Oggi sono nero come un cappello da prete.
Abbiate pazienza ci sentiamo domani!
giovedì 30 giugno 2011
mercoledì 29 giugno 2011
Shu.
In questo momento di lacrime e sangue, qualcuno dice che ce n'è bisogno. Dipende sempre da che parte si sta, se da quella con cui si tiene in mano o da quella su cui viene calato, il bastone. Per la verità anche nell'Impero di Mezzo, questo strumento veniva usato più o meno nello stesso modo e sempre senza carota. L'ideogramma Shu che vedete in alto a destra, lo rappresenta con la più semplice delle stilizzazioni della mano (il segno sottostante) che sostiene l'antica arma di bambù, dal manico ricurvo, che alternativamente diventa strumento di lavoro, un bilancere appoggiato sulla spalla per portare pesi. Anche qui la dicotomia prosegue. Per qualcuno strumento di fatica, per altri strumento di offesa, in un continuo altalenare che si ripercuote anche nei suoi derivati. Ecco dunque che unito nello stesso carattere a quelli di "mortaio" in alto e "lavoro" in basso a sinistra, otteniamo: 毁 - huǐ , nel senso di battere, rompere, sminuzzare ma anche distruggere, mentre se gli anteponiamo il segno che significa "fibra vegetale" abbiamo: 段 - duàn, che vuol dire "sezione, parte, segmento", ricordando che anche da noi la canapa e il lino venivano battute con bastoni per suddividerne le fibre in parti successivamente lavorabili.
Ma molto più interessante è il risultato che si ottiene con l'aggiunta del carattere di "carne". Infatti abbiamo così la parola 股 - gǔ, che significa "gluteo, chiappa", cioè la carne da bastonare, in rifermento al fatto che il potente, nella sua infinita saggezza, bastona l'infingardo sottoposto che osa ribellarsi a quelli che, scioccamente nella sua presuntuosa ignoranza, ritiene soprusi e prevaricazioni, proprio sulle chiappe al fine di non causare danni alla sua manodopera. Così punisce il reprobo, ma ne preserva l'efficienza. Infine, per aver protestato di essere stanco ad essere sempre l'unico a pagare, il villano si ritirerà con il deretano rosso e dolente, ma, reso comunque edotto di ciò che lo aspetta se continuerà a disturbare, rimarrà sempre in grado di continuare a svolgere la propria corvé, al posto che gli compete, senza calo di rendimento. E' curioso che lo stesso ideogramma per significato traslato significhi anche "capitale azionario dell'impresa", cioè la parte più polposa, suinamente parlando della ricchezza e che, addirittura unito al carattere di "oro" componga il bisillabo 股金 - gǔ jīn, che rappresenta "l' azione bancaria", vista come quella più ricca e sicura. Evidentemente anche in Cina le banche sono considerate secondo un sentire comune e non proprio positivo.
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martedì 28 giugno 2011
Il Milione 48: Tra i cannibali.
L'Estremo Oriente mi ha sempre affascinato. Ogni volta che ho potuto calcare quelle strade, un senso di meraviglia mi accompagnava. Lo potremmo catalogare come fascino dell'esotico, non ci sono dubbi, ma è anche lo stupore per il nuovo e diverso, per le cose talmente lontane da quanto si conosce per abitudine e cultura a prenderti, lasciandoti sempre osservatore curioso e pronto ad immagazzinare le nuove informazioni che ti circondano. C'è una piccola isola davanti a Singapore, Sentosa, oggi adibita a zona di relax e divertimenti per la grande città stato dove tutto è meticolosamente organizzato per la produzione e l'efficienza. Come era gradevole trascorrere qui una giornata tra il grande acquario e lo zoo a conoscere tutte quelle creature strane e mai viste, la voliera di cui non vedi i confini, l'area enorme dedicata alle farfalle che a migliaia si posano sulle tue braccia, il giardino botanico dove ad uno ad uno sfilano i legni odorosi e le spezie, i ristoranti all'aperto dove, la sera, con i piedi nella sabbia guardi il cielo e non trovi più la rassicurazione della stella polare, a constatare che non sei più nel mondo che conosci. Rimani con gli occhi in su a ricercare disegni sconosciuti pasticciando con le bacchette nella tua scodella di porcellana azzurra, sorbendo la laksa, la zuppa di noodles di riso al pollo e gamberi, l'abbinamento regale dell'oriente, mentre il gusto di spezia e di cocco ti vellica le papille. (chiisà se sarà poi stato davvero lui a portare gli spaghetti n Italia, cosa di cui comunque non si è mai vantato).
Cap. 161
...e dopo 500 miglia a mezzodie si truova un'isola ch'à nome Pentain e che è molto salvatico luogo. Tutti i loro boschi sono di legni odorosi... ed io Marco Polo vi dimorai 5 mesi per lo mal tempo che mi tenea e ancora la stella di tramontana non si vedea, né le stelle del maestro (Orsa Maggiore)... In questo reame sono uomini ch'ànno coda grande più di un palmo e dimorano ne le selve de le montagne; le code son grosse come di cane e àn molto pelo.
Credo che chiunque si trovi di fronte agli occhi buoni dell'orango che sbuccia una banana non potrebbe descriverlo se non come un uomo, tanto i suoi sguardi ammiccanti ed i suoi movimenti per attrarre l'attenzione sono vicini a noi ed al nostro sentire. Ma la vicina Indonesia è ancora oggi una delle terre più interessanti per le culture primitive e diverse che ospita nelle sua centinaia di isole, in ognuna delle quali, antiche abitudini, magari solo edulcorate dalle leggi attuali, rimangono a ricordare un passato recente di tagliatori di teste, di lavori di rimpicciolimento, di strani culti dei morti.
