domenica 31 agosto 2014

Patate di montagna il gusto ci guadagna

Scusate se latito un po', ma sono preso da mille impegni e grane varie, inclusi spostamenti, trasferimenti vari e preparazione del prossimