martedì 30 giugno 2009

腹切り

Harakiri, un gesto volontario, poco compreso nel nostro mondo; consequenziale ad un modo di vivere e di considerare gli obblighi del proprio stato, nel mondo orientale. Rispondere ad un obbligo nell'unico modo possibile, lasciarsi andare ad un destino cui non si può sfuggire. Una posizione fissa, il sei-za , che impedisce movimenti scomposti durante l'atto, un compagno fidato che agisce sulla sensazione di dolore calando il fendente fatale per anestetizzare completamente i sensi, mentre il corpo cade graziosamente in avanti e la lama, l'acciaio puro, tagliente come un bisturi, il tantō o meglio il wakizashi, il "guardiano dell'onore" che con colpo sicuro e deciso perchè usato da abili mani abituate al maneggio della spada, penetra nelle carni, taglia, apre, reseca, accompagna nella nuova vita. Tutto deve avvenire in un ambiente adeguato, direi sterile, accompagnato dal bianco accecante o da una tenue sfumatura di verde delle vesti, che accompagnino la severa nudità del corpo pronto all'operazione. Operazione delicata che va eseguita nel luogo preposto e con precisione millimetrica per non compromettere il fine ultimo del sacrificio. Solo se tutto viene eseguito con cura ed ognuno, dall'attore principale a coloro che lo circondano, svolge il suo compito con la dedizione che merità, si otterrà il risultato voluto. l'obbligo verrà rispettato, l'onore salvo, la funzione continuerà. Solo carne inutile sarà stata chirurgicamente sacrificata.
Ecco, sono certo che per molti è difficile capire, dunque per qualche giorno mi ritirerò a meditare su questo concetto in un luogo e con le persone che ho scelto con cura. Soltanto dopo che avrò assimilato e concluso questo percorso, potrò tornare tra di voi, più sereno, più libero di mondare la mente e soprattutto il corpo di tutte le scorie che il nostro modo di vivere ci procura. Non tornerò solo se l'imponderabile, come in tutte le cose umane, mi impedirà di raggiungere la voluta comunione di corpo e di spirito. Ma non turbatevi, in questi pochi giorni, non vi lascerò soli, il consueto ghost writer è stato incaricato di postare alcune cose che ho preparato per l'occasione, tutte legate da un fil rouge all'argomento di oggi.
さよなら.

P.S. Mi suggerisce Kinué che salutare con "さよなら" non va bene, meglio さようなら .
Quindi rettifico.

lunedì 29 giugno 2009

Un sorriso prima di andarsene.

Sono montagne poco conosciute i Maramures, eppure così piacevoli e verdi in estate. Le estreme propaggini dei rilievi balcanici prima che la terra si rilassi nel delta danubiano. Una terra poco popolata, fatta di piccoli paesi segreti, chissà se oggi spopolati dall'emigrazione, che nascondonevano piccole perle contadine, villaggi antichi, chiesette in legno con antiche pitture. Gente che all'epoca di Ceaucescu pareva serena, figuriamoci. Avevamo pranzato a casa di una famiglia mista, lui camionista italiano, lei rumena, a cui avevamo chiesto una informazione sulla strada da percorrere. Non ci avevano lasciato andare via; volevano farci assagiare la mamaliga con torcitura, una sorta di polenta e formaggio di montagna appena preparata. Il vino lo avevamo noi e loro, che avevano portato i quattro bambini in vacanza dai nonni, pensavano di essere scortesi a non offrirci ospitalità. "Quando arriva uno straniero, bisogna accoglierlo bene, se no che gente saremmo." ci disse la signora, come per sottolineare una cosa scontata. I bambini ci chiedevano come facevamo a fare i turisti se non sapevamo il rumeno, ma fu facile spiegare loro che con chi ha la buona volontà di capirsi, ci si intende anche se è muto. Erano un po' tristi, perchè da poco era morto lo zio, mentre, di notte cercava di abbattere un albero nel bosco per avere legna per l'inverno, cosa proibita dal regime e c'era rimasto sotto. Quando li lasciammo, uscirono tutti sulla strada per augurarci buon viaggio. Ci avevano segnato la strada per arrivare a Sapinta, un piccolo paese, dove di fianco alla chiesa, come in tanti altri luoghi c'è un cimitero. Ma questo è diverso dagli altri. Il becchino del paese ha lavorato qui per oltre cinquanta anni ed aveva un hobby. Non solo si occupava della sepoltura, ma in un piccolo laboratorio, con il legno dei boschi vicini, preparava per ognuno una croce di legno con una larga superficie che poi dipingeva con colori vivacissimi, su cui, oltre ai dati del defunto, intagliava delle figurine che rappresentavano la causa della morte e una poesia che raccontava qualcosa del defunto, dai suoi meriti ai suoi difetti, incluse anche le maldicenze del paese. Un epigramma mordace, accettato da tutti con affetto; una Spoon River balcanica triste e delicata a tratti, altre volte irrisoria e tagliente. Entrare nel piccolo cimitero dava però un senso di allegria languida. Girare tra l piccole tombe nella terra, non dà senso di tristezza. Deve essere lieve riposare lì, tra quei monti solitari, tra gente gentile che ti sorride quando la saluti.

domenica 28 giugno 2009

Notti bianche

Il post di ieri mi ha messo nostalgia del topone grigio che mi faceva girare l'Europa 25 anni fa. Così ho ripescato questa diapo del cornuto davanti alla Moschea dell'allora Leningrado. Certo, perchè c'è una moschea a San Peterburg; un tempo il mondo era molto più tollerante di oggi, forse. Quindi vi tocca il seguito del post di ieri. Era l'ultimo decennio del regime e si sentiva nell'aria uno sfacelo incombente, uno sfascio di un sistema che, da quando aveva cessato di basarsi sui metodi forti ed era scivolato a poco a poco nella gerontocrazia bresnieviana, perdeva a poco a poco autorità e funzionalità. C'era nell'aria una voglia di lasciar andare le cose come andavano, tanto non ci si poteva fare niente. Dei temuti controlli neanche l'ombra e anche se l'amico che era con noi, prevenutissimo, continuava a guardarsi intorno convinto di essere seguito dagli agenti del KGB, non c'erano limitazioni evidenti e nonostante l'obbligo di pernottare in campeggi prepagati (unica cosa che interessava, il versamento delle svanziche), si capiva che avremmo potuto tranquillamente dormire davanti all'Ermitage senza che nessuno ci dicesse qualcosa. Proprio sotto l'arco della grande piazza, mentre sistemavamo le cose prima di partire per il giro, un paio di ragazzotti ci avvicinò chiedendoci cosa avevamo da vendere. Parto sempre preparato, quindi estrassi dall'apposito contenitore il pacco di musicassette che tenevo pronte. Gli occhi dei tipi si arrotondarono e il sorriso arrivò alle orecchie alla vista degli ultimi successi di Celentano, Matia Bazar, Ricchi e poveri et similia. Dopo aver controllato nel mangiacassette di ordinanza del mio mezzo, il buon funzionamento del materiale (fidarsi è bene, ma con gli stranieri....) completammo la transazione e mentre l'amico friggeva, timoroso di essere internato in un gulag per commercio illegale, aggiunsi al patto anche un paio di mie vecchie e sdrucite sportosky (così chiamavano le scarpe di gomma ) non resistendo agli occhi bramosi e al filo di bava alla bocca che illustravano il desiderio inestinguibile di materiale occidentale di uno dei compratori. I jeans vecchi li avevamo purtroppo già piazzati il giorno prima. Con le tasche gonfie di rubli che avemmo poi grosse difficoltà a spendere, non essendoci quasi nulla da comprare (il diavolo fa le pentole ma non i coperchi), ce ne tornammo al camping per organizzare la serata. Pioveva forte e dovemmo fermarci a tirare fuori i tergicristalli da sotti i sedili per metterli sulle asticelle, sotto un cavalcavia intasato di zhigulì ferme che facevano la stessa operazione. Era merce ambita il tergicristallo e di quei tempi nessuno osava lasciarlo incustodito sul vetro della macchina. Così quando arrivammo al campeggio era già un po' tardi, anche se le notti bianche lo facevano sembrare pomeriggio pieno. Per concludere la serata eravamo interessati ad uno spettacolo di danze folkloristiche, che si rivelò poi bellissimo. Mi infilo quindi nell'office per cercare info precise e vengo subito accalappiato da una biondina tutta sorriso e moine, con cui cominciamo a chiacchierare. La prendo alla larga per rompere il ghiaccio e quella morde subito, partiamo con i soliti luoghi comuni che vanno sempre bene, Italia, spaghetti, pizza, come mi piacerebbe vedere Venezia, ecc. un repertorio conosciuto. Sfruttando il suo inglese oxfordiano si chiacchiera un bel po', e come mai siete in Russia, e come vi trovate e compagnia bella. Quando capisco che ormai sarà gentile anche se chiedo solo informazioni, sparo le mie richieste, dove, a che ora, che strada è meglio fare per arrivare al teatro, come avere i biglietti. Come pronuncio le domande scatta un clic, cala una maschera, il sorriso si azzera. " Per le domande di lavoro, deve rivolgersi alla mia collega, io sono l'interprete incaricata del tedesco", dichiara come un terminator e non c'è stato più niente da fare. Mi sono rivolto alla collega. Lo spettacolo fu fantastico, ma c'era nell'aria un senso di disfacimento incombente.

sabato 27 giugno 2009

Un incrocio.