Cap. 162-166
E vo' vi far a sapere di quei che menano li piccoli uomini d'India, si è menzogna, ché quelli che dicon uomini sono piccole scimmie, che ànno volto simile all'uomo e li fanno in queste isole; le pelano salvo la barba e il pettignone (l'inguine), poi lascianle seccare, concianle che pare che siano uomini e questa è una grande buffa... Qui la gente è molto selvatica e quando uno muore poscia lo cuociono e quando è cotto vengono tutti li parenti del morto e mangiallo con tutte le midolla dell'osso, che non vogliono che ne rimanga sostanza che faccia li vermini che poi morrebbero per falta di mangiare e di questo, l'anima del morto n'avrebbe grande peccato. Poscia piglian l'ossa, pongonle in un'arca e apiccalle in caverne ne le montagne. Così se posson pigliare alcun uomo d'altra contrada, sì 'l mangiano.
Certo i costumi cannibali sono oggi forse scomparsi, ma il culto dei morti è ancora oggi in certe località interne, di grande impatto. Al centro di Sulawesi, (come ho già raccontato qui) tra le caverne dove i Toraja ripongono le arche con le ossa dei loro morti, io e la mia bambina ci aggiravamo solo pochi anni fa, cercando lo spazio dove mettere i piedi senza calpestare tibie e teschi, che fuoriuscivano dalle casse muticolori che il tempo aveva marcito e aperto naturalmente. E il grande funerale a cui assistemmo durava da un mese, con sacrifici giornalieri di bufali e maiali, la cui carne, bollita in grandi pentoloni dietro le capanne, poi maggiammo con tutta la comunità nei piatti che venivano distribuiti a tutti gli astanti, tra canti e danze che coinvolgevano il villaggio, almeno ritengo fosse maiale o bufalo. Questo rappresentava certo una redistribuzione della ricchezza, come presso altre culture i grandi matrimoni, ma anche un legame con riti ancestrali mai dimenticati. Fu una esperienza forte che ancora oggi mia figlia ricorda con particolare intensità. Marco Polo non poteva certo non riportarla.
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lunedì 27 giugno 2011
Recensione: Yehoshua - L'amante.
Voglio suggerirvi come lettura estiva da portare in vacanza, questo bellissimo libro di Yehoshua, opera che ha contribuito giustamente a dargli la vetrina internazionale che merita. Oltre ad essere una storia gradevolissima, che si legge davvero con piacere, il libro rappresenta anche un bello strumento per cercare di capire l'intricato ed irresolubile nodo, palestinese israeliano. Anche la struttura del racconto è molto accattivante. La storia viene svelata direttamente dai vari personaggi, ognuno dei quali, indipendentemente dagli altri, racconta le stesse vicende dal suo punto di vista particolare, con i suoi problemi e le sue pulsioni. Una sorta di Rashomon in cui le verità sono tante ed in contrasto tra di loro e tutte hanno la loro valenza nell'illustrarti le sfaccettature della storia, in una sorta di cubismo narrativo, dalle tante facce diverse che si completano l'un l'altra, pur non ridondante. La guerra del Kippur, in cui vengono in superficie definitivamente tutte le contraddizioni di questa terra disgraziata, i grandi avvenimenti, il consolidarsi del terrorismo e gli orrori propri di tutti i conflitti, fanno da cornice agli avvenimenti quotidiani di una famiglia in crisi; un padre ormai vinto dalla routine di una vita pur di successo, una moglie sempre più disattenta e distante, una figlia nel gorgo dei problemi adolescenziali, un ragazzo arabo nelle difficoltà di un sistema più grande di lui, un giovane ebreo catapultato dall'estero in un mondo che non è più suo ed in cui cerca di adattarsi con stupore continuo, una anziana che vive in un suo mondo di ricordi dell'Israele dei primi immigrati. Un tourbillon di vicende personali che ruotano attorno ad un'unica realtà, il dramma di questi due popoli così uguali, così estranei, che non riescono a capirsi e ad accettarsi, quasi che l'altro sia stato calato lì per caso come un corpo estraneo e non accettabile ontologicamente, indispensabile invece nella pratica della vita di tutti i giorni, di cui una piccola Mini Morris del 46 diventa simbolo e file rouge allo stesso tempo. Di certo insegna di più questo libro sul problema palestinese, di tanti saggi e trattati. Sono sicuro che non vi dispiacerà.
P.S Visto che mi è stato segnalato vi aggiungo anche il trailer del film del 1999 di Faenza disponibile in DVD.
P.S Visto che mi è stato segnalato vi aggiungo anche il trailer del film del 1999 di Faenza disponibile in DVD.
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domenica 26 giugno 2011
Tutti al lago!
Archiviato il mare si passi ora al lago. Ma certo, lo so già, ci sarà chi salta fuori con la superficie grigio piombo che come una malia morbosa, obnubila le menti e spinge le menti confuse e anche quelle così così, a lasciarsi andare, a deprimesi, attratte dai gorghi nascosti verso una pace che spegne la voglia di vivere. Un catalizzatore malevolo di rara efficacia. Tutte chiacchiere, anche se è vero, per goderlo appieno, ci vuole la giornata perfetta, come era ieri. Un sole pieno e caldo senza essere oppressivo, un cielo terso e limpido ad esaltare i risalti verde cupo delle rive, testimoni muti con le loro espressioni vegetative di un clima mite, quasi tenero, che sa accarezzare le balze ripide irrorandole continuamente con l'umidità necessaria ad infoltire, a rendere grasso e ricco un ambiente tra i più gradevoli che si possa pensare. I colori vivaci e forti di una fioritura onnipresente, il blu intenso della superficie dell'acqua che una brezza leggera increspava come le pennellate forti di un impressionista in plein air. Di fronte a noi le gemme preziose delle isole Borromee formavano una composizione talmente perfetta da sembrare artificiale, curata da un sublime architetto, per il piacere degli occhi. I giardini, le azalee blu e rosa, le palme non ancora insidiate dal punteruolo, le siepi potate con cura maniacale così spesse da mettere la curiosità sui segreti che nascondono, le vele piegate che solcavano lente le onde corte e sottili, saresti stato così per ore, avvinto da una sensazione di benessere intenso, una voglia di prolungare uno stato fisico e mentale all'infinito. Ma non basta, perchè al di là di tutto questo, c'è ancora molto di più.
