giovedì 31 marzo 2016

Cronache di Surakhis - Trivella tua mamma



Bisognava prendere posizione. Paularius misurava il pavimento del suo salone delle Orge, che negli ultimi tempi era diventato il suo effettivo pensatoio, per cercare di arrivare ad una decisione. Tra meno di un'ora avrebbe dovuto uscire sul balcone e fare una dichiarazione ufficiale al manipolo di suoi accoliti che si stavano radunando nella corte della sua villa fortezza. Da quando era partito il trip sulle trivelle, su Surakhis non si parlava d'altro. Va bene che questo distoglieva l'attenzione dai vari problemi del pianeta come quello della percentuale di schiavi che stavano morendo di stenti sui fondi delle miniere che proprio le trivelle avevano perforato per tutto il pianeta rendendolo un colabrodo completo. Ma purtroppo la pietra di Baum, l'unica ricchezza di Surakhis era anche il solo prezioso materiale di esportazione che permettesse un'economia qualunque a quel sasso arido di quella galassia periferica persa nell'universo. Per la verità Paularius era già abbastanza soddisfatto per essere riuscito, mandando tutti i suoi schiavi a firmare, a far passare quell'inutile referendum, che aveva in ogni caso sortito diversi effetti positivi. Intanto far smettere a tutti quei rompimaroni di governativi di parlare delle cose che bisognava fare davvero e che avrebbero di certo leso i suoi interessi, poi gli avevano anche dato una patina di ecologismo molto utile non appena avrebbe preso il potere dopo la congiura di palazzo che stava preparando da mesi, infine poteva servire a far chiudere le sue miniere in perdita seppellendovi dentro tutti gli schiavi rimasti, con un notevole risparmio di cibarie che avrebbe dovuto continuare a fornire per lungo tempo, grazie a quei maledetti contratti di schiavitù, che era stato costretto ad accettare. 

Naturalmente era difficile far digerire alle varie Gilde dei proprietari di miniere di far chiudere le miniere stesse, ma quegli sciocchi non avevano capito che il vantaggio era proprio quello di dare addosso al governo indebolendolo sempre di più e aprire la strada alla congiura definitiva. Aveva già vinto la battaglia sulla caccia ai profughi Andromediani per i quali ormai c'era la totale libertà di eliminarli a vista, senza neppure più pagare la piccola tassa di abbattimento, perché la cosa era stata etichettata come pubblico divertimento e si sa che al popolo questo deve essere concesso in maniera gratuita. Panem et circensem dicevano gli antichi, se non si può dare il pane che almeno sia concesso lo svago. Tanto di schiavi per ora ne aveva fin troppi da mantenere ed il mercato degli organi era particolarmente fiacco da quando pochi avevano i soldi per comprarsi un rene, un fegato o un pacchetto completo pene/prostata di ricambio. Gli imprenditori più avveduti ormai facevano firmare ad ogni schiavo neoassunto l'obbligo, a richiesta, di consegnare un pacchetto completo di organi di qualche figlio e di riservare una o due figlie all'area postribolo del padrone. Faceva anche buona figura nel curriculum. Va bene, aveva deciso, aprì la finestra del balcone, si portò le mani sui fianchi e a gambe leggermente allargate per mostrare a tutti le dimensioni e la inesausta potenza del suo apparato, arringò con veemenza alla folla di seguaci che si era radunata sotto. 

