mercoledì 31 luglio 2019

Central India 34 - Lucknow


La grande moschea


Bara Imambara
Lucknow ha il piglio della capitale, lo senti subito appena percorri le grandi direttrici che la attraversano, costruite con taglio arioso e pensate per un impero. D'altra parte questa città è antichissima e di qui ne sono passati parecchi tra imperatori, re e compagnia bella, oltre che i governatori inglesi che la elessero a loro volta come città fondamentale del subcontinente, tanto è vero che proprio qui scoppiarono le prime rivolte indipendentiste già nel 1857, con l'assalto e la distruzione del complesso della British Residency, le cui rovine oggi ospitano il memoriale a ricordo di quei fatti fondamentali nella storia indiana recente. Se vi capita, leggete il bel romanzo La principessa ribelle di Kenizé Mourad che racconta la storia della quarta moglie del sovrano mandato in esilio e che si mise a capo di questa lotta per la libertà. Insomma una città importante, capoluogo dell'Uttar Pradesh, uno degli stati più importanti della confederazione, anche questa di diversi milioni di abitanti, difficile contarli poi, perché fare riferimento agli ultimi dati del 2011 non ha molto senso in un paese dove ogni anno il numero cresce di una ventina di milioni di persone e la migrazione interna dalle campagne è sempre imponente. In effetti la città è caratterizzata da questa fastosa architettura coloniale, condita in salsa moghul che ha lasciato dappertutto palazzi imponenti, giardini fastosi, moschee dalle grandi dimensioni. Qui infatti gli ultimi Nawab si sono dati parecchio da fare, costruendo residenze fastose con conseguenti mausolei della medesima imponenza, cosa, questa della monumentalità che ricordasse il post vita, a cui i Moghul erano evidentemente molto sensibili.

Il pozzo
Labirinto
Quindi il meno che si possa fare in questa città è muoversi lungo la grande arteria della Husainabad road, attraversare la monumentale porta di Rumi Darwaza (va bene, consentiti dieci minuti per guardarsi intorno nella grande piazza antistante e scattare un paio di foto, tanto qui il parcheggio è alquanto selvaggio) e poi arrivare fino ai cancelli del Bara Imambara, costruito verso la fine del 1700 in stile indopersiano dal quarto Nawab della dinastia, che evidentemente amava fare le cose in grande. Sembra davvero un palazzo reale, dove in effetti visse per qualche decennio, ma in realtà era destinato a diventare la sua imponente tomba. Qui bisogna dedicarci un po' di tempo, perché già il solo passeggio nei giardini antistanti ti offre la possibilità di entrare nell'atmosfera che aleggiava in queste corti. Piccolo palazzi di servizio ai lati, edifici religiosi attorno e poi il grande edificio, dalle immense sale in cui l'occhio si perde, da cui si dipartono, scale e scalette segrete per raggiungere i piani superiori e la finale terrazza da cui si gode il magnifico panorama della città. E lungo questa strada c'è la sorpresa di trovare un contorto labirinto, una delle passioni del Nawab, che amava divertirsi alle spalle dei suoi ospiti o chissà, delle sue molte  concubine che si perdevano nelle decine di lunghissimi corridoi, tutti uguali, senza riuscire a trovare l'uscita. Il tizio che, dietro lauta mancificazione obbligatoria, ci conduce nei segreti meandri del palazzo, gioca ovviamente su questo aspetto e tenta subito di farci perdere tra le curve e le controcurve, ma riusciamo a non farci mollare troppo indietro e così, ansimando un po' lungo le ripide scalette raggiungiamo la famosa balconata. 

La tomba
All'ingresso
Davvero imponente la vista, con la grande moschea a lato che innalza i suoi aguzzi minareti puntati verso il cielo e le tre eleganti cupole a cipolla. Nessuno sulle scalinate che conducono all'ingresso. Pure qui durante le feste sciite si radunano folle cospicue. Questa rimane infatti una delle città focali per l'Islam indiano e la percentuale di abitanti di fede musulmana qui è piuttosto elevata. Guardandosi intorno vedi molte donne velate o con semplici hijab oppure completamente coperte secondo la regola più stretta del purdah. Scendiamo lungo la scalinata di accesso piuttosto rapidamente visto che la nostra guida sembra irritata per il fatto che non ci siamo persi nel labirinto, icona semiologica che come direbbe il mio concittadino Eco, rimane una costante nella ricerca di se stessi, un investigare oscuro nel raggiungimento della conoscenza interiore nel quale è facile perdersi, trovando, dio non voglia, il minotauro nascosto dentro di noi in attesa di divorarci o di essere finalmente sconfitto. Intanto che ci raccontiamo la favola del lupo, bisogna dare assolutamente un'occhiata al bel Baoli, in fondo al giardino, il pozzo colonnato che scende per diversi piani nelle viscere della terra, comune a tutti i grandi palazzi, anch'esso capolavoro architettonico dalla progettualità complessa, tutto archi, volute e balconate che sprofondano sempre di più verso il buio sottostante dove lo specchio dell'acqua è di un nero plumbeo e inquietante. 

Il serbatoio
Qualche centinaio di metri più avanti ecco un altro bellissimo palazzo, il Chhota Imambara costruito nella metà del 1800, che contiene le tombe dello Shah Mohammed Ali e della amata madre. Qui il giardino è ancora più delicato ed elegante con un ampio specchio d'acqua che lo percorre per il lungo e nel quale si specchiano le costruzioni tra le quali quella bianchissima di una copia del Taj Mahal, monumento che condiziona comunque l'immaginario di questo paese. Il palazzo, dalla facciata ricoperta da una minuta trina di colonnine, archetti e minuscole cuspidi, contiene ampie sale dove è esposto il trono regale, ma che hanno la particolare caratteristica di avere i soffitti completamente affollati da centinaia di lampadari in vetro colorato, molti di certo provenienti dall'Europa, di cui lo Shah era evidentemente grande amatore e collezionista. Al di là della strada, un altro lascito coloniale, l'imponente Clock Tower di 67 metri, la più alta dell'India. Orologio alla mano abbiamo tutto il tempo per passeggiare ancora un poco nei dintorni, fino al palazzotto rosso davanti ad una enorme piscina-serbatoio, questa è l'ossessione del paese, quella di conservare l'acqua quando il cielo la regala, perché poi la negherà ostinatamente per mesi mentre la temperatura arriverà fino a 50°C, un piccolo museo che mostra in esposizione una bella serie dei ritratti e fotografie dei regnanti di questa città risalendo fino al 1800, assieme ad altri oggetti di corte e altre curiosità. 

Constatia building
Ma se volete davvero entrare definitivamente nell'atmosfera coloniale, tastare con mano l'impronta amata e odiata che l'Inghilterra ha lasciato in questo paese, fate un salto al La Martiniere Boys College, un oasi di verde, rimasta da allora tal quale, nel centro della città. Chilometri di prati verdi perfettamente curati, campi di cricket con gli studenti in divisa bianca che corrono ad inseguire la palla, campi di polo con i cavalli al trotto e poi gli edifici sparsi, qua e là, gli istituti dove si svolgono le lezioni, i dormitori e i club per gli studenti ed i professori di questo esclusivo collegio, popolato da circa 7000 studenti, dove studiare costa almeno attorno alle 500.000 Rp all'anno più le varie ed eventuali, divise, libri, ecc. Secondo l'Economist il Constantia Building, l'edificio principale, è la costruzione coloniale meglio conservata del paese. Dando un'occhiata da lontano c'è un vasto assembramento di studenti che sta commemorando qualche cosa di importante. Alcune autorità fanno discorsi compiti alla platea sull'attenti, squilli di tromba e applausi concludono la cerimonia prima del rompete le righe, poi le centinaia di giovani si disperdono lungo i sentieri ed i prati verdissimi di questa altra India. Ma quante sono queste Indie in realtà, davvero non si riesce più a contarle. Intanto la nostra auto, ha caricato le valige e prende la strada verso l'ultima delle Indie che conosceremo in questo viaggio, quella che era in effetti lo scopo ultimo del nostro itinerario, che attendevamo con particolare ansia ed interesse, l'India dell' Ardha Khumb Mela, la più grande manifestazione religiosa del mondo. Andiamo, presto che è tardi.