Il 238 grigio topo di venti anni aveva lasciato con calma la landa desolata, ma mitica, di Nord Kap e dopo aver zigzagato a lungo tra i laghi finlandesi si avvicinava al confine sovietico in un mattino di fine agosto. E sì caro Doc, non solo andavo in Russia per vendere impianti, ma addirittura a farci le ferie! Dirai che ero matto, ma all'inizio degli anni 80, quel mondo chiuso e sconosciuto aveva un fascino ed un richiamo alla scoperta, a cui non ero riuscito a sfuggire. Poichè un amico voleva assolutamente che gli portassi a casa le corna di una renna e dato che, essendo di dimensioni esagerate, nel camper non ci entravano tutte, le avevamo legate con dei tiranti di gomma (il famoso e micidiale ragno) sulla cabina davanti al serbatoio del GPL a far bella mostra di sé, come la preda che i cacciatori espongono sui cofani delle macchine per fare vedere quanto sono stati bravi. Alla frontiera eravamo l'unico mezzo e, come mi avevano predetto ci apprestammo comunque ad una lunga attesa. Le corna facevano comunque simpatia e dopo aver ridacchiato a lungo ed averci fatto la consueta accoglienza a forza di Italiani, Sicilia, mafia, ecc. i due doganieri bardati, iniziarono l'opera di controllo accurato che avevo previsto (esperienziato da precedenti viaggiatori) in un paio d'ore. Cominciarono con controlli di routine con specchi, per vedere se volevo introdurre qualche clandestino nella Santa Madre Russia (bah?), poi passarono all'interno del mezzo, mi fecero smontare lo specchio nel bagno, timorosi che nell'intercapedine fossero nascoste pericolose riviste antisovietiche. La scoperta del doppio fondo sul pavimento provocò loro una grande eccitazione, mentre me ne imponevano l'apertura con occhi brillanti. Scostato il linoleum ed aperta la botola, frugarono a lungo coi musi lunghi e delusi avendovi trovato solo i ricambi motore che portavo dietro per precauzione. Allo scoccare delle due ore, benchè ci fossero ancora molti interstizi da esplorare, cadde loro in cacciavite di mano e ci lasciarono liberi. Capii dall'occhiata che avevano dato in alto, verso la guardiola degli uffici che l'intensità e la durata del controllo previsto dallo standard era ormai stata rispettata e perdettero ogni interesse a noi dandoci via libera. Un segnale netto di come le cose procedevano per burocrazia immutata e priva di vero interesse. Purtroppo il mezzo non voleva rimettersi in moto, rimanendo ad ingombrare il passaggio comunque deserto. I cerberi rimasero a sonnecchiare su due sedie facendo stanchi cenni della mano a levarci dalle scatole, ma, niente da fare, il maledetto rimaneva morto col cofano alzato e io ed il mio amico a guardarci dentro con aria da finti competenti, a chiederci in che modo ci saremmo tolti dal guano. Tiziana, che era stata estromessa dall'operazione meccanica in quanto femmina, butta l'occhio dentro il cofano e fa: "Ma quel filo lì come mai è staccato e pende?" Con sufficienza proviamo a infilarlo nel buco vicino e bruuum, come per magia il mostro riprende vita e ci consente di lasciarel'area dogana, silenziosi, senza fare commenti di nessun genere. Così pensosi, si arriva alla periferia della allora Leningrado e ci si infila un po' a casaccio per un lungo prospiect. Vietato chiede informazioni sul percorso, il maschio italiano, si sa non chiede, va a istinto. Arriviamo ad un semaforo verde con frecce e vigile al centro. Svolto a destra contravvenendo all'unica regola stradale diversa da quelle italiane. Non si svolta a destra con semaforo verde, bisogna aspettare anche la freccia verde. Vado imperterrito, mentre al centro dell'incrocio il GAI' comincia a fischiare sbracciandosi. Fingendo si non sentire, proseguo, ma il delitto non paga, dopo 500 metri la strada termina senza uscita, bisogna tornare indietro; intravedo lontana in mezzo all'incrocio l'ombra vindice che mi aspetta a braccia conserte. Accosto e scendo in attesa di un processo rapido ed implacabile. Memore dell'andazzo e dei processi sovietici, un po' timoroso della Lubianka, sebbene lontana, sarei pronto ad una autoaccusa formale con annessa procedura di autocritica, ma, mentre si è ormai radunato un capannello di sfaccendati, pensionati e babuske con le sporte, il milite mi punta il dito gridando "пять рублей штрафа!", 5 rubli di multa. Non so come, ma mi viene spontanea la supercazzola. Carta alla mano, comincio a chiedergli indicazioni per trovare il campeggio a cui eravamo diretti, in italiano, mostrando le vie e chiedendo lumi. L'agente dell'ordine continua a richiedere disperatamente il pagamento mostrandomi le cinque dita della mano e mimando la mia infrazione. Intanto attorno al camper bicornuto si è radunata una piccola folla che partecipa con vigore al dibattito, chi cercando di fare segni sulla carta, chi cercando di deviare le intenzioni della legge, chi commentando cosa ci andava a fare da quelle parti un baraccone di quel genere, proveniente per di più dall'Italia. Le invettive della guardia diventano sempre più flebili, alla fine una vecchietta lo prende di punta e lo rimbrotta con aria severa. Credo che il senso fosse: "Ma va là non vedi che sono stranieri, poveretti e che bisogna dargli una mano?" Il GAI' cedette di colpo e se ne andò borbottando imbronciato nella sua guardiola e dopo aver stretto un po' di mani ce ne andammo verso la nostra meta. Le prime crepe nel gigante dai piedi d'argilla del regime, cominciavano a mostrarsi nella loro tragica evidenza.

venerdì 26 giugno 2009

Teheran

Sono stato solo una volta in Iran e per di più l'unica città che ho visto era Teheran. Ero partito prevenuto naturalmente e mi aveva invece molto spiazzato la cortesia, il modo di fare, voglio esagerare, un senso di nobiltà di gesto nelle persone con cui sono venuto in contatto, in aziende, uffici, personale di servizio o semplicemente nel bazar, dove non ho avuto quella sensazione sempre un po' sgradevole di assalto allo straniero che può la buona occasione della giornata, da non lasciar scappare, che ho sentito spesso in altri paesi definiti poveri. Anche nel bazar, stranamente, la gente parlava a toni bassi, senza urlare, trattando con garbo. Ecco, avevo avuto la percezione di mancanza di sguaiatezza anche dall'uomo che girava la pastella nel calderone, prima di farne palline da gettare nell'olio bollente. Tante barbacce dall'aspetto severo che si scioglievano in un sorriso quando ti rivolgevi loro; l'icona del terrorista dei fumetti che invece al di là del bancone ti chiedeva con garbo se il cambio dei 100 dollari lo volevi da 10 o da 50. Non so se è una colpa l'irsutismo e glabro non è sinonimo di buon uomo. Forse Teheran è una cosa e le periferie ed il resto dell'immenso paese un'altra; si sa che i poveri sono ancor più brutti, sporchi e cattivi. Quindi è difficile interpretare con mente serena, quanto si vede in questi giorni nei TG. E dire che è più facile farlo per chi, come noi ne è fuori e non si prende le manganellate o i proiettili o peggio ancora sarebbe contento se andasse tutto all'aria. Da quanto vedo non riesco a definire se, come credo per Tien An Men (forse sbagliando, certo), sia un movimento fortemente minoritario ed enfatizzato, se sia invece, anche se di minoranza, ma comunque forte e diffuso e quindi tale da rappresentare un momento con cui il regime si deve confrontare e fare i conti, impossibile da soffocare in questo modo, o addirittura invece la valanga che potrebbe definitivamente seppellire la teocrazia, come preferirebbe decisamente il nostro mondo. Lo vedremo nei prossimi giorni, mentre intanto i ragazzi, sempre loro, continuano a morire con la testa fracassata. Nuovi martiri per la nuova rivoluzione o solo usati, come al solito, dai prossimi signori del paese. E' curioso, tra l'altro, che orecchiando i commenti che si sentono tra le persone a noi vicine, quelli che si sbracciano di più per sostenere l'unica via possibile della guerra civile, sono spesso le stesse persone che stavano dalla parte dei sistemi usati da alcune forze dell'ordine, come per la caserma di Genova, tanto per fare un esempio a caso. Non è la prima volta che il nostro mondo si schiera con prontezza, ignorando tutto di quelle situazioni, di quelle storie, per trovarsi poi robuste sorprese. L'unica cosa che invece si deve rilevare con interesse, che emerge prepotente dai fatti, è che questa rivolta è forse la prima che viene documentata al mondo, non da giornalisti, non da inviati, che, a quanto pare , sono ormai assenti completamente, i pochissimi presenti arrestati o impossibilitati a comunicare, ma dalla tremenda potenza del nuovo mezzo mediatico che qualcuno ancora sottovaluta. I telegiornali di tutto il mondo fanno il pezzo con gli spezzoni di Youtube e i messaggi di Twitter; sono i giornali di domani, bisogna sottolineare questo fenomeno del tutto nuovo e travolgente. Sono le persone comuni a fare informazione e pur in una situazione così caotica, pericolosa e tragica, non si possono far tacere. Riprendono (e riprenderanno dovunque capiterà nel futuro) dalle finestre e dai portoni le Ronde in camicia verde (o di altro colore) dei Basiji che spaccano le teste di chi non la pensa come loro; che i regimi autorizzano ad operare, come è sempre successo nei paesi che a poco a poco precipitano nelle gorgo delle dittature, in luogo delle forze ufficiali di polizia, che forse esiterebbero di fronte a un modus operandi violento o assassino. Bisogna ragionare molto sulla potenza del mezzo e sulla garanzia che conferisce alla libertà e quindi contrastare decisamente ogni proposta di controllo dello stesso , anche se coperta da scuse di vario tipo, dalla protezione dei diritti d'autore e compagnia cantando. La rete si sta rivelando come il più potente, innovativo e libero tra i mezzi a disposizione dell'uomo, non perdiamolo e teniamo i riflettori accesi su Teheran.

giovedì 25 giugno 2009

Jiā

L'ideogramma di oggi "Jiā " , è come al solito molto elegante nei tratti, ma non solo per questo è stato scelto assieme a Mu (legno) per far bella mostra di sé in un tatuaggio molto appariscente che compare su un braccio della showgirl Casalegno. Infatti il suo significato è proprio "casa, famiglia" e viene utilizzato in moltissime parole composte. A costo di ripetermi, voglio sottolineare che anche questo carattere testimonia l'origine prettamente contadina della lingua cinese. Attraverso quali concetti di base viene quindi dipinto il senso cinese di casa, di nucleo familiare costituito? Si vede che sotto il carattere semplice di tetto, che ormai ben conosciamo (la stilizzazione di una tipica tegola cinese), viene posto il radicale zhū . La stilizzazione è riconoscibilissima. Visto di fianco, quasi fosse appoggiato ad un basso recinto si vede, in alto, il muso dal profilo leggermente concavo, le quattro zampe di cui l'ultima decisamente arrotondata e grassoccia e dietro l'impertinente codino un po' torto che si erge orgoglioso. Il maiale quindi, l'animale principale da allevare, di cui anche qui non si buttavia niente (tutto il mondo è paese), il simbolo zodiacale che significa fortuna, ricchezza, allegria, la bestia la cui presenza stabilisce che quella è una casa, una famiglia costituita, che è attrezzata per sopravvivere; per formare una famiglia un uomo deve avere almeno un maiale, il primo capitale produttivo. A maggior riprova, se è preceduto dal già conosciuto An (donna sotto un tetto = pace, serenità) assume il significato di formare una famiglia (serenità in casa). Quindi nell'immaginario cinese, il simpatico zhū è animale piacevole e portafortuna, niente a che vedere con il porco, l'animale schifoso e sudicio, associabile ad ogni tipo di perversione sessuale; nessun cinese si sognerebbe di avvicinarne l'immagine a quella di un importante politico per criticarne la voracità di grazie femminili o l'insaziabile e smaccata incontinenza sessuale, sarebbe come fargli un complimento e poi nella società cinese estremamente prude, un corportamento smaccato di questo tipo consiglierebbe l'immediato abbandono di responsabilità politiche. Una società troppo severa? Mah? Quello che so, è che il maiale è uno dei piatti preferiti dai cinesi e tanto per ricordare che anche laggiù ci sono delle eccellenze alimentari legate alla tipicità ed alla tradizione, ricordo che c'era un bel ristorante a Pekino che serviva un unico piatto. Si chiamava Ba Zhu Lie, che significa Papparsi il muso del maiale e la sua specialittà era appunto servire una mezza testa di maiale che per tre o quattro giorni, veniva sottoposta a 17 diversi procedimenti, marinature in erbe, brasature, ammorbidimenti, differenti e successive cotture e vi assicuro che era una assoluta squisitezza (vero Graziano?). Il proprietario, che si riteneva depositario del segreto della ricetta originale, contava di aprire una catena di ristoranti in tutta la Cina, ma dopo un anno o due circa, una folla di facinorosi ufficialmente aizzati dai sindacati lo bruciò, si dice perchè non aveva pagato il pizzo. Si vede che quello è uno di quei posti dove se c'è qualcosa che non va si da la colpa ai sindacati (ci sono in Cina, eh!). Così addio testa di maialino, ma non voglio insistere più di tanto se no vengo criticato, perchè parlo solo di cibo.

mercoledì 24 giugno 2009

Seminare per il futuro.

