giovedì 30 aprile 2020

I dubbi sul virus

dal web

Mi sono preso un paio di giorni per ragionarci su, adesso più che dire la mia, chiederei a qualcuno dei miei commentatori che mi illuminasse. Premessa. Considero Facebook, oltre che un divertimento innocente, soprattutto uno spettacolare strumento di indagine sociologica. A questo fine io mi ci sono incistato allargando la mia rete di contatti ad oltre 1000 persone. Ovviamente per avere una visione più completa della realtà che mi circonda li ho da ogni provenienza di pensiero, vale a dire che alcuni di questi sono talmente di estrema destra, a tal punto da esibire anche non velatamente, ardori nazisti (anche senza neo), fino ad altri simpaticamente stalinisti e veterocomunisti polpottiani. All'interno di questi due estremi, tutta la fauna al completo di quello che una volta si chiamava l'arco costituzionale. Ritengo dunque quando la rete spara indignazione come lava del Vesuvio su un qualsiasi argomento di avere una buona massa di dati da analizzare. 

Veniamo al fatto di questi giorni e mi riferisco agli annunci sulla fase 2 da parte del premier, che come sapete, è espressioni di un governo che io non appoggio, ma che tuttavia in questa situazione mi astengo assolutamente dal criticare, nonostante gli eventuali errori e che esorto ad andare avanti senza miei eventuali bastoni tra le ruote, anzi al limite con il mio appoggio esterno, almeno fino a quando durerà questo problema. Bene,veniamo ai fatti. Subito dopo la conferenza stampa, la rete si è scatenata e dai miei dati, tranne uno scarso 10% che ha approvato la cosa, la stragrande maggioranza ha cominciato a scagliare fulmini e maledizioni, utilizzando un linguaggio, se pur usuale per la rete, violentissimo, offensivo e brutale, unito anche a minacce fisiche e auguri letali. Ma attenzione, la cosa più interessante sono state le motivazioni che tuttavia si sono divise in due gruppi, nei quali, importantissimo, erano presenti in quantità più o meno uguali, gente dall'estrema destra, fino all'estrema sinistra. 

Una delle due parti indignatissima, lo ha maledetto perché l'apertura è stata troppo esigua e timida, con insopportabili deprivazioni delle libertà costituzionali (che poi basterebbe saper leggere e dare un occhiata all'art. 16 della Carta), l'altra metà, altrettanto indignata e ululante, per la ragione esattamente opposta, quella di avere aperto troppo presto, creando la premessa di un'ulteriore ripresa dell'epidemia, con accuse di assassino e di mostro. Le stesse cose, nelle stesse percentuali e con la stessa carica di odio e di acredine, si sono verificate nei diversi talk di tutte le emittenti televisive, da parte dei titolari opinionisti di ogni sponda politica. Ora tutto questo è accettabile, visto che nel nostro paese abbiamo una opposizione esterna e addirittura un'altra interna talmente becera e idiota, a cui non pare vero di soffiare sul fuoco per fare il maggior danno possibile, anzi più cadaveri e macerie fumanti ci sono, più sarà semplice, almeno questa è l'illusione, il desiato ritorno sugli scudi e il popppolo è su questi temi permeabile come una spugna, li assorbe e se ne abbevera inebriandosene fino alla ubriachezza molesta, ma tutto questo ci sta e in un certo senso lo capisco. Quello che non riesco invece a comprendere e qui chiedo il vostro intervento al fine di essere illuminato, è la situazione seguente. Come mai allora in tutti i sondaggi, anche qui tutti convergono sullo stesso dato più o meno, l'opera di questo governo in materia di contenimento del virus è approvata e addirittura osannata con una percentuale tra il 70 e l'80%? Questo dato mi perplime e mi piacerebbe capire. Aiutatemi!

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martedì 28 aprile 2020

Yemen '77 - Considerazioni finali


Un Souk il giorno di chiusura- Yemen - Agosto '77

Bene anche questa volta siamo arrivati alla fine di questa carrellata di ricordi riguardanti una delle mie prime uscite in cui sono cominciati i miei tentativi di conoscere il mondo o almeno qualche sua parte e, cosa ancora più difficile, cercare di comprenderlo. Di certo è stato uno dei viaggi che mi è rimasto più impresso nella mente. A distanza di tanti anni, nei quali di certo moltissime cose saranno cambiate credo di poter fare comunque qualche considerazione di base. Sulla condizione del paese è inutile soffermarci troppo in quanto è a tutti nota la tragedia che da oltre cinque anni lo percorre in ogni sua parte, una guerra infinita e di logoramento che devasta il paese e la sua economia, ma soprattutto infierisce sulla popolazione, provocando un numero di morti consistente per ogni tipo di cause, dalle malattie alla più semplice ma ugualmente mortale fame. Tuttavia non è che negli anni precedenti la situazione fosse molto migliore. Come ho raccontato, già nel '77, anni in cui il paese era diviso tra nord tradizionalista e sud comunista, in conseguenza di un'altra guerra coi Sauditi, la ribellione rendeva impraticabili alcune zone del paese, come l'estremo nord , tanto per dire, nell'anno successivo il presidente venne ucciso in un attentato. Una ulteriore guerra e lunghe trattative condussero alla riunificazione nel '90, salvo una successiva dichiarazione di indipendenza nel '94 da parte del Sud, che condusse dopo una ulteriore guerra all'ennesima riunificazione. 

Scaramucce e rivolte sono sempre state presenti nei decenni successivi, dando luogo ad uno spezzettamento di poteri per i quali molte zone erano sotto il dominio di tribù locali che mantenevano una sorta di economia di sussistenza. Al momento sembra che dopo l'ultima offensiva che ha ricacciato gli Houti nell'area di centro nord e sulla costa, sembra che il paese si stia avviando verso una specie di tripartizione, lasciando le altre due aree del paese, quella verso il deserto con punto di riferimento a Marib, che nel frattempo è cresciuta a dismisura con il business della guerra ed i proventi del gas e del petrolio (siamo pur sempre nella penisola arabica), con un debole governo a base sunnita sostenuto dai Sauditi e il Sud, raccolto attorno ad Aden, mi sembra anche grazie agli appoggi Emiratini. L'economia in generale rimane in totale disarmo, rimanendo attiva solo la parte che gravita attorno alla guerra, al contrabbando ed allo sviluppo disordinato delle aree dove si concentrano i rifugiati come Marib. L'agricoltura è totalmente devastata, non solo da questo stato di cose ma anche, bisogna riconoscerlo, dal fatto che la coltivazione del qat,  che non ha niente a che vedere con la guerra, ma è decisamente più redditizia di qualunque altra coltura, le ha soppiantate in toto, rimanendo una ulteriore causa di sottosviluppo. Tutto gira insomma solamente attorno ai materiali importati grazie agli aiuti che forniscono i sostenitori esterni delle diverse parti in lotta. Tutta questa situazione, mortale per il paese ed i suoi abitanti, credo tuttavia abbia contribuito a mantenere molto inalterate le abitudini, il modo di vita e la dimensione visiva del paese, delle città e del territorio in generale per così dire, a causa di ciò, "conservandolo" inalterato. 

Io purtroppo non ho avuto ulteriori occasioni di visitare il paese, anche se per lavoro ho avuto dei contatti, una quindicina di anni fa, quando ho venduto un impianto per la produzione di tappi per acque minerali proprio a Sana'a. Il cliente si fidò di me al 100%, anche perché gli avevo raccontato della mia esperienza di viaggio e acquistò l'impianto sulla parola, senza che fosse necessaria una mia visita in loco per perorare la causa e firmare il contratto. Così ci andò successivamente soltanto un collega a montarlo e a fare il training del personale, il quale mi mostrò le foto della città e dei dintorni, dalla quali si poteva ben vedere che nulla di sostanziale era cambiato. Anche la vista delle immagini ed i racconti dei vari amici dei gruppi di viaggio del web, che risalgono a meno di 10 anni fa, mostrano che pochissimo è mutato e che quindi, con ogni probabilità, se si potesse ritornare laggiù, sarebbe possibile rivivere emozioni molto simili se non uguali a quelli da me vissute.  Da parte mia, ritengo che allora non potessi fare di più viste le condizioni, ma mi è rimasta profondissima la delusione di non aver potuto percorrere le strade del sud e la valle dell'Hadramaut in particolare. Inoltre il mio sogno forse perduto per sempre, rimane quello dell'isola di Socotra, che mi affascina da mezzo secolo, dal momento in cui guardavo sulla carta di un vecchio atlante dalle pagine ingiallite, la piccola losanga bianca di quell'isoletta sperduta e lontana di cui nessuno sapeva molto e sulla quale invece, recentemente, molti amici hanno avuto la possibilità di andare, raccontandomene meraviglie assolute. Quindi auguriamoci che questo diventi possibile al più presto e lo dico sia pensando al virus, ma soprattutto alle condizioni di quel disgraziato e bellissimo paese a cui vorrei augurare solamente una pace degna e lenitiva dei tanti tormenti che hanno dovuto subire i suoi abitanti.




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lunedì 27 aprile 2020

Una pista nel deserto


Tra le rovine di Marib

Tra le case
Un'altra notte a Marib, trascorsa in un silenzio irreale nella casa dirupata della città morta. Tutta la giornata era stata senza vento e nel buio più completo, avevamo soltanto una piccola torcia le cui pile si stavano esaurendo, trovammo la scaletta che permetteva di raggiungere la terrazza superiore della casa. Le altre costruzioni intorno erano sagome indistinte di mattoni crudi sbriciolati dal tempo e dalla violenza degli uomini, nel cielo già alta, una falce di luna che comunque rischiarava un poco le cime delle rovine circostanti; la stellata sopra di noi, mirabile trapunta di diamanti sul mantello di velluto nero. Accidenti che sbrodolata, scusatemi pure, ma ci sono occasioni in cui altre parole ti sembrano brodini senza sale. Quella era la sensazione esatta che mi porto dietro ancora adesso dopo 43 anni. Non è tanto la bellezza incondizionata del luogo, ma essere soli davanti a tutto quello e poterlo apprezzare, che te lo rende speciale e te lo scolpisce nella memoria. Dopo non è più necessario chiedersi perché si continua a voler partire a vedere il mondo e si capisce bene che a chi ti fa questa domanda non è necessario dare risposte. Dormimmo nei sacchi a pelo leggeri, appagati anche se il nostro giro era prossimo alla fine, come i soldi del resto. La mattina dopo salutammo il nostro Ascaro che mi strinse la mano con forza, ricordandomi l'invito a far conoscere questo posto ad altri italiani che lui avrebbe accolto tanto volentieri. Di certo oggi non ci sarà più, chissà se qualcun altro ha raccolto il suo business.

Un negozio a Marib
Già perché bisogna segnalare un fatto assolutamente strano che ho scoperto dando n'occhiata in giro sul web, quando ho cercato informazioni sullo stato attuale della città di Marib, che credevo scomparsa ormai per sempre. Avevamo ancora la mattinata libera dovendo arrivare alla pista nel deserto dove sarebbe arrivato il nostro aereo, verso mezzogiorno. Il nostro amico che ci aveva condotto alla diga il giorno avanti la prese quindi alla larga e ci condusse  fino alla cosiddetta Nuova Marib, una cittadina che sorgeva alle spalle delle rovine, solo qualche chilometro addietro seminascosta dalle dune basse e sabbiose. Non so quante persone abitassero lì, non più di qualche centinaio, in casette e baracche di nuova costruzione, salvo qualche casa più vecchia che al mattino evidentemente mettevano il naso fuori con una certa lentezza, così era facile chiedersi cosa facesse quella poca gente in mezzo al deserto e quale attività svolgesse, visto che le pratiche agricole non sembravano essere troppo semplici da quelle parti e sulla pastorizia non crescono le città. Al limite della case c'era una specie di locale, diciamo un baretto. Sulla soglia, tre sedie scalcagnate erano occupate da anziani che già masticavano qat, mostrando il caratteristico bolo a palla su lato sinistro della guancia. Ci guardarono con occhio stanco invitandoci a sedere per un caffè, rigorosamente Nescafè, curioso eh, nel paese che lo aveva inventato, ma la conversazione fu difficile. Fuori, un bambino in camiciola correva disperatamente verso il deserto, forse dietro una capra che si era perduta. Scomparve anche lui tra le dune basse che alla luce del mattino erano grigie e tristi. Dove stava andando?

Sana'a
Pensai davvero ad luogo senza vita destinato a spegnersi nel nulla di quella terra di morti. E invece, a quanto ho letto, risulterebbe che oggi, dopo quarant'anni, la città di Mareb è fiorita, mutandosi in una metropoli di quasi un milione di abitanti in continua crescita. In pratica la guerra che si è sviluppata soprattutto nella zona costiera, ha spinto quaggiù una marea di profughi dalla capitale e da tutta la Tihama, forse la parte filo saudita, sempre che io abbia capito qualche cosa di questa diatriba complicatissima che oppone fazioni tribali dai credi diversi, nemiche mortali da secoli. La città gode fin dal 2015, anno in cui gli Houti sciiti ribelli sono stati respinti fino a Sana'a, di una economia basata sui traffici di guerra, contrabbando e movimento di armi e generi alimentari che arrivano dal sud e sembra che gli affari non siano mai andati così bene, le nuove costruzioni crescono come i funghi e gli affari prosperano. Pare che le macerie che ci sono in giro non siano causate dalle bombe ma dalla frenetica costruzione di nuovi edifici, negozi, centri commerciali, banche in cui arrivano i proventi della vendita di gas e petrolio, mentre la città è assediata da almeno dodici campi profughi. Vedete come la guerra vada sempre a braccetto con gli affari comunque e sembra che la voce comune sia: questo è il momento di investire. Se siete curiosi al riguardo, date un'occhiata qui, a questo articolo che mi sembra illustri bene la situazione attuale. Noi invece lasciammo la città di casupole sonnolenta e grigia per prendere la via del deserto ed arrivare ad una lunga striscia che qualche lavoro aveva resa liscia e piana per almeno un chilometro. 

Greggi
C'era una tenda militare al bordo, dove il nostro conducente ci lasciò col valigino al fianco ed i due zainetti in spalla. All'interno tre o quattro soldati ed una grande radio che gracchiava. Ci salutarono con un cenno della mano e ci dissero di accomodarci lì vicino su delle latte vuote. Intanto arrivò anche qualche altro aspirante passeggero. Dopo un tempo indeterminato, ma che senso ha parlare di tempo nel deserto? cominciò una certa agitazione dentro la tenda. Tipo: pronto pronti, qui torre di controllo, passo, ecc. si sgolava il soldato davanti ad un vecchio microfono di bachelite. L'altro era uscito fuori e guardava in alto in direzione di Sana'a, facendosi schermo con la mano tesa sugli occhi. Ogni tanto diceva qualcosa rivolto al compare all'interno. Quando scorse un puntino nero lontano, alto nel cielo, con voce concitata diede indicazioni più precise, facendo segni con la mano, più a destra, più a sinistra o che so io. Il tizio dentro continuava a dare indicazioni facendo procedere il velivolo verso la nostra direzione, evidentemente poco riconoscibile dall'alto, essendo tra le altre cose la tenda, appunto, mimetica. Ad ogni buon conto, come a Dio piacque, alla fine il DC4 atterrò e il nostro vecchio amico in camicia hawaiana, sempre la stessa mi parve, ci fece ampi saluti dal finestrino aperto invitandoci a salire. Eravamo meno di una decina stavolta e dopo un'oretta l'aeroporto di Sana'a che ci accolse, sembrava quello di New York. Un'ultima notte per sentire l'odore di montone arrosto della capitale e poi, finiti i soldi ed i formaggini Tigre che ci eravamo portati come viveri di emergenza, tornammo a casa dopo quel viaggio memorabile che ci rimase nella testa per sempre.

Fattorie torre


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In campagna

domenica 26 aprile 2020

Un volo per Marib

Yemen - agosto 1977


Ai margini del deserto
Dopo aver comprato il biglietto per il volo verso il deserto, il soldo cominciava decisamente a scarseggiare. I costi erano stati decisamente superiori al previsto per un paese dove tutti i servizi erano di uno standard decisamente basico, ma evidentemente il problema è sempre lo stesso: i rapporti di cambio sballati che,quando arrivi da un altro paese, possono farti diventare un ricco epulone o un miserabile a parità di necessità. Questo accade soprattutto dove questi livelli di proporzioni sono dettati da situazioni indipendenti da normali rapporti commerciali e sono spesso frutti dell'isolamento o di situazioni particolari, potenti svalutazioni o sfruttamento di materie prime in posizione dominante. Si tratta comunque sempre di economie alterate da fattori di interna instabilità e qui le guerre e gli altri movimenti interni sono sempre stati fondamentali. Dunque stavamo tanto per cambiare, raschiando il fondo del barile e chiacchierando col tizio dell'hotel di quanto costasse vivere a Sana'a, finché non lo inducemmo ad un qualche movimento di pietà, tanto che ci trovò un passaggio gratuito per l'aeroporto dove arrivammo di prima mattina. Comunque anche se era uno scalo internazionale di una capitale, gli aerei in partenza ed in arrivo ogni giorno erano davvero pochi, tanto che l'aerostazione era quasi deserta, per non parlare della parte dei voli domestici.

In volo
Non ricordo neppure come si svolse il check-in ma di certo furono operazioni semplici. Quando chiamarono il nostro volo, questa volta dopo l'esperienza di Jeddah, stavamo attentissimi, in agguato ad ogni annuncio, andando a controllare più volte la zona di partenza, uscimmo da un gate che altro non era che una porticina nella sala partenze nazionali, uno stanzone piuttosto malandato dove la ventina di persone, evidentemente nostri compagni di viaggio, si ammassava in attesa, ma senza le classiche formalità da aeroporto. Ci incamminammo a piedi lungo la pista, verso l'aereo che aspettava con la piccola scaletta appoggiata sul fianco, senza nessun controllo bagagli, evidentemente la sicurezza era giudicata più che sufficiente. Si trattava di un vecchio DC4, che avevo visto soltanto nei film di guerra, un trimotore ad elica, appoggiato obliquamente sul ruotino di coda. Quando ci arrivammo sotto, la gente salì ordinatamente in fila indiana. Un tipo con la camicia a colori sgargianti aperta sul petto villoso, che dava un'occhiata all'ala sinistra, appena ci vide, venne verso di noi, che da bravi occidentali spiccavamo nel gruppo di turbanti e gonnelloni bianchi marezzati dalla fatica di vivere. Ci salutò con entusiasmo e ci disse distare assolutamente tranquilli, che lui era il miglior pilota che potevamo augurarci di avere e che ci avrebbe portato a destinazione senza nessun problema. Aveva pilotato aerei simili in guerra ed era sempre sfuggito a qualunque tentativo di abbattimento, dunque dovevamo avere in lui la massima fiducia.

Deserto di pietra
Decisamente tranquillizzati salimmo a bordo cercando di non calpestare il mucchio di pugnali che erano stati ammucchiati in fondo all'aere, nel piccolo spazio davanti al bagno e raggiungemmo i nostri due sedili, davanti. Tiziana era l'unica donna, ma i nostri compagni di volo non ci facevano assolutamente caso impegnati com'erano a sistemarsi le cinture e a preoccuparsi per l'esperienza in corso. Gli altri passeggeri erano già tutti seduti e allacciati, con le facce smorte ed impaurite di chi non aduso a volare e interpreta questo momento come una prova di crescita interiore e di coraggio a cui il destino lo ha sottoposto. Il tizio in camicia salì per ultimo e sparì dietro la porticina che però non chiudeva bene e pertanto rimase spalancata per tutto il tempo, non prima di averci fatto un ultimo cenno di rassicurazione. Poi l'uccello d'argento rollò traballando sulla pista e prese una lunga rincorsa prima di alzarsi con grande fatica, quasi ansimando mentre le eliche giravano all'impazzata cercando di avvitarsi nell'aria spessa della calura mattutina, poi, presa un po' di quota calmarono un poco il loro ruggito e l'aereo virò definitivamente verso il sole già alto che rifletteva sulle ali un bagliore accecante. Sotto di noi, superate le ultime montagne, si allargò subito il colore monocorde del deserto di pietra, un'ocra scura, che uniformava la superficie rendendone indistinguibili asperità e avvallamenti. Marib delle sabbie era ancora lontana con la sua fama di mistero e di abbandono, un avamposto nel deserto alle porte del Rub al Khali, lo spazio vuoto che occupa la maggior parte della penisola arabica. 

L'aeroporto di Marib



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venerdì 24 aprile 2020

Ritorno a Sana'a


La strada della montagna - Yemen - agosto 1977

Il nostro funduk a Manakha
Il funduk, al momento l'unica soluzione per fermarsi a Manakha, era organizzato in modo da offrire anche una cena, che non si rivelò neppure male: riso,montone e uvetta, pani arabi, un intingolo di montone molto saporito e verdure varie, che dopo la sgambata si facevano mangiare volentieri. Poi i ragazzi austriaci, per la verità di poche parole, si ritirarono nell'angolo di destra nei loro sacchi a pelo e noi dal lato opposto, tenuto conto che i tappeti ed i cuscini erano abbondanti e abbastanza morbidi e confortevoli. Ci svegliò naturalmente il gallo, così potemmo con calma scendere al piano di sotto ed utilizzare a turno il locale con l'acqua corrente. Poi via verso la piazza del mercato che a differenza del giorno prima era molto affollata. L'interesse era dato soprattutto dalla zona in cui si trattavano gli animali, dromedari e asini, di una razza di dimensioni minute ma probabilmente molto resistente, merce di valore in una zona dove i trasporti si valevano ancora minimamente di mezzi meccanici, essendo fatti soprattutto per sentieri di montagna. Era davvero un bel mercato ruspante, popolato di genti con le facce rugose e seminascoste da ampi turbanti che trattavano acquisti e vendite con brevi cenni delle mani, con una gran pacca finale quando evidentemente la trattativa doveva considerarsi conclusa. Naturalmente c'era l'angolo del qat, come sempre piuttosto affollato di compratori.

Una casa ad Hajjarah
L'aria era comunque frizzantina dato che penso Manakha sia attorno ai duemila metri di altitudine. Girolammo qua e là sempre adocchiando le scene che si svolgevano nell'ampio spiazzo popolato di bestie e di uomini, fino a che notammo che qualcuno cominciava a lasciare il mercato prendendo i viottoli in fondo alla piazza che salivano verso la montagna retrostante. Qualche donna portava in testa grandi fagotti pieni di fieno o di altri foraggi, altre avevano borse di verdure a frutta. Il mercato entrava nella sua fase finale e anche noi raggiungemmo con una breve camminata la strada principale per trovare un mezzo che ci facesse raggiungere Sana'a. Eravamo ancora al di qua della cresta di montagne ed alla capitale mancava ancora un centinaio di chilometri, attraverso una orografia particolarmente difficile. Ci sedemmo su un piccolo rialzo di fianco al cippo che segnalava il bivio per Manakha, che è fuori dalla direttrice principale di un paio di km, almanaccando su come fare per il rientro. Quasi non avevamo fatto in tempo a sederci che subito si fermò una macchina, un fuoristrada piuttosto lussuoso a dire il vero, come se avesse percepito un nostro cenno, una richiesta di passaggio. Si trattava di due giovani di bell'aspetto, anche piuttosto eleganti che vestivano abiti curati, turbanti a pié de poule rossi ed esibivano due djambije di gran pregio coi foderi d'argento piuttosto elaborati. 

Mercato di Manakha
Andavano giustappunto a Sana'a e approfittammo al volo del passaggio gentilmente elargito, anche se la conversazione fu piuttosto scarsa durante il tragitto, visto che, nonostante l'aspetto danaroso, parlavano soltanto arabo. Ci offrirono naturalmente del qat, di cui naturalmente avevano un gran fascio sulle ginocchia, che declinammo ringraziando educati, e quindi procedemmo per la montagna. Più o meno a metà strada, subito dopo Souk al Aman, si arriva al passo di 3100 metri dove ci fermammo un attimo ad ammirare il paesaggio bellissimo, prima di cominciare il tratto di leggera ma continua discesa che portava fino alla periferia della capitale, dove a segnalare l'inizio della strada, i cinesi hanno posto una specie di grande chiosco a forma di pagoda, riconoscibilissimo. I ragazzi, gentili ci scaricarono in centro dove potemmo considerare concluso definitivamente il triangolo Sana'a, Taizz, Hodeidah che ci aveva occupato per quattro giorni. Bisogna dire la verità, lungo il tragitto ci sono molte cose da vedere, soprattutto sarebbe interessante lasciare spesso la strada principale per inoltrarsi nelle piste secondarie che se ne distaccano, fino a raggiungere paesini di straordinaria bellezza, perduti nelle valli laterali o nel deserto polveroso della Tihama. Il problema principale è quello di poter disporre di una macchina personale e allora bisogna dire che costava davvero un botto e non ce la potevamo permettere. La città ci accolse comunque soddisfatti del giro fatto e per le cose viste, assolutamente superiori a quanto avevamo previsto e tutto sommato il percorso si era dimostrato non troppo complesso da eseguire. 