I cari amici che ti aspettano per esaltare tutto questo quadro di fondo con il piacere della compagnia che certo da sola riempirebbe completamente il tutto, ma che per essere ancor più indimenticabile è stato condito con una tavola magistrale. Un vascello previdente aveva provveduto a portare dalla lontana Sardegna, derrate e squisitezze rare e ricercate, per un pranzo tematico di cui voglio farvi parte, non tanto per suscitare invidie indegne, ma soltanto per illustrarvi a quale livello si può giungere quando l'affetto verso i propri ospiti, si combina alla capacità organizzativa. La vedova Ponsardin ha aperto le danze accompagnando un tavolo di eccitazione che come una promessa ha aperto lo spazio alle delizie che sarebbero inevitabilmente seguite. Crudité e grandi olive condite, hanno fatto da ancelle ad un formaggio bianco di capra dalle note di rara freschezza, seguito dalle grosse scaglie di un pecorino di media maturazione, quasi dolce ad accarezzare il palato senza aggredirlo. Salsicce e salame a piccole fette che inspiegabilmente parevano essere sempre poche e chiedevano nuova lena ad affettare, quasi senza soluzione di continuità. A contorno un altro sottile coltello non lesinava sottili ostie di bottarga saporosa.
Su tutto, ça va sens dire, carta da musica per accompagnare ogni cosa, valet de chambre muto ma insostituibile. Saziate le prime prurigini, eccoci di fronte ai classici tortelloni di ricotta, cicci e pienotti che paion dirti "prenditi, dammiti currucucù", seguiti da grandi teglie di gnocchetti di semola annegati nel più regale sugo di cinghiale che possiate immaginare. Un vermentino fresco e beverino par dirti, mangiane, mangiane che io ti aiuterò, per poi poterne mangiare ancora. Ma la straordinaria padrona di casa, teneva ancora in serbo il più potente colpio di cannone; ed ecco arrivare, spalancatesi le bocche del forno, il re della giornata, che aveva lasciato l'isola lontana e si era sacrificato per noi ed il nostro piacere, un porceddu arrosto di mirabile tenerezza, dai cosciotti polposi e ambrati, di cui non riuscivi a dire basta, anche se stomaco e buon senso, continuamente ti richiamavano all'ordine. Un Cannonau corposo e pieno sapeva pulire la delicata grassezza di quelle carni dorate e talmente morbide da portarti alla commozione, subito vinta dal trionfo di un vassoio di dolciumi sardi di ogni tipo e varietà, anche qui per invogliarti con malizia, a provare, testare, sperimentarne il ventaglio di soluzioni, dove il miele e la mandorla sanno dare il loro meglio. Mirto, finocchietto, ginepro, tanti liquori maison preparati con amore da una padrona di casa che ci ha voluto coccolare fino all'ultimo, hanno reso difficile staccarsi da quella casa, da quell'ambiente, da tutta quella piacevole bellezza. Franca e Italo, grazie!
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venerdì 24 giugno 2011
Tutti al mare.
Ormai il giorno del solstizio è passato con buona pace dei sacerdoti druidici che hanno festeggiato in qualche prato cercando di tagliarsi la gola l'un l'altro coi falcetti dorati, gioco molto in voga nell'ambiente; ma intanto per tutti noi comuni mortali, è scoppiata l'estate. Diciamola tutta, per noi gente della piana, estate vuol dire mare e niente altro. E' una cosa misteriosa, una moda che risale poi a un secolo fa o poco più, ma c'è qualcosa di morboso ed indefinibile che conduce questa mandria infinita a transumare fino a conoscere il litoral della marina e in questa stagione, quasi che l'obbligo di essere condotti da Abilene verso i macelli di Dodge City, o viceversa, le letture di Tex si fanno ormai confuse nella mia testaccia di vecchio, sia insita nei geni di questa specie e non sia necessario nessun gruppo di mandriani a condurla, ma volontariamente la greggia, nell'aria sanza mutamento, porti la sua lana a confondersi con la sabbia. Va bene che per il Divino Vate era Settembre, ma per noi ormai si comincia a giugno. Così ieri eccomi, bardato di tutto punto, guadagnare la riva petrosa e giungere, quasi strisciando tra i ciotoli della battigia, al punto scelto con attenzione, dove spiaggiare il corpaccio seminudo, tricheco in pectore che agita stancamente le grandi pinne col muso ingrugnito.