Gli studenti

SURVIVAL KIT

L'ingresso
Cose da vedere a Lucknow - Se avete solo una giornata da trascorrere in questa città, non dovreste perdere i seguenti punti di interesse: 
Rumi Darwaza - La porta monumentale sull'arteria principale di Husainabad  road
Bara Imambara - Palazzo tomba del quarto Nawab del regno di Awhad, col suo labirinto. (Ingr. 500 Rp. con guida obbligatoria di altre 500 Rp per tutto il gruppo)
Jama Mashijd - Visibile solo dall'esterno, una delle più belle moschee sciite dell'India.
Clock Tower - Torre dell'orologio inglese più alta dell'India, al centro di tutte le città indiane.
La collezione di lampadari
Chhota Imambara - Altro palazzo tomba con ampio giardino molto elegante, poco più avanti (ingresso compreso in quello del Bara)
Picture Gallery - Museo di foto d'epoca al fianco della Clock Tower 
The recidency - Il memoriale della rivolta del 1857 con le rovine della residenza inglese
La Martiniere Boys College - per entrare davvero nell'atmosfera coloniale inglese 
Se avete ancora tempo il Chattar Manzil e il Moti Mahal altri due bei palazzi moghul.

Hotel Awadh - 4 Sapru MArg - Hazratganj - Bell'albergo elegante dall'apparenza lussuosa, con ampi saloni. Camere spaziose e ben arredate, la doppia sui 35 Euro con colazione. AC, frigo, TV, acqua complimentary, bagni puliti e ben dotati, acqua calda e tutto funzionante. Ottimo rapporto qualità/prezzo. Consigliatissimo. Al ristorante molta scelta, ottimo il pollo. Free wifi in camera potente. 


Rumi Darwaza

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Chhota Imambara

martedì 30 luglio 2019

Central India 33 - Jhansi Junction, un altro treno


Orchha - La cittadella

Colori
Davvero è una fatica lasciare i palazzi di Ochhra, la sua atmosfera di pacifica decadenza, forse simile a quella che provavano i viaggiatori del nord Europa durante il gran tour d'Italie, quando arrivavano nell'agro romano, con le sue rovine abbandonate e la sua vita agropastorale all'ombra delle stesse, quasi fossero elementi naturali del paesaggio tra i quali vivere. Anche qui alla base di antichi palazzi trovi vaste porzioni occupate, chissà poi se abusivamente, da attività commerciali, da famiglie e da negozi alla cui vista qualunque ufficio delle belle arti o di protezione del patrimonio archeologico si metterebbe le mani nei capelli, ma qui tutto contribuisce a creare una situazione, uno stato d'animo. Mi tocco il bozzo che ho in testa, poco più in su dell'illuminante terzo occhio e che mi fa ancora un po' male. Ma devo concludere che ogni cosa ha un insegnamento ed una motivazione, così adesso un gonfiore tutto sommato sopportabile, mi certifica il fatto che se il tuo tapiro guida, mentre procede davanti a te per le scalette contorte che salgono verso il tetto del tempio, recita un mantra continuo, oltretutto in italiano che dice "testa, testa, testa....", non sta pregando uno dei trecento milioni di dei della sua religione, ma tende in generale ad avvertirti del pericolo. Comunque sia ce ne andiamo guardandoci indietro, risalendo lentamente le scalinate sul fiume, schivando qualche vacca sacra, sotto lo sguardo sonnacchioso degli avvoltoi appollaiati sulle cupole ovali. Bisogna saltare in macchina e arrivare alla Jhansi junction, un grande snodo ferroviario, dove si incrociano diverse linee che collegano tra di loro le città più importanti del nord, prima delle due e per percorrere la ventina di chilometriche ci separano, ci vorrà meno di una mezz'oretta. 

