martedì 30 giugno 2020

Luoghi del cuore 22: Polenta al Bourcet

Bourcet - Val Chisone (To) - giugno 2020

Giglio Martagone
Una valle solitaria, che si distacca dalla valle principale, la Val Chisone, anch'essa tuttavia abbastanza secondaria, accesso minore alle valli olimpiche piemontesi. La percorri risalendo il fianco della montagna attraverso una serie di stretti tornanti e poi ecco un'altra deviazione verso un ramo della valle ancora più nascosto ed imprevedibile che conduce verso una balza nascosta ed invisibile a chi percorra le normali direttrici del traffico che passano tuttavia non lontane. Sei nella valle che porta a Bourcet, un minuscolo gruppo di antiche borgate fatte ognuna di poche case di pietra, nascoste in avvallamenti o appese a speroni di roccia, tutte praticamente in abbandono da tempo, con i tetti spesso crollati, le porte sfondate, qualche traccia di incendio. Tra le balze del bosco che le circonda, indovini tracce di muretti a secco che generazioni passate hanno costruito a forza di spalle e di gerle piene di pietre ammucchiate poi con cura, per costituire piccole losanghe di terreno piano dove seminare e sopravvivere tra questi monti. Ora la forza verde della natura le ha ormai vinte e le radici si insinuano tra le pietre per scardinarne l'ordine troppo innaturale, di una agricoltura comunque primigenia, per cancellarne la forma e la sostanza. Solo nella borgata principale, le case sono state rimesse in ordine, qualche lontano erede e qualche amatore della solitudine di questi luoghi se ne sono presi carico e qui rivedi, rinato, l'ordine antico, qualche fiore sui balconi, la pulizia di nuove staccionate, tendine alle finestre, la fontanella che gorgoglia acqua gelata. 

Giglio di S.Giovanni
Nei verdi prati, tra le rocce aspre, i lampi solitari dell'arancione mutevole dei gigli di San Giovanni, che occhieggiano senza riuscire a nascondersi tra l'erba alta. I gigli martagoni, più rari protendono la loro cascata di campanelle violette solo nei luoghi più segreti. Davvero un posto solitario di grande fascino, con una chiesetta che contiene una pala di sorprendente fattura, considerato il luogo dove si trova, dai fregi rinfrescati e dalle pitture naif alle pareti, commovente l'organo dipinto sulla falsa balconata. Di fronte un minuscolo cimitero che ospita qualche croce abbandonata che riporta quei tre cognomi ripetuti più volte, le tre famiglie, si dice formate da tre briganti rifugiatisi tra questi monti allora inaccessibili. Poi la crescita degli abitanti che godevano di un microclima che consentiva loro di coltivare il frumento ad oltre 1500 metri, cosa che permetteva loro di mangiare il pane bianco, al contrario delle altre genti circostanti. Pensate come sono cambiati i tempi, oggi i salutisti d'accatto dei nostri giorni ne aborrirebbero di certo la farina 00, ricca di glutine e povera di fibra, di cui erano così orgogliosi. Poi le vicende della resistenza, che utilizzò queste zone impervie come rifugio. Infine la gente che abitava queste borgate le ha a poco a poco abbandonate sedotte dalla facilità della vita cittadina e dalla durezza di quella che si poteva avere quassù. Alla fine della guerra c'era addirittura ancora una scuola, poi a poco a poco, l'abbandono totale. 

Il cimitero
Sembra che l'ultimo abitante reale di questo borgo sia morto una quarantina di anni fa, quando ancora ne difendeva l'accesso dagli estranei sgraditi, si dice, prendendoli a fucilate. Leggende della valle. Poi le case abbandonate furono addirittura rifugio temporaneo di un gruppetto di brigatisti, scoperti e catturati, prima del ritorno recente dei cercatori di solitudini, dei ragionieri a cui la vita di città questa volta è diventata pesante e sono alla ricerca di quella agricoltura finta, ma così oleografica, dell'orto di montagna, tra il belato delle capre e l'ululato (presunto), del lupo. Comunque sia il luogo è davvero suggestivo con i suoi spettacolari panorami sulla valle lontana, sui boschi dei dintorni, sulle cime alternate ai colli di passaggio alle valli limitrofe. In giugno poi, con quel verde intenso punteggiato da milioni di macchie di colore, ti fa rimanere a bocca aperta e se la giornata è spettacolare come quella di ieri, ti obbliga a sdraiarti da qualche parte a sentire il ronzio dei bombi e lo sbattere d'ali delle farfalle e a digerire la polenta che la signora del rifugio ti ha servito in dosi di altri tempi. Lungo la strada vedi balzar via un leprotto o la lunga coda di una donnola che si nasconde nel sottobosco. Nell'aria l'odore dei funghi. 

