sempre sulla testa e si sposta lentamente, tanto lentamente. Il cuore è pesante e non riesce più a ridere. Ieri la notizia inattesa, se pure temuta che se n'è andata una mia cara amica, lasciandomi un vuoto ulteriore, pesantissimo. Pure questa è l'età nella quale queste cose diventano vieppiù frequenti, cadenzate, inarrestabili. Eppure non ci si abitua mai. Il dolore si rinnova e fa così male. Chi sa se in quelle culture dove la certezza delle rinascite è viva e presente in ogni momento della vita, questo passaggio è davvero più morbido, meno straniante o forse è solamente tutta chiacchiera, da esporre in film di seconda scelta. A nulla vale il fatto di considerare di avere avuto una vita piena, di soddisfazioni e riconoscimenti, la certezza insomma di aver vissuto degnamente. quando è il momento la livella segna un limine che non si può valicare. No, non ci si abitua mai anche se questa è una delle poche certezze che si possono avere.

domenica 28 marzo 2021

Haiku ansioso

 


unghiate rosa

sopra un cielo ferito -

l'ansia non cede


sabato 27 marzo 2021

Luoghi del cuore 114: I templi neri di Mrauk-U

I templi di Mrauk-U - Rakhine - novembre 2014


Ancora un ricordo della martoriata terra del Myanmar e di una sua regione remota e poco conosciuta, lo stato periferico del Rakhine, noto per una tragedia nella tragedia quella del popolo Rohinga, sottoposto dai buoni buddisti birmani, tutti ben solidali tra di loro, ad una spietata pulizia etnica. Questa regione nasconde tra le sue foreste le preziose gemme dei templi di basalto nero di Mruak -U, certamente una suggestione indimenticabile. Qualche giorno da queste parti rappresenta una esperienza che non può lasciare indifferenti e mi riporto volentieri a quel momento, di un'alba gravida di umidità, dalla quale emergono soltanto le cime degli alberi della foresta. La collina è una tra le tante dietro il paese, ma un po' discosta, la più alta e solitaria. La vegetazione è fitta, alberelli di foglie larghe e spesse, erba alta, arbusti e canne. Mya Than è avanti e, dopo aver lasciato la stradina che porta ad un gruppo di capanne isolate, prende un piccolo sentiero che sale deciso verso l'alto. Mi ha promesso un posto unico, di quelli da non dimenticare. Non piove più, ma il verde è ancora coperto di goccioline che scivolano a terra quando sfiori i rami più bassi. Bisogna farsi largo anche con le braccia, Dopo poco non vedi più niente intorno, tutto è sovrastato dal rigoglio della natura. Soprattutto stai attento a non prendere qualche spina e a non scivolare, mentre la salita diventa sempre più faticosa e la luce a poco a poco si affievolisce. La via però non è così lunga come sembrava, dopo una mezz'oretta di zig zag nel bosco, la guglia dorata di una piccola pagoda spunta già tra le frasche, ancora un piccolo sforzo poi, solo gradini antichi e sbrecciati, mattoni rossi corrosi dall'acqua e dal tempo su cui devi appoggiare il piede con cura per non smuoverli troppo. L'ultima parte della scalinata è più larga, ti fa intravedere come doveva essere stata pensata dal suo costruttore. Forse un tempo tutta la parte terminale del rilievo era ricoperta di mattoni e di scalinate per accedervi. Due grandi parapetti a foggia di serpente ne seguono ancora  l'ultima rampa, poi un largo spiazzo orizzontale che taglia di netto la cima della collina. Al centro lo zedi della pagoda, alto una decina di metri, presenza aliena nel bosco, con la sua liscia superficie dorata e il h'ti terminale, l'ombrello di metallo da cui pendono decine di campanelle. 


