domenica 30 aprile 2023

Lebanon 36 - La cittadella


La Cittadella - Tripoli - marzo 2023 - foto T,Sofi

L'ingresso della cittadella

Dal suq sono solamente pochi passi anche se fatti principalmente di scale scalette e salitelle contorte che risalgono la collina per arrivare al Castello che domina dall'alto tutta la città. Il suo nome, Cittadella di Raymond de Saint Gilles, dal nome del Conte di Tolosa che la costruì durante la prima Crociata per irrobustire la catena di forti che vedeva in Krak des Chevaliers, il suo punto chiave, teoricamente a protezione della via dei pellegrinaggi, in realtà per segnare il territorio conquistato, tanto da essere conosciuto anche come Raymond I di Tripoli. Così il forte fu eretto, tanto per cambiare, su rovine di templi romani preesistenti, su quello che si chiamava anche Monte del Pellegrino, a segnalare che si trattava di una delle tappe fondamentali del viaggio dall'Europa alla ricerca delle radici della Cristianità. In realtà il castello crociato era minuscolo e in quello che si vede oggi, riconosci a fatica le parti originali, in quanto la fortezza fu completamente ampliata dai Mamelucchi nel 1300 ed infine, e fino al raggiungimento dell'aspetto attuale, all'inizio del 1800, col nome di Qala'at Tarabulus, l'attuale nome arabo della città. L'ingesso alla fortezza è decisamente inquietante, occupata com'è in forze dall'esercito libanese che mantiene qui un presidio fisso, che comprende anche diversi mezzi corazzati che ne difendono la base e l'ingresso, dove sostano minacciose sei blindati ricoperti da teli mimetici. 

La grande moschea

Una presenza significativa insomma, che dovrebbe fungere da deterrenza ad eventuali rigurgiti di disordini, che questa città ha già ben conosciuto in tempi recenti e che è solita mostrare con fiammate improvvise. Tuttavia i visitatori, pochissimi in realtà e tutti locali, passano senza difficoltà, anzi accompagnati da sorrisi di incoraggiamento, purché non si facciano foto, ça va sens dire. La fortezza alla quale si accede da un bel portale di pietre bianche e nere in strisce orizzontali, come era costume del tempo e che abbiamo ritrovato in tutte le costruzione dell'epoca, religiose e non, è cupa e severa, buia nei suoi anditi ristretti e nascosti, da lunghi corridoi difensivi a cui si accede da portali con archi a ogiva. Le mura spesse nascondono passaggi nascosti e scale minuscole portano alle terrazze difensive che guardano la città dove erano disposti i cannoni. Le tracce della antica chiesa crociata a base ottagonale, le indovini appena, soffocate come sono dalle alte mura difensive erette tutte attorno. Di tanto in tanto emergono anche tracce lasciate dai romani, grandi pietre angolari affogare nei muraglioni che ancora mostrano gli altorilievi smozzicati dal tempo e dalle erosioni atmosferiche, evidentemente appartenenti ad antichi sarcofagi abbandonati di una necropoli che doveva essere importante come dimensioni. 

Il suq dei sarti

Grandi terrazze e lunghi camminamenti occupano tutta la parte sommitale, consentendoti di dominare con lo sguardo tutto la zona circostante. La città si stende ai nostri piedi e tutto l'immenso quartiere della città vecchia mostra con evidenza i punti focali ben riconoscibili. Ecco le cupole verdi della grande moschea col tozzo minareto quadrato, sormontato dalla minuscola torretta ottagonale dalla quale il muezzin cinque volte al giorno lancia la sua preghiera e che se non fosse per la mezzaluna sommitale potresti facilmente confondere per una delle torri o dei campanili della nostra toscana con la serie di monofore, bifore e trifore a salire, scandite da eleganti colonnine, che lo ornano. Ecco, poco più in là, il Caravanseraj Savoun, un po' malandato con le cupole della copertura già segnati dall'erba invasiva che esce dalle crepe e da ogni fessura. E più in là ancora quanti minareti, questa volta più alti e affusolati, alternati a qualche campanile isolato, almeno una decina, e tutti di confessioni differenti, tanto per cambiare, e ancora cupole di maiolica vicino alle quali scorgi le sagome di case semidistrutte con le travi del tetto che puntano al cielo, le finestre vuote e senza vetri, le mura annerite da un incendio recente. 

Fabbrica del sapone
La fabbrica

La città vecchia ti appare come un accatastamento confuso seppure perfetto, di mattoncini di un Lego perverso che non ha lasciato spazi inoccupati, fatti di case cubiche con le terrazze che ne incorniciano le sommità, percorse da file di panni stesi e piccole antenne paraboliche già rugginose, testimoni del tempo, qualcuna ormai storta, forse bersaglio di recenti cecchini, non certo delle balestre crociate, seppure a tiro di freccia dalle mura più alte. Al di là, nel lontano orizzonte, il mare è di un azzurro indaco, anche se la massa confusa delle case nasconde il porto, lasciando vedere solo le navi alla fonda al largo, per lo più vecchie carrette del mare anch'esse apparentemente vecchie e rugginose. Alle nostre spalle sulla collina che sale ancora al di là del fiume che divide in due la città, la città nuova, con le sue case più alte, ma ugualmente malandate e sbrecciate, costruite farraginosamente a cascata le une sulle altre, in un horror vacui che farebbe invidia ad uno dei sarcofagi che giace sotto di noi ancora qui dopo quasi duemila anni. 

Riscendiamo verso la città vecchia percorrendo la strada in discesa lungo il fiumiciattolo apparentemente innocuo, delimitato da uno spazio pubblico verde, un parco con giochi di bimbi e aiuole fiorite e che, contrariamente a quanto mostra, è stato protagonista in tempi recenti di una rovinosa alluvione che ha devastato tutto il suq adiacente e nel quale ci ributtiamo per mescolarci e confonderci nel colore che lo pervade completamente, oltrepassando piccoli locali che servono caffè e bibite, con le seggiole spaiate fuori e gli anziani che fumano davanti alle scacchiere di backgammon, il gioco più diffuso da queste parti, almeno così sembra. Siamo nel cosiddetto suq dei sarti e dei tessuti, contrassegnato da una serie di alti archi in muratura che ne coprono i vicoli e circondano un cortile di almeno sessanta metri di lato. E' il Khan el-Khayyatin, dove i negozietti di alternano mostrando schiere di manichini che mostrano bellissimi vestiti, adatti naturalmente a tutte le confessioni religiose, esibendone quindi i dettami e le alternative possibili e consentite. Eccone uno che espone keffiah a pié de poule rosse tipicamente giordane ed altre in bianche nere palestinesi; qui ecco veli femminili che ricoprono in misura varia il viso, neri, colorati ricoperti di perline che mostrano solo gli occhi, accanto a jeans e leggins che fasciano il corpo strizzando le chiappe per mostrarle al meglio.

Più avanti lunghe tuniche monocolori che coprono fino ai piedi e appena di fianco una fila di manichini dalla prorompente femminilità fasciati di abiti multicolori con ampi spacchi su schiena e fianchi che cercano di mostrare tutto il possibile e anche di più, bikini paiettati inclusi. Insomma tutto e il contrario di tutto, una specie di testimonianza di questo paese che ogni cosa vorrebbe includere ed assorbire in linea con quella che è stata la sua storia millenaria, di popoli, di culture, di sensibilità differenti. Appena aventi ecco un altro caravanserraglio, più piccolo e molto malconcio. All'interno regna una gran confusione di magazzini pieni di rottami, merce apparentemente abbandonata e piccole attività artigianali. Al primo piano, al quale si accede attraverso scalette nere di muffa, una specie di piccola fabbrichetta di sapone, tenuta in vita da due anziani, marito e moglie che con vecchissimi attrezzi continuano questa attività tramandata loro dai genitori o chissà dai nonni. Lei, malferma ti mostra vecchi miscelatori rosi dalla ruggine, forme e taglierine corrose dal tempo, bilance dai piatti malfermi. Lui apparentemente molto più vecchio di quello che sarà nella realtà, capelli e baffi grigi, seduto su un deschetto, rifinisce a mano, con una lama ricurva, pezzi di sapone a cubetti multicolori che ammucchia poi in pile che si innalzano in equilibrio instabile. Home made soap factory, recita pomposamente il cartello appeso sulla pietra scrostata, anch'esso tuttavia corroso dal tempo.

Rifinitura delle saponette



Resti della cappella crociata
Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

In città







Un negozio del suq



Leb 11 - I Cedri

sabato 29 aprile 2023

Lebanon 35 - Il suq di Tripoli

Tripoli - Città vecchia - marzo 2023 - foto T. Sofi

 

La cittadella

Certamente la visuale dall'alto dei tetti, ti fa abbracciare completamente la città. Da qui ne misuri la storia. Tutto attorno i quartieri più popolari della città vecchia, con i suoi tetti che sembrano uniti gli uni agli altri, senza spazio visibile tra le case per mostrare i vicoli sottostanti dove si snoda l'immenso suq nel quale la città vive e commercia. Nei quartieri sottostanti noti subito la selva di minareti e campanili, così vicini ed abbracciati fa rendere incredibile le situazioni di contrasto dell'ultimo secolo. Di fronte, la sagoma imponente delle mura della cittadella che la domina, alle sue spalle la catena del monte Libano con le sue cime più alte ancora chiazzate di neve. Alle spalle la striscia azzurra del mare che ne rappresenta la libertà, lo spazio aperto verso quel Mediterraneo, che da sempre rimane il suo sbocco naturale. Da qui, da quel leggero brusio che sale dalle strade sottostanti, sette piani più in basso senti pulsare la vita di questa città che non si vuole arrendere, ma vive e resiste come è sempre accaduto da millenni. Scendiamo e ne percorriamo ancora le vie piene di gente che cammina, che compra, che staziona col suo banco o nel suo negozio in attesa di clienti. La maggior parte delle donne, porta un semplice hijab nero che ne incornicia il volto. In questi volti leggi facilmente le mille religioni che colorano questo paese. I semplici foulard neri delle sunnite, le più frequenti, che si alternano ai rari niqab delle sciite, dai quali traspaiono solamente gli occhi, una fessura dalla quale escono lampi di curiosità che ti scruta nei precordi e poi le lunghe coperture bianche che incorniciano il volto e scendono fino in fondo alla schiena, magari coprendo appena la stretta fasciatura dei jeans alla moda, delle druse. 

Rapanelli

Capelli al vento di ogni colore invece per le maronite, insomma un caleidoscopio di varia natura che si alterna in continuazione. Le facciate delle case antiche, che mostrano grandi bovindi in legno di tradizione ottomana, sono completamente scrostate, segno evidente che nessuno ha da decenni la voglia o la forza di restaurarle, mentre i fili della luce formano un intrico così spesso, passando da una parte all'altra della strada, da oscurarne quasi il cielo. Attraversiamo una zona nella quale frutta  e verdura la fanno da padrone. Carretti tirati a mano, sono gravati di montagne di rapanelli rossi di enormi dimensioni e poi da insalate, sedani, verdure di ogni tipo. La mia attenzione però è attirata soprattutto dai venditori di datteri freschi, che i carrettini espongono generalmente in due grandi contenitori, i bruni da un lato, i rossi dall'altro. Sono così grandi che sembrano susine, dalla pelle lucida e tesa, gonfi quasi da scoppiare. Immagini la loro polpa densa e dolcissima, quasi una pasta con la quale farcire torte delicate. Che frutto splendido, che dono del cielo! Gli uomini del deserto, non potevano che considerarlo tale, vivendo in un ambiente così ostile alla vita e trovando questo regalo della natura così disponibile al termine di una traversata tra le dune o tra i sentieri di pietra del sud. Un otre di acqua fresca ed una manciata di datteri, questo è il meraviglioso significato dell'oasi, con le sue promesse di riposo e di ripresa delle forze, per gli uomini della carovana. 

Il caravanserraglio

Nella città invece il suo equivalente è il caravanserraglio, il fortilizio sicuro nel quale arrivare la sera per trascorrervi la notte al sicuro dai predoni. Dove dormire tranquillo, scaricare le tue merci in un magazzino e stallare le tue bestie sotto gli archi delle grandi stalle al pianterreno, mangiare qualche cosa, scambiare le tue esperienze con gli altri mercanti in viaggio, che a quel tempo di altri viaggiatori non v'era traccia. Forse qualche pellegrino che percorreva sentieri noti verso i luoghi santi, qualsiasi religione degna di questo nome ha i suoi  luoghi santi, da avvicinare, magari da gabbare vendendogli qualche reliquia sacra, chiodi originali o legno della santa croce, spine della corona o frammenti di ossa di ogni tipo, per andare a riempire gli edifici religiosi di tutte le parti del mondo, forse così si facevano più affari che trafficando in gemme o incenso, chissà. Ce ne sono ancora molti in città di questi caravanserragli. Girando per le vie degli orefici del suq, che grondano di ori e gioielli dalle vetrine, neppure troppo protette che sfilano le une accanto alle altre, arrivi ad uno dei più grandi, il cui ingresso è seminascosto sotto le volte di una serie di vicoli. E' piuttosto ben conservato, con la sua grande piazza centrale quasi interamente occupata da una vasca di pietra, l'abbeveratoio per gli animali e i due ordini di archi che erano occupate al primo piano dalle stanze per i carovanieri e dalle stalle e dai magazzini al piano terreno, che oggi ospitano varie attività commerciali. 

Il caffettiere impedito

Tra le altre un bel locale tradizionale dove assaporare un ottimo caffè alla turca che arriva nel bricco bollente di rame da versarsi nelle tazze, attenti a non far scendere troppo residuo di polvere dal fondo e poi lasciarlo riposare affinché il deposito si sedimenti, prima di sorbirlo lentamente, fermandoti prima della fine. Il caffè alla turca è una filosofia, da assaporare con calma e per poterne godere il gusto e l'aroma forte e pieno, devi esercitare prima la pazienza, aspettare, prima di accedere al piacere, per poterlo alla fine godere più intensamente e poi non indulgere all'ingordigia, saper rinunciare a possederlo completamente, pena l'ingollare la polverina accumulata sul fondo, il sedimento amaro che ti impasterebbe irrimediabilmente la bocca e ti rovinerebbe tutta l'esperienza. Anche il versarselo nella tazza fa parte del momento magico, pieghi il bricco tenendolo per il manco ed il liquido nero e denso scende nella tazza di porcellana bianca mentre l'aroma sale. Che meraviglia! Peccato che la tua inettitudine colposa te lo abbia anche fatto rovesciare in parte fuori, sgocciolandoti tutto di liquido rovente come lava fusa, ma ci sta, non abbiamo l'esperienza dei caffettieri del sultano che lo mescevano con lunghi zampilli da caraffe maestose dai lunghi becchi arcuati. Siamo solo poveri turisti sprovveduti in cerca di sensazioni pittoresche, che ci volete fare e quindi dobbiamo pagare pegno. 

Antica casa ottomana a bovindi
Grande moschea e madrasssa

Contentiamoci dunque di questa pausa premiata e proseguiamo poi tra vicoli e vicoletti fino alla grande moschea, contraddistinta dal suo tozzo minareto quadrato e la Madrassa al- Nouriyah, con i suoi spettacolari muri esterni a strisce orizzontali bianche e nere, che la definiscono immediatamente, in un seguito di piccole nicchie ornate di arabeschi a formare una bellissima alternanza di vuoti e di pieni, uno stile costruttivo e ornamentale di cui vi ho già parlato in precedenza. Al suo fianco, una piccola chicca, generalmente chiusa, Un antico hammam abbandonato che la cura di un volontario tiene in vita. All'interno la muffa ed i muri scrostati, mostrano ancora tracce del colore che sta cadendo a pezzi. Lo intravedi ancora nitidamente sulle pareti di fondo e sulle grandi cupole che ricoprono le sale, tenui tracce di colori pastello che dovevano rallegrare coloro che qui passavano piacevoli ore. Le camere dove si alternava il crescere della temperatura sormontate da grandi cupole mostrano ancora i cento occhi di vetro spesso che ne forniva l'illuminazione, le vasche centrali in marmo, le camere per le abluzioni, i gradoni dove sedersi a conversare, a fare affari, il mattino gli uomini, a chiacchierare e a far pettegolezzi al pomeriggio quando lo spazio era dedicato al pubblico femminile. 

L'hammam

Uno spazio pubblico che sostituiva forse quelli che da noi sono i bar e i locali di varia natura dove oggi amiamo passare il tempo, per lo meno noi occidentali. Questa dei bagni pubblici, delle terme, è davvero parte assoluta di una cultura che arriva dai Romani, che ne fecero una prerogativa insostituibile della giornata ed è passata poi tal quale, nella forma stessa dei luoghi, e con le sue tecnologie idrauliche ed ingegneristiche  all'Oriente, che ne ha fatto luogo fondamentale, deputato alle delizie sibaritiche, cantate poi dai pittori dell'occidente, come parte dei racconti delle Mille e una notte. D'altra parte direte voi, non c'era mica la televisione allora e qualche cosa bisognava pur fare. Però, passare qualche ora ogni giorno tra acque calde e fredde e vapori bollenti, avvolti solo da qualche grande asciugamano, chiacchierando mollemente seduti con gli amici o anche tra semplici sconosciuti, è segno di civiltà, se pensiamo al tempo in cui in Europa, fare un bagno era una stranezza vista di mal occhio, un indulgere a colpevole lascivia da fare se tutto andava bene al massimo una volta l'anno, pensando per di più che fosse assolutamente dannoso alla salute e poi, per chi se lo poteva permettere, giù valanghe di profumi stomachevoli per soffocar la puzza. Eh, sì, quando esci dall'hammam, anche se si tratta solamente di vecchie sale scrostate ed umide, hai già la sensazione di sentirti più pulito e puoi ributtarti a cuor leggero, sotto le volte arcuate e tra i negozietti del suq.


Datteri

SURVUVAK KIT

Il suq

Il suq di Tripoli - E' grandissimo e occupa buona parte della città vecchia. Come sempre è a settori merceologici. Aggiratevi quanto volete per godervi tutte le varie attività commerciali e artigianali, oltre gastronomiche di cui potrete approfittare di volta in volta. Spostandovi all'interno del suq, potrete passare attraverso i vari punti di interesse come i caravanserragli nascosti all'interno, la grande Moschea e la cittadella, dove si sale, dietro al suq dei sarti, che vi stanno al margine. Se non siete accompagnati chiedete pure tranquillamente in giro, la strada per il monumento che vi interessa. La Grande Moschea, la Madrassa e il vecchio hammam (chiedete al negozietto a fianco per farvelo aprire con piccola offerta) sono in un solo blocco. Calcolate che visitando i vari punti di interesse e salendo alla cittadella adiacente, questo giro vi occuperà almeno l'intera giornata per cui prendetevi il vostro tempo con frequenti soste per rifocillarvi e rinfrescarvi specialmente se ci verrete in piena estate quando i vicoletti sono un po' soffocanti.


Veli


Una casa della città vecchia
Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

Un caffettiere
Leb 11 - I Cedri

venerdì 28 aprile 2023

Lebanon 34 - La moschea Taynal

Tripoli - Moschea Taynal e cimitero - marzo 2023


Caffetteria
passanti

Siamo nel pieno centro del quartiere sunnita e le strade sono piene di bancarelle di frutta e altri generi alimentari. Qualcuno serve il caffè da grandi contenitori in acciaio. Seminascosta tra le palme e circondata da un giardinetto ordinato, la moschea sunnita Taynal, è quasi nascosta, bassa e robusta nel classico stile Mamelucco, che in fondo si può bene assimilare al nostro romanico, del resto coevo. L'arenaria con cui le sue mura sono state costruite si riempirà di sfumature dorate all'ora del tramonto, di mattina mostra solamente la sua robusta presenza da cui sporgono solamente le sei piccole cupole verdi e il tozzo minareto dalla inconsueta forma quadrata sormontata da una passerella ottagonale debordante, che termina in una torretta cilindrica. Si sale all'interno attraverso una curiosa scala a doppia elica, una per salire alla quale si accede dall'interno e una per scendere che dà invece all'esterno. Fu costruita dal governatore Taynal, non appena la città fu conquistata ai Genovesi, con l'appoggio di Pisani e Veneziani, di certo sulle rovine di una chiesa Carmelitana dei Crociati, che tanto per cambiare era stata eretta a sua volta su un tempio romano dedicato a Zeus, come denunciano bene le presenze di colonne corinzie all'interno. Insomma una storia comune a tanti altri monumenti religiosi che sorgono in tutto il paese. E' un destino che si spiega forse con la tendenza, propria di tante culture diverse anche lontanissime tra di loro, a considerare sacri, dei particolari luoghi della terra, incrocio immaginario di particolari linee dalle caratteristiche esoteriche, riconosciute tali da religioni e credenze differenti spesso in forte contrasto tra di loro, ma concordi nel considerare questi luoghi come possessori di forze transnaturali. 