-Amici e fratelli, è giunto il momento decisivo per questo pianeta di mostrare palle e orgoglio, di tenere la schiena diritta contro questo infame governo. Voteremo SI al referendum che ci permetterà di chiudere con le ruspe i fondi di miniera esausti che non rendono più nulla, permettendoci di liberarci di quei fannulloni di schiavi che rimarranno chiusi dentro. Benessere e libertà, questo è il nostro motto. Addosso al governo e trivelliamogli la mamma.- Un urlo animale salì dalla folla e poi tutti corsero via a tirar fuori dalle case quelli che si rifiutavano di andare al voto. Ogni squadraccia aveva con sé un macropenico di Antares per dare una trivellata alle donne di casa, tanto per far capire l'aria che tirava e se erano troppo vecchie l'operazione veniva fatta sui maschi più giovani, purché fosse carne fresca insomma, si sa che i macropenici sono insaziabili, a chi tocca tocca e si trattengono a stento. Paularius si ritirò nell'area piscina dove si immerse nell'acqua resa piacevolmente tiepida dalla bassa radiazione di fondo. Chiamò un gruppo dii Sollazzatrici verdi e rimase ad occhi chiusi concentrandosi sulle sensazioni piacevoli che venivano dal basso man mano che queste facevano il loro lavoro e i cattivi pensieri volavano via assieme alla voglia di lavorare, che per la verità non lo aveva mai tormentato troppo. 


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mercoledì 30 marzo 2016

Il settimo libro

Avrete notato che ho fatto schizza per qualche giorno (si diceva così ai miei tempi quando non andavi a scuola, anche se era una cosa teorica perché in effetti non lo faceva nessuno, timoroso di terrificanti castighi, mi ricordo tre sospesi per aver fatto appunto schizza o "magno" come meglio si diceva). La ragione non è stata soltanto motivata dal fatto che nell'eremo dove mi ero ritirato a meditare non riuscivo a connettermi in maniera decente, ma anche perché sono oberato da impegni, grane da seguire, insomma una montagna di cose da fare, inclusa ad esempio la revisione finale del mio libro sull'India che volendo metterci un po' tutte le mie ultime esperienze, sta diventando un po' troppo pesante da gestire. Insomma speravo di concludere tutto in queste "vacanze " pasquali e invece ne ho ancora di cose da rivedere. Comunque sta venendo una cosa che mi piace e penso che lo pubblicherò sicuramente entro l'estate. Sono sicuro che avrà lo stesso travolgente successo dei precedenti.

Anzi, a questo proposito, colgo l'occasione per segnalarvi l'uscita del mio settimo lavoro: Due mari - Sicilia e Albania,  che comprende le mie impressioni ed emozioni di viaggio, oltre che a diverse interessanti storie che ho raccolto sul posto nei miei due viaggi nel Sud della Sicilia, una delle regioni italiane più affascinanti ed in Albania, un paese assai poco conosciuto e che invece merita assolutamente le vostre attenzioni. Chi fosse interessato lo può trovare dai link qui sotto, disponibile solo sul web tramite www.lulu.com (questo link vi rimanda alla mia vetrina autore del sito), dove sono disponibili anche tutti gli  altri sia in cartaceo che in ebook.


Due mari - Sicilia e Albania


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Grazie quindi a tutti quelli interessati e che in questo modo continueranno a darmi una mano in questa avventura e per adesso vi saluto e arrivederci alla prossima.

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domenica 27 marzo 2016

Buona Pasqua 2016



Stanno lì senza muoversi da tempo immemorabile, da molto prima che io fossi fermo a guardare da questa finestra, in questa parte della mia vita. E’ un gruppetto di larici che segnano le stagioni. Verdi chiaro in estate, gialli d’autunno, neri con i rami contorti nel duro inverno, quando la tormenta corre tra i tronchi facendo cadere la neve che vi si era accumulata, spezzandone qualcuno più fragile perché troppo giovane o già marcio perché troppo tempo è passato. Poi quando sembra arrivare il cambiamento, la neve bianca, sotto, si assottiglia ogni giorno ed il sole sembra sempre più caldo, mi piace pensare che anche loro avvertano quel fremito speciale della linfa nuova che comincia a muoversi e spinge per formare l’inizio di qualche nuova gemma. E’ la fine di marzo e la coltre bianca, sotto, è ormai dura e pesante,  presa nell’alternanza continua tra ghiaccio ed acqua che a poco a poco scorre via, verso il basso, impoverendolo ogni giorno di più, anche se ancora mantiene le tracce profonde del capriolo o quelle più leggere della volpe che passano di qui il mattino presto quando l’oscurità si stempera nell’aria ed ancora tutto è rosato in attesa di mutarsi in luce accecante. E’ la fine di marzo, il cambiamento sta arrivando. Buona Pasqua a tutti, amici miei.