Templi di Mrauk U
Il luogo è deserto, nessuno arriva più quassù; attorno, tra i piccoli stupa che fanno corona alla costruzione centrale, non c'è più traccia di offerte, di incensi e dei piccoli lumi lasciati da fedeli premurosi. Le statue non sono avvolte da mantelli di stoffa, che mani osservanti pongono di solito a protezione della divinità  durante la stagione più fresca. Tutto appare abbandonato eppure ancor vivo, mentre giri attorno alla costruzione, poggiando i piedi nudi sulle piastrelle sconnesse. Il punto domina la vallata e ti puoi mettere tranquillo lungo la balaustra ad osservare lo spettacolo che sotto e di fronte a te si sta preparando. Una foresta verde scuro, fitta di alberi bassi, resa quasi lucida dalla pioggia recente, copre tutta la valle, punteggiata qua e là, su ogni piccolo rilievo o minima sporgenza, delle cupole nere di decine e decine templi, alcuni grandi e isolati, altri raccolti a gruppi come a farsi forza l'un l'altro, come piccole campane di pietra messe a segnare un territorio, a dimostrare presenza e fede. Qualcuno è circondato di bassa erba verde su cui indovini gruppetti di animali al pascolo, altri sono sul bordo di piccoli specchi d'acqua che gli avvallamenti del terreno hanno raccolto nel tempo, altri ancora rimangono avvolti dal verde, ne vedi spuntare solo le punte orgogliose, che pretendono attenzione. Le capanne di Mrauk U sono sepolte nel bosco e non vedi quasi traccia, tranne quelle affiancate alla strada principale, il centro ed il mercato sono fuori dalla vista, dietro una collina più alta. Indovini la presenza umana solo dai fumi che cominciano ad alzarsi tra le cime degli alberi. Sono i fuochi delle cucine che le donne, appena ritornate dai pozzi con i grandi contenitori di alluminio pieni di preziosa acqua pulita, hanno acceso in attesa di preparare la cena. 

Fuochi della sera
Intanto il sole scende tra le colline più lontane mentre tutto il cielo, variegato di nubi piatte, si incendia. La foresta è muta, senza rumori. Nell'aria, appena spira un refolo del vento della sera, senti il tintinnare del bronzo delle campanelle, l'unico fremito che non ti lascia solo di fronte a questo palcoscenico preparato solamente per te. Guardi il sole che scende dietro l'ultima collina, come ipnotizzato, fino a che l'ultimo barbaglio arancio non manda una residua lancia di luce, un rantolo di vita che sa di poter rinascere domani e quindi lascia questa scena con gioia. La luce scende di colpo, lasciando tinte rosa nel cielo che virano subito all'indaco e al viola. La foresta è già scura. Bisogna tornare in fretta, ripercorrendo i passi già fatti in discesa. Il percorso è breve, lo fai senza affanni, rimane anzi il tempo per fermarsi di tanto in tanto ancora un attimo a godere di quella vista grande, delle ondulazioni ormai nere del fondo, dell'orizzonte spezzato dalle guglie di pietra, dei ruderi abbandonati lungo la via. A metà strada, un antico tempietto in rovina, la cupola è crollata, rimane solo l'oscuro ingresso alla cappella, dove forse intravedi sul fondo il sorriso consapevole di una grande statua di pietra. Che fascino solitario quel cunicolo abbandonato tra le rocce coperte di muschio. Accendi la pila, basta superare la soglia e il piccolo corridoio segreto è lì col suo richiamo irresistibile. Da quanto tempo nessuno entra ad onorare il Buddha? Mya Than mi mette una mano sul braccio: "Meglio non entrare, tra le rocce solitarie fanno la tana i serpenti". Scendiamo in fretta, soprattutto guardando a dove si mettono i piedi.

Le colline di Mrauk U

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venerdì 26 marzo 2021

Luoghi del cuore 113: La piana di Bagan

Bagan - Myanmar - novembre 2014


Ogni volta che nei telegiornali appaiono immagini del massacro che sta avvenendo in Birmania, mi si stringe il cuore al pensiero della straordinaria bellezza di quei luoghi ma soprattutto delle persone che laggiù ho conosciuto e che in questo momento staranno di certo affrontando problemi e situazioni spaventose. Eppure non sono passati neppure sei anni da quando eravamo nella piana di Bagan ad aspettare che la luce salisse e per farci una bella razione di templi su cui non voglio tediarvi più di tanto, se non dicendo che l'emozione che si prova in queste antiche costruzioni, in fondo tutte diverse, tra statue, affreschi e cunicoli interni dà sempre grandi stordimenti. Mi sembra di essere davvero ancora là inquesto momento. Si parcheggia tra biciclette lasciate tra gli alberi da avvenenti biondine nordiche e le tonga colorate il cui cavallo bruca tra la polvere in attesa che il suo carico risalga uscendo dalle viscere del tempio vicino. Ci sono anche i pullman certo, ma ragazzi, lo abbiamo già detto più volte, volete venire in un posto strepitoso come questo, nella stagione migliore e pretendereste anche di essere da soli? Non è molto logico aspettarselo, non vi sembra, Dunque portate pazienza, se mai si potrà di nuovo arrivare da queste parti e godetevi quello che vi circonda. C'è tempo per fermarsi in un villaggio in mezzo alla boscaglia rada. In tutta l'area la popolazione si è spostata nei tre centri cittadini che la circondano che sono sorti sulla riva dell'Irrawady, ma rimane ancora qualche contadino anche tra gli alberi che circondano i templi. Le capanne sono di stuoia intrecciata, con stecche di colori diversi, che formano bei disegni geometrici. In ognuna, attività legate al lavoro dei campi ed alla produzione locale, dalla filatura del cotone, alla preparazione dei sigaretti di cheroot, una foglia succedanea del tabacco di cui ci sono campi tutto attorno. 

Tutte le anziane del villaggio se ne pippano serene dei cannoni voluminosi e caratteristici, mentre le giovani arrotolano e impacchettano. Dietro casa qualcuno ha un piccolo frantoio per ottenere l'olio di arachidi, attorno al quale gira senza posa un piccolo zebù dalla gobba nera e pendula sul mantello bianco latte. In mezzo al cortile, stuoie su cui seccano i peperoncini rossi, base della cucina birmana. Di tempio in tempio arriva la sera, il momento atteso per andare a godere la discesa del sole, sull'alta terrazza del Pyat Phat Gyi, un grande tempio che svetta nella pianura. Allora bisognava fare a gomitate coi francesi per conquistarsi un buon posto sull'estrema punta rivolta ad ovest. Soprattutto quando il consueto spettacolo è finito e la folla sciama, rimanete ancora un po' a seguire le dita di velluto nero dell'abito da sera della notte che avanza e che a poco a poco riveste il cielo. Avrete una emozione in più ed eviterete di essere gettati giù dalla terrazza o lungo le scale ripidissime da qualche improvvida spinta della folla che, frettolosa, cerca di guadagnare tempo per arrivare alla beata doccia prima di andare a cena. Poi arriva improvvisa un’altra alba e fuori, il sole diventa subito caldo anche nella stagione invernale ed infilarsi nelle viscere di un tempio diventa piacevole anche per questo. Alla luce di una torcia puoi così scoprire affreschi antichi e minuziosi. Ecco qui le storie edificanti del Buddha, le sue mille tentazioni, le file dei fedeli. Laggiù invece scene di vita sociale nelle città del tempo, addirittura uomini barbuti coi cappelli a cono e la tesa larga, con i portoghesi che arrivavano fin qui a commerciare spezie e pietre preziose. 

Le pareti oscure dei mille corridoi diventano libri di storia e da un tempio all'altro le leggende si intrecciano. Qui il principe soffocò il re suo padre per sostituirlo sul trono; là il tempio stesso diventò prigione del regnante del momento, laggiù ancora nelle viscere buie sotto il grande stupa si aggira il fantasma del generale committente, ucciso barbaramente dai suoi sottoposti. I templi sparsi nella pianura sono oltre quattromila, capirete che c'è spazio per ogni cosa, basta avere il tempio di girare e di fermarsi a guardare. Al grande tempio di Ananda, potevi allora osservare i restauratori nella loro minuziosa opera di salvataggio delle migliaia di formelle invetriare, che il tempo ed i terremoti hanno crepato, spezzato, corroso nei secoli. Un lavoro di pazienza come quello dei laccatori. Qualche stupa era avvolto da una rete di bambù fitta fitta. Quando ci sono soldi od offerte si mette le mani ad uno di questi e lo si restaura, forse in modo un po' drastico, ma proprio della mentalità del paese, per la quale evidentemente, antico e rovinato non solo non è bello ma neppure funzionale al culto. Bisogna, rifare, ricoprire d'oro, rimettere statue e sculture nuove, illuminate da neon colorati su cui poter pregare e a cui poter portare offerte. Così la pianura è cosparsa in lungo ed in largo di costruzioni smaglianti alternate ad altre quasi in rovina, con un fascino forse simile a quello che aveva l'agro romano per il gran tour che ogni Europeo di cultura doveva fare in Italia.