Archiviata dunque la Slovenia, è gradevole, anche perchè la temperatura si è moderata, girolare lungo le provinciali a guardare campi. Che belli i quadrati d'oro quasi perfetti con i bordi ricchi di spighe! E' questione di giorni ormai, nella Fraschetta, dove i terreni sono più leggeri e secchi, piegano già la testa da ogni lato, si arrendono alla loro sorte, mature, cariche di cariossidi che hanno rassodato completamente la loro anima lattea e cerosa. Frumento da farina e frumenti da seme anche. Sul blog di Bressanini (cliccare qui), da un qualche giorno si è riaccesa la polemica tra chi cerca di affrontare il discorso "naturale/OGM" in modo circostanziato, valutando i fatti e i teobio, resi più arditi dalla vicinanza del solstizio che probabilmente inclina a a irrigidimenti newage. Quindi oggi vorrei fare un riassunto sull'argomento semi per coloro che, magari meno informati, sono comunque interessati alla cosa. Le sementi coltivate si dividono in due categorie: ibridi (il principale il mais, poi il girasole e molte orticole) e non ibridi (come frumento, orzo, avena, ecc.), le OGM invece non possono per legge essere studiate, riprodotte e vendute in Italia (possono invece essere acquistate all'estero, come la soia ed essere usate per alimentare bestiame con cui si fanno carne, latte, formaggi, parmigiano, ecc. ma basta essere contenti). Le prime sono molto complesse e costose da produrre e ne parleremo magari un altra volta. Le seconde provengono da lontano nel tempo. Quando 10.000 anni fa circa, qualcuno capì che si poteve prendere un seme ed invece di mangiarlo conveniva metterlo nella terra e aspettare una stagione per avere a portata di mano molto più cibo, cominciò la cosa più contronatura del pianeta, l'agricoltura. Quando un altro, forse suo cugino capì che una parte di quel prodotto che aveva in più, dopo averne mangiato a sazietà, poteva essere scambiato con il vicino cacciatore con una zampa di antilope o meglio ancora con la sua figlia migliore, diventò anche un'operazione economica. Da quel momento iniziò un tormentone che prosegue tuttora, aumentare la produzione ed il reddito possibile. Questo è il fine ultimo reale di ogni agricoltore. Nessuna delle piante che oggi mangiamo esisteva allora. Sono tutti organismi pesantemente modificati dal punto di vista genetico. Come è accaduto? Per migliaia di anni il nostro contadino sceglieva le spighe migliori, più grosse, più resistenti o i semi dei frutti più buoni praticando la cosiddetta selezione massale. Capì presto anche che era nocivo riseminare nella propria azienda il proprio seme (solo i più sciocchi del villaggio lo facevano) e iniziò a scambiarlo coi vicini (più lontano erano meglio era) dando vita ad una prima seria pratica agronomica. Si arrivò pianino pianino verso la fine del secolo scorso, quando si cominciarono a capire i misteri della genetica. C'erano voluti quasi 10000 anni per passare da piccole bacche a mele succose e da pianticelle con tre/quattro granelli in punta a spighe piuttosto rigonfie, e la produzione di un ettaro di frumento (tanto per esemplificare) era ormai arrivata a 10/15 quintali per ha e a questi livelli produttivi erano sufficienti il basso apporto azotato di una letamazione (più che altro con funzione ammendante) e di adeguate rotazioni di leguminose; ma cominciando a capire come stavano le cose, la ricerca prese un ritmo ben diverso. Comparve quindi il Costitutore, che accortosi (senza ancora capire bene come succedeva) che gli organismi si modificavano geneticamente con grande frequenza o per naturale debolezza della catena del DNA (che manco sapeva esistere) o per il bombardamento dei raggi cosmici, girava per i campi scegliendo ad esempio, le spighe di frumento che gli parevano diverse in modo vantaggioso, più grosse, più resistenti, con una granella di migliore qualità. Le raccoglieva e seminava secondo il metodo della riga-spiga (in ogni riga tutti e solo i granelli di una spiga) e dopo un anno controllava se tutte le spighe della riga fossero uguali o se qualcuna avesse perso il carattere utile per cui erano state scelte (aveva imparato ormai molto da Mendel). Così dopo due o tre anni il carattere era fissato e a questo punto si potevano fare gli incroci con spighe che avessero un altro carattere interessante, ad esempio una bassa di taglia e molto resistente con un'altra che aveva molti più granelli e di ottima qualità molitoria. Cappello a tesa larga in testa per il sole che picchia sempre forte nei campi e poco dove si chiacchiera, piccole forbicine e tanta pazienza il nostro Costitutore faceva un piccolo taglio nelle glumelle e con un pennellino minuto raccoglieva il polline con cui andava a sporcare l'ovario della spiga che avrebbe funto da femmina riproduttrice. Le calzava sopra una bustina per proteggerla da qualche insetto o dal vento birichino, se era una specie anemofila, che volesse portare un indesiderato polline di qualche Papi presente nei dintorni e ripeteva questa operazione un migliaio di volte. Da questo seme ottenuto in meno di 20 o 30 casi si ottenva una modificazione genetica utile e assolutamente casuale. Da questi, ancora due o tre anni per fissare il carattere (riga-spiga) finchè non rimanevano due o tre linee che, fissate nei caratteri venivano moltiplicate per provare in campo la validità di quel che si era ipotizzato. Alla fine come per Highlander, ne rimaneva solo una ed erano passati una decina di anni. Se era valido, di quell'OGM casuale (perchè di questo di trattava in effetti) veniva prodotta una generazione detta di pre-base che serviva al costitutore a mantenere la purezza della cultivar nel tempo; la seconda generazione detta di Base veniva ceduta alle aziende sementiere he la davano da moltiplicare ad agricoltori che conferivano quindi la R1 (prima riproduzione) che opportunamente mondata da scarti, semi estranei, parassiti eventuali veniva e viene venduta all'utilizzatore finale (che come dice Ghedini non ha quindi nessuna colpa) meglio se in una zona lontana da quella di produzione. Il costo di tutta questa operazione è moderato e rende antieconomico oltre che agronomicamente sbagliato, il riutilizzo di seme auto moltipicato in azienda, per cui, in pratica dal dopoguerra, quasi il 100% degli agricoltori compra seme selezionato e certificato. Negli anni 70, per rendere più efficace la ricerca si pensò di aumentare le possibilità di variazione genetica che si trovavano casualmente per i campi e si utilizzò per un certo periodo un sistema aggiuntivo. Come in natura si trovano con molte di queste variazioni a causa dei raggi cosmici che colpiscono i campi, si bombardarono le sementi con fasci di raggi gamma (in quel periodo l'ecologismo doveva ancora nascere e i figli dei fiori pensavano di più a sesso, droga e Rock&roll) per stimolare le modificazioni genetiche casuali, procedendo poi con il sistema sopradescritto. Nacque così il grano duro Creso e tutti i suoi figli che rappresentano oggi la quasi totalità del grano duro coltivato con cui si fa la pasta. Intanto la produzione era arrivata in un secolo a superare i 60/80 ql /ha, che data la quantità di azoto, fosforo e potassio che asportavano dai terreni, necessitavano di una adeguata concimazione, per non impoverire gli stessi. Nulla si crea e nulla si distrugge, se io asporto da un campo, portandomi a casa la granella, 100 unità di azoto, 100 ne devo rimettere con buona pace di tutti. Oggi, la migliore conoscenza del meccanismo ha dato una nuova e molto interessante possibilità. Non più scegliere a casaccio tra variazioni genetiche casuali, ma utilizzare geni isolati e bene identificati, con caratteristiche note, come la resistenza ad un parassita, alla siccità, alla mancanza d'acqua (bene sempre più prezioso), alla carenza vitaminica e così via, per avere una variazione genetica molto più mirata e certa. Si chiamano OGM senza rendersi conto che sono gli stessi di prima, solo molto più puri, identificabili e controllabili. Il teobiodinamicismo è una strada per far soldi su una nicchia di mercato che sfrutta l'aria newage del momento. Ognuno sia libero di seguire la sua strada. Mai come oggi il business dei maghi e delle fattucchiere prospera, è un bisogno dell'uomo, ben fa chi cerca di soddisfarlo. Ma questa è l'agricoltura. Una attività contronatura, che se non si fa per hobby deve avere un riscontro economico. D'altra parte l'uomo, creatura allotrofa, deve per vivere come tutti i parassiti, predare altri organismi viventi e la sua unica possibilità di sopravvivere al corpo che lo ospita è autoregolare il proprio numero (volontariamente o involontariamente) in base alle capacità tampone del pianeta di sopportarne la presenza. E questa non mi sembra religione, poi ognuno faccia quel che gli pare.

martedì 23 giugno 2009

Arte, storia e vino.

C'è poco da fare, i viaggi di studio, per essere definiti tali debbono avere anche una parte importante dedicata all'approfondimento di conoscenze che arricchiscano il già forte background dei vari partecipanti. Così il nostro breve viaggio in Slovenia non poteva mancare al passaggio, sia all'andata che al ritorno, di una appendice tematica sulla strepitosa realtà dei vini friulani. La prima meta, quando eravamo ancora nell'ansia del viaggio neonato ed in formazione, è stata prevista dall'ottimo Fassino della Italian Wine Travel che ha curato con la solita precisione tutto il tour di quest'anno dell' Associazione del Museo dell'Agricoltura del Piemonte, vicino a Codroipo, alle cantine Pittaro. E' questa un' azienda moderna, che accanto alla tecnologia d'avanguardia con cui vinifica le uve dei suoi 75 ettari di vigneto, ottenendo risultati, a mio parere degni di nota, unisce la possibilità di visitare uno strepitoso museo del vino, ricco di migliaia di oggetti, alcuni rari, come campioni delle prime bottiglie da vino prodotte nel 1600, altri preziosi, come gli eleganti vetri veneziani e gli antichi bicchieri, altri ancora curiosi e descrittivi di tutto quanto sta attorno al mondo del vino, raccolti con la passione dell'amatore dal titolare, Pietro Pittaro, discendente da una famiglia di vignaioli, con una storia di oltre 450 anni, che amerà raccontarvi la vicenda della sua straordinaria collezione. Il bel sito, che vi invito a visitare cliccando qui, si apre con questa significativa lirica di Ommar Khayyam che di vino si intendeva assai, su cui vi invito a meditare:

Da quando luna e pianeti comparvero nel cielo,
Nessuno vide mai cosa più dolce del purissimo vino,
Pieno di stupore son io per i venditori di vino,
che possono mai comprare, di meglio di quel che han venduto.


Dopo la visita assaggerete i bianchi famosi, dallo Chardonnay, al Pinot, al Friulano (non azzardarsi a chiamarlo più Tocai, l'Italia ha perso la causa con l'Ungheria), ai rossi Merlot, Cabernet e Refosco dal Penduncolo rosso, a tutto il resto della ricca gamma. Io sono stato particolarmente avvinto da un Sauvignon aromatico e persistente in bocca, direi con una personalità estremamente spiccata e con un sorprendente rapporto qualità prezzo. Non ho potuto lasciare la cantina senza essermene procurato una piccola scorta per continuare, più tardi, in privato, lo studio.
Al ritorno invece, scesi pian piano lungo la strada del vino della Brda, tra dolci vigneti a girapoggio, siamo calati fino a Cormons, dove la grande Cantina dei Produttori , ben comprendendo come non sia sufficiente avere una qualità di prodotto eccellente per garantirsi anche il successo commerciale, ha scelto una strada interessante per promuovere nel mondo i propri vini. Infatti accanto ai 400 ettari dei propri soci, la cantina gestisce un piccolo terreno detto la Vigna del mondo, dove viene allevata una convivenza di vitigni composta da oltre 550 varietà d’uva diverse, provenienti da ogni continente e che ogni anno, vinificate assieme, danno il Vino della Pace. Questo vino che, al di là della sua validità organoletti-ca ha un grande significato simbolico, con etichette disegnate ogni anno da grandi artisti, viene inviato a tutti i capi di stato del mondo; un messaggio etico, credo, comunque importante di questi tempi. La visita alla cantina vi farà apprezzare oltre alla imponente tecnologia d'avanguardia, con una impressionante batteria di macchine per pigiatura soffice che non stressa gli acini prima della fermentazione, il tutto a temperatura rigidamente controllata, una enorme cantina di affinamento con una serie di grandi botti dove continua il connubio già citato, tra vino e arte. Infatti le grandi superfici in legno sono coperte da opere pittoriche di grandi artisti, che rendono la passeggiata in cantina una vera visita ai quadri di una esposizione dedicata a Bacco. Nell'enoteca dove provvederete ad attrezzarvi per la degustazione, una scelta ricchissima tra i vini della zona, bianchi, rossi e spumantizzati, con alcune chicche come il Pignolo, lo Schioppettino, una Malvasia del tutto inabituale, molto diversa da quella piemontese e un curioso Vinum pro Sancta Missa, un passito prodotto con un metodo assai particolare per la cui descrizione vi rimando al ricco sito (cliccare qui), la cui bottiglia vale da sola la visita. Io mi sono lasciato tentare ad arricchire la mia cantina con un Muller Turghau di vellutata morbidezza muschiata che vi riempirà a bocca con la fragranza fresca della mela e da una Ribolla Gialla, vino antico dalla freschezza elegante che mi ha acchiappato per un delicato ed inusuale sentore di limone.
Ecco perchè mi piace viaggiare anche così, per capire, per confrontare, per ragionare della capacità dell'uomo di ricercare e di migliorare non soltanto le cose ed i prodotti.




lunedì 22 giugno 2009

Bianco marmorato

Non si vive di solo pane dell'anima, di esclusivo nutrimento dello spirito, questo lo abbiamo già detto. Ecco perchè anche i viaggi di studio, oltre ad arricchire la conoscenza escatologica devono buttare l'occhio anche al nutrimento del corpo, certo non maniera gretta e strumentale, ma unendo i vari aspetti della conoscenza che un'assunzione di cibo tout court limita e impedisce. Così il nostro viaggio nel nord sloveno ha saggiamente previsto delle soste oculate in alcuni agriturismi che mi corre l'obbligo di segnalarvi, non fosse altro perchè di agriturismi veri si tratta, in cui si mangia ciò che viene effettivamente prodotto in azienda. Ecco quindi nel versante nord del parco del Triglav, l'agriturismo Povšin (29 Euro la pensione completa!), una deliziosa piccola azienda agricola, che manda in estate gli animali al pascolo in alte malghe e che vi accoglierà con un bicchierino di slivovitza, il tipico distillato di prugne aziendale accompagnato da fettine di mele secche, a cui seguirà un pasto fatto di piatti della tradizione slovena, dalla minestra di verdure al piatto forte costituito dalle carni degli animali allevati in azienda, pollo, maiale e vitello con patate di montagna particolarmente saporite. L'orto fornisce le verdure necessarie e terminerete con una crostata di stagione. Sull'altro versante, proprio lungo il verde scrosciare dell'Isonzo ecco l'agriturismo Jelinčič che ci ha permesso di gustare dapprima una pasta e fagioli imperiale, dove la pasta si perdeva in un denso ed avvolgente passato ambrato, ricco del sapore conferito dalle parti suine anch'esse irriconoscibili ma sapientemente amalgamate e subito dopo l'incontro con la Salmo trutta marmoratus, la trota marmorata presente solo nei fiumi che scendono nell' alto Adriatico. Un incontro gradito ed istruttivo, quale i viaggi di studio richiedono, in particolare per essere l'animale servito con abbondante ricotta grattuggiata che dona a questo pesce, per nulla inferiore alla cugina Fario, uno charme tout particulier. Ciliegie appena colte dall'albero concluderanno la vostra pausa meditativa che seguirà l'opzone di acquisto dei formaggi prodotti in stalla, tra i quali un eccellente toma di capra stagionata. Infine, last but dont least, sulla strada del ritorno, tenetevi leggeri, perchè alla sosta dell'agriturismo la Scacchiera a San Gregorio di Camin , sarete messi a dura prova per testare con calma quanto produce l'azienda con una forza lavoro di otto persone e un solo dipendente. Comincerete con una serie di salumi, comprendenti anche una sorta di raro filetto baciato che ritenevo fosse ormai una unicità acquese e una soppressa calda con polenta dalle sonorità proprie della vicina salama da sugo, proseguirete con gnocchetti al burro (aziendale) e riso con i carletti (o stridoli) dal delicato sapore simile al pisello (sentendosi in colpa il titolare ha appena acquistato un campo che metterà a risaia, per poter autoprodurre anche il riso), seguiti da classici bigoli al sugo d'anatra ricchissimi di sapore. Infine il trionfo degli arrosti, bistecche, pollo, anatra e faraona, succulenti ed abbondantissimi con patate, altre verdure di stagione e cipolline in agrodolce calde indimenticabili. Una serie di assaggi di crostate familiari concluderà il pasto assieme ad una calice di moscato maison su cui potrete intessere la diatriba con il padron di casa sulla superiorità tra veneti e piemontesi. Che piacevole confrontarsi su questi temi. Niente frutta, pensate un po', perchè in azienda non se ne produce. Tornerete a casa sereni e più istruiti.

domenica 21 giugno 2009

Verde smeraldo.

Cosa è che dà all'Isonzo quel colore? Un verde smeraldo terso e chiaro, che sa di pulito, che accompagna il fiume fin dalle sorgenti nel parco del Triglav, mentre si precipita in basso in forre tortuose, tra rocce bianche e tormentate, quando ancora si chiama Soča, e lo segue, magari un po' più lattiginoso e spesso, come un taglio cabochon d'altri tempi, quando più a valle rallenta il suo corso prima di scendere nella piana friulana. Lo abbiamo seguito quasi tutto, questo corso, come per verificare, increduli, che il verde rimanesse tale, intoccato dalla pervasione umana che di ogni cosa si appropria. Da Kraniska Gora attraverso i cinquanta tornanti del passo di Vrsič, guadagnato con fatica dal corpaccione del bus con continue manovre per la disperazione di chi ci seguiva, per lasciarsi poi andare nella valle di Trenta, quando, tra pareti pur sempre incombenti, il rilievo diventa più tranquillo ed il fiume, ancora torrente alpino, scava le rocce prima di diventare adulto. Una montagna selvatica, popolata di orsi bruni; un ecosistema che ancora si difende bene dall'invasione antropica, o perlomeno che ha trovato un momento di tregua, di equilibrio, tra le alte malghe e i piccoli paesi di poche case in cui si pratica un'agricoltura difficile, con molta manualità a causa delle ripe scoscese, con piccoli prati cosparsi di costruzioni in legno che secoli di tradizione hanno rese perfette macchine per essiccare il fieno, in una regione tra le più piovose d'Europa. A poco a poco si allarga l'Isonzo e si fa fiume, sempre smeraldo, sempre traslucido, sempre brillante, sia colpito dai raggi del sole che riflettono piccole stelle tra le spume, sia se si acquieta nelle anse sotto l'ombra spessa delle piante che ne affollano le rive. Tu guardi, cerchi tra quel verde intenso, ma non lo trovi, non riesci a vederlo per tanto che ne è stato versato, il rosso del sangue di tutti quelli che qui hanno perso la vita. Lungo questa linea verde, per tutto il secolo scorso decine di migliaia di uomini si sono scannati scegliendo i modi più efferati ed efficienti, dai cannoni più potenti, a tutte le armi da fuoco possibili, dalle baionette alle mazze ferrate, ai gas. Il museo del soldato di Kobarid (Caporetto) raccoglie tutte queste memorie. Senti la lettera del soldato dopo la battaglia, vedi centinaia di foto di sofferenze inaccettabili, segui la storia, conti i morti, arrivi fino alla camera degli orrori dei campi dopo la fine della battaglia. Un anziano te la racconta, con una voce grave resa partecipe dalla sua storia personale. Poi ti domandi, ma come poteva la gente non vedere, non capire; eppure andavano sulle piazze, gridavano, applaudivano, odiavano quello che stava dall'altra parte. E la storia si ripete due, tre volte, nessuno impara mai da quanto è accaduto prima; che bisogna creare un nemico, un colpevole, per coprire i propri problemi, per cercare di risolverli a spese di altri, per proteggere i privilegi. Questa terra, dove sono passati turchi, francesi, austriaci, tedeschi, italiani, tutti con cattive intenzioni, adesso sembra tranquilla, attorno al fiume di smeraldo, ma non si avverte allegria negli occhi della gente.

sabato 20 giugno 2009

Verde acquamarina.