giovedì 24 marzo 2016

Bào tú


Oggi esaminiamo un'altra parola tratta dal vocabolario cinese, che mi sembra oltre che di grande attualità, anche molto interessante per tentare di capire la mentalità cinese. La parola Bào tú - 暴徒, è, in linea col cinese moderno che tende a formare bisillabi ed è composta da due ideogrammi semplici. Il primo 暴 - Bào, che significa Crudele, selvaggio, feroce, improvviso e violento (usato per aggettivare un'esplosione od un uragano) ma che, nella consueta indeterminazione che hanno le parole cinesi che contengono un concetto e non sono automaticamente sostantivi, aggettivi o verbi, può valere anche Rovinare. Il secondo 徒 - tú, vuol dire Inutilmente, soltanto. Se vengono abbinati, i due caratteri vogliono sottolineare un idea ben precisa, quella di una violenza feroce, improvvisa e crudele, ma completamente inutile e fine a se stessa ed è quella usata per definire il Terrorista. Ora, a parte il fatto che se cercate sul vocabolario online la parola terrorismo, la risposta è: Ci dispiace ma nessun risultato è stato trovato nel dizionario, proprio come se questo concetto disturbasse la confuciana armonia della convivenza civile e quindi debba essere ignorato dal discorso ufficiale, proprio il sottolineare la gratuità assoluta ed insensata di questo tipo di violenza, fa capire bene quale sia l'atteggiamento della mentalità cinese al riguardo.

Su un altro vocabolario, ho trovato 恐怖主义 - kǒng bù zhu yì - Terrorismo - i cui singoli ideogrammi danno: Orrendo terrore che deriva da Dio, a sottolineare la connotazione di fanatismo religioso che conduce a questi atti e 恐怖分子 - kǒng bù fèn zǐ, (membro, seguace dell'orrendo terrore) per Terrorista. Questo lega decisamente questa attività criminale ad una causa di natura fanatico religiosa, che di norma è disapprovata dalla gerarchia.

In ogni caso, quando accade qualche cosa di questo genere in Cina, e bisogna ricordare che di attentati di questo tipo ce ne sono stati parecchi e particolarmente sanguinosi, si è sempre preferito etichettarli come azioni violente di criminalità comune, che forse, non soltanto fa meno paura, ma evita di turbare l'armonia della società civile. Non credo che questo atteggiamento significhi sottovalutare il problema, anzi mi risulta che da quelle parti si usi una mano piuttosto pesante quando si affrontano questi problemi, ma di fatto l'ignorarne l'etichetta ufficiale si considera più utile a  ad un migliore benessere psicologico della popolazione. Lascio a voi giudicare se sia meglio questa strada di copertura, cercando di nascondere la spazzatura sotto il tappeto, negando l'evidenza pur di non perdere la faccia o la nostra che anzi amplifica al massimo il battage mediatico, attizzando, oltre che la paura (proprio il miglior risultato che ricercava appunto il terrorista, se no quale sarebbe la ragione di questo nome?) la volontà di tirar fuori le peggiori emozioni dall'animo delle persone e gonfiando a dismisura il consenso degli arruffapopolo più indegni, gente che ha bisogno di questo solo per aumentare consenso.


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mercoledì 23 marzo 2016

Quatrième niveau

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Mi sento per così dire obbligato, a dire la mia banalità sui fatti di questi giorni.