C'è un qualche cosa di morboso nello stare sdraiati per un tempo indefinito a crogiuolarsi nell'ozio animalesco del pinnipede sazio, che in fondo si muove malamente tra il ciotolo che offende il piede abituato a morbidi calzari e a superfici più consone. Eppure la sensazione di beatitudine che si legge sempre negli occhi inespressivi dei grandi agglomerato di animali marini che occupano arenili lontani è la stessa. Ma il momento che ti fa davvero assaporare il piacere della situazione, che ti appaga consolatorio delle sofferenze provate per raggiungere la posizione, le ore di auto, le code, lo slalom tra gli altri concorrenti al tuo metro quadrato di spiaggia, si raggiunge quando, senza un apparente motivo scatenante, il corpaccio si muove di forza propria e con lentezza studiata scivola adagio verso l'acqua. Tu penseresti che qui, nel suo elemento naturale, il capodoglio spiaggiato per errore sulla riva, riacquisti la sua magica ed affascinante motilità. Qui, nel suo elemento naturale la massa mostruosa acquisirà di certo una sua agilità naturale, data dall'elemento stesso che la trasforma in cetaceo guizzante tra le onde e all'apparenza senza peso. Invece no, alcuni, come me, evidentemente inadatti al nuoto, continuano a muoversi con fatica, sguazzando nelle acque basse, evendo cura di tenere ben al di fuori della superficie le aperture respiratorie, sempre timorosi di sprofondare nell'abisso tenebroso. Però che meraviglia quell'essere avvolto dall'acqua cristallina e trasparente (anche se ancor gelida, ma naturale per le otarie).
Ci staresti dentro per ore. In effetti sopravviene un senso di leggerezza impagabile (Archimede non ha studiato invano) e l'umore passa direttamente sul bello stabile. Risali a fatica e quasi con dispiacere a riprendere la posizione dove riapprocciare la tua posizione meditativa per un tempo senza tempo, tranquillo che l'andirivieni delle nubi non renderà i raggi del sole di giugno troppo aggressivi. Ti ricorderai però, la notte, di quanto sia stato errata questa considerazione ingenua e facilona, quando le ustioni sulle spalle e sul collo, che nessuna crema riesce a lenire, pur se spalmata da mani amorose, ti renderanno edotto di quanto ingannevole sia il mefitico ultravioletto che malevolo e crudele, traversa le nubi e implacabile compie la sua opera distruttiva sulla tua tenera epidermide. Il prossimo anno starò più attento, è il mantra da ripetere.
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mercoledì 22 giugno 2011
Il peso dell'aria.
Ieri pomeriggio faceva un caldo soffocante, il primo caldo vero dell'estate, con l'umidità che si appiccica tra stoffa e pelle e ti fa sentire sempre sudaticcio e a disagio. Su questa piana alessandrina, dove le infinite spighe di grano cominciano a piegare la testa come stanche di vivere e il mais alza le foglie al cielo agonizzando acqua, alla fine di giugno non arrivi più a vedere lontano. L'umido e il calore che sale dalla terra offusca l'aria, annebbiando le cose che paiono tremolare verso l'orizzonte quasi non fossero reali ma fantasime maligne. Anche la macchina sembrava faticare mentre cercavo il paesino dove tra i campi è sorta una nuova grande casa di riposo. Che nome ingannevole e crudele in questa espressione che abbiamo coniato per questi non luoghi dove il nostro modello di società, capace dello straordinario risultato di allungarci la vita, non ha saputo trovare soluzioni differenti, accettabili. Un albero ancor giovane, davanti all'ingresso sotto il quale si raggruppano un gran numero di carrozzine, con le loro statue di sale immobili che ti seguono però con gli occhi traboccanti di domande mute, mentre entri. Ho saputo che qui è ricoverata la mia professoressa di italiano della terza Liceo, ma sì, quella di cui vi ho già parlato, che mi dava sempre quattro. La troviano nello stanzone che funge da sala da pranzo, magrissima, come allora per la verità, e immobile sulla sua seggiola davanti ad un bicchiere di thé. Quando le spiego chi sono, sembra aggrottare per un attimo la fronte, come a ricercare in quel passato lontano, offuscato dall'umidità calda.
Finge di ricordarsi di me; le enumero un po' di compagni, quelli più bravi, i suoi preferiti, che le davano qualche soddisfazione; quello alto e biondo che è diventato ammiraglio, quello piccolo, poi professore di lettere come lei e proseguo l'elenco di tutti i migliori a cui forse era più affezionata, che oggi sono grandi medici o famosi avvocati, ma il suo sguardo vaga nel vuoto, cerca appigli che non trova, preso da altri bisogni contingenti e più reali, il dolore, la coscienza del proprio stato, la solitudine dura e cattiva, quello che ti circonda, con i tuoi compagni che si lamentano, che si muovono compulsivamente con gesti reiterati o solo in cerca di un contatto con la vita, come straniti da un luogo sconosciuto o all'opposto ormai abituale. Rimaniamo a lungo senza parole vere, contrabbandando per reale un chiacchiericcio utile solo a riempire il vuoto. Come allora ci vede poco, ma al di là delle spesse lenti, ci senti un desiderio di contatto che ancora non si spegne. Le ho portato il mio libro, non per farla ricredere sui suoi giudizi di un tempo, ma tanto per convincerla che erano serviti di stimolo, che forse anche tutti quei quattro mi avevano dato qualche cosa. Mi sono raccomandato, ridendo, che lo leggesse con attenzione, magari sottolineando con la matita rossa e blu come allora, le bestialità più marchiane, le costruzioni troppo avviluppate e cacofoniche su cui insisteva tanto. Le ho ricordato la sua predilezione per il Pulci e Sperone Speroni, che ci aveva lungamente illustrato a danno di Parini a Foscolo, ma la sua bocca si è solo un poco increspata in un sorriso di convenienza. L'abbiamo lasciata vicino allo stesso tavolo nella grande sala con le finestre chiuse, gli occhi perduti nel vuoto, il bicchiere di thé ancora pieno. Si sa, i vecchi bevono poco e hanno sempre freddo.