Anche qui puoi sedere su muriccioli in rovina mentre tra la polvere gialla sollevata dal passaggio di un gregge di capre, intravedi l'ogiva di un tempio dai mattoni ocra, nascosto tra arbusti e fogliame. Il rosso vivo delle buganvillee ne avvolge altri e li impreziosisce e puoi rimanere ore a guardare il panorama, abbacinato dai riflessi dell'oro del Thatbyinnyu Pahto, stupire davanti ai portali di tek scolpite del tempio di Ananda o sentire il maleficio che emana dal Dhammayangyi Patho, imponente edificio abbandonato e quasi in rovina che nessuno vuole restaurare per sottrarsi alle sue maledizioni. Era stato costruito da un re che, da buon buddhista non violento anche se forse un po' estremista, voleva espiare le sue colpe, lo strangolamento di padre e fratello, la barbara uccisione di una moglie che praticava ancora l'hinduismo. Ma sembra non riuscisse a sottrarsi alla sua indole violenta, così, a tutti i costruttori che non rispettavano il capitolato, quello per cui tra le pietre disposte con cura durante la costruzione, non doveva passare un spillo, faceva amputare un braccio, tanto erano tutti precari e non c'era Landini che tenesse. Pare che la clausola fosse parte integrante del contratto e si sa che i contratti vanno rispettati anche dai buddisti. Guardi la pietra all'entrata dove è scavata la misura in cui veniva messo l'arto per l'operazione e senti quasi come dall'ingresso buio spiri ancora come una corrente d'aria gelida che pare avvolgere i muri corrosi dal tempo e gli stucchi cadenti. 

I portali sembrano occhiaie buie e hai voglia di andartene in fretta. Sulle rive del fiume che taglia la grande pianura, si trova un piccolo monastero che si differenzia da tutti gli altri. Risale solamente ad un centinaio di anni fa, ma è costruito completamente in legno di tek. Un piano rialzato, con una grande sala a cui si accede attraverso una serie di porticine dai battenti scolpiti. Sopra, una trina traforata di pinnacoli di legno che la pioggia piano piano si sta divorando. Tutto intorno la fresca ombra di alberi di neem e fiori di buganvillee. Cammini nell'ingresso ed il pavimento scricchiola sotto i tuoi piedi nudi come la tolda di una antica nave. Un giovane monaco ti corre incontro trafelato, vorrà un’offerta o sto invadendo un luogo proibito? La cosa non è bella anche se mi son tolto con cura scarpe e calze, come d'obbligo prima di salire la scaletta di accesso. Appena vicino, mi blocca con un segno perentorio della mano e chiede con aria preoccupata: Where you come from? -Italy- rispondo, rinfrancato e grato della curiosità del religioso. - Allora con i piedi, stai attento ai chiodi. - Lo sa dire in una ventina di lingue ed è molto compreso in questa sua funzione di espletare in tempo la prevenzione degli incidenti, poi se ne va subito a fare altro, tanto qui di turisti ne girano pochi. Ma la giornata passa in fretta e quando finisci a Old Bagan, sulla riva del fiume, il sole si avvia al suo destino sulla riva opposta dell'Irrawadi. Quando il cielo diventa viola e poi scuro, una guglia d'oro lancia un ultimo luccicore lontano. Inspirare, espirare, non c'è altro che serva davvero di fronte a tanta bellezza.

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giovedì 25 marzo 2021

Una spiaggia lontana


Nirmala center - Ullal - Karnataka India - 25 marzo 1987

 Era un caldo pomeriggio di 34 anni fa quella in cui ci siamo incontrati per la prima volta. Un giardino esotico di papaie e palmizi del sud del mondo, davanti ad una spiaggia qualunque di quell'India rurale che sembrava così lontana dalle megalopoli sovraffollate. Sabbia dorata e profumi di spezia di fronte all'onda lunga di un mare azzurro carico. Stava cominciando il caldo ossessivo della stagione secca e anche per noi tre stava per aprirsi una stagione nuova piena di promesse e di speranze. Ci hai guardato seria e un po' ingrugnita, come dubbiosa nella decisione di concederci o meno la tua fiducia. Poi a poco a poco ti sei lasciata andare, stringendoci le tue braccine al collo ed è cominciata la nostra avventura insieme, la più bella, la più straordinaria ed appagante della nostra vita. Grazie per tutto quello che ci hai dato e per il privilegio che abbiamo avuto nell'averti come figlia. Che tu sia felice sempre!