Se abbiamo paura, vuol dire che stanno vincendo. Se decidiamo di cambiare le nostre abitudini, non andare più in metro o cancelliamo una vacanza programmata, vuol dire che stanno vincendo. Se diamo modo a qualche infame di creare nuovi ed inutili muri invece di abbattere quelli che ancora ci sono, vuol dire che stanno vincendo. Se politici di poco valore fanno dichiarazioni e prendono decisioni sbagliate perché hanno in tasca i risultati dell'ultimo sondaggio in vista delle mille prossime elezioni, vuol dire che stanno vincendo. Se i peggiori oclocrati che il nostro continente abbia mai avuto, dai Farange, ai neonazi tedeschi, alle LePen, ai Salvini, ai Grilli e Fratelli vari; dagli Orbàn, ai Wilders, alle Kjaersgaard, agli Strache e a tutti i loro compari seminatori di odio a prescindere, potranno prendere sempre maggiore potere spezzando il sogno europeo assieme al nostro futuro, vuol dire che stanno vincendo. Se il nostro odio personale contro gli assassini crescerà fino a metterci al loro livello, vuol dire che stanno vincendo. Se la paura ci costringerà a creare nuovi vincoli e barriere che danneggeranno inesorabilmente le nostre già deboli economie, vuol dire che stanno vincendo. Se non riusciamo più a riconoscere gli amici dai nemici e da quelli che li aiutano dicendo che sono nostri amici, vuol dire che stanno vincendo. Se non decidiamo di lavorare tutti assieme per andare a risolvere il problema alla fonte, vuol dire che stanno vincendo. Se non vogliamo accettare di cedere parte della nostra sovranità per fare le cose che servono in maniera efficace a causa di un becero e miope nazionalismo, vuol dire che stanno vincendo. Se il terrore ci impedisce di distinguere tra i carnefici e le loro vittime, accomunando tutto in un'unica massa informe da distruggere, perché è troppo complicato o faticoso cercare di capire la realtà, vuol dire che stanno vincendo.

Invece io vorrei che fossimo noi a vincere. 


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martedì 22 marzo 2016

Hablamos de un escrito de Enrico Bo

Intanto guardate un po' qua, voi che state sempre lì a chiedere quante copie del libro sono state effettivamente vendute, escluse quelle comprate dagli amici disperati di vedermi sempre girare col volume in mano. La mia amica Manuela Garreffa, che opera nell'area di lingua spagnola, facendo un interessante intervento sul tema dell'educazione sessuale ai giovani nelle culture occidentali a paragone di quella consueta nelle aree rurali del resto del mondo, mi ha addirittura citato in un lungo intervento su youtube! Diciamo una bella soddisfazione e un invito a tutti di seguire questa giornalista freelance, spesso controcorrente e mai banale nei suoi interventi che possono essere interessanti spunti di discussione, anche se siete di parere differente.





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lunedì 21 marzo 2016

Ma fa ancora freddo?



Risultati immagini per Alessandria ponte Tanaro vecchie foto
dal web

Ho trovato sul sito dei nostalgici della vecchia Alessandria di FB, Lisondria, questo bel proverbio di un tempo:

El fava tonta frigg che u jè slà ün asu an sel pont at Tani (faceva talmente freddo che è gelato un asino sul ponte Tanaro)

Ora, a parte il piacevole senso di esagerazione tipico della mia terra e non considerando la nostalgia per il vecchio ponte abbattuto in una notte di agosto, bisogna dire che non ci sono più quei bei freddi di una volta. E va bene, anche qui, da buon alessandrino mi piace crogiolarmi nei luoghi comuni. Ricordo che a Irkutsk in un lontano febbraio trascorso sulle sponde ghiacciate dal lago Bajkal a -33°C, il mio cliente mi diceva: -Eh, non ci sono mica più le belle temperatura di una volta , quando qui non si saliva mai sopra i -40°C!- borbottando scontento e adducendo poi questo motivo per tornare in fabbrica a buttar giù una bottiglietta di vodka. Per dire che tutto il mondo è paese. Però accidenti quando importavo patate da seme dall'Olanda mi ricordo che era come fare un rito vodoo. Non appena era deciso il giorno di arrivo del treno, potevi star tranquillo che all'apertura dei vagoni era sempre attorno ai -20°C e i sacchi esterni gelavano. Era come chiamarla, la sfiga. E comunque ho anche un nitido ricordo di certi febbrai in cui la mia mamma usciva a far la spesa mettendosi delle vecchie calze di lana sopra le scarpe per evitare di scivolare sul ghiaccio. Tanto per dire. E poi, è vero o no che se il cinema Dante veniva chiamato anche U giasòn, ci sarà pure stato un motivo! 