Bourcet - Borgata  Chasteran

SURVIVAL KIT

Tra le rocce
Strada per Bourcet - Arrivando da Torino sulla statale 23S, passate Roreto (Roure) e quindi La Balma. Dopo circa 1 km prendete la discesa a sinistra che scende al vivaio la Trota Blu e proseguite per l'unica pista, stretta ma con un fondo regolare a tratti asfaltato, per circa 6 km fino ad arrivare alla borgata Chasteran di Bourcet ad oltre 1500 m.. Lasciate qui la macchina e poi potete percorrere molti itinerari che conducono lungo diversi sentieri alle varie borgate abbandonate nei dintorni o risalendo ancora la valle, arrivare alle bergerie sotto il Becco dell'Aquila oppure scendere a piedi (100 m.) la ripida discesa in fondo alla borgata, per arrivare al rifugio Serafin, ricavato dalla vecchia casa parrocchiale della chiesetta adiacente, dove potrete mangiare (salumi, insalata russa, agnolotti fatti in casa, polenta con spezzatino e salciccia, formaggio e fragoline, caffè e amaro di genziana a 20 €). Vedete un po' voi.

Val Chisone



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domenica 28 giugno 2020

Luoghi del cuore 21: Gli archi dell'Alhambra


Alhambra - Granada - Spagna - agosto 1984


Fregio in caratteri cufici
L'Andalusia è uno di quei posti che vanno visti a prescindere, troppe le cose imperdibili, la natura, l'ambiente e l'opera dell'uomo che ha lasciato qua e là tali e tante gemme da renderla unica. Uno di quei posti in cui si può ritornare, infatti, ci sono stato due volte e se mi ci portassero, ci ritornerei una terza. Se poi dovessi scegliere un pezzo unico che la rappresenti, un'icona imprescindibile, sceglierei l'Alhambra. Qui ci puoi leggere tutto quanto racconta questa terra, la sua storia, misto di cultura araba e cristiana, la prova di arte sublimata al suo massimo, dove il genio architettonico ha costruito bellezza mescolando la pietra di miele al movimento delle acque, che si fanno esse stesse elemento prezioso di architettura, inserite in cornici di archi, di colonne, di spazi perfettamente calcolati per ampliarne il piacere del suono delle piccole cascatelle, dei rivoli che cantano uscendo dalle cannule delle fontane. Già l'acqua, per i popoli del deserto è elemento prezioso, raro, irrinunciabile e simbolo di ricchezza e di somma piacevolezza è il circondarsene, facendone elemento costruttivo che ti rallegri continuamente la vista, tra giardini fioriti ed alberi fronzuti, che alternino le ombre dove riposare tra armonia di vuoti e di pieni, porticati e corridoi, stanze illuminate da raggi colorati che tracimano da lastre di alabastro, sfiorando le pareti adorne di stringhe infinite dove la scrittura stessa diventa, oltre che lode alla divinità, arte grafica insuperabile. 

La fontana del leoni
Perché puoi pure mettere un qualche precetto religioso che impedisca la raffigurazione delle figure viventi, ma il desiderio del tratto artistico è insopprimibile nell'uomo ed ecco che allora dove il divieto impone di non raccontare l'uomo e la natura, ecco che la calligrafia diventa espressione artistica a sua volta insuperabile e godibilissima. Ricordo che in terza media la nostra professoressa di lettere ci diede da leggere un brano famoso di cui non ricordo l'autore, forse Irving, ma non sono sicuro, che evidentemente lei giudicava molto interessante come esempio di descrittività. Il racconto, in diverse pagine, raccontava con dovizia di particolari l'esperienza fatta dall'autore durante la sua prima visita a questo monumento. Devo dire che la ricchezza di particolari, la passione e l'eleganza della descrizione con cui si dipanava l'esperienza all'interno del monumento, mi colpì moltissimo e quando, anni dopo, entrai per la prima volta oltre la soglia di questa reggia mi sembrò addirittura di ricordarne l'espressività narrativa. In particolare quando arrivai al famoso cortile dei leoni, con la fontana centrale circondata dalle figure di pietra, mi parve davvero di averla già vista e lungi dal rimanerne deluso, ne rimasi completamente affascinato. Passai alcune ore a percorrere i porticati sorretti da quelle colonnine delicate ed eleganti, col naso all'in su per meglio apprezzare il susseguirsi degli archi, suddivisi in archetti sempre più minuti, quasi fossero trame di filigrane dorate. E quando ci tornai per la seconda volta, mi parve ancor più bella, mentre cercavo di individuarne qualche angolo più nascosto e prezioso. Un monumento davvero straordinario, complesso e barocco è vero, ma non involuto in se stesso, anzi, esempio assoluto di come anche la ridondanza dell'ornamento, della decorazione, della complessità, non sia involuzione, ma possa dimostrarsi assoluta eleganza. Credo che sia una di quelle cose da non perdere nella vita.

Porticati e colonne



Archi
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Un giardino interno









sabato 27 giugno 2020

Taste of Fenestrelle


Sopra lo stelo
Aspettando una preda
Con sette punti




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venerdì 26 giugno 2020

Il tappeto del giardino fiorito

Rododendron

Giugno è il mese più bello per la montagna e anche per molti altri posti per la verità, ma quando sali in quota in questo mese dalla luce intensa che ti fa piegare l'occhio verso il basso, quasi volessi rendere omaggio a questo splendore, mentre in realtà, non riesci a sopportarne la vivida forza, gli spettacoli che ti si pongono davanti sono davvero unici. La fioritura di questo mese, in particolare è assolutamente spettacolare e trasforma i pascoli alti in una tavolozza di colori così fitti e variegati da illustrare davvero bene il motivo per cui il disegno grafico di certi tappeti iraniani viene detto del "prato fiorito". Quella distesa, uniforme ma differenziatissima di piccoli punti e di mille colori, che in automatico ti muove a pensieri positivi. Nel giro esplorativo che ho fatto ieri, anche se il clou è passato da qualche giorno, confermo che lo spettacolo è stato davvero emozionante. Qui da noi i rododendri sono tutti rosa carico e hanno forma di bassi cespugli che invadono come la gramigna, le balze dei monti. Oltre i 1500 metri non hanno il portamento altero, arborescente che puoi vedere nei parchi del biellese dove si levano facilmente ai due metri o la spettacolarità di certi boschi himalayani dove formano vere e proprie impenetrabili foreste, ma qui coprono il monte come cuscini spessi e morbidi, radunati a fasce cordonate quasi fossero piantagioni di thé fiorite e lasciate crescere brade. I prati all'intorno invece sono ancora coperti di viole che stanno a poco a poco appassendo; tra l'impunturato viola, compaiono più rade quelle bianche e gialle dal profumo intenso. 

Molte se le sono già mangiate le mandrie di vacche sparse sui versanti a solatio, il cui latte viene atteso con ansia dagli allevatori, per la preparazione del Plaisantif, l'ormai celebre formaggio delle viole, una toma profumata di fiori che viene venduta in anticipo da un'anno all'altro, tanto un astuto marketing ha saputo renderla desiderata e quindi rara e preziosa. Poi cespi di ranuncoli gialli, macchie violente tra le quali si innalzano i fusti di genziana e della sua concorrente la falsa genziana appunto, o le grosse margherite dell'arnica anch'esse giallo vivo, ma ancora in boccio. Ciuffi di calendule, genzianelle indaco e anemoni, bianchi e azzurri dai petali delicatissimi che quasi si ritraggono per il timore di essere turbati da qualche tocco involontario. Attorno, altri minuscoli cuscini di erba carichi di azzurro intenso, giallo violento, bianco purissimo, fiorellini così minuscoli a cui devi avvicinarti così tanto per vederne la forma delicata, da sentirne anche il forte profumo deciso. E ancora nontiscordardime, pulzatille dalla peluria finissima e di tanto in tanto, rari cespi di minuscole orchidee di montagna cariche di fiorellini rosa o ancor più rare, ma ben visibili quando ergono il loro stelo diritto al di fuori del piano del prato che le circonda, le infiorescenze impudiche della Nigritella niger, dal colore vermiglio che si sfuma fino al bianco. Già si vedono poi alcuni botton d'oro, i primi della stagione, assieme ai narcisi bianchi dall'intenso profumo. Ma lo spettacolo più superbo lo danno gli alberi di maggiociondolo con la loro cascata di infiorescenze gialle che li avvolgono completamente e che circondano la strada mentre ridiscendi verso valle. Sì, la polenta calda con la fonduta di toma profumata, rallegra l'umore, ma anche l'occhio, bisogna concederlo, vuole la sua parte.