Pipistrelli nei templi
Visto che siamo in anticipo possiamo anche fermarci per un pipì stop in una specie di hotel/autogrill lungo la strada, dove c'è anche qualche baracchino che vende frutta, che non si sa mai. Il vecchio rugoso che ha ammonticchiato con precisione matematica, pile infinite di mandarini, sta lì appollaiato sul carrettino in attesa che scegliamo. Immobile poi, allunga solo una mano col sacchetto pieno e prende i soldi, solo allora si scioglie in un sorriso sdentato e regala dei fiori alle nostre signore, così senza altro motivo che non il piacere di farle a loro volta sorridere. L'India è anche questo. Poi, dopo qualche altro chilometro, arriviamo sulla grande piazza di Jhansi. Anche questa stazione è grandissima, il nostro autista, invero un po' raffazzonato, che aveva l'unico compito di trasferirci questa mattina, ha evidentemente fretta di andare e infatti ci molla fuori della stazione, nel pieno caos indiano dell'orda di viaggiatori che prendono d'assalto le piattaforme, per cui, mi spiace molto ma non si becca la mancia, di cui evidentemente non si cura. Bisogna farsi largo tra la folla, perché qui passano i treni a lunga percorrenza, di per se stessi più curati, ma anche i locali, quelli tanto cari ai fotografi che si portano centinaia di persone appollaiate sui tetti dei vagoni o addirittura sulla locomotiva che vomita funghi di fumo puzzolente procedendo ai dieci all'ora. Come diceva il grande De Gregori, la prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento e puzza di sudore dal boccaporto e odore di mare morto e qui, schiacciati tra la folla che spinge per arrivare alle banchine, di puzza di sudore ce n'è parecchia. 

Jhansi Junction
Tra ingresso e treni c'è anche una specie di bar dove puoi buttar giù qualcosa, ma gli odori non sono per niente invitanti e la vista della broda che buttano nei piatti di alluminio del thali di ordinanza, ancora meno. Ci salviamo con qualche succo di frutta confezionato, biscottini al cocco  comprate sul baraccotto della piazza e le banane saggiamente acquistate dal vecchietto, poi si tratta di trascinarsi dietro le valige cercando la banchina da cui tra un'oretta partirà il nostro treno. Detta così e visto quanto ci circonda sembra un'impresa assolutamente velleitaria, in realtà tutto si dimostra più semplice di quello che poteva sembrare e data un'occhiata al cartellone da una parte e richiesta qualche informazione in giro, tanto qui tutti parlano inglese e appaiono molto collaborativi con lo straniero dall'occhio smarrito, arriviamo alla nostra platform n. 4 ed occupiamo una bella panchina in attesa del nostro treno numero 11124, che arriva da Gwalior puntuale come un orologio svizzero. La cosa interessante di questi treni a lunga percorrenza è che sul binario è segnata anche la posizione in cui si fermano i vagoni e tu controllando il numero del tuo, sul biglietto ti puoi fermare ad aspettarlo proprio dove inevitabilmente come il destino barbaro e bastardo, arriverà e non dovrai fare altro che salirci sopra, ovviamente meglio chiedere prima di salire, non sia mai che poi ti ritrovi a Mmbai o a Kolkata. Sta di fatto che raggiungiamo il nostro scompartimento con una certa facilità, addirittura io, che avevo un postaccio in corridoio lontano dagli amici riesco a scambiare il sedile con un vecchietto che sul treno, che prosegue, deve passare la notte e che, causa artrosi, non riesce a salire sulla cuccetta superiore. 