Ieri mattina c'era + 1°C e mi sembrava che facesse un gelo assassino che mi penetrasse attraverso la sciarpina calda fino nel profondo delle ossa. Mamma che freddo. Saranno mica gli anni?


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domenica 20 marzo 2016

Festival dell'Oriente - Torino

FESTIVAL-torino2016



Si chiude oggi a Torino il Festival dell'Oriente che includeva quest'anno anche un padiglione dedicato al Festival Irlandese. Io ci sono stato ieri sera e quindi ne parlo oggi tranquillo quindi di non influenzarvi troppo. Diciamo che partire da Alessandria per passarci una mezza giornata è cosa che si poteva tranquillamente evitare. La parte Irlandese diciamo assolutamente superflua, in pratica una mensa aziendale dove una folla imbarbarita si avventava in code chilometriche per azzannare a caro prezzo uno stinco che altrove avresti tirato in testa al ristoratore certo di dargli la punizione che gli spettava, facendogli piuttosto male. Io dopo la ulteriore coda per pagare ho fatto due ulteriori code per pagare ed avere ad 1 Euro, un vassoio di carta su cui mettere i piatti, ma si sa, io calo giù dalla montagna con la piena e queste cose non le potevo nemmeno immaginare. Per fortuna le posate di plastica, subito rotte cercando di incidere il marmoreo stinco, le davano a gratis e senza coda. Un po' di ragazzotti annoiati che portavano a casa qualche soldino vestiti di pelli ed elmi cornuti di fianco ad improbabili lastre di polistirolo simulanti Stonehenge (ma che c'entra con l'Irlanda, boh, l'avranno spostata nel frattempo) e due orchestrine che nel frastuono rimbombante si avvertivano solo come un rumore diffuso di sottofondo. 

Dell'Oriente c'era invece un primo padiglione ripieno di bancarelle di fuffa biologicoveganaturistica, massaggi vari e benessere del corpo, della mente e soprattutto del portafoglio dei proponenti, ma questo fa parte del marketing di moda, quindi spazio al business per carità, che se no si abbassa il PIL. L'unico padiglione accettabile, è stato il terzo che oltre ad un innumerevole numero di bancarelle di paccottiglia orientale, quella che ci fa sbavare e riempie le nostre valige al ritorno ad ogni viaggio da quelle parti, anche un congruo numero di ristoranti tematici e soprattutto un paio di palchi dove si alternavano spettacoli abbastanza interessanti e provenienti dai vari luoghi esotici, dai suonatori coreani, a danzatrici varie, thailandesi, indiane, balinesi, Bolliwoodiane, tamburi giapponesi, maneggiatori di katane e chi più ne ha più ne metta. Essendo il penultimo giorno i prezzi hanno cominciato a scendere e il sale rosa dell'Himalaya, ormai te lo tiravano dietro a 4 € al chilo, neanche dieci volte quello del Monopolio. Un vero affare insomma da riempire il bagagliaio. Per chi avesse voluto avere un prolungamento di giochi carnevaleschi, nel pomeriggio all'esterno, battaglia coi sacchetti di polveri colorate tipiche dell'Holi indiano, per la gioia dei ragazzini che hanno portato poi per il resto della giornata sul corpo e sul viso le stigmate orgogliose e colorate dell'avvenuta festa. Per il resto, per me solo il grande piacere di reincontrare dopo tre anni, la carissima Perla, mia guida durante il viaggio in Vietnam, che ora studia in Italia e che ho potuto abbracciare con commozione. Tutto il resto è noia.

Con Bao Ncoc Nguyen Thi (Perla)



sabato 19 marzo 2016

Haiku himalayano



Bianchi i ciliegi
da un finestrino azzurro
l'Himalaya è blu


venerdì 18 marzo 2016

Caldo d'estate

1962 ?

Valle San Bartolomeo per me è stata sempre associata al caldo. Non solo il caldo tranquillo e tiepido, no, proprio la calura, quella estiva, forte e un poco opprimente. Per forza, dici tu, ci andavi solo d'estate quando eri ragazzo, non puoi ricordare altro. In effetti è così, eppure non riesco ad associare questa sensazione a un qualcosa di negativo. Anzi. Forse da ragazzo, tutto quello che ora ti infastidirebbe, diventa occasione di svago o di piacere, forse è il tuo corpo, non solo la tua mente che risponde in modo diverso. L'aria spessa in cui senti solo il frinire della cicala nel primo pomeriggio. Il salice che tocca quasi l'acqua ferma del canale, attento a non cascarci dentro, mi raccomando. Mia mamma che mi rincorre con una ciabatta in mano, erano già passate le otto di sera e stava venendo buio. La ghiaia minuta del vialetto della SOMS, una corsa in discesa, ginocchia sbucciate. Le ragazze un po' più grandi che accendevano voglie sconosciute. Scendere in bicicletta con l'aria che ti soffia fresca sulla faccia, una cartolina tra i raggi che fa trrrrrrr, metti un giornale sotto la maglietta che sei tutto sudato. Gli occhi rapaci di un bambino che ti frega quasi tutte le birille a spannacetta, quelle più belle di vetro colorato che sembrano avere un fiore dentro e che si mette in tasca. 

Una trebbia fissa sulla piazza coi covoni di grano che gettati dentro fanno una gran polvere, la cinghia del Landini a testa calda azzurro che gira vorticosa, gli uomini col forcone. Un ragazzo morto affogato in Tanaro, la sua mamma che piange. La luce bassa dei lampioni sulla piazza, panchine di ferro a parlare di moto Morini. Ma cos'è l'alesaggio e il motore a testa quadra? Dai Lauro, spiega. Che curioso, nessuno che parlasse di futuro, di cosa avrebbe voluto fare poi, nessuno che ci pensasse davvero. Non avevamo sogni? O si sono impastoiati poi, a poco a poco nella palude del reale. Non riesco a ricordare bene. Mi vengono in mente solo i pomfi delle zanzare sotto la lea (il viale) di Pedemonte con le sua panchine di pietra dove qualcuno più sveglio riusciva ad infrattarsi, lasciando gli altri a beccare solo le punture, invidiosi di impossibili passioni. Tuttalpiù a discettare su come poter entrare senza pagare al matinée della domenica per poi rimanere a guardare da lontano le ragazze che non avevi ancora il coraggio di invitare a ballare, loro sì che potevano entrare gratis. Che fatica salire in bici sulla salita del Dazio, un po' meno la Falamera, andiamo fin da Pidrino a stare sotto il pergolato, chi ha i soldi prende un panino con le acciughe e bagnetto. Che profumo di aglio, tanto non c'è nessuno che ti bacerà. Una maglietta a righe orizzontali granata e un sacco di brufoli sulla faccia da schiacciare. Fa un caldo tremendo, seduto sul muretto della scalinata della chiesa! Che sete, pompa un po' d'acqua.

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giovedì 17 marzo 2016

Voglia di fragola

Mio papà è il terzo da sinistra, sul ponte che non esiste più.
La melanconia non è di per se stessa un sentimento negativo. Anzi, la puoi considerare anche come una pausa dalla frenesia continua, un momento di pace in cui la mente cessa di torturarsi in mille pensieri, ma rimane lì, crogiolandosi come un grasso gatto giallo nel suo cesto morbido. Un po' come quando non sei ancora ben sveglio, ma invece di stropicciarti gli occhi, ti raggomitoli di più sotto le coperte cercando di mettere in sintonia i ritmi circadiani del tuo corpaccio di vecchio rimbambito col tepore della stanza dove si è creato uno stato senza tempo e senza pensiero. E' lì, nelle pieghe della mente, che sta lo scatolone dei ricordi, beato chi ce l'ha bello grande e pieno, così quando si apre, da solo, magicamente, i foglietti vengono fuori da soli e un po' a caso, privi di quella consequenzialità logica che impone la mente attiva. Ed ognuno di essi continua a riscaldarti piano piano come una stoffa morbida che ti carezza la guancia. 

Il mio papà aveva un orto, anche troppo grande per le sue forze. Forse quando era stato giovane, avrebbe disprezzato questa attività, ma col passare degli anni il veder crescere gli ortaggi gli dava una soddisfazione sempre maggiore. Se ne tornava a casa, facendo quei cinque chilometri in bicicletta, con le borsate di pomodori o di fagiolini o di zucchini, con gli occhi che brillavano, quasi volesse dimostrare a se stesso quanto era bravo. In verità non se ne aveva affatto male per il fatto che suo figlio se ne disinteressasse completamente, pur usufruendone appieno e parassitando comunque il meglio della produzione, forse perché quella generazione aveva una sua visione del mondo molto diversa da quella attuale e in quella scuola di pensiero appariva del tutto logico che il figlio che aveva studiato, suo orgoglio massimo che esorbitava anche il buonsenso a causa del suo amore traboccante verso la sua unica prole, si tenesse al di fuori da cose così materiali. 

Aveva sempre avuto un rispetto quasi timoroso per le attività di pensiero, forse non tanto perché le ritenesse di livello meritoriamente superiore, ma in quanto le accomunava alla natura stessa del potere, con una equazione automatica che presupponeva appartenere alla classe dei padroni coloro che esercitavano attività intellettuali, con la capacità quindi di relegare quelli che usavano le mani nella classe dei servi, comunque costretti a subire. Un po' la storia che diceva: il padrone sa mille parole, l'operaio cento, per questo lui è il padrone. Infatti un po' di delusione forse la covava, da quando si era accorto che comunque il suo unico figlio, non sarebbe diventato capo del mondo. Tuttavia, l'amore viscerale che nutriva per me e la mia famiglia è poi sempre stata la sua ragione di vita e individuare qualche nostro, anche se piccolo, desiderio, era l'inizio del piacere nel cercare di soddisfarlo. 

Quella volta avevamo portato con noi da una gita in montagna qualche stolone di fragoline raccolte in un bosco, lassù tra le malghe di un alpeggio lontano. Anche se non aveva ben capito perché preferissimo quei piccoli frutti stentati ai bei fragoloni rossi e rigonfi che si stavano imponendo nelle scelte comuni, il giorno dopo corse subito a trapiantarli in mezzo alle altre, anzi ne incrementò la superficie, visto il nostro manifestato interesse. Poi appena arrivò il sole caldo di aprile, eccolo tornare a casa pedalando furiosamente con due borse nere colme di fragole rosse, grosse e succose mescolate alle altre piccine ma profumatissime e dal sapore più intenso. Che gioia gli leggevi negli occhi quando cercava soddisfazione allo sforzo, le prime erano sempre per noi e poi ogni due o tre giorni, ecco un nuovo rifornimento, fino a fine maggio, quando arrivava, un po' dispiaciuto con l'ultimo raccolto.

Che malinconia dolce in questa mattina grigia, mentre cerco di sentire quel profumo di fragolina nell'aria, mentre cerco di tenere gli occhi ancora chiusi per un po'. Con gli occhi chiusi si vede così bene quel rosso vivo tra le foglie verdi, nella borsa nera con dietro il sorriso di papà. Tepore, colore, profumo in una grigia mattina di marzo, con la nebbia bassa, forse sarebbe proprio l'ora adatta per andare a vangare l'orto, a preparare il terreno in lunghi solchi ordinati per piantare le fragole. Con la temperatura ancora fredda ed il fiato che si condensa nell'aria. I tre pioppi in fila che fanno da confine in fondo al campo già mostreranno le prime gemme. La vite di luglienga sembra ancora secca, invece, intorpidita dall'inverno non ancora finito. Come mi dispiace non averti saputo dire tutto quello che volevo dirti, anche se sei stato con me fino a 96 anni. Che paradosso assurdo! Come mi manchi, papà. 