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Ritorno ai monti sorgenti
Montagne antiche.

giovedì 25 giugno 2020

Ritorno ai monti sorgenti

Tra i rododendri a a pian dell'Alpe

Sto battendo la fiacca eh, lo so, è qualche giorno che non apro neppure il PC, ma che volete dopo la scena della famiglia Brambilla in vacanza con la macchina che sembra un TIR dell'azienda traslochi, il relativo sbarco, il guardare per tre giorni consecutivi la moglie che tenta dimettere in funzione la casa spenta da quasi un anno, con pulizie varie, spostamenti di materiali, disposizione di masserizie varie che solo a guardare sono tutto sudato, dopo la presa di posizione al mio consueto tavolo alla Rosa rossa, per ripristinare il mio cosiddetto ufficio, sono assolutamente stravolto e neppure la spettacolare giornata di sole in quota a Pian dell'Alpe, luogo di delizie dal quale si domina quasi tutta la val Chisone, forte di Fenestrelle compreso, che adesso che si candida a patrimonio Unesco, non so se mi spiego, mi ha lenito le ferite, anche se la polenta e fonduta di pignoletto rosso all'Alpe Pintas, mi ha tirato su un poco il morale depresso da mascherine e belinate varie, che anche qui non ti servono più ai tavoli per paura di contagiarti, ma ti devi portare il vassoietto come alla mensa. Comunque sia, meglio che stare in miniera e se ti lamenti sei proprio un mentecatto con quel che ti succede intorno. Va bene, adesso ho messo la radice e bagno la talea, appena mi riprendo un po' ricomincerò con i miei appuntamenti quasi quotidiani. Intanto la spettacolare fioritura oltre i 1700 metri sta quasi per finire e ci sarà più tempo per gustare il burro del Baffo, che lo fa da queste parti ed in questa stagione ha un profumo di fiori che colesterolo levati di torno, che non ti voglio neanche sentire, per non parlar dei formaggi misti capra/pecora e altre squisizie di cui non vi dico neppure per non farvi stare male al solo pensiero, che poi l'invidia è una brutta bestia. Intanto la campana ha battuto le quattro e tra un po' è ora di andare in ufficio per l'aperitivo serale. E poi non avete idea di quanta gente circola da queste parti quest'anno complice credo il virus malefico che ha consigliato tutti di evitare la riviera come la peste bubbonica. Mai vista tanta gente a fine giugno su per queste montagne. Comunque vi terrò informati.


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domenica 21 giugno 2020

Luoghi del cuore 20: Le statue mute del Nemrut Dagi

Nemrut Dagi - Turchia  orientale - agosto 1981

Il sentiero che sale
Partimmo che era notte piena, tra le tre e le quattro, accompagnati da un ragazzo, che come da accordi presi il giorno prima, ci venne a svegliare verso le tre, stupendosi di trovarci già pronti di tutto punto. Quando bisogna andare si va, poche chiacchiere. Arrancando su una pista ciottolosa e torta, sostenuti da quella 127 indistruttibile con alle spalle 110.000 km, arrivammo fino ai piedi della montagna o per lo meno del grande cono che saliva ancora per almeno tre o quattrocento metri. Lasciammo l'auto e prendemmo il sentiero che montava sul fianco alla luce delle pile. Avevo trentacinque anni, ma ho sempre fatto fatica a camminare in salita, non ci ho proprio l'attitudine, né mentale né fisica e tutte queste performances, necessarie, per carità, fatte per raggiungere certi luoghi a cui è impossibile arrivare diversamente, incidono pesantemente nel mio umore, condendole di litanie di mantra poco urbani, direbbe qualcuno e che durano per tutto il tempo della onerosa salita. Fatto sta che mentre il cammino proseguiva erto e faticoso, eravamo comunque a più di 2000 metri, con gli occhi sempre a terra per evitare di inciampare in qualche pietra sporgente o di scivolare sull'acciottolato mobile, piano piano ci avvicinavamo alla cima. Dopo un'ultima curva, il terreno si spianò un poco e in fondo all'ultimo orizzonte, completamente aperto, dato che il Nemrut Dagi è l'altura più rilevante della zona, stava comparendo il lucore rosso scuro che preannuncia i primo barbaglìo dell'alba. 

Tra le teste
Eravamo su una specie di terrazza naturale rivolta ad est ed in quella penombra che precede il comparir del giorno comparvero una serie di ombre nere alte tre o quattro metri, immobili giganti, muti spettatori che ad ogni ripresentarsi del giorno, stavano evidentemente lì in silenziosa attesa. Fu uno degli spettacoli che più segnarono la mia memoria in quegli anni. Avevo ancora il fiato mozzo per la salita, ma seduto sul quel masso, mentre il cielo si ammantava di rosa carico, quelli che parevano massi informi caduti dal cielo con casualità capricciosa, rivelarono la loro natura, opere dell'uomo rivolte in eterno ad ammirare lo spettacolo del sorgere del sole, tenendo compagnia al viandante che non a caso era salito fin lì in cerca di emozioni forti. Erano intorno a me una serie di teste colossali, di uomini, di animali, di aquile, che sembravano posizionate a caso da una regia di titani scesi dal cielo a sacralizzare una montagna incantata. La cima della stessa era ancora qualche metro più in su dove, riuscivi ormai a scorgere nitidamente, mentre la luce cresceva nel cielo, una piattaforma di pietra, un altare mistico, un cenotafio di statue sedute, dai torsi megalitici, tutte ormai prive della testa e di altre parti, che qualche demone dispettoso, evidentemente invidioso di tanta grandezza, aveva spezzato, rotto, schiantato con violenza malvagia, facendole capitombolare sul terrazzo sottostante dove rimanevano così mute testimoni di tanta violenza. 

L'altare principale
Vi assicuro che questo luogo è assolutamente indimenticabile. Questa è la più incredibile tomba che qualcuno abbia mai potuto progettare ed immaginare, per protrarre nel tempo il proprio ricordo terreno, vuoi per la posizione lontana dal sentire terreno, vuoi per la solitaria bellezza, vuoi per le dimensioni ciclopiche dell'opera che tuttavia si confonde talmente con la montagna stessa da mostrarsene parte come quelle figure che credi di immaginare in quei luoghi naturali, dalle sembianze antropomorfiche e che invece sono soltanto opere della natura che l'uomo, incredulo di fronte a tanta bellezza vuole, ingannando ancora se stesso, credere opera di suoi simili, per quanto straordinari e non del casuale lavorio degli elementi naturali. Nel primo secolo avanti Cristo, Antioco I Commagene, re di questo minuscolo territorio sopravvissuto alla spartizione dei generali di Alessandro alla frantumazione del suo impero, volle misurarsi con l'eternità e si fece costruire in cima a questa montagna sperduta nella Tauride orientale, lontana da ogni centro abitato, un ulteriore tumulo, innalzandola ancora di una cinquantina di metri, sopra il quale sorse questo santuario popolato di statue colossali che raffigurano lui stesso circondato di dei, ai quali evidentemente si sentiva di appartenere, semidei ed altri animali fatati. Ma forse gli dei si sono considerati offesi da tanta superbia e hanno percosso questo luogo perduto nel tempo e nello spazio con una serie infinita di terremoti rovinosi che hanno fiaccato anche la dura resistenza della pietra. 
La terrazza est
Ne hanno quindi abbattuto parte delle statue, facendone rovinare al suolo, sulle tre terrazze che circondano la cima, le teste orgogliose, lasciano solo i torsi decapitati o quel che ne è rimasto a mantenere la posizione sulla vetta. Se arrivi lassù, specialmente nel cuore della notte o prima del tramonto, non riesci a distaccarti da queste pietre mentre la luce del sole che nasce, le accarezza colorandole, via via di rosa, poi di ocra pallido che diventa sempre di più giallo vivo, fino a splendere come oro, mentre guardano con orgoglio sulla valle quando il giorno di dispiega in tutta la sua potenza, in quell'aria fina, circondato da un silenzio assoluto, rotto solo dallo scalpiccio fastidioso dei tuoi passi in cerca di altre prospettive, ansiosi di scoprire altri volti immobili, protetti dai becchi adunchi delle aquile e dalle fauci dei leoni. Un volto apollineo alto almeno due metri leva un cappello frigio volgendo lo sguardo sulle creste  lontane alla terrazza sud; altri volti, dallo sguardo sereno, ma dall'epidermide corrugata, rosa dalle intemperie, dal gelo della notte e dal sole rovente del giorno, che crepa anche la roccia più dura, rendendole un poco simili a mummie incartapecorite e appena private delle loro bende protettive, forse generali o semidei al servizio del re, consci di essere rimasti cristallizzati nel tempo. Antioco forse non ha trovato l'eternità bramata, con questa sua opera colossale, ma di certo qualche cosa è riuscito ad ottenerla. Nessuno, né i leggendari ladri di tesori, profanatori di tombe fin dall'antichità, fino ai più moderni archeologi, una spedizione di una fondazione italiana, arrivò qui munita dei più moderni strumenti elettronici e scanner magnetici, è riuscita a scoprire il corridoio di accesso alla tomba, ammesso che ci sia, che è rimasta tuttora inviolata. Ora questo territorio è nel cuore di problemi politici più grandi e non so neppure se sia concesso arrivarci. Le grandi teste misteriose, sono rimaste lì, mute per altri secoli a conservare il loro millenario segreto.