Ve lo avevo detto che necessitavo di qualche giorno di pausa meditativa. L'occasione di unire il bisogno dello spirito ai più prosaici richiami della carne, intesi come assunzione di proteine complesse, è venuta dall'annuale viaggio di studio a cui l'Associazione del Museo dell'Agricoltura del Piemonte mi ha chiamato. Così il torpedone carico di anime desiderose di arricchire la propria conoscenza, si è diretto ad est, verso le aspre montuosità dell'alta Slovenia, attraversando strette valli tagliate da verdi torrenti dal percorso tortuoso fino a Bled, un miracolo della natura. Generalmente amo poco i laghi per la loro tranquillità tenebrosa presaga di finali spiacevoli, per la loro calma apparente che richiama la mente nei gorghi della depressione, ma Bled ed il suo colore indefinibile, ti porta automaticamente al sorriso e alla voglia di abbracciare qualcuno. Proprio il colore, forse, è il motore immobile che genera queste sensazioni. Se la superficie liscia e senza increspature è appena sfiorata da un raggio di sole che si fa spazio tra le nubi che avvolgono il Triglav ancora coperto di nevi alle sue spalle, un verde azzurro intenso o pittosto un'acquamarina senza sfaccettature, carica di colore, senza trasparenza apparente, una lattiginosità satura su cui si intaglia il castone dell'isola, verde intenso su verde azzurro, con il biancore appuntito del piccolo campanile al centro a far convergere gli sguardi ed i desideri. La chiesetta, che si raggiunge a forza di remo e che si conquista attraverso la erta scala di pietra per far suonare tre rintocchi alla campana dei desideri, quasi a profanare un silenzio terso, ha contorni precisi, resi ancor più netti dalla pioggia notturna. Il colpo d'occhio dall'alto del castello, è dirompente ed appagante al tempo stesso. Non riesci a staccarti dal colore dello specchio d'acqua, dal piccolo gioiello dell'isola, dal verde intenso delle rive, dalle ville antiche che si appoggiano alle erte sponde. Anche qui, nella più grande e splendida tra queste, un piccolo dittatore periferico amava portare i capi di stato amici a godere della bellezza, un topos comune in tutti i tempi. E' difficile staccarsi da tanta bellezza, ti aggiri a lungo tra le mura del castello alla ricerca di un colpo d'occhio diverso, da un angolo di visuale più affascinante che ti prometta ancora altre emozioni. Poi, in qualche modo te ne fai una ragione e te ne scendi piano, raccolto nei tuoi pensieri, cercando di fare tuoi anche quelli di tutti coloro che ti hanno preceduto, per distillarne l'essenza da conservare nella memoria. Camminerai ancora sul bordo del lago, mentre la luce intensa va a poco a poco spegnendosi, allungando le ombre dei cigni che si scuotono le penne riguadagnando la riva. La cupa rocca del castello incombe ormai alle spalle. I pensieri si affollano nella mente, potrà placarli una sottilissima e croccante wienersnitzel dai contorni dorati o meglio ancora un gran finale con una robusta fetta di krimsnita, due sottili lastre di pasta sfoglia separate da una spuma vaporosa e leggera, una crema delicata se pur di saporosa consistenza che ti predisporrà al riposo e ai maggiori cimenti della giornata successiva.

lunedì 15 giugno 2009

Porceddu.

Come avrete notato dal post di ieri, la calura estiva mi immalinconisce facendomi tendere ad una situazione di leggero torpore psicofisico. Per sfuggire alla catatonia che suppongo, prenderà anche molti di voi, suggerisco questo modus agendi. Lasciate alle vostre spalle di primo mattino, la città le cui superfici sono in procinto di trasformarsi in specchi ustori e percorrete con calma la pianura verso nord. Pian piano ai bordi della strada scorreranno i campi dove le spighe ormai gonfie lottano contro il destino che fa loro piegare a poco a poco il capo, mentre si colorano di un oro sempre più intenso fino a diventare quasi rosso. Poi, mentre queste diraderanno, vi inoltrerete nella piana vercellese dove le grandi camere verde pallido delle risaie la faranno da padrone, godendo del breve sbattere delle grandi ali dell'airone cinerino e dai rapidi movimenti delle eleganti garzette alla ricerca di cibo. Alla ricerca di cibo come voi che raggiungerete quindi le valli del Canavese dove, attorno ai 600 metri più freschi ed accoglienti, vi aspetteranno amici vecchi e nuovi che vi avranno preparato una piacevole giornata. Disposti con sapienza antica sugli appositi sostegni, infatti, riscaldano le tenere carni opportunamente divise in mezzene, fin dalle otto di mattina due porceddi (o porceddus o porceddu, quale sarà mai il plurale giusto, ah saperle le lingue!). Sono appena giunti in continente, amorevolmente condottici dal mastro scalchiere, aduso a questo genere di fatiche, che ne cura anche, per le sei ore necessarie, la corretta cottura. Son cose che non s'imparano, te le deve tramandare la tua terra. Noi (avrete notato che siamo passati dal voi al noi), al più, possiamo sederci ai deschi amorevolmente preparati dai padroni di casa e godere del più stupendo porceddu che io abbia mai azzannato. Trinciato alla bisogna e disposto in ampi sostegni di sughero, su un letto di alloro e rosmarino abbiamo cominciato a servircene in abbondanza. La delicatezza delle carni morbide e sapide al tempo stesso ti (mi) davano una senzazione di scioglievolezza che altro che le palline Lindor... E ad ogni boccone, avrete cura di aggiungere una particella della cotenna (mi fa quasi orrore definire con un termine che par negativo, questa straordinaria parte dell'animale) che, sottilissima e dorata come le spighe mature che avevate apprezzato nel viaggio, farà da perfetto contraltare con una croccantezza rara da scoprire, per me almeno, che ne avevo provate altre quasi gommose o troppo salate. Una perfetta proporzione di morbido e friabile, con la mediazione di un sottile strato di grasso intermedio in parte sciolto dal calore, in parte ancor lì ad insaporire e legare gli strumenti di una sinfonia di promesse. Avrete cura di mettere nel piatto, alla moda sarda, qualche fettina di finocchio crudo a cui ogni tanto dare un morso, chè la freschezza del crudo lavi la bocca dalla ricchezza e dalla profondità delle carni e la prepari ai bocconi successivi. Poi vi lascerete tentare da qualche pezzetto del fianco, dove le piccole costoline del lattonzolo sono appena coperte da una flebile superficie di pellicina dorata all'esterno e un velo morbido e sapidissimo all'interno. Non saprete trattenervi finchè la sughera non rimarrà ricoperta solo dal verde alloro e allora vi guarderete attorno come smarriti alla ricerca della padrona di casa e di chi ha addotto gli animali a noi, dall'isola felice, per poterli finalmente ringraziare, ma eccolo invece, impegnato con opportuno lungo coltello barbaricino ad aprire una forma di fresco pecorino di soli due mesi, ancor più giovine dei suoi compagni di avventura, per tagliarne fettine dal vago sentore di mirto (sento che sto esagerando, ma quando c'è l'entusiasmo....). Quando stanchi vi predisporrete ad un momento di pensiero, con un buon barbera da meditazione tra le mani, ecco saltar fuori due chitarre di levatura professionale in mani sicure, che , vista la bravura, gli altri mestieri li fanno per hobby evidentemente. Il repertorio scivola immediatamente sui sixties e alle note di Vagabondo sono io, le ciglia cominciano ad inumidirsi sotto le zazzere sale e pepe, mentre i pochi giovani battono in ritirata. Non ci siamo fatti mancare nulla, Pooh, New Trolls, Formula 3, Giganti, Equipe, travolti infine dal sempiterno Lucio. Duro vi sarà, dopo un grato abbraccio ai deliziosi ospiti, lo staccarvi dal luogo e dagli amici per la via del ritorno e fate guidare la moglie, per evitare l'etilometro.




PS . Dimenticavo, in un blog che non vi dico, qualche miscredente ha voluto insinuare che il plurale di porceddu sia Van Porcedden....... date pure un'occhiata tanto per essere informati, ma non c'è limite alle teorie del gomblottismo, per distruggere un sogno!

domenica 14 giugno 2009

Calura estiva.

Adesso che è scoppiata l'estate non se ne può già più del caldo. Solo si aspetta la sera quando una brezza più leggera interviene e l'oscurità si fa amica e magari si va a prendere un gelato da Cercenà (probably the best in the world). Chissà se anche Wang Chang Ling agli inizi del 700 aveva tutto 'sto caldo nelle notti estive davanti al lago (e se aveva una gelateria vicino).

Godendo del chiaro di luna con mio cugino, nella camera del Sud, mentre ricordiamo Tsuei, prefetto di Shan Yin.

Nella camera del Sud me ne sto senza angosce,
mentre la luna nascente, a tende aperte, già si mostra.
Su erbe ed acque i suoi riflessi, tra il chiaro dei bagliori,
grandi onde a scavalcare la finestra.
Quante volte crescerà la luna, per svanire puntuale?
Intanto ogni momento svanirà nel suo passato.
Sulle rive di acque chiare, una bella
questa notte canta di tormenti e sofferenze.
Perchè mai tanta distanza, smisurata tra di noi?
Una brezza lieve mi riporta una fragranza di orchidee.

Meglio andare in montagna oggi, farà caldo.

sabato 13 giugno 2009

Rosso vermiglio.

Aveva appena finito di piovere. L'aria era pulita e si vedeva lontano in un bagliore verde scontato. Se l'Irlanda non fosse così verde non avrebbe senso. Così parcheggiammo il camper vicino ad una piccola baia, sul mare, vicino al Connemara National Park, un minuscolo molo con quattro barche e poche case basse tra cui una locanda antica con i soffitti bassi e le sedie di legno pesante che si spostano con fatica. Scegliemmo un tavolo vicino ad una finestra da cui si apprezzava il sole che minuto dopo minuto magnificava i colori. Dopo poco non fummo più soli. Entrarono in fila indiana sei giapponesi che si disposero subito con ordine nel tavolo vicino al nostro, lasciando al posto d'onore, vicino alla finestra che godeva della vista sulla baia, il più anziano, evidentemente persona di rango, che, tra i consueti inchini a cui rispondeva con piccoli cenni, veniva trattato con particolare deferenza. Se ne stava silenzioso tra il cicaleccio discreto dei suoi, osservando con attenzione tutto quello che lo circondava, come volesse imprimere negli occhi stanchi ogni sensazione, ogni particolare. Rimase infine, dopo avere appena assaggiato il piatto che gli era stato proposto, ad osservare la baia che ad ogni mutar della luce, che andava via via rafforzandosi tra le nubi grige ancora gonfie, ravvivava i colori cambiandone la composizione. Dato che la nostra bambina si era concentrata con decisione su di un gigantesco trancio di salmone al buro fuso e non richiedeva attenzioni, mi dedicai ancora ad osservare quell'uomo. Mentre la sua compagnia mostrava grande apprezzamento per la tavola, con un piccolo cenno chiese ed ottenne dalla giovane che gli era più vicina, una piccola scatola che aprì con cura e depose sul tavolo al posto del piatto appena toccato. Ne estrasse un pennellino, i colori, un blocco di piccole dimensioni di spessa carta porosa e un bicchierino che riempì con poche gocce di acqua. Bagnato il pennello rimase ancora un poco ad osservare la baia, poi pochi colpi leggeri lambirono il foglio. Vedevo distintamente il lavoro che stava prendendo vita. Un tocco di azzurro, una linea quasi indistinta, un tono monocromatico e acquoso a confondere cielo, nubi e mare. Si fermò un poco, piegando la testa da un lato, pensoso, poi, umettato per un ultima volta il pennello e caricatolo di colore, diede un ultimo ma decisivo colpo, un fendente di lama, una virgola rosso vivo, una piccola barca sul bordo dell'insenatura. Rimase ad osservare il cartoncino mentre si asciugava, perfetto nell'armonia della sfumatura che la porosità della carta fondeva con gradualità, lasciando scandire lo spazio alla pugnalata vermiglia che ne giustificava l'esistenza. Asciutto, lo girò rivelando le righe di una cartolina su cui vergò con cura un indirizzo formato da eleganti caratteri kanji con un apposito pennellino nero da scrittura. L'angolo della bocca era piegato in un leggero sorriso di soddisfazione. Quando noi ci alzammo dovette scostarsi un poco per lasciarmi uscire. Guardai lui ed il cartoncino che teneva ancora tra le mani, dicendogli:"Domo arigatò, Sensei". Il Maestro sorrise abbassando leggermente il capo. La mia bambina, mentre uscivamo mi disse: " Papà, hai visto che bella barchetta ha disegnato quel signore?".

venerdì 12 giugno 2009

E' sparito il bosone.



Ma, ragazzi, che fine ha fatto il Bosone di Higgs? Non se ne sente più parlare da nessuna parte. Capisco che ci sono argomenti che hanno sopravanzato per importanza il nostro vecchio particellone furbastro che sarà andato ad imbucarsi in qualche paradiso tropicale, pur di non farsi scovare, ma adesso le elezioni sono finite. Datemi un segno da qualche parte. A Ginevra lavorano o bisogna far intervenire Brunetta? O hanno tagliato i fondi anche lì? Già qualcuno dice che a ben vedere, la teoria che descrive questa particella scalare con spin nullo, ad un livello assai profondo soffre di gravi problemi formali. Ma, allora? Se mi casca anche la particella di Dio, non c'è più religione. Vedo che secondo Marco è inutile cercarlo tra 160 e 170 GeV, al 95% di livello di confidenza, ma allora? e chi ha fatto la spiata? In realtà, il fatto è che adesso comincia il periodo delle sagre estive, e si sa come va a finire in questi casi; siccome proprio lui viene indicato come responsabile della massa delle singole particelle e forse è colpa sua che un muone pesi molto di più dell'elettrone, suo fratello più leggero, ma per il resto identico, alla fine, non accusatelo della vostra massa in eccesso.
Io ieri sera, con i miei amici del Taiji, sono andato ad un ricco buffet, ma mi sono trattenuto e non do la colpa al bosone. Anche perchè abbiamo dovuto performare a lungo, tra gli sguardi dubbiosi di qualche centinaio di fighetti che avevano voglia di ballare della sana disco e quando abbiamo finito del buffet era rimasto il fondo dei piatti, ma ci siamo divertiti lo stesso a forza di mojitos e caipirine. Comunque proprio a becco asciutto non siamo stati, ci eravamo presi qualche piccolo anticipo prima di aprire le danze; cultori di Tai Ji, certo, ma mica bosoni!

giovedì 11 giugno 2009

Anatra laccata.

Se non era troppo freddo, o troppo caldo, o troppo ventoso, o se non pioveva (sono un po' troppo meteoropata?) ero solito, quando stavo da quelle parti, fare due passi a Tien An Men. Quella grande piazza ha un fascino irresistibile, come la piazza Rossa a Mosca. Cammini, cammini ed i fatti della storia passano sotto i tuoi piedi senza lasciare traccia, più forti nella memoria degli occidentali occasionali, che ritengono di capire tutto e misurano con il loro metro i fatti della storia altrui. Poi traggono le loro conclusioni e si irritano perchè non trovano corrispondenza con il sentire della gente che cammina al loro fianco. Allora cercano subito spiegazioni dietrologiche; forse non sanno, non sono informati, forse fingono per paura. Il fatto che non gliene freghi niente, non è contemplato. E la piazza sta lì, con le migliaia di cinesi che si fanno le foto davanti al mausoleo, i ciclorishiò che cercano di accalappiare qualche turista, la Chang An dove il muro di auto ha sostituito ormai completamente il muro di biciclette scampanellanti. Forse è meglio lasciarla lì la grande piazza ed inoltrarsi nelle stradine sul fronte opposto alla Città Proibita, nel quartiere del commercio, quello che ai tempi di Marco Polo ospitava gli stranieri. C'è un famoso ristorante, più che centenario, dove servono la tradizionale anatra laccata. Una cerimonia vera e propria. Arriva il chirurgo bardato ad accompagnare l'(ex) pennuto già steso sul tavolo operatorio. Con un bisturi affilato, comincia ad affettare sottili striscioline di pelle con poca carne attaccata e le depone su un piatto di portata. C'è uno schema fisso naturalmente ed ogni anatra deve dare invariabilmente un numero fisso di strisce (108 se ricordo bene; inoltre il numero 8 finale è augurio di buona fortuna). Sul tavolo mani sapienti hanno già deposto un piatto con sottili e piccole piadine morbide. Se ne prende una sul palmo della mano e, con le bacchette, vi si depone dentro qualche pezzetto di cipollino, una strisciolina di anatra e abbondante salsa marrone proveniente dalla laccatura. Si forma quindi un involtino, ripiegando con cura i lati della cialdina e poi te lo pappi, bevendo abbondante thè verde bollente che un inserviente ti tira nella tazzina da un metro di distanza, lanciando un sottile getto da un lungo cannello di un antico contenitore. I primi pacchettini te li confeziona amorevolmente qualche fanciulla in abiti tradizionali, poi ti devi aggiustare da solo. Ci deve essere un giusto equilibrio, tra la pelle croccante e quasi dolce, il morbido grasso sottopelle, la poca carne più sapida, il pizzicore del cipollino e il maestoso tono suadente della salsa. Niente spigolosità, armonia nei gusti, nelle sensazioni, nelle consistenze. Corretta proporzione tra yin e yang. Gridare troppo forte in piazza, non va bene; cambiare troppo in fretta le cose provoca disequilibrio e il grande corpaccione dell'impero di mezzo teme soprattutto questo, gli scossoni improvvisi, i cambiamenti troppo repentini che provocano malattie gravi secondo l'antica medicina cinese. Anche la stragrande maggioranza dei cinesi crede molto alla medicina tradizionale e non si vuole ammalare facendo cure di cui non sente il bisogno. Per questo ama molto mangiare l'anatra laccata, anche se in fondo si mangia solo la pelle. Però, come sapete i cinesi sono molto pragmatici, così, quando esci, oltre al certificato che attesta che tu hai mangiato la tremilionesima e rotti anatra da quando è aperto il ristorante, ti danno anche un pacchetto con dentro il resto dell'anatra, così la carne te la mangi a casa il giorno dopo e anche lo yin e yang del tuo portafoglio rimane più equilibrato.

mercoledì 10 giugno 2009

Cronache di Surakhis 15: Solo Bio

La polemica infuriava da tempo. Lo scientismo che serpeggiava qua e là tra i sedicenti progressisti, voleva riportare tutto al calcolo, alla precisione, alla prova ed a tutte le altre scemenze che avevano imperversato per l'universo, sottomettendo la vera forza delle specie viventi, la fede e l'istinto. Costoro si ostinavano a pretendere che si seguissero studi e ricerche, assolutamente inutili del resto per provare l'errore nelle cose, che invece tutti sanno e capiscono come evidenti e chiare, per l'esperienza ed per il ricordo degli antichi. Paularius era a capo di una delle più importanti Gilde di Surakhis, quella dei Teobio e non era troppo tenero con quella gentaglia che non voleva riconoscere principi fondamentali della prevalenza di una razza o dell'assioma della superiorità del biologico sull'artificioso e ciò che è contronatura. Cose che tutti sanno e che non hanno bisogno di essere dimostrate. Quindi, quando qualcuno pretendeva di mettere in discussione la Verità, bisognava metterlo a posto senza tante storie. Generalmente bastava controllare il suo contatore dell'aria e rallentare un po' il flusso per ridurlo a più miti consigli; tutta gente pavida quella che volevano imporgli l'uso di roba non rigorosamente bio. Artificiale, puah! Soprattutto in questo momento che doveva andare alla clinica per fare il consueto controllino periodico, in cui lo rimettevano a posto dalle varie magagne accumulate nel tempo. Paularius non si tratteneva molto nel momento in cui il lavoro e gli impegni gli davano qualche momento di relax e data la sua posizione poteva anche permettersi il meglio di quanto offriva la galassia e qualche parte del suo corpo non più giovane, era un po' sovraffaticata, diciamo pure partita completamente, come quando si era preso quella malattia nuova da una multipigia esatettica di Capella (che femmina strepitosa!), che gli aveva ridotto male l'organo a cui teneva di più; ma anche i reni, probabilmente, erano da sostituire. Ma lui aveva chiarito subito, niente robaccia artificiale o OGM (organi genetico-meccatronici) solo prodotti bio. D'altra parte, cosa li manteneva a fare tutti quei ragazzi, pagati a caro prezzo tra l'altro, se non per avere degli organi a disposizione, avendone bisogno? Capace che quei bastardi dei morigeratores piantassero su i soliti scandaletti, come durante le ultime elezioni, quando avevano addirittura accusato l'imperatore di mantenere un harem di ragazzette per i suoi piaceri personali. Questo sarebbe stato veramente grave per la sua immagine di uomo capace ed integerrimo, votato solo al bene dei suoi sudditi. Per fortuna, il Lungocrinito, aveva potuto dimostrare coi fatti (cartelle cliniche e filmati di espianto) che servivano solo per avere qualche organo a disposizione alla bisogna per lui ed i suoi amici più vicini. Questo aveva placato le acque e lo scandalo era rientrato con la generale approvazione, il voto telefonopatico gli aveva dato ragione. Il suo unico concorrente, un comunardo pescato su una luna secondaria di Rigel, eliminato dal televoto era stato subito vaporizzato.