la sala di preghiera

Così questa moschea, forse la più importante della città, dopo la grande Moschea famosa più che altro per le sue dimensioni, svolge le sue funzioni, accrescendo la sua importanza soprattutto per le attività caritative che svolge per la sua comunità. Passiamo dal grande cortile affollato appunto da gruppi di donne che sono lì appunto perché in attesa di ricevere aiuti economici. Pare che il numero di persone bisognose, sia cresciuto in maniera esponenziale, con lo scoppio della crisi economica che pervade il paese e come sempre le comunità religiose sono le prime a farsi carico dei piccoli bisogni, soprattutto alimentari della gente. L'interno dell'edificio è severo e oscuro, come le nostre chiese romaniche. Dopo aver attraversato l'ampio cortile circondato da sottili colonne, all'interno dei muri spessi penetri un ampio spazio che funge da ingresso e immette poi alla sala di preghiera. Questo spazio iniziale a cui si accede attraverso una bella porta dall'arco acuto è formato da tre corridoi di diverse dimensioni divisi dalle antiche colonne corinzie e sormontate da due cupole diseguali. La pianta è assolutamente anomala rispetto a quella standard delle moschee e probabilmente risente appunto da quelle degli edifici preesistenti. 

Mihrab e Minbar
Cortile

Un altro aspetto interessante che dimostra come la circolazione delle idee tra le culture pur lontane tra di loro sia continua e costante, è rappresentata dai portali interni, costruiti in pietre bianche e nere alternate a fasce orizzontali, uno stile assai comune a quelle, coeve, che si trovano in Liguria, nell'area Pisana e anche in Sardegna. La stessa similitudine troveremo in altri edifici religiosi della stessa città e dello stesso periodo come la Madrassa al-Nouriyah. I gruppi di donne questuanti sono ammassate soprattutto all'ingresso ed in questo spazio vestibolare, mentre la sala della preghiera è quasi deserta. E' grande, squadrata e sormontata dalla cupola più grande, sorretta da enormi pilastri. Sulla parete rivolta verso la Mecca, un piccolo Mihrab molto semplice, bordato da eleganti colonnine. Al suo fianco invece, un imponente Minbar, la scaletta e il pulpito dove sale l'Imam a predicare, in legno, opera complessa ed istoriata da splendidi motivi geometrici, che risale alla costruzione della moschea stessa e che reca alla base anche la data ed il nome dell'artista che lo ha costruito. In contrasto con la confusione dell'ingresso, qui regna un bel silenzio che invita alla concentrazione; solo qualche fedele è accoccolato a terra e non fa caso a noi che ci aggiriamo con riservatezza nella grande sala. All'uscita tutte le donne ci salutano con calore, forse piacevolmente colpite dal nostro interesse. 