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martedì 21 giugno 2011
Il Milione 47: Leocorni e alberi del pane.
Prahos nel porto di Surabaya |
Adesso basta con le leghe che me lo hanno affettato abbastanza. Però è difficile levarsele dalla testa certe cose, quindi rimaniamo sulle leghe, ma molte e assai distanti da noi, quelle che Marco Polo ha già percorso con la sua flotta di navi sul viaggio di ritorno nella circumnavigazione dell'Asia. Il passaggio obbligato è l'arcipelago indonesiano di cui ci racconta ricchezze e stranezze con dovizia di particolari.
Cap. 159
Frutti della palma da vino Quando l'uomo si parte da Ciamba (Vietnam) e va a mezzodie ben 1500 miglia, si viene a una grandissima isola ch'à nome Java e dicono che è la maggiore del mondo. Ed è di molto grande ricchezza: qui à pepe e noci moscade e spigo e galinga e cubebe e garofano e tutte le care spezie. Non ànno grano ma riso . E ànno albori che tagliano li rami , gocciolano e quell'acqua che ne cade è vino e àvvine del bianco e del vermiglio. Qui à una grande maraviglia , che ci àn farina d'albori che sono grossi e ànno la buccia sottile e sono pieni dentro di farina (sago)e di quella si fa mangiar di pasta e buona e io più volte ne mangiai. A questa isola viene grande quantità di navi e mercatantie e fannovi grande guadagno. Lo grande Kane no l'à potuta conquistare per lo pericolo del navigare e della via sì lunga , ma li mercanti ne cavano grande tesoro.
Albero del pane |
Certo Giava è un'isola che per noi rappesenta l'esotico per eccellenza a partire del nome. Anche io rimasi impressionato dalla enorme presenza nel porto di Surabaya, di navi di tutti i tipi, che si affollavano caricando e scaricando merci in grosse balle avvolte in stoffe e strette da cordami rozzi e all'apparenza primitivi. Imbarcazioni antiche che ti riportavano alla mente i prahos di Sandokan e i pirati della Malesia, ma rappresentazione di una vita commerciale frenetica e carica di odori di spezie. Gli stessi che trovavi nei piccoli ristoranti del porto, tra spiedini di pollo annegati in montagne di Nasi goreng, il riso fritto con il dolce dell'uva secca, di certo arrivato con i mercanti arabi, i piatti a base di sago o dell'albero del pane. Non ho mai avuto cuore di provare il vino di palma che tanto entusiasmò Marco anche se con il ayram goreng bumbu (pollo fritto speziato di cui Acquaviva mi ricorda la ricetta) ci sarebbe andato a pennello. Ma il suo racconto è come al solito molto dettagliato sia nel raccontare le attitudini religiose che nel chiarire la falsità delle leggende che giravano nel mondo antico, sempre disvelate quando le cose si vedono di prima mano e con i propri occhi.
Cap. 162
I famosi unicorni Sappiate che li mercanti sarracini che usano in questo reame con lor navi, ànno convertito questa gente alla legge di Maomet... ma si richiamano al Khane ma no li fanno neun trebuto perché son sì a la lunga ma alcune volte presentano d'alcuna strana cosa. Elli ànno unicorni che non son minori di elefanti; e son di pelo bufali, i piedi come di lefanti; nel mezzo de la fronte un corno grosso e nero; lo capo ànno come di cinghiari e la lingua tutta spinosa. E dicovi che portan la testa inchinata verso terra e sta molto volontieri tra lo fango. Ell'è molto laida bestia e non è come si dice di qua, ch'ella si lasci prendere da la pulcella, ma è il contrario.
Certo sull'unicorno, che si credeva creatura bellissima che solo una vergine pura poteva catturare, circolavano leggende ben lontane dalla realtà cruda con cui Marco descrive alla perfezione questo rinoceronte, mentre certifica la presenza mussulmana che i mercanti arabi vi avevano insediato da almeno un secolo in particolare sulle zone costiere di Giava. Caldo, monsoni, profumi di spezie, palme e lungo la spiaggia gruppi di studentesse velate davanti ad un oceano dalle onde maestose. Un ricordo composito che mi è rimasto di questa terra affascinate e ancora segreta per molti aspetti. Marco l'ha soltanto sfiorata, ma anche lui ne è rimasto conquistato.
Studentesse di una scuola di Surabaya |
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lunedì 20 giugno 2011
Verde pisello.
Che tristezza il mogio pratone verde pisello sempre più ammosciato. Neanche più fanno effetto le pillole azzurre. Ormai manca anche il coraggio di mostrare a TV e giornalisti trote e altri pesci. Ci si rifugia celticodemocristianamente in un folklore che soffochi i mugugni dei fedeli con le corna, legati alle operazioni operettistiche della prima ora, sognatori di marce su Roma e birrerie di secoli passati. Grandi tuoni ingobbiti dunque dal palco, ma niente tempesta, neanche pioggerellina e non poteva essere altrimenti, ma come sempre alti ministri e responsabili di governo che accusano lo stesso governo di improvvida incapacità, anche se questo sembrerebbe incredibile a raccontarlo a qualcuno. Ma come, tu sei al governo da un ventennio, un po' con gli uni e un po' con gli altri e ti lamenti che il governo non è capace di combinare nulla? Nemmeno nell'Atellana più sganasciona e volgare si farebbero battute simili. Ma qui è la norma, bisogna dare un contentino alla base che rumoreggia con i mantra del passato, quindi lenzuolata di richiestone (a sé stessi?), ma se le leggi tra le righe sempre sfumate e interpretabili a soggetto, con lo stile classico di quei decretoni ruggenti di obblighi a cui però, per apparente dimenticanza, si scorda di scrivere il comma delle sanzioni da comminare in caso di non ottemperanza.
Parole che possono valera per la bionda e per la brunetta, nani e ballerine della compagnia di giro, ma che alla fine l'imperatore accoglie con un sospiro liberatorio, appena capito che sotto c'è il nulla, solo un avviso a Giulio che è stato prescelto il capro da sacrificare, l'unico forse che non mangerà il panettone, ma tanto ormai c'è abituato. Intanto accoglie con un risolino sghembo le richieste opposte che gli arrivano da tutte le parti e rimane lì nella speranza che si annullino l'una con l'altra, ma i numeri sono numeri e non chiacchiere e se da tutte le parti si chiede di diminuire le tasse, e chi non è d'accordo, dalla parte dei numeri e della logica nessuno può fare quello che solo un governo di unità nazionale potrebbe fare senza timore di inimicarsi i votanti, la cura da cavallo che tutti conoscono e che solo se si paga in 60 milioni e tutto quello che serve fino all'ultimo euro, puoi tirare fuori il paese dal baratro. Qui a fianco, c'è un contatore; dategli un'occhiata, è il debito pubblico italiano; non si ferma mai, neppure di notte. E' un debito che abbiamo a carico noi, non qualcun altro; non conta chi l'ha fatto, l'unica cosa certa è che siamo tutti noi che lo dobbiamo pagare.
Certo tutti protesteranno che loro hanno già pagato e caro, ognuno dirà che è quello che ha già pagato di più e per molti è anche vero, ma questo non serve più, non esistono altre soluzioni per tirare fuori 130 miliardi di euro in tre anni, altro che diminuire le entrate. Tutti quelli che hanno fatto aritmetica alle elementari sanno bene che non si cavano queste cifre colpendo solo uno o l'altro dei gruppetti che hanno sempre pagato di striscio o sono stati furbamente fuori dal tiro. Troppi ne servono di soldi; solo con lacrime e sangue per tutti puoi tamponare gli squarci nella chiglia e rimanere a galla. E quindi solo un governo in cui ci siano tutti, indifferenti alle ire dell'elettorato, può aumentare le tasse (altro che diminuirle), reintroducendo quelle improvvidamente tolte, menare fendenti dolorosi e strutturali su sanità, pensioni e spesa pubblica, alleggerendo tuttalpiù per chi crea occupazione, ma reale e stabile, non certo truffaldinamente precaria come è stato concesso per due decenni, per aumentare i problemi futuri e facendo ponti d'oro per chi vuole arrischiarsi ad investire in questo disgraziato paese.
Certo bisognerà accompagnare l'amarissima medicina con qualche provvedimento di manifesto morale, che pur avendo poca valenza in termini di cassa, rappresenti un esempio che tutti piangono davvero, poveri e ricchi e soprattutto politici, come abolire immediatamente province, parlamentari, emolumenti di giada, tanto per placare un poco la piazza, ma intanto non fatevi illusioni, sarà sempre la parte più debole e numerosa che deve pagare il resto (che è la maggior parte) del conto salato che ci ha preparato il craxismo andreottiano della Milano da bere e che l'ultimo Ventennio, che come i precedenti sta volgendo al termine, ha lasciato lì a marcire sperando che si pagasse da solo. L'alternativa è il precipizio, lo sprofondo all'Argentina o alla Weimar, dove con la pensione o lo stipendio non si riesce più a comprare un chilo di pane e dove poi la massa acefala si governa con facilità e allora si comincia davvero a spaccare tutto e come sempre si chiede sangue, ma sangue vero stavolta fino a quando arriva un uomo forte che lo beva. Perché quando i Maroni sono pieni, non serve scorrazzare sui prati sbiaditi o mitragliare i barconi, bisogna ragionare con i numeri.
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Staccare la spina.
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domenica 19 giugno 2011
E.Coligia comparata.
Con buona pace di chi ci ha lasciato la pelle, anche il batterio della cacca, se ne sta andando nel dimenticatoio, divorato da altre più importanti notizie, come Pontida. Non ce l'ha fatta, poveraccio, lui, così abituato ad ambienti scuri e sgradevoli, anche se ci si trova benissimo, a far fuori quella specie rognosissima che è l'Homo. Quello ha sette vite, non ci sono né radiazioni, né veleni, né attacchi biologici che tengano, Ne fai fuori un po' e lui, zac, subito si adatta, resiste, come tutte le male piante e dopo un po' non gli fa più né caldo e né freddo. E continua a moltiplicarsi implacabile, mangiandosi, come tutti i bravi parassiti che si rispettino, l'organismo che lo ospita. Non irritatevi, è la sua natura. Al contrario, questo poveraccio di Escherichia si è modificato geneticamente, come succede tranquillamente in natura e questa volta ha voluto tentare anche uno sberleffo crudele. Stanco forse di sentire scemenze interessate sul biologico, biodinamico, macrobiotico, sano e naturale come una volta, ha pensato bene di saltar fuori proprio in uno di quei posti che vengono creati come templi newage dai seguaci delle nuove religioni. Pensa un po', proprio per irridere i cultori del naturale a tutti i costi, che fa bene proprio come categoria filosofica, è andato a ficcarsi dove la natura lo vuole, sui teneri germogli naturali, che fanno tanto bene, per fare il lavoro che faceva tranquillamente fino a non molti decenni fa, quando non imperava ancora la cattiva tendenza a lasciare un po' da parte la natura, spesso matrigna, e a introdurre un po' di tecnologia e pratica igienica.