Sul treno
Insomma anche questa è fatta, basta aspettare sei ore e mezza e poi saremo a Lucknow senza problemi. Di giorno la Second Class AC, non è triste e desolante come di notte. Imbucate le valige sotto i sedili ed occupato con una certa baldanza l'intero scompartimento si tratta solo di far passare il tempo, sbucciando i nostri dolcissimi mandarini e mordicchiando le bananine gialle del vecchietto. Fuori la campagna è piatta e monotona, anche se piuttosto verdeggiante di frumenti in levata e canna da zucchero. Vedi villaggi lontani di poche case e sugli arginelli, qualche gruppo di ragazze con la gerla in testa, piena di sterco di vacca, prezioso dono del sacro bovino che va raccolto fresco, impastato con cura e poi messo ad essiccare in forma di belle torte rotonde oppure sagomate a ricordare delle specie di gianduiotti (il colore aiuta) lungo le pareti delle capanne, prezioso combustibile gratuito che fornisce oltre la metà del materiale di riscaldamento e dei fuochi da cucina di tutte le campagne del paese. Confinati nel nostro scompartimento questa volta abbiamo poca occasione di comunicare con gli altri passeggeri, che oltretutto neanche ci hanno notati, dato che siamo saltati su tra i primi in un totale quanto inutile arrembaggio, dato che intanto i posti sono già prenotati. Comunque ogni volta che passa il controllore o qualche altro graduato all'apparenza recante qualche tipo di responsabilità del convoglio, continuo a chiedere se siano sul treno giusto per Lucknow, ottenendone un assenso di sufficienza. Ma si sa che la prudenza non è mai troppa, tanto che devo fare, mica possiamo saltar giù se abbiamo sbagliato. Un vicino evidentemente esasperato dalle mie continue richieste di assicurazione mi mostra una app sul suo telefonino che, come per i voli aerei, evidenzia lo stato di viaggio del convoglio con l'ora prevista di arrivo.

Lucknow station
Tuttavia questo treno è piuttosto lento e si ferma spesso in stazioncine apparentemente secondarie, dove non sale o non scende quasi nessuno. Il tatàn tatàn delle ruote sul binario triste e solitario, si fa insolitamente lento e singhiozzante. Intorno tutti dormono come se ormai disperassero di arrivare. L'ora dell'arrivo teorico è ormai passata e comincia a sorgermi il dubbio di avere saltato la stazione, anche se mi sembra impossibile dato che il nostro punto di arrivo dovrebbe essere molto grande. Provo a chiedere in giro e mi si tranquillizza con cenni stanchi di chi è abituato ai ritardi. Alla fine questo trenaccio puzzolente è quasi sempre fermo e nonostante si capisca bene che siamo ormai alla periferia della grande città, cosa segnalata dalla presenza lungo i binari di baracche e teli addossati ai muri di confine della ferrovia, pieno di una umanità di disperati evidentemente affluiti dalle vicine campagne in cerca di opportunità, ci si muove a passo d'uomo e quando entriamo finalmente nella central station abbiamo accumulato quasi un'ora di ritardo. E' ormai buio, sono già passate le nove ma per fortuna il tizio che ci aspetta è lì davanti alla piazzola dove il vagone si deve per forza fermare, col suo bravo cartello in mano. L'albergo è ancora lontano e anche se il pollo in umido si rivelerà superiore alle attese così come l'hotel davvero carino, va però giù dal gargarozzo solo verso le 11 e alla fine, la giornata risulta essere stata piuttosto faticosa. La ferrovia stanca o almeno mi stanca aldilà di quanto dica De Gregori (che poi ce l'aveva coi piroscafi).

Al bar


SURVIVALKIT

Treno 11124 /GWL_BJU MAIL Express. In partenza da Jhansi Junction alle 13:55 con arrivo previsto a Lucknow alle 20:15. Biglietti di Second Class AC : 717 Rp. E' molto facile se avete il biglietto prenotato, trovare vostro il treno. Ci sono molti cartelloni che alternativamente in Indi e in Inglese elencano i vari treni in partenza. Recatevi alla piattaforma indicata. Il treno nelle grandi stazioni come queste, sta fermo almeno mezz'ora e il vagone su cui ci sono i vostri posti prenotati si ferma esattamente nel punto indicato dai segnali, per esempio il nostro era A1. Quando avrete individuato il vostro (in seconda classe ci sono quattro cuccette nello scompartimento e due lungo corridoio) cercate di scambiarle con qualcuno dei vicini se non sono tutte nello stesso scompartimento. Non si capisce perché anche prenotando con largo anticipo i posti sono assegnati un po' a casaccio e quindi tutti cercano di scambiarsi i posti appena saliti sul treno. In genere passa un servizio con bottigliette di acqua e qualche genere di conforto, thé con il latte incluso (Chai) 


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lunedì 29 luglio 2019

Central India 32 - I palazzi di Orchha


I gath di Ochhra

Portale
Visitatrici
Ochhra di giorno è ancora maggiormente ammantata di quel fascino esotico da libro della jungla, che durante la notte, quando fantasie oniriche te la colorano di antichi bagliori di regge e di maharaja. In effetti la città è contraddistinta più dalle antiche ed imponenti costruzioni che giganteggiano, visibili dovunque, dominando gli spazi alti, piuttosto che dalle case basse e spesso misere che riempiono gli spazi intermedi, vivendo esclusivamente della personalità riflessa di un grande passato. Il presente è invece scarno e senza lode, un vivere in funzione di quello che c'è alle proprie spalle, campandoci e poco aggiungendo di proprio. Quasi tutti i palazzi ed i templi nella loro attuale struttura sono stati costruiti dalla dinastia Rajput dei Bundela tra il XVI e il XVII secolo e successivamente caduti in un progressivo abbandono durato quasi quattro secoli che li ha fatti arrivare fino a noi in uno stato di splendida decadenza, con le pareti annerite dalla muffa, con gli intonaci che gradualmente si sbriciolano alle intemperie con le sagome dei Chhattris, i piccoli padiglioni coperti, sorretti da eleganti colonnine, le cui sagome disegnano lo skyline della città, ricoperti dal guano dei piccioni o spesso dei giganteschi avvoltoi che li hanno scelti a luogo privilegiato di nidificazione. Una atmosfera da città morta dall'imponente splendore, abitata da una discendenza miserevole che ne occupa senza vergogna, spazi nascosti, anfratti cadenti, porticati che avevano visto splendide processioni e che ora ospitano gommisti e ciabattini affamati.  

Balconate
Soffitti
Conviene comunque partire dalla cittadella e dal suo insieme imponente di palazzi abbandonati che dominano tutto il resto della città da una posizione di vantaggio. Questo Jahangir Mahal era di certo una dimora elegantissima oltre che immensa e rappresenta di certo lo splendore del suo re, il già citato Raja Bir Singh Ju Deo, che la volle edificare a testimonianza della ricchezza del suo regno. E' mattino presto ed i pochi visitatori presenti a quest'ora sono costituiti da gruppetti di locali, famiglie con qualche bambino al seguito che si perdono subito nel susseguirsi di cortili e spazi interni che scandiscono le parti del palazzo e degli altri racchiusi nelle cerchia di mura. Devi camminare molto lungo corridoi infiniti che ti fanno sbucare in grandi stanze dai soffitti dove ancora indovini le tracce dei raffinatissimi affreschi che si stanno consumando sotto l'attacco dell'umidità. Ripide scalette ti portano a terrazze dalle quali vedi il fiume lontano e le case dei quartieri bassi sovrastate da una nebbiolina rosata, dalla quale sorgono le cupole ardite delle costruzioni più lontane. Poi scendi a quello che appare come un livello inferiore dove trovi vasche lobate dove bellissime concubine si bagnavano al suono dei cembali, spiate dal sovrano che passeggiava nelle logge superiori. Passi una porta e te le trovi davanti con i loro sari che frusciano sul terreno granuloso del cortile e invece sono solo un gruppo di studentesse che si spingono per varcare anch'esse quella soglia segreta che porta ad altri ambienti, ad altre bellezze. 