Volteggiatore

La grande dimensione esterna dell'edificio nasconde, dietro, la presenza di un piccolo mausoleo, in mezzo ad un piccolo cimitero, che vorrebbe essere la tomba del Governatore, ma in realtà sembrerebbe vuoto. Usciti dalla pace dell'edifico religioso eccoci subito immersi nella confusione caotica della città vecchia, circondati da palazzi cadenti, dai muri sbrecciati, nei quali spesso indovini i fori dei proiettili, quasi nascosti dalla selva di fili elettrici che pendono confusamente dall'alto come luminarie natalizie, spente e nere di fuligginosa sporcizia. Le strade sono piene di gente, bancarelle, negozietti che svolgono le mille attività dei mercati orientali di fronte ai passanti. La pressocché totale assenza di turisti stranieri, ci pone spesso al centro dell'attenzione, così non appena ti fermi davanti ad un panificio che sforna in continuazione pani rigonfi o ad un produttore di piadine sottilissime abbrustolite sui larghi e bombati fornelli arroventati. ecco che il vecchio artigiano che si esibisce facendo volteggiare per aria il disco di pasta per assottigliarlo al massimo, come farebbe un nostro pizzaiolo in vena di attitudine da giocoliere, toglie dal fuoco la piada croccante e subito te la offre per la sola simpatia verso l'attenzione che gli hai prestato. 

La città vecchia

Questo atteggiamento è dovunque assai frequente, non appena porgi attenzione e mostri di apprezzare qualche prodotto esposto od in vendita. Dappertutto avverti grande cordialità e disponibilità alla condivisione. Dunque subito ti chiedi, ma come è possibile che proprio qui si siano manifestati tanti sanguinosi contrasti tra gruppi etnici in fondo così vicini, che potresti senza alcun dubbio dire confratelli? La natura dell'uomo è davvero un mistero. Noi intanto proseguiamo la nostra strada. Sono colpito da una ragazza avvolta da un velo bianco che incornicia un viso di rara bellezza. Entriamo in un negozio e subito lei mi segue. In realtà scopriamo subito che è una delle addette alla vendita. Ci troviamo infatti in una delle fabbrichette di sapone del quartiere, uno dei prodotti più noti del luogo, infetti ne troveremo molte altre in giro per la città. Il negozio in realtà è anche un piccolo museo, si possono vedere le macchine antiche e anche quelle più recenti per la produzione del sapone, mentre tutta la parte del confezionamento e del taglio delle saponette viene effettuato quasi completamente a mano, con la produzione di vere e proprie piccole opere d'arte. 

Il negozio del sapone

Le forme sono moltissime, alcune geometriche, altre che raffigurano fiori, di ogni colore e profumazione, in pratica un invito all'acquisto, che poi la gentile e bellissima commessa, che poi in realtà fa parte della famiglia dei proprietari, confeziona in complicati pacchetti souvenir. Usciamo avvolti da profumi eterei e ci rituffiamo nella confusione del mercato, circondati da donne velate di nero, alcune che mostrano solamente la sottile striscia degli occhi. La nostra Mary Jo, al contrario, sventagliando la sua improbabile e abbondantissima chioma rossa, ci fa strada all'interno di un negozio di jeans, di un palazzo in ristrutturazione. Attraverso un ascensore pieno di sacchi di calce e di cemento saliamo fino alla terrazza del settimo piano e da qui si apre la visuale competa dei tetti della città vecchia, dalla quale puoi vedere tutto e il contrario di tutto, edifici completamente in rovina accanto a palazzi nuovi e a case che a fatica ed in tempi diversi cercano di rimettersi a nuovo. Di qui si vede bene il quartiere formatosi dall'afflusso dei profughi palestinesi che ha mutato radicalmente le componenti di questa città così carica di storia, da essere capace alla fine di assorbire e sopportare i cambiamenti più radicali e destabilizzanti. Di certo saprà superare anche questa fase difficile e, per certi versi, pericolosa. .  

La panetteria

SURVIVAL  KIT

Le donne alla moschea

Moschea Taynay - La trovate facilmente nel centro della città vecchia a fianco della piazza della rivoluzione. Certamente la moschea più interessante e più antica della città, costruita in stile Mamelucco nel 1336. Si può entrare senza problemi. Per le donne è sufficiente un foulard. All'ingresso c'è lo spazio dove lasciare le scarpe. Ingresso libero, tranne nell'ora della preghiera. Le parti più interessanti sono i portali di ingresso tra le sale e il Minbar, vero capolavoro dell'arte lignea dei Mamelucchi. Calcolate una mezz'oretta per la visita.


Nella città vecchia


Il deposito delle scarpe
Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

Leb 11 - I Cedri

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 114 (a seconda dei calcoli) su 250!