Certo la maggior parte moriva attorno ai 50 anni, ma vuoi mettere come mangiavano sano e naturale! E che sapori, che profumi! Certo, si faceva del vino che oggi lo sputeresti subito per terra, ma vuoi metter che lo si faceva pigiando con i piedi sull'aia. L'olio di oliva era talmente acido da far paura e in quasi totale assenza di controlli, te lo rifilavano sfuso (che belli quei tempi senza tutti questi imballaggi inquinanti) tagliandolo come meglio credevano, per non parlare del latte, che tra febbri maltese e tubercolosi era una meraviglia per nonni e parenti del nostro povero Escherichia. Ma anche questo lo resuscitiamo con gli altarini degli erogatori del crudo, così i nuovi adepti, come baccanti invasate, se lo bevono senza bollirlo, vuoi mettere che sapore, come quello che mi dava la mia nonna! Lui ha tentato di mettercela tutta, stavolta, povero batterio, anche se la gente, giornalisti compresi non sapevano neanche chi era, né di averne qualche miliardo ciascuno nella pancia, tanto che dai telegironali più sprovveduti si è sentito dire "epidemia di i.coli", così fai vedere che sai l'inglese; ma mi sa che ha fallito anche questa volta.
Tra pochi giorni non ce ne ricorderemo più e potremo tornare ai supermercati a controllare che sulle etichette dei succhi di frutta ci sia scritto "naturale senza colesterolo" o come ho visto su un pacchetto di carote secche per bambini, comprati in Inghilterra: "junk food 0%". L'importante è épater le bourgeois, seguire l'onda, non contrastare la credulità popolare. Non si fanno i soldi andando controcorrente. Giustamente le tanto aborrite multinazionali, che saranno bastarde ma non sceme, stanno aprendo di gran carriera intere sezioni di cibo naturale, biologico e chi più ne ha più ne metta. Intanto le legioni di Escherichia Coli che si satollano nelle nostre pance tenteranno, ogni tanto, tra i miliardi di modificazioni genetiche che "secondo casualità e natura" avvengono ogni giorno, di tirarne fuori qualcuna davvero letale. Ma è fatica sprecata. Siamo ossi duri, qualcuno sopravviverà lo stesso. E' la natura.
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sabato 18 giugno 2011
Vino e abati.
Ultima giornata dedicata al vino, testimone di coltura e di cultura come poche altre cose al mondo. Un prodotto così difficile e complesso, che si produce con tempi lunghi, cure assidue e sapienti, che necessita di conoscenze specifiche e tecnologia sempre più raffinata per migliorarne la qualità, rappresenta lo spirito (in tutti i sensi) dell'uomo. Che senso avrebbe investire tanti sforzi per raggiungere quella sfumatura, quel sentore, la ricerca affannata di una nuance avvertita con difficoltà, che addirittura deve essere spiegata per essere completamente percepita, ignorata dai più che ingollano con indifferenza a premiare unicamente la quantità, se non si spiegasse con il desiderio insopprimibile dell'uomo di trovare l'acme di ogni cosa, la punta estrema della soddisfazione sensoriale, che diventa alla lunga speculazione filosofica e dignità di esistenza? E' un discorso complesso che sempre nella storia ha distinto chi, alieno dai bisogni di tutti i giorni poteva passare il suo tempo a parlare di filosofia e arte e chi, servo o schiavo doveva innanzitutto pensare a riempire pance per sopravvivere. Questa è il discrimine per quanti vogliono fare, generalizzando certi aspetti di nicchia, dedicati a chi può permettersi di pagare uno spread consistente per una sfumatura qualitativa, e l'agricoltura reale.
Correttissimo che esista e che ci si costruisca un business in questa economia asfittica, ma quando la si contrabbanda per la soluzione di un sistema generale allora si sente odore di fuffa. L'ho presa alla larga, ma così devi affrontare il mondo del vino, consumo regale dedicato ad un mondo fatto per economie ricche come fortunatamente è la nostra. Non a caso nuovo status simbol per le classi elevate di quelle economie emergenti che stanno determinando le sorti del mondo. Proprio nell'Alto Adige, e oggi lo voglio indicare con questa sua accezione italiana, il mondo enologico va a presentare molte di queste realtà. A pochi chilometri da Bressanone, l'abbazia agostiniana di Novacella sposa proprio questa attitudine all'eccellenza con le sue caratteristiche storiche ed artistiche. Anche qui nove secoli di vita e una presenza ancora piena ed efficiente di monaci, che conservano il meraviglioso antico e costruiscono l'eccellente moderno. La chiesa, uno dei più splendidi esempi del barocco bavarese, ti lascia senza fiato, così inondata di luce che si posa quasi accarezzando gli stucchi rosa ed azzurri, come a giustificare la ridondanza e il desiderio compulsivo di ornare, che aveva preso questo secolo; il vicino chiostro dalle volte gotiche, ricordo di altro pensiero e stile di vita, con le sue tracce di artisti del trecento; infine la bella pinacoteca, testimone di un passato ricco di committenze per importanti artisti, le tavole di Friedrick Pacher sopravvissute alle razzie bavaresi, gli oggetti liturgici, gli antichi strumenti musicali.
Ma il pezzo forte è costituito dalla biblioteca, ricca di quasi 100.000 volumi rari, dai manoscritti miniati dall'anno mille, agli incunaboli delle preziose cinquecentine, alle carte geografiche antiche. La sala centrale rococò contiene i volumi teologici ed è il vero gioiello dell'abbazia. Ti vien voglia di fermarti qui, al freddo, ben coperto, che il calore fa male ai volumi, a consultare qualche vecchio testo di filosofia medioevale, qualche carta di esploratori del mondo quando ancora gli spazi bianchi sulle carte erano tanti e pochi coloro che avevano desiderio di riempirli. Ma ecco subito il contraltare, la cantina moderna a produrre una linea di vini di alta qualità, in linea con la filosofia del luogo, 600.000 bottiglie che vorresti portare tutte con te e che devi invece lasciare qui vicino al gazebo delle 7 meraviglie del cortile centrale. Il tempo però incalza e al fine di passare dalle parole ai fatti, si è scelto, per la liturgia del caso, un altro luogo che pare creato apposta a questi scopi: il castello di Rametz.
Trentotto ettari di vigneto, parte dei quali a serrare il castello in un abbraccio affettuoso; cantine storiche dove è presente una bella collezione di strumenti vinari e di botti antiche che appagano l'occhio, ma che vengono lasciate doverosamente vuote a favore di tanta moderna ed efficace tecnologia, per una produzione di alta qualità, che una degustazione guidata impone anche ai palati meno usi a provare il piacere di scoprire il fondo di melone nel Riesling, la mandorla in uno straordinario Gewurtztraminer da riservare agli aperitivi, il retrogusto forte di prugna secca del Pinot nero, i petali di rosa di un moscato rosato d'affezione e infine i sentori di mela del Pinot grigio (Golden o Morgan, questo proprio non sono riuscito ad apprezzarlo). Orgia finale con lo speck Kaiser prodotto in azienda. Carichi del proprio pacchetto rimane giusto il tempo per una toccata e fuga nella grande passeggiata del Passirio a Merano, prima di inscatolare tutto quanto si è assorbito in questi quattro giorni, nel tentativo, spesso vano, di farne tesoro più avanti.
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venerdì 17 giugno 2011
Le damine di Innsbruck.
A Innsbruck ci puoi andare venti volte ed ogni volta rimani incantato, ogni volta ci trovi qualcosa che non avevi ancora visto e che invece valeva la pena di vedere. Oppure la rivedi e la sua bellezza te la fa apparire come nuova, godibile e meritevole di attenzione. Con il piccolo centro antico raccolto attorno alla via storica, passi dalle facciate di vetro che circondano il nuovo palazzo comunale in cui si specchiano le facciate ottocentesche, alla sua magnifica Cattedrale dagli stucchi rosa, coi mille inganni barocchi, le cupole trompel'oeil, l'impressione tridimensionale delle sue canne d'organo, il marmo fitto, lo splendore e la ricchezza dell'altare che circonda il gioiello attorno al quale la chiesa pare costruita, la splendida Madonna con Bambino di Cranach il vecchio. Certo che c'è molto da ragionare sull'immenso debito che l'arte e la bellezza devono allo spirito religioso, forse fino al punto da iddurre a perdonarne quanto di orribile è stato fatto e si continua a fare in suo nome. Il Tiroler Volkskunstmuseum, poi ti avvolge con le sue strepitose collezioni di artigianato artistico del Tirolo, la sue serie di Stuben perfettamente ricostruite, la sua sezione dedicata ai presepi artistici che da sola varrebbe la visita.
Ma è nella cappella di corte, che vieni pervaso dall'atmosfera asburgica più completa, severa e leggera al tempo stesso, con il cenotafio di Massimiliano I, circondato da una serie di figure in bronzo imponenti ed indimenticabili. Ma Innsbruck è passeggiare lungo le case dai colori pastello, con la serie di bovindi che occhieggiano, sporgendosi nella via come a porgersi leziosi, con la grazia di imperatrici gentili e bellissime. E ti par di sentire carrozze, scalpiccìo di cavalli, schiocchi di frusta, risate di fanciulle, tacchetti che risuonano sulle lastre di pietra antica. Stai sotto il Tettuccio d'oro, osservi le scandole di rame ricoperte che risplendono anche se il cielo è imbronciato e senti l'Inn poco lontano che rumoreggia come un torrente di monte mentre scende dalle forre verdi e selvatiche che circondano la città. Ti fa voglia di altri tempi, di rimanere almeno per poco in un passato un po' favola, un po' storia romanzata, fatta di principi e di scarpette, di ufficiali impettiti, di dame dai grandi abiti color pastello. Ti disturba lasciare la favola, quindi ecco per te il Goldener Adler, ristorante aperto da quasi 800 anni, con le sue sale antiche dove hanno seduto Ghoete, Camus, Rossini, regnanti e premi Nobel, personalità famose e semplici turisti in cerca di emozioni d'antan.
Ambiente ovattato dove gustare una zuppa di cipolle da sballo per aprire lo stomaco al piatto forte, il bollito tradizionale in una delicatissima salsa di rafano. Infine un tris di delicatezze cioccolatose, mediate dai sapori dell'alkechengi e del ribes e vorrete rivolgere un sorriso e un baciamano alla damina che vi sorride accanto per poi risvegliarvi improvvisamente scoprendo al suo posto, il vostro barbuto compagno di viaggio. Ma la giornata è ancora lunga, così siamo rimasti nel passato ad Halls, per immergerci nella storia dell'economia e del denaro, seguendo un interessante percorso creato nei locali dell'antica zecca e infine, per non far mancare nulla anche alle signore, un tuffo in quella attrazione alla Disneyland che è il museo Swarovsky, dove un percorso mirabolante attraverso le luci, i colori ed il rutilare di cristalli di ogni forma e dimensione, raggrumati in opere d'arte dai più grandi artisti del moderno panorama internazionale, ti conduce piano piano alla grandissima sala acquisti dove la frenesia femminile shoppistica potrà avere finalmente il suo sfogo. C'è da godere per tutti, come si dice.
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