mercoledì 24 marzo 2021

Luoghi del cuore 112: Il lago Malawi


Lago Niassa - Mozambico - settembre 2014


Il lago Niassa dalla collina
Dopo un'ultima curva tra gli alberi un baluginare lontano, che il sole alto del meriggio rende quasi accecante. L'orizzonte non è più fatto di colline dai rilievi tormentati, ma solamente una sottile riga orizzontale infinita, di cui non scorgi il termine. Mille piccoli specchietti fanno la gibigianna lontana. Forse è per questo, forse è proprio dall'alto di questa collina che arrivò qui per la prima volta Livingstone e ammirando questa superficie scintillante lo battezzò il Lago delle stelle. La sensazione è quella di avere davanti un mare, immenso e senza confini visibili non potendo vedere le altre sponde oltre quella da cui guardi la superficie azzurra e solo leggermente increspata. Il lago Niassa, come veniva chiamato un tempo o Malawi secondo la dizione internazionale più recente, è lungo 365 miglia e largo 52, per questo veniva chiamato anche il lago del calendario. Anche le sue coste, più di 1000 chilometri, sono popolate di rari e minuscoli villaggi, ma senza importanti città, la sensazione che ti prende subito è di non avvertire la presenza dell'uomo. Le poche capanne sono nascoste tra gli alberi della riva e le acque non sono solcate da barche o navi. Visto dall'alto delle colline ti pare di essere in una terra che non ha mai conosciuto l'uomo, un Eden deserto, solo a tratti pericolosamente misterioso. Soltanto avvicinandosi si vede qualcuno che si lava sulla battigia di pietra e qualche rozza barca di pescatori, ricavata da tronchi scavati. Dove termina la strada, un gruppo di case, una cittadina e un pontile in metallo, qui attracca una specie di traghetto che compie il giro del lago in due giorni collegando Tanzania e Malawi. Una costruzione bassa in cui dovrebbe stare qualcuno addetto al controllo delle merci che arrivano e vanno via, un bar e gruppi di donne che risalgono dal lago con grandi mastelli di plastica colorata sulla testa pieni di panni lavati. 

IL ficus della piazza della dogana
Più in basso sulla spiaggia, gruppi di bambini sguazzano nell'acqua che, azzurra in superficie, diventa subito cupa e scura a pochi passi dalla riva. Ha un'aria invitante il lago, forse perché non l'aria trista che invita al suicidio dei nostri, grigi e piatti, ma sembra davvero un mare azzurro, anche se una sensazione malevola ti tiene comunque lontano dal desiderio di bagnarsi che prende tutti alla vista dell'acqua pulita. E non si tratta neanche dei coccodrilli, che pure sembra siano presenti in gran numero, ma quelli non si vedono così vicini al pontile e comunque avrebbero già mangiato un bel po' di gente se fossero acquattati sul fondale, oltretutto non ci sono neanche zone stagnanti e fangose in cui rincantucciarsi a prendere il sole a bocca spalancata. No, direi che piuttosto si tratta dello Schistosoma, nome poetico e gentile di un delicato e piccolissimo verme platelminto che ha trovato un suo luogo ideale, così pare, nell'utilizzare come ospite intermedio i gasteropodi di cui il lago pullula. Provoca la ben nota bilharziosi, la malattia tropicale più frequente dopo la malaria, responsabile nella fase acuta della febbre di Katayama e secondo i dati, circa 5000 persone all'anno se la beccano nelle acque di questo lago e sembra che non sia una roba bella. 

Il pontile di carico
Sul pontile invece si ammucchiano una serie di bidoni di carburante  e di taniche di olio alimentare, in attesa che arrivi un barcone a portarsele via. Le operazioni di carico si svolgono in maniera piuttosto approssimativa e a sola forza di braccia. Un bambino di una decina d'anni trascina due contenitori da una ventina di chili l'uno lungo il pontile ansimando sulle sbarre di ferro, poi mostra i muscoli orgoglioso. Una stradina in terra battuta segue verso nord la riva circondata da enormi piante di baobab. Dopo un paio di chilometri un altro gruppo di casette sulla riva, una serie di bungalow malandati che vorrebbero pomposamente essere definiti "resort". C'è anche qualche ricco locale che evidentemente ha portato moglie e figlie in vacanza al lago. Sembrano molto annoiate con gli occhi socchiusi e le cuffiette dell'ipod nelle orecchie. Poi tutti fanno il bagno schizzandosi nell'acqua, come tutte le famigliole di questo mondo. Auguri. Noi ci mangiamo una bella carpa del pescosissimo lago con un brodetto saporito al pomodoro, riso e patate e una birra fresca. 