Sulla strada per Sana'a
Ci godemmo ancora la città per tutto il pomeriggio, mai sazi delle facciate a perpendicolo sulle stradine strette attorno al centro, fermandoci vicino alla moschea e facendo un lungo giro attorno alle mura, prima di raggiungere il nostro albergo dove le nostre valigie ci aspettavano in uno strambugio dietro al bancone. Ci potevamo permettere ancora un giorno di riposo prima dell'ultima puntata verso il deserto interno, quello spazio senza confini apparenti che rappresenta il margine estremo del Rub al Khali e da cui sono sempre arrivate le minacce ed i venti di guerra. Il problema era, come raggiungere Marib la città della regina Bilqis, antica capitale dei Sabei, da cui passava tutto il traffico dell'incenso dall'Hadramaut e delle spezie che arrivavano dal lontano oriente? L'ideale sarebbe stato poterci arrivare in macchina, attraverso la pista che penetra il deserto di pietra e avrebbe consentito di arrivare anche a Barrakesh. Queste strade, come accertammo all'ufficio del turismo, erano diventate accessibili da poco tempo, da quando le tribù del deserto, i Kawlani, avevano riconosciuto dopo estenuanti trattative, l'autorità del governo centrale. Sarebbe convenuta sicuramente la pista a nord che parte da Rowda e dopo Nehem, permette la deviazione fino a Al Ashraf dove bisognava chiedere un permesso allo scheik locale per arrivare a Barrakesh e poi raggiungere attraverso un wadi la città di Marib. Purtroppo il costo della macchina si rivelò subito decisamente fuori budget e ripiegammo sulla soluzione aerea, che sorprendentemente invece era piuttosto accessibile.

Il mercato del bestiame



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giovedì 23 aprile 2020

74

Greek National Road 74 - Wikipedia



Ma se ci penso! Diciamo che questo è un numero che è diventato davvero un po' pesante, o per lo meno comincio a sentirlo tale, di questi tempi poi, barricato in casa e proprio per questo numero messo nel mucchio di quelli "a rischio" massimo, tribù in via di estinzione graduale da proteggere ma fino ad un certo punto, visto il peso che siamo per l'INPS e per gli altri. Passando ad un esame più approfondito, secondo la smorfia questo è il numero della Grotta, luogo sì di ricovero e protezione, ma anche sito oscuro e di per se stesso sconosciuto e spaventevole, buio e denso di presagi negativi. Ma anche Secchio e Fune da calare nel pozzo, di nuovo angusta metafora di una zona d'ombra da maneggiare con cura. Nella tradizione spiccatamente napoletana poi, pare significhi anche Mandorle zuccherate. Vedete che se ci vuoi vedere il bicchiere mezzo pieno, rimane però sempre quel fondo di amaro che te lo fa considerare mai completamente positivo. Per la Cabbala, invece il numero racconta di tutto un pappone in cui dominano gli angeli e la loro funzione e associa a questo numero gli animali rapaci, la siccità e anche i bagagli, probabilmente quelli che quest'anno ci verranno totalmente e maledettamente interdetti. Chissà poi perché il numero è associato alla propensione a delinquere ed a non rispettare la legge, ma io non vado a correre e non solo perché le mascherine che ho ordinato su Amazon, visto che nelle farmacie non le ho trovate, hanno l'arrivo previsto per giugno. 

Nella chimica 74 è il numero atomico del Tungsteno, metallo pesante, certamente di buone proprietà reologiche, ma talmente ambiguo da farsi chiamare anche Wolframio di secondo nome, forse un nickname ante litteram, tanto per confondere la gente, mantenendola sigla W. Se guardiamo in alto, poi, 74 è un satellite russo (Cosmos 74), una galassia minore della zona di Andromeda (NGC 74) chissà cosa ne dice il mio amico Paularius che gli andromediani non li vuole neppure vedere a raccogliere i pomodori e anche un asteroide della fascia principale, di quelli che non cadranno mai sulla terra, 74 Galatea, figuriamoci, con noi non vuole avere niente a che fare. Tralascio a bella posta la cometa periodica 74 P perché si sa che porta male. Per quanto riguarda la matematica, le cose si complicano, ma sappiamo che l'argomento è sempre ingarbugliato. Il 74, ha fattori 2 e 37, binario 1001010, esadecimale 4A, e vi risparmio le sue funzioni. Ma esaminandolo più nel profondo scopriamo che trattasi di numero pari e poiché composto dai divisori 1,2,37,74 è un numero difettivo in quanto la somma dei divisori (40, escluso il numero) è inferiore al numero stesso. E' un numero semiprimo (che non vuol dire però secondo a nessuno) perché è il prodotto di 2 numeri primi (2, 37) e qui andiamo nel difficile, è anche numero nontotiente in quanto la funzione di Eulero φ (x)= 74, non ha soluzioni. 