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mercoledì 16 marzo 2016

Un taccuino azzurro

Ogni tanto le ombre del passato si risvegliano come dolci fantasmi lontani che, da dimenticate forme evanescenti, prendono un poco di quello che Kubrik avrebbe chiamato shining, una sorta di baluginio nell'oscurità che le rende di nuovo vive e le fanno ritornare al presente. In questo caso si è trattato di un minuscolo taccuino le cui paginette, trattenute da una spiralina di plastica bianca, avevo vergato malamente quasi 50 anni fa, appena partito per una delle mie prime vacanze all'estero, all'isola di Krk, oggi Croazia, allora semplicemente una Yugoslavia che mai avrebbe pensato di diventare molti anni dopo, uno dei buchi neri della storia europea. Non ne ricordavo assolutamente l'esistenza, benché fosse una testimonianza precoce ma evidente della mia compulsione, manifestatasi già in quella tenera età, di prendere appunti lungo la via, per poi poter ricordare, raccontare, chissà, ritrovare dopo, qualche cosa del passato che riscaldasse il presente. 

L'ho riletto d'un fiato, sorridendo spesso, mentre le scene di quei momenti mi si risvegliavano alla mente, ad ogni istante più vivide, come diapositive dai colori sbiaditi tirate fuori da un vecchio scatolone ritrovato in soffitta. La vecchia macchina dell'amico Gigi, lui che già lavorava e quindi era l'unico a poterne avere una, se pur malandata. La cinghia subito rotta ancor prima di arrivare al confine ed i chilometri a spinta. Il turista americano che apre sbadatamente la portiera e gliela bolla, dice schiusmi e se ne va, lasciandogli a mezza bocca uno schiusmi el bali, molto alessandrino. La voracità insaziabile in ogni direzione dei ragazzi di quei tempi che guatavano le ragazze in vacanza come lupi scesi dai monti. L'incontro fatale in quella slasticjiarnia, una gelateria del paesino dell'isola, che riporto tal quale: - Tre vecchiette entrano vicino a noi e vengono abbordate dal maniaco Gigi con la scusa che sta boccheggiando per il troppo cibo. (Arrivavamo da una cena in cui si era trangugiato una quantità di scampi in tutte le salse.) Le nonnette mordono e gli danno un Alkaselzer. Vengono subito invitate a fare una spaghettata al nostro camping. Mordono immediatamente, poi vengono portate via sulle carrozzelle. Torniamo al campeggio in preda a crisi di riso fino a che ci coglie Morfeo -. 

Certo un incontro casuale con tre ragazze che a me sembravano già così vecchie. Come è diversa quando si è giovani la percezione della differenza di età. Non così all'amico Gigi, che proprio una delle tre si è poi sposato, la carissima Maria Teresa, che ho rivisto dopo quasi quarant'anni, l'altro giorno. Gigi ormai se ne andato da qualche anno, ma lei mi ha raccontato con quanta attenzione avesse tenuto quel vecchio taccuino dalla copertina azzurra, che gli avevo lasciato e che raccontava del loro primo incontro. Mi ha detto che ci era così affezionato da tirarlo fuori di tanto in tanto per mostrarlo a tutti e rileggerne qualche spunto divertente con gli amici più cari. Maria Teresa ha voluto che adesso lo tenessi io, che tornasse a casa insomma, anche se in fondo, il suo contenuto, appartiene più a loro che a me. Se ne è fatta una fotocopia però, perché in fondo racconta un poco della loro storia. 

Così sto qui a sfogliarne le pagine piccole con i quadretti minuti e gli angoli lievemente piegati, a cercarvi scampoli dei miei vent'anni, quando ancora non avevo capito cosa fossi e cosa avrei voluto fare nella vita. Le decisioni importanti mi dovevano ancora apparire davanti, il futuro era un grande libro pieno di pagine bianche. Adesso invece che quasi tutte sono state scritte, posso sfiorare queste prime, con dita leggere, come fossero carezze delicate, profumo di brezza di mare che sfuma i contorni del ricordo, come l'inchiostro che un poco si allarga su una pagina antica. Mi piace pensare che ogni volta che Gigi ha sfogliato e risfogliato questi foglietti, ridendo con gli amici o sorridendo con se stesso, avrà pensato a me. Grazie Maria Teresa di questo regalo, un grande abbraccio.

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