Ignazio sciupafemmine
Buona la birra da queste parti, ti fa sentire parte di questo mondo e comunque rimane un punto di riferimento, una sorta di DNA culturale comune. Ignazio mangia distrattamente sempre impegnatissimo sui tre telefoni. Comunque visto anche lo stato precario della macchina, è già ora di tornare, come sempre farà buio presto. Ci si ferma ancora alla stazione vicino al pontile, qui Ignazio conosce tutti, era il capolinea del suo bus, e pare che abbia spezzato diversi cuori, a vedere quantomeno le ragazzotte che gli corrono addosso e se lo sbaciucchiano ridendo. Lui usa il più tecnologico dei tre telefonini per fare qualche foto, poi le saluta con l'aria vissuta di chi vive ormai nella città tentacolare ed è abituato a ben altro e si riparte attraversando un gruppo di banchetti di frutta e di pesci secchi così ricoperti di polvere rossa da sembrare già impanati e pronti per la frittura. Riprendiamo la strada delle colline. Dall'alto il sole sta per scivolare verso la superficie d'argento del lago, sparpagliando la luce in mille e mille paiettes, una veste da sera che si insanguina a poco a poco e che la notte andrà ad indossare sotto il mantello nero, quando lui starà per scendere definitivamente dietro la riva opposta, invisibile ai nostri occhi. Appena dopo la salita, l'acqua del radiatore ricomincia a bollire. Sarà un viaggio faticoso. 







lunedì 22 marzo 2021

Primavera

Bourcet - Val Chisone


Primavera ya llegò... in sottofondo chiosa il coro di Carlos Santana, mentre la sua chitarra piange, con i suoi acuti penetranti ma dolci allo stesso tempo, quasi carezzevoli come i raggi di questo sole delicato che si sforza di annunciare qualche cambiamento. Como la semilla - lleva nueva vida- hay en esta primavera una nueva era... c'è un senso di positività in queste parole e la musica latina dà sempre questa scossa, ti chiede ottimismo, ti porta a credere al di là di ogni realtà che alla fine non può continuare ad andare tutto male, che per forza, anche per pure per semplici ragioni statistiche. In effetti c'è del vero nella convinzione che ogni evento negativo alla fine porti con sé anche qualche conseguenza positiva, un miglioramento particolare in qualche settore magari anche piccolo, certo non la falsa illusione che faccia imparare qualcosa dagli errori passati. Quelli, lo sappiamo, sono destinati a ripetersi come se la memoria non fosse uno dei elementi propri dell'umanità, almeno nel tipo che si è evoluto in questo pianeta. Forse per altri sarà diverso, chissà. Intanto la mano nervosa di Carlos morde quasi ossessivamente il mi cantino della sua famosa chitarra. 

Lluvia de sol - como una benedicion - la vida renace a piena luz... già una completa rinascita, così la vedevano anche i nostri antichi, tutti compresi nel vedersi abbracciati da questa esplosione di vitalità, che è propria della vita giovane, facile a lasciarsi prendere dalla foga dei sensi, sotto i pali fioriti dei Calendimaggio, mentre le ragazze danzavano con vesti leggere sollevate dai refoli di vento, certo più che dalla calma contemplativa della vecchiaia che si ritrova meglio forse nella visione, anche questa inebriante, della distesa dei sakura della tradizione giapponese, quando si è appena completato il tradizionale pellegrinaggio al monte Fuji che segna la fine dell'inverno ed il bianco leggermente sfumato di rosa dei fiori appena sbocciati dei ciliegi invita a sedersi sotto gli alberi, quasi ad aspettarsi una pioggia di petali che quasi non sembrano avere la volontà di posarsi a terra. Seduti, leggere un haiku di primavera, contemplando una stampa di Okusai e lasciare vuota la mente, libera di preoccupazioni e anche di desideri. I latini invece sono più ossessionati dal futuro a breve e dalla preoccupazione del domani venturo, molto meno dal dopodomani, così è tutta una ossessione a tappare i buchi con le dita senza badare alle crepe che si allargano nella diga,  salvo disperarsi quando si aprono le cateratte. 