E' poi la somma di due quadrati: 52 + 72  e fa parte di due terne pitagoriche (24, 70, 74) e (74, 1368, 1370) e per chi non se lo ricorda, vergogna, la terna pitagorica è quella che risponde alla ben nota a2 + b2 = c2 , tanto per chiarire che è sempre un numero importante e non di un bau bau micio micio. Se vogliamo andare a pescare nel torbido, nel sistema di numerazione posizionale a base 6 , è un numero palindromo (202) ed inoltre è anche un numero intero privo di quadrati in quanto non è divisibile per nessun quadrato perfetto tranne 1. E infine last but dont least, il 74 è un numero Odioso e non perché i 74 anni che compio ahimè oggi, siano una cifra fastidiosa più delle precedenti, anche se meno delle successive, ma in quanto, e qui il ragionamento diventa più capzioso e difficile, dicesi numero Odioso quello che fa parte della successione binaria di Thue- Morse in contrapposizione ai Numeri Malvagi e tanto per spiegarvi meglio: L'n-esimo numero della successione di Thue-Morse è 0 se l'espressione di n in base 2 contiene un numero pari di 1, ed è uno se ne contiene una quantità dispari. 

Per esempio, l'espressione binaria del numero 5 è 101, che contiene 2 cifre 1: quindi il quinto simbolo della successione di Thue-Morse è 0. Il matematico John Conway ha definito numeri odiosi i numeri interi n tali che tn=1 e numeri malvagi quelli per i quali tn=0 (si tratta di un gioco di parole, nella lingua inglese, tra odious e evil, che significano "odioso" e "malvagio", e odd ed even, che significano "dispari" e "pari"). Ora non è che tutta questa menata sia un divertissement per matematici in calore che devono stare chiusi in casa forzatamente e non sanno cosa fare non essendo abbonati a Netflix, ma trattasi di una serie,non ci crederete, utilissima in un sacco di campi come nella soluzione di problemi di spartizione delle risorse tra due contendenti o nella definizione della curva frattale di Koch acuivi rimando, ma ha avuto applicazione in campi meno scientifici come nel '29 quando il maestro di scacchi campione del mondo  Euwe, la applicò per aggirare la  regola che che considera la partita finita con la patta in caso di ripetizioni continuate di sequenze di mosse e poter prolungare infinitamente il gioco, dato che la successione è priva di sottostringhe ripetute per almeno tre volte. E non dite che questo blog tuttologico non è anche un blog di servizio. Sapevatelo e comunque sia, saran pur tanti, ma auguri a me!


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mercoledì 22 aprile 2020

Al Hajjarah


Al Hajjarah - agosto 1977




Verso la porta della città
Stava lì, davanti a noi, dall'altra parte della stretta valle, come appesa tra montagna e cielo, la base fluttuante e seminascosta dalle nuvole basse, come una visione onirica di una storia fantasy, la città stregata, il rifugio nascosto, il segreto di una storia antica. La serie di case di pietra alte fino a sette, otto piani, affiancate le une alle altre senza spazi intermedi a formare una muraglia cresciuta sullo strapiombo sottostante, chiusa a chiunque volesse penetrarla, formando un unico fortilizio inaccessibile ad ogni tentativo di espugnazione. Rimanemmo a lungo ad ammirare questa visione di bellezza assoluta, così inattesa e straniante, con le file ordinate di finestrelle buie, sormontate dalle piccole mezzelune, in alto le terrazze, punti di osservazione sulla valle. Nessuno in vista, a simulazione di una città abbandonata da secoli. Invece, guardando con attenzione, mentre l'occhio si abituava a poco a poco alle piccole variazioni di intensità dei grigi della roccia, ecco che si riusciva a scorgere una linea che con un ampia curva, risalendo gradualmente i livelli, scavalcava la valle e mostrava gli intagli nella pietra di una lunga gradinata che arrivava fino ai piedi della barriera murata, scomparendo dietro ad uno spigolo di una delle torri procombenti nel vuoto. Ci incamminammo lentamente sempre con l'occhio verso l'alto per arrivare sotto al baluardo che si ergeva a perpendicolo per almeno una ventina di metri o più sopra le nostre teste e, superato lo spigolo ecco apparire, bene occultata alla vista di chi arrivava dalla pista tra le montatgne, una porta in pietra i cui battenti in legno consumato dal tempo, erano aperti.