lunedì 8 giugno 2009

Riso e rane

Capita talvolta che uno si alzi la mattina e così, magari a causa di una notte difficile, venga preso da una impellente voglia di riso e rane e salame d'oca; chissà, forse una riminiscenza, forse un ricordo lontano. Allora, senza fretta, se capiterà anche a voi, prendete la strada che va verso Valenza, superatela senza curarvene , passate sul ponte del Po, che qui comincia a mostrare la sua dimensione, il proprio desiderio di essere importante e lanciato uno sguardo dispiaciuto per non aver previsto una sosta alla garzaia e alle trascurate virgole di garzette e di aironi cinerini, buttatevi nella Lomellina, questa terra piatta e priva di insidie. La strada si fa tortuosa (che curiosità in una pianura cosi indistinta), ma deve seguire un percorso saggio lungo i bordi delle camere di risaia, quindi con frequenti curve ad angolo retto. Poi, annunciato da lontano, chè nella grande pianura poco si può nascondere, tra le quinte argentee dei pioppeti, un piccolo paese all'apparenza anonimo, Frascarolo. E qui la sorpresa. Coperta, quasi nascosta tra le case basse ed indistinte, dietro un muricciolo a protezione del fossato, una sagoma bassa ma imponente, le cui trasformazioni ottocentesche non possono nascondere le severe necessità guerresche che ne avevano imposto la costruzione in questa posizione, evidentemente strategica per il controllo di questa vasta area agricola. Gli eserciti non combattono senza rifornimenti e le risaie evidentemente valevano più dei buoni generali. Quattro grandi torrioni agli angoli di una perfetta pianta quadrata, incorniciano il magnifico castello cinquecentesco. Sul portale, il biscione visconteo ricorda l'antico potere. Nel fossato non c'è più acqua, ma un magnifico giardino, ma a fianco un'altra sorpresa, ancora più inattesa e per questo coinvolgente. Attorno ad una grande corte ora coperta dallo smeraldo di un prato fine, una piazza dei Miracoli di campagna dove si alzano, completamente rimessi a nuovo, le costruzioni della classica cascina pavese che ospitano un Museo del contadino, insospettabilmente ricco e curato. Ogni ambiente del complesso rurale, dalla stalla, ai portici, ai magazzini ospita, ben organizzati e suddivisi secondo i temi classici della casa, della terra e dei mestieri, oltre 1000 oggetti che raccontano la storia del territorio. Addirittura negli ambienti da poco completati, è ospitata un'intera riseria, con antiche e straordinarie macchine di legno che fino a non molti anni fa operava a Mede. Tutto questo, come mi ha raccontato la famiglia Temporin, custode degli ambienti, si deve all'opera appassionata di un grande avvocato e della sua famiglia, il cui attaccamento alle radici e a questa terra appare forte, fattiva e non costituita soltanto di ricordi, ma di proposte concrete. Un esempio di mecenatismo d'altri tempi di cui ognuno, se lo desidera, può fruire. Dopo aver visto, sotto l'ampio porticato, un delizioso e raro mobile madia, l'apertura del quale presenta la sorpresa di due macine in pietra casalinghe, perdetevi un po' nel giardino severo che circonda il tutto. A questo punto, avrete dimenticato riso e rane, ma non crucciatevi, forse era roba cinese surgelata e la giornata non è stata certo perduta.

sabato 6 giugno 2009

Sul lago.

Oggi ancora vena poetica e ancora con Li Po dopo una notte inquieta.

Canto del lago.

Lucide acque profonde; luna di primavera.
Sul lago del Sud vado a cogliere le bianche ninfee.
I fiori dal lungo stelo sinuoso,
pare che vogliano dirmi qualcosa;
ahimè, che li uccide la mia piccola barca oscillante.

venerdì 5 giugno 2009

Jiǔ

L'ideogramma "jiǔ" è molto utilizzato nell'impero di mezzo, come del resto lo sarebbe in tutte le altre culture millenarie. La parte destra si identifica facilmente con un' anfora vinaria classica, dalla forma panciuta, il collo stretto con anse ed il fondo che va rastremandosi. Pensate che i cinesi scoprirono per primi l'utilizzo dela funzione del baricentro applicato alle anfore. Venivano infatti prodotte in modo che, immerse nell'acqua de fiume, si raddrizzassero spontaneamente una volta piene (sottolineo di nuovo, che appena questa gente smetterà di copiare, saranno dolori per tutti). La parte sinistra è la ben nota stilizzazione ridotta dell'acqua, mirabilmente raffigurata da tre gocce che cadono, guardate, quella più in basso, che ha già raggiunto la superficie di impatto addirittura rimbalza in un delizioso schizzetto. Bene, quindi, il liquido contenuto nell'anfora vinaria , cioè "alcool, liquido alcoolico". Basta infatti aggiungere davanti i caratteri "pú táo " (uva) e abbiamo vino, "pí " e abbiamo la birra, "mǐ" (riso) e abbiamo il vino di riso e pensate un po', anteponendo "kòng xīn" abbiamo "alcool dal cuore vuoto, senza sentimento" che significa aperitivo, un giudizio un po' tranchant che mette questa pratica così diffusa in occidente, tra le cose futili. Detto questo, rimane il fatto che l'alcool, sotto le sue più diverse forme ha lavorato a fondo in tutte le culture, riuscendo ad essere resposabile di molta espressione artistica. Quanti poeti, da Bodelaire a Ommar Khayyam sono debitori all'alcool per la loro produzione. Il mio favorito Li Po, che ormai ben conoscete, non era certo da meno e in questa occasione doveva essere piuttosto "rotondo" ed oggi, stimolato ed invidioso dell'eleganza proposta qui da Popinga che vi invito a leggere con piacere, voglio tentare una indegna traduzione di una sua famosa lirica (nello stile dei 20 caratteri in 4 versi) e vi assicuro che di mattina non sono solito toccare alcool.

杂曲歌辞

金花折风帽,
白马小迟回。
翩翩舞广袖,
似鸟海东来


Andarsene cantando una canzone sguaiata.

Un colpo di vento e il costoso cappello è perduto,
mentre il candido cavallo ritorna pian piano.
Ballo elegante, muovendo le ampie maniche,
come l’ uccello marino che viene dall’est.

giovedì 4 giugno 2009

Bianco zucchero.

Leggendo golosamente questo post del blog di Bressanini, particolarmente ghiotto per me che amavo la chimica, al contrario della maggior parte degli studenti (sarà per questo che la parola "kimica" usata dai teobio, ha una valenza così negativa), mi è tornato alla mente un fatto accadutomi durante la mia prima ed unica visita in Bielorussia. Credo che batta tutti gli altri posti del mondo, non ne ho mai visti di così piatti, anche in Olanda c'è una collinetta di 300 metri, mi pare. Il treno per Minsk sferraglia per ore nel piattume bianco e liscio. Solo i boschi di betulle alternano gli spazi, bianche anch'esse ma con una scansione verticale alla ricerca di una armonia aliena, quasi un richiamo a Fontana, con tronchi leggermente piegati a simulare tagli nel cielo livido invernale. La città, rasa al suolo nella guerra è rinata dalle rovine sulla necessità di una rapida ricostruzione postbellica e presenta(va) in ogni sua parte una unica serie di orribili e miserevoli falansteri sovietici, una mappa di Mondrian monocolore e tristissima. Gli abitanti scherzavano molto, in quel periodo su Ciernobil e sul fattaccio avvenuto da poco. La centrale è a 600 km ed i venti spirano normalmente in quella direzione, così si diceva che gli ukraini ci tenevano a mantenere Minsk al caldo. Dove non si vive molto bene, la gente ha una tendenza a ridere molto, come per una reazione liberatoria, ma era un ridere nervoso, mi sembrava. La ragione della nostra visita era al solito, quella di cercare delle occasioni di business praticabili in quei paesi che si stavano aprendo. Era un periodo in cui arrivavano le proposte più strane e strampalate, come quella di pochi giorni prima, che avevamo glissato elegantemente, in cui ci era stato offerto un cacciatorpediniere al prezzo del suo peso in ferro (132 lit/kg, reso porto italiano) che però, dato che si trattava di circa 18.000 Ton. faceva sempre un bel 2 miliardi e mezzo di lirette. Nella divisione dell'URSS, alla Bielorussia era rimasta questa nave, ma non avendo questa sbocco al mare, cominciava a diventare un problema e volevano farsela fuori a prezzo di saldo. Così eravamo passati a cose più serie, dopo aver schivato anche una serie di inventori della domenica che proponevano i loro fantasiosi brevetti, una vera piaga del paese. Il nostro contatto assicurò che quel giorno avremmo incontrato un rappresentante di un grosso kombinat che aveva una proposta interessante, quindi andammo anche se oramai ci sentivamo alquanto delusi dalla situazione. Nel solito palazzone anonimo, passando attraverso porte squinternate e ambienti cadenti e tristissimi, fummo presentati al direttore generale che, come di consueto a quei tempi troneggiava dietro una scrivania a T , assai consueta negli ambienti sovietici del tempo. Il capo stava un po' più in alto in posizione dominante a sottolineare il potere e di fronte, ma più in basso, la scrivania si allungava (poco o molto a seconda dell'importanza del capo) ortogonalmente, in un tavolo attorno al quale si allineavano i subordinati. Mi risulta che questa tipologia di scrivanie venne importato anche da noi, in diverse sedi del PCI, chissà se qualcuno me lo può confermare. Comunque il potente fu molto affabile, tenendo a mostrare la sua internazionalità, esibendosi in sei lingue con proprietà di termini, per farci capire come fosse uso a trattar con occidentali e che se non eravamo rapidi e svegli, l'affarone l'avrebbe proposto ad altri. "Chi è più svelto fa i milioni" gigioneggiava arrotando l'occhio con fare complice. Arrivò, chiamato all'ordine, uno stuolo di tecnici, con rotoli di layout da spiegare sui tavoli, ma noi insistemmo che volevamo prima capire bene di che cosa si trattava, in quanto il nostro contatto aveva accennato solo ad un progetto di alta tecnologia industriale. E proprio di quello si trattava, spiegò paternamente il potente, che diede la parola al Glavny Inghenier per presentare il progetto. Si trattava, utilizzando un escusivo brevetto delle teste pensanti del kombinat, di un megaimpianto per la "produzione del furfurolo attraverso lo sfruttamento delle bagasse esauste". Non voglio entrare nei particolari tecnici che potrete approfondire nel blog a cui ho accennato in apertura, ma, come avranno già ipotizzato i miei lettori liguri, chiarimmo subito che non eravamo interessati a entrare nel settore chimico, occupandoci noi, soltanto di meccanica. Ce la filammo all'inglese, attraversando il grigio cupo della città verso la stazione, dopo i consueti brindisi alla imperitura amicizia italo-bielorussa.

mercoledì 3 giugno 2009

Filetto di canguro.