Todo es asi - regreso a la raiz - tiempo de inquieta juventud... questo è la primavera, ritornare ad una desiderata rinascita, che ci consenta, col risvegliarsi dei sensi sopiti dal letargo invernale, comunque un'altra possibilità. Il non detto è che non ha molta logica sperare o pretendere che i problemi si risolvano da soli. In qualche modo bisognerebbe almeno cercare di dare una mano a dare l'abbrivio al carretto impantanato nel fango di una profonda pozzanghera, invece di protestare perché nessuno si muove e tutto stanno a guardare invocando un intervento divino risolutivo. C'era un tale che malediceva la sua divinità perché, nonostante lui credesse profondamente e lo onorasse con le preghiere, questa non lo faceva vincere alla lotteria, poi un giorno, dopo l'ennesima giaculatoria, sentì una voce dall'alto che gli diceva: "Figliolo, ma devi almeno comprare il biglietto". L'uomo è fatto così. intanto aspettiamo l'evolversi della situazione chissà... La tierra se vuelve verde - y las montanas y eldesierto - un bello jardin...





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sabato 20 marzo 2021

Haiku speranzoso

 


astro del prato 

consumi il primo sole -

ma dai speranza



giovedì 18 marzo 2021

Luoghi del cuore 111: Ohrid, emozioni

 

Lago di Okrit - Albania - luglio 2014



Attrezzature di divertimento sul lago
Non sono un appassionato di laghi, ma arrivare a tarda sera dalla lunga serpentina che scende dalla montagna fino a Pogradec, mentre la luce diventava sempre più fioca e la immensa superficie dell'acqua diventava via via più vicina, è stato emozionante. E poi con questo lago avevo un appuntamento mancato da oltre venti anni. Già, era l'anno prima che scoppiasse la guerra, nell'agosto '90. Dall'altra parte era ancora Yugoslavia, ma i segnali di disintegrazione erano nell'aria, anche se era impossibile pensare ad una mattanza insensata come quella che la follia umana avrebbe prodotto di lì a poco. Ero a Ohrid, esattamente sulla riva opposta, adesso macedone, la bellissima cittadina col suo antico monastero che dà il nome al lago stesso. L'acqua aveva lo stesso colore e l'altra parte del lago, quello in cui mi trovo adesso, stava lì invitante e desiderabile, eppure esclusa da una barriera invalicabile, che aveva reso il paese delle aquile completamente isolato ed impenetrabile a chiunque. La voglia di attraversare quel confine era allora fortissima e dentro di me ci fu allora la certezza che prima o poi ci sarei arrivato dall'altra parte, per vedere cosa c'era oltre quello specchio d'acqua deserto, così diverso dagli altri, sempre solcati da navi e battelli di ogni dimensione, mentre lì tutto era solitario e spento, quasi lugubre. Il mondo fa in fretta a cambiare. Adesso il lungo lago è certamente diverso, sono scomparsi anche i bunker, sostituiti dalle tante costruzioni che hanno portato anche qui il turismo, locale per ora. Tanti alberghi nuovi grandi e piccoli, ancora certo in sovrannumero rispetto alla esile richiesta, ma bastanti a dare la sensazione della vacanza, di gente libera che cammina serenamente nei giardini della passeggiata del lungolago, tra bar e piccoli locali, da cui esce, neanche troppo a basso volume, lo scoppiettare  della musica balcanica, violini e clarinetti, mentre i fumi delle griglie riempiono l'aria di odori allegri e ti invogliano a sederti, rilassato a bere birra e mangiare spiedini e tzatziki. C'è tanta gente in giro. 