Lungo le mura
Tre uomini armati di vecchi moschetti, stavano seduti all'ingresso, non è chiaro se a guardia o semplicemente in una pausa, prima di riprendere il cammino. Ci fecero cenno di entrare e così cominciammo a girare tra gli spazi angusti lasciati liberi tra le torri che a decine formavano il tessuto del paese. Al Hajjarah è uno dei diversi paesi fortezza che stanno appollaiati tra questi monti, come Hutayab o Safan che si raggiungono con un'altra oretta di cammino, ma si dice sia il più bello e ho potuto constatare da una foto che mi ha girato un'amica che l'ha visitato pochi anni fa, rimasto ancora uguale. La progettazione di questi borghi era dovuta ad un evidente bisogno di difesa contro gli attacchi esterni, che, evidentemente sono sempre stati un problema tra queste montagne tribolate. Una struttura medioevale che prevede appunto una sorta di cinta muraria che in questo caso è costituita dalle case stesse, che la pietra rende baluardo invalicabile e allo stesso tempo indistruttibile. La struttura è la stessa delle case in mattone crudo del resto del paese con un andamento stretto e verticale, noi diremo a grattacielo, formato da ambienti sovrapposti, tra i quali il più basso è riservato agli animali e poi alle cucine. Il paese era quasi deserto e camminare tra i vicoli per angoli continui e netti, faceva perdere l'orientamento, pur essendo l'agglomerato piuttosto piccolo. Solo quando arrivavi all'estremo di un lato esterno, su minuscole balconate che davano sulla valle, potevi renderti conto della posizione raggiunta.

La moschea
Tuttavia l'atmosfera tra le case era assolutamente irreale. Incontrammo qualche bambino seduto sulla soglia, ma senza la gioiosa vitalità che mostrano di solito i ragazzini alla vista anomala di qualche straniero che si introduca, spaesato, in un mondo  tutto sommato a lui alieno. Passò un gruppo di donne con fasci di erba in testa che arrivava da qualche pascolo esterno che ci buttarono un'occhiata di sguincio, senza muovere la testa per non far cadere la complessa incastellatura che portavano in equilibrio precario, tenendola su con entrambe le mani. Ogni tanto sentivamo qualche sguardo che arrivava dall'alto, da dietro le ante semichiuse di una finestrella. Nel silenzio assoluto avvertivi soltanto lo scalpiccio dei nostri passi sulla pietra dei vicoli. Girammo a lungo per il paese, incantato dall'atmosfera magica ed irreale, affascinati dalla solitaria unicità del luogo, pure certamente abitato e non da poche persone. Ci sarebbe piaciuto trovare una sistemazione all'interno del paese per passarvi una notte ed ascoltare il silenzio di quel non luogo, così carico di suggestioni. Chiedemmo ai tizi col moschetto, che intanto non avevano cambiato posizione, ma ci dissero che non c'erano soluzioni proponibili in paese. Guardando Pechino express, mi sembra di essermi trovato nella stessa situazione alla ricerca di una ospitalità impossibile. Lasciammo la città dopo qualche ora camminando ancora più avanti lungo la pista che regalava punti di vista ineludibili su gruppetti di case e altre costruzioni sparse nei vari punti cruciali dellavalle.

Vicoli
Su un altro spuntone diroccia c'era una costruzione chiusa, bassa a cupole, con una piccola torre, probabilmente una minuscola moschea, attorno un gregge di capre che brucava, un erba rada e stentata, il pastore accoccolato su una rupe a monte. Una scena dalle parvenze bibliche, di certo non molto diversa da duemila anni addietro. Ripercorremmo il sentiero all'indietro e arrivammo a Manakha che era quasi sera. Qualcuno ci indicò una casa in centro al paese. Era un funduk tradizionale, che utilizzava il muffredge, la grande sala all'ultimo piano come camerone comune per chi passava di lì. Ci trovammo due ragazzi austriaci che giravano da un paio di mesi il medio oriente e arrivavano dall'Iraq. Un posto talmente sonnolento da essere quasi noioso, dicevano, non fosse per quelle straordinarie rovine nel deserto, solo la gente, non era molto amichevole. Strano è, come cambia in fretta il mondo. A quel tempo l'area davvero off-limit era invece l'estremo oriente, dalla Cina al Vietnam, tutta area interdetta al turismo, con Pol Pot che massacrava la Cambogia e che qualcuno allora ammirava incondizionatamente e tutte quelle zone coperte di mine e di bombe inesplose. Pensavo che laggiù non avrei mai potuto metterci piede. Vedete come quello che sembra impossibile, muti rapidamente nel corso della vita umana. In quel deserto di pietra invece, l'Arabia felix dei Romani, che fin lì c'erano arrivati a piedi, tanto per cambiare, ma forse allora faceva meno caldo, suppongo, potevi andare dove meglio ti pareva e anche i beduini sembravano immobili nel tempo e non ti rincorrevano per convincerti ad affittare il loro ronzino. 

Nel Muffredge del funduk di Manakha

 

Bimbi di Hajjarah
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