Passeggiare una domenica mattina in un parco di Melbourne è una cosa che ti riconcilia con la vita e con la specie umana. Gente che corre, famigliole che passano, ragazzi stesi sul prato a chiacchierare, uomini e donne di tutti i colori che apparentemente vivono di una vita serena. Non ho avuto l'impressione che si ammazzino di lavoro, ma piuttosto che la prendano calma, attenti piuttosto a scegliere un buon posto per fare il barbecue nel week end. Molti, specialmente giovani, sembrano dedicarsi esclusivamente al surf e forse paiono eccessivamente disimpegnati, ma alle due di notte, quando giri per la strada vedi ragazze sole, asiatici, greci, slavi, sudamericani che hanno voglia di tornare a casa dopo aver passato una serata piacevole, non di andare a dar fuoco a qualche clandestino (che ovviamente ci sono anche lì). Insomma una sensazione di un posto dove si vive bene, in santa pace e non solo perchè sei andato qualche giorno sull'Ocean road o sui Granpians, ma perchè l'atmosfera sembra serena indipendentemente dalla bellezza del posto. Sarò stato un canguro nella mia vita precedente? Chissa! Capisco che se si passa un pomeriggio in qualche farm vinicola dei dintorni ad assaggiare Shiraz e Sauvignon palleggiandosi un koala, si è più in pace con il mondo. Allora sarà soltanto la voglia del soggiornante occasionale, che vede tutto rosa e subisce l'inevitabile fascino dell'esotico che ii condiziona? Allora non sarà vero che lì si vive meglio? Magari dopo sei mesi dai fuori di testa e stufo di filetto di canguro, finisci a sfinirti di birra in un bar di Kokabunga. Oppure c'entra qualcosa il fatto che se si sta al largo, se cè più spazio, si diventa meno aggressivi? Forse è una banalità, ma in uno spazio delimitato, quando il numero di topi raggiunge un numero definito critico, cominciano fenomeni di aggressività e le femmine automaticamente diventano sterili. Allora, se è vero che il pianeta autoregola il numero dei suoi parassiti per difendersi e sopravvivere, la febbre suina è soltanto l'inizio. Mi piacerebbe sentire il parere di qualche mio attento lettore australiano. (Cosa credete, ne ho anche lì.)

martedì 2 giugno 2009

Contronatura.

Sono già passati un sacco di anni. Eppure quando comincia giugno, per me è come un appuntamento biologico, un ciclo spaziotemporale che mi prende pian piano, specialmente se, in auto, giro per la campagna. Tanti chili fa, facevo un altro mestiere e ai primi di giugno cominciavano le visite in campo per scegliere il grano da seme. Il segnale lo dava la definitiva sfioritura dei campi di colza che con il loro giallo limone intenso avevano cominciato a tappezzare le nostre colline e anche larghi tratti di pianura (grazie ai contributi naturalmente, lo sapete no che in Europa l'agricoltura esiste solo per i contributi). Com'è intenso il giallo dei fiori di colza. Dura a pieno regime poco più di una settimana, poi i petali cominciano a cadere ed emerge il grigio verde pallido degli steli e delle siliquette che cominciano a gonfiarsi di semi carichi di olio. Quando non c'è più traccia di giallo nei campi vicini, il grano ha ormai terminato la levata e le spighe ormai fecondate iniziano a formare le cariossidi che a poco a poco si riempiono di un liquido latteo che si raddensa mentre la spiga comincia a prendere colore. E' il momento. Per una quindicina di giorni, si usciva con un perito dell'ENSE (Ente Nazionale Sementi Elette, giudicato ovviamente ente inutile e quindi in fase di soppressione, ma non è così facile come sembra, ehehehe) a vedere i campi che avrebbero dato il seme per l'anno successivo. Avete mai osservato con attenzione un campo di frumento prima della maturazione? E' un vero e propio prodigio contro natura. Poche sono le cose più innaturali di questa tavola di milioni di spighe identiche allineate con cura, quasi schiacciate le une vicino alle altre che non lasciano spazio a nulla se non a sè stesse, se non al desiderio di produrre, di massimizzare la resa, di soffocare qualunque alternativa al sè. Tutta la pianta è completamente artificiale, con le sue 60/70 cariossidi che renderanno la spiga, benchè secca, talmente pesante da farle piegare il capo come ad accettare la sua sorte finale. Con le sue molte piccole spighette soprannumerarie ottenute con paziente lavoro di anni dei miglioratori genetici, per renderla ancora più gonfia, più ipertrofica come le mammelle delle frisone così detestate dai giornalisti in cerca di scoop agrobiodinamici. Si vedeva il campo assieme al contadino, che assisteva all'esame orgoglioso della fittezza delle sue creature. "Cosa dice, dottore, se si buttano cento lire non cascano per terra, vero?". Anche più di 800 spighe per metro quadro, una densità impressionante per soffocare qualunque altra erba concorrente, ad aiutare l'uso del diserbo. Tutta opera dell'uomo, che cambia, che indirizza la natura a quello che gli serve, a tirare il massimo alzando continuamente l'asticella. E noi lì a controllare con cura le spighe, ad individuare se i fuori tipo, le spighe leggermente diverse, un po' più alte, con la cima aguzza invece che squadrata, di colore leggermente diverso, con un po' meno pruina a rendere argentate le glume, al massimo una o due al metro, se no via, scartato senza pietà, tra lo sgomento dell'agricoltore che si offriva di mondarle a mano, di entrare sacrilegamente all'interno del campo, immenso, per estirpare le estranee, rendere al prodotto la purezza voluta. La sola che, pur indebolendo la razza, avrebbe garantito ai compratori del'anno successivo una varietà dalle caratteristiche volute, resistenza, uniformità qualitativa e soprattutto produttività. Discussioni interminabili, riconteggi insistiti, tutto per la purezza della razza. Tramandare il seme, una pratica che ha creato l'agricoltura nella mezzaluna fertile e gia allora, forse 10.000 anni fa, il primo uomo che pensò di prendere quei primi semi e tenerli da parte per la stagione successiva invece di mangiarseli, già operò la prima scelta, di prendere i più belli, i più grossi nell'ansia di avere un prodotto migliore. Iniziava la forzatura della natura, nasceva l'innaturalità dell'operazione che avrebbe portato questo organismo parassita del suo corpo ospitante a moltiplicarsi più rapidamente, ad occupare sempre più pervasivamente l'ambiente che lo contiene man mano che aumentava la sua capacità di procurarsi i mezzi per il suo sviluppo e rilasciando, come logico in ogni ciclo, questo sì, naturale, le scorie che a poco a poco il pianeta non riesce più a neutralizzare con il suo potere tampone. D'altra parte, questo è il vero e reale andamento "naturale" , i virus, controllati dal corpo ospitante, quando riescono a trovare il modo di moltiplicarsi, lo fanno in modo esponenziale, fino a far collassare il loro substrato; per vivere, lo uccidono scomparendo anch'essi nel climax definitivo. Sono essi colpevoli?

lunedì 1 giugno 2009

Mettersi alla prova.

Sul fatto che la Val Varaita sia un paradiso verde intenso, credo saranno tutti d'accordo. Il problema è riuscire ad evitare le giornate nebbio- piovose, quando le nuvole cominciano a calare verso il basso e l'umidità fredda tutto avvolge per ricordarci la nostra debolezza. Ma il gruppo di camminatori trappisti a cui appartengo per interposta persona, non demorde e non cede di fronte a nessun segno meteorologico. Quando si deve andare non ce n'è per nessuno, la cima deve essere raggiunta ed il camminare è dolce anche se il polverino delle microgocciole inumidiscono le gote e gli scarponcini cominciano la loro opera piagante anche sui calcagni che dovrebbero già essere usi alle prove più impegnative. Ma non di sola sofferenza vive l'uomo, così è stato scovato da Carla e Loris, esperti esploratori del gruppo, un gradevole alberghetto a Sampeyre , l'albergo Alte Alpi, nel centro del paese, che per una risibile cifra, oltre a dare riposo alle stanche membra, fornisce un menù tipico della valle di tutto rispetto. Si comincia infatti con una scelta di salumi di cacciagione (salame di cinghiale, di cervo, e di altri ungulati) molto profumati e arricchiti da burro locale alle erbe, si prosegue con una sorta di salade della casa di pollo equilibrata nei sapori, una rolata di coniglio addolcita da carotine e verdure, un carpaccio di piemontese con un delicato olio ligure che non annichiliva la gustosità della carne, uno sformatino di funghi locali e un capunet della tradizione piemontese con il cavolo delicatamente croccante. Un primo di gnocchette della valle con panna e burro fuso, non mi hanno levato la possibilità di un assaggio di un agnolotto al tartufo nero e salvia. Sono crollato dinanzi alla polenta e cinghiale e prima delle crostate, ma qualcuno ha avuto la forza di assaggiare l' arrosto di tenero agnello. Potenza del camminare. Non posso fare a meno di allegare una documentazione iconografica. Sulla strada del ritorno, sotto la pioggia scrosciante non ho saputo resistere alla tentazione e, tanto per proseguire la polemica dei giorni scorsi, ci sono cascato di nuovo, fermandomi lungo la strada vicino ad un banchetto di un produttore di frutta, circondato dagli immensi frutteti della zona per effettuare un acquisto a km zero. Naturalmente di kilometri ne avevo già fatti una sbarcata, ma tanto di lì dovevo passare. Le mele bollate e striminzite, quelle che al supermercato buttano nel cassonetto, le vendevano allo stesso prezzo del mio negozio, mentre zucchine, fragole e ciliege, tutta roba di stagione, molto più care. Si sa, dal produttore al consumatore la strada è più corta e magari il consumatore ha il cervello in debito di ossigeno. Poi però si lamenta che il grossista gliele compra a 10 cent. Per fortuna la serata, dedicata ad una severa applicazione di Country Line Dance ha fatto smaltire ad alcune le calorie accumulate.






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