Quasi al tramonto
Fai fatica a pensare che due decenni fa, qui vigeva una specie di coprifuoco continuo e ognuno prima di parlare si guardava alle spalle, con la paura continua di sentire bussare alla porta, la mattina dopo, un drappello della polizia segreta. Qualcuno veniva qui con la speranza di farcela a scappare; entrava nell'acqua tra le canne nel buio, cercando di farcela a nuotare fino all'altra riva o con una barchetta, certo più sicura, ma così facilmente avvistabile dalle mitragliette delle guardie. Adesso che l'aria è diversa, l'unica cosa che può capitare è l'arrivo, sempre al mattino presto, della polizia edilizia, che, dopo avere però effettuati i tre avvisi regolamentari, giunga con la ruspa per buttare giù una, magari la tua, delle migliaia di case abusive che nel frattempo il benessere e la brama speculativa ha costruito a gran velocità lungo le tante coste bellissime di laghi e del mare. Comunque, la sera, passeggiare sul lungolago è davvero piacevole, mentre la luna ormai piena ne fa risplendere la superficie di argento vivo. La mattina si fa colazione davanti alla grande vetrata che guarda il lago, mentre i rilievi delle rive lontane si leggono appena in una infinita sfumatura di azzurri e di blu. Forse sarebbe anche divertente trascorrerci qualche giorno da queste parti, lasciarsi cullare su un barchetta, cercando di pescare una trota, senza spingersi troppo al largo, sul lago deserto e profondissimo, cercando di non udire le voci di quei tanti che cercavano di passarlo a nuoto, di notte, anche senza la speranza di farcela, pallidi fantasmi di un tempo passato, forse dimenticato per sempre. Non so che dire, il lago mi lascia sempre sentori di tristezza, anche con la sua bellezza cupa, che non induce al riso, ma mi lascia comunque un tuffo al cuore. Meglio andarsene forse, percorrendo la bella strada che lo costeggia, tra bassi canneti e piccole anse ingentilite da paesi addormentati. Poi ancora una volta la strada prende la via del monte, un altro passo dove puoi dare l'ultimo sguardo a quella superficie di un azzurro metallico, che da questa altezza ti appare ancora più immobile. Ohrid, Okrit, due nomi diversi per lo stesso luogo, finalmente ti ho avuto, ma non per questo, adesso, sono più felice.


martedì 16 marzo 2021

Anziani e digitalizzazione

dal web

 L'anziano è quello che è, bisogna prenderne atto e andare avanti. C'è poco da fare, ha due mani sinistre in tutto, non parliamo se si tratta di operatività digitale. Intanto non riesco neppure più a computare, ad esempio quante siano le password che ho perso ed i siti a cui non riesco più ad avere accesso, un po' a causa del fatto che non trovo più il posto dove le ho annotate, in parte perché i siti stessi mi hanno bloccato in forza dei miei tentativi di recupero o dei troppi accessi falliti. Non sto a dirvi del problema SPID, dove non sono stato neppure capace di accedere alla seconda schermata dove si deve scegliere chi ti aiuta nell'operazione, figuriamoci andare avanti per arrivare al famigerato cashback. Diciamo che farò più bella figura a dire che tanto non ne avevo bisogno e che non ho fiducia nelle lotterie. E dire che io mi picco di sapermi muovere almeno in maniera basilare sulla tastiera! Il problema di ieri invece è stata la preadesione alla vaccinazione Covid, dato che il 15 è scattato finalmente il momento della mia categoria (70-79). Armato di buona lena e di decisa volontà, sono arrivato immediatamente alla pagina www.piemontetivaccino.it come da indicazioni che, mi è subito apparsa semplice da utilizzare. Dopo l'iscrizione, che sembrava andata a buon fine ho provveduto a compilare i dati anche per mia moglie, cosa che sembrava a sua volta andare bene, tanto che subito è stato assegnato un codice da annotare e ho ricevuto una mail di conferma ha cui bisognava rispondere per ulteriore conferma, cosa che prontamente ho fatto. 

A questo punto ho controllato di aver ricevuto analoga mail per la mia preadesione, che era puntualmente arrivata. Ho provato allora a rispondere ma è comparso subito un messaggio che mi segnalava che il mio contatto non poteva essere validato perché avevo precedentemente validato altro contatto (quello di mia moglie) ed il mio fatto in precedenza era ormai scaduto. Cappero! Allora ho provato a rifare la preadesione, ma a dati inseriti è comparsa una malevola finestra che diceva che avendo io già fatto due preadesioni nella giornata non era possibile farne una terza. Scornato ho rimandato l'operazione a stamattina, subendo anche le reprimende della mia G.S. (gentile signora) che mi accusava di aver mandato avanti lei a fare da cavia. Stamane mi appresto all'operazione di buona voglia, riimmetto i dati e tutto sembra andare a buon fine, tanto che poco dopo ricevo la mail da confermare, cosa che eseguo prontamente. A cose felicemente fatte mi accorgo con orrore di non avere annotato il codice di prenotazione e cosa ancor più grave non trovo in nessun modo dove andarlo a recuperare. Ho provato con successiva mail a chiedere lumi in materia e sono in attesa di ricevere spiegazioni. Se qualcuno mi può dare qualche indicazione utile, su come recuperare questo codice, lo faccia per favore. Come vedete bisognerebbe che uno ad una certa età, si dedicasse solo più allo scopone scientifico o al massimo alla briscola in cinque, lasciando da parte monitor e tastiere.



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