Terrazza ovest

Una testa
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Terrazza est
















sabato 20 giugno 2020

Luoghi del cuore 19: La pace di Stoccolma


Svezia - agosto 1983


Quasi notte
Il tempo che, diciamolo pure ci aveva un po' perseguitato lungo le strade del grande nord, divenne improvvisamente clemente regalandoci giornate di sole splendente che esaltavano a dismisura i colori dei paesaggi circostanti e solo episodicamente la massa di nuvole invadeva il cielo rendendolo tuttavia ancor più mosso e ricco di spazi luminosi. In particolare la costa svedese digradante verso il mare in maniera dolce e costante presentava una campagna di campi vasti ed ordinati dai colori vivaci sia che si trattasse di prati da fieno, verdissimi e brillanti, sia che si fossero messi tardive giallo oro. I raggi che li illuminavano radenti al mattino ed alla sera tardi ne facevano una spettacolare tavolozza, magnificandone ancor più le tinte. Come sempre tutto aveva un'aria di solitario ma ordinato abbandono, luoghi dove la presenza umana è soltanto episodica e quasi assente. Rarissima la presenza di lontane ed isolate fattorie di legno color rosso mattone dai tetti di lamiera dove il sole si specchiava violento. Certo che non ti puoi aspettare altro da questi grandi spazi solitari. Un paese dove vivono una decina di milioni di abitanti, grande una volta e mezza l'Italia, significa una densità di un decimo all'incirca della nostra. Certo che il distanziamento sociale qui non è poi un grosso problema, tenuto conto che già oltre un milione se li porta via la capitale. Questo devono aver pensato quei governanti quando hanno deciso di lasciare gli obblighi di quarantene varie al buon cuore dei cittadini, considerando anche il supposto maggiore senso di responsabilità sociale dei popoli del nord. 

Attorno alla città
Tuttavia i risultati sembra che non abbiano pagato lo stesso, perché nella fase clou della pandemia hanno avuto la maggior percentuale di morti e nonostante la mancanza di lockdown, il PIL è sceso della stessa percentuale di tutti gli altri paesi sviluppati. Insomma non è che son tutti più furbi di noi, tuttavia allora questi pensieri non ci sfioravano neppure e ci siamo aggirati per qualche giorno tra le ordinate e tutto sommato piacevolissime via della capitale, il suo grande porto, gli edifici maestosi, la reggia con le sue rappresentanze di corazzieri dagli elmetti bianchi, le schiere di teste biondissime, le guglie, i tetti rossi ed i grandi spazi delle piazze moderne, che già allora presentavano quella totale pedonalizzazione a precorrere tempi e ideologie successive. Un'altra città piacevolissima insomma, circondata da spazi verdi infiniti, boschi di betulle e stagni dalle rive coperte di canneti, dove si aggirano stuoli di anatre selvatiche, con radi pescatori immobili che paiono statue poste a meglio delineare il paesaggio. Ecco, questo senso di pace assoluta e di tranquillo vivere, un po' lontano forse dall'attuale frenesia di attivismo efficiente, che si è allargata a macchia d'olio nel mondo del mercato globale. Mi risulterebbe che anche adesso quel popolo non brilli per stakanovismo e che la cura del  tempo libero abbia la prevalenza sul lavoro pancia a terra che ha preso ormai la preminenza su tutto il resto, che la mentalità che ci arriva da oltreoceano, sembra aver imposto come comune sentire negli ultimi decenni. Comunque abbiamo lasciato questa terra con il rammarico che si prova quando si lascia alla spalle il senso della tranquillità vissuta senza affanni. Forse era solo una impressione superficiale, ma la sensazione che quelli siano luoghi dove è piacevole vivere te lo porti a casa per sempre.

Area pedonale




Al porto
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Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!