Laxmi mandir
Non riesci a distinguere ormai tra palazzo e palazzo, quella di una regina o di altri re che si sono succeduti, ognuno volendo lasciare ai posteri la testimonianza del proprio amore del bello; ma che portali magnifici, che colonne sormontate da elefanti, balconi dai parapetti scolpiti, finestre disegnate in mille archi e volute, cupole ardite, spioventi ridondanti e barocchi, dipinti che appaiono all'occhio come miniature. Davvero qui c'è da vedere molto, ma forse più ancora fermarsi in qualche punto più topico, una balconata sulla valle, una finestra su un cortile interno e lasciarsi cullare dalla sensazione di un ritorno temporale che faccia rivivere quell'epoca lontana, coi suoi fasti, le sue cacce alla tigre, forse alle sue crudeltà. Questo è il fascino più profondo dell'India, a cui difficilmente si riesce a rimanere insensibili e che proprio Orchha, la "città nascosta", questo è il significato del suo nome, forse grazie anche a questo suo vantaggio di essere un po' tagliata fuori dalle principali direttrici turistiche, riesce a dare. Ma c'è ancora tanto da vedere. Un balzo e raggiungi, esattamente dall'altra parte della città un poco isolato e decisamente al di là degli ultimi quartieri, posto su una collinetta che lo rendeva visibile da lontano, ecco il tempio di Laxminarayan dalla struttura strana e inconfondibile, una quadrato esterno di porticati che racchiudono uno spazio interno in cui è costruito il rombo che racchiude la parte interna del tempio, quasi un labirinto in cui aggirarsi per raggiungere il sancta sanctorum, dalle forme ordinate tanto da apparire rinascimentali, non fosse per gli orchi e le volute orientali che ne definiscono i  margini.

Soffitti
Il suo strano schema costruttivo, con le sue mura esterne protette da torri angolari che simulano bastioni, potrebbe rimandare all'idea di una fortezza pronta a proteggersi da assalti nemici e forse a quell'epoca gli attriti tra gli invasori islamici e la religione Hindu erano realtà consuete, ma poi ti perdi ad ammirare gli affreschi che ricoprono pareti e soffitti, le storie ed i tanti temi mitologici dell'induismo militante e dell'epopea guerresca dei guerrieri Rajput. La cella interna del tempio, al contrario contrasta decisamente con la ricchezza progettuale esterna; una camera sacra molto semplice dalle pareti scabre e bianche con un altare rozzo e quasi primitivo, su cui vedi qualche offerta, fiori e lampade votive, veli colorati e trasparenti con figure danzanti. Un solo sacerdote riposa in un angolo senza darsi troppa cura dei rari visitatori. Un luogo che appare comunque come misterioso, forse per le sue forme inusuali a quelle dei templi a cui questa religione ci ha abituato. Ma nella zona più centrale della città troneggia il tempio forse più spettacolare per dimensioni e maestosità, il Chaturbhuj, a cui si accede tramite una maestosa scalinata. Il tempio si eleva soprattutto in altezza dato che la parte centrale è costituita da una colossale sala alta diverse decine di metri attorno alla quale partono ripide scalette che portano al terrazzo superiore su cui si elevano ancor più maestose le cupole e i vimana. L'aspetto di tutto questo è davvero maestoso, pare di essere in una delle grandi basiliche cristiane, guarnite con quella atmosfera di decadente rovina che ti fa temere crolli rovinosi ad ogni passo. 

Scale interne
Seguiamo Ranjiv, finto studente che per la modica mancia di 200 Rp ci mostra i meandri segreti, le scale nascoste, i passaggi più esclusivi che consentono di vedere dall'alto la bellezza di questo edificio dedicato a Lord Rama, il personaggio dio protagonista del Ramajana il più famoso poema religioso indiano. Le scalette interne, scavate nel cuore vivo delle pareti sono faticose a salire, attenti alla testa è il ritornello continuo. Negli anfratti più nascosti ogni sventagliata della torcia mette in movimento frusciante centinaia di minuscoli pipistrelli appesi nella parte più alta delle volte. Qualche squittio, qualche frullo d'ala e poi appena torna il buio, di nuovo il silenzio in attesa della notte. Poi la spettacolare vista dall'alto delle terrazze, tenendoti stretto alle pareti che la mancanza di parapetti mette timore anche a buttar giù l'occhio. Ranjiv non smette di raccontare di morti raccapriccianti di turisti sconsiderati che non volevano ascoltare le sue raccomandazioni, precipitati dall'alto e spiccicati decine dimetri più sotto, un americano l'anno scorso, due inglesi due anni fa.  Comunque c'è poco da dire questo è un posto davvero imperdibile e da qui, dall'alto, puoi vedere in tutto il loro splendore i quattordici Chhattris, mausolei monumentali, ognuno dei quali di per se stesso un palazzo completo, allineati ordinatamente vicino ai gath sul fiume Betwa e circondati da giardini verdi all'italiana, le cui aiuole sono circondate con precisione, da siepi rettilinee che ne scandiscono le quadrature. 

Avvoltoio
Aggirarsi tra queste costruzioni, in molte delle quali è addirittura vietato entrare, men che mai salire le scalette interne, chiaramente pericolanti, scavalcando pezzi di intonaco caduti dai soffitti ed evitando le tante vacche che vengono a trovare riparo qui dentro, è un'altra esperienza che trasla nel tempo più che nello spazio. I Chhattris riflettono le loro sagome imponenti nelle acque del fiume, scimmie dispettose ti guardano dai muretti che circondano la piazza; dalle cime delle cupole giganteschi avvoltoi, ruotano attorno i loro colli rognosi, guardando in basso dal bordo dei loro grandi nidi, forse aspettando prede appetibili o carogne abbandonate o forse solo immondizie marcescenti. Vicino alle scalinate che scendono al fiume, quasi deserte di fedeli, altri due magnifici templi dalla struttura complicate e fascinosa, fortezze squadrate dalle mille finestre e dalle cento aperture nelle quali è vietato entrare. Dalla quantità dei calcinacci sparsi all'interno capisci subito il perché. Sul gath sul quale si affacciano, un gruppo di uomini e donne sta togliendosi i sari ed i kurta bianchi per potersi bagnare nel fiume. Le donne si coprono alla meglio e gli uomini si stringono nei corti dothi intorno alla vita.  Il consueto spettacolo di quasi tutti i corsi d'acqua indiani, dove questo liquido che scorre è sempre una epifania della pulizia, del lavacro mistico che santifica i corpi e certamente ancor di più le anime. Gli avvoltoi si lanciano nel vuoto senza neppure un battito d'ala, veleggiando nell'aria senza rumore, quasi la preda, sebbene morta si possa spaventare.  Orchha, la città nascosta ha lasciato il segno. 

Tempio 
SURVIVAL KIT

Cose da vedere a Orchha:

Il Chaturbhuj
Cittadella con i suoi palazzi (ing. 300 Rp.) - Jahangir Mahal, il più importante, Rai Praveem Mahal, costruito per una poetessa amante del re, molto elegante, Raj Mahal coi due cortili rettangolari e il Diwan-i-Kaas,magnifica sala delle udienze all'aperto in marmi bianchi e Rani Mahal con le sue magnifiche pitture. Calcolate che in generale le stanze più belle vengono tenute chiuse e che nelle vicinanze c'è sempre qualcuno che dietro mancia (20/50 Rp.) ve le aprirà. Nella città altri palazzi e Haveli, residenze dei ricchi commercianti.

Tempio Ram Raja, moderna costruzione ricavata da un palazzo nella zona del mercato,generalmente molto affollato dal quale attraverso una scalinata si accede al Tempio Chaturbhuj, il più imponente della città, ingresso gratuito, ma calcolate una mancia per farvi accompagnare su per le scale interne. Attenzione a non cascare giù dal tetto.

Tempio Laxmi Narayan, Ben visibile sulla collina di fronte raggiungibile anche attraverso una via sacra lastricata di circa un chilometro che lo collega al precedente. Architettura molto particolare, ingresso libero.

Chhattris
I 14 Chhattris - Imponenti mausolei in un grande giardino sulla riva del fiume nella zona dei Gath. La maggior parte non è agibile ed è pericolante.Negli altri non è possibile accedere alle parti superiori, ma si tratta comunque di un colpo d'occhio notevole. Sulla riva del fiume cisono ancora un paio di templi squadrati assolutamente notevoli.

Per il resto potete passeggiare per la città ed il suo mercato, la parte più viva ed interessante. In generale (specialmente al mattino ed alla sera, ore in cui le atmosfere e le luci sono straordinarie soprattutto per i fotografi) incontrerete pochissimi turisti. Datemi retta, la città deve essere tassativamente inserita in ogni itinerario, tra Varanasi, Kajuraho e Agra.


Jahangir Mahal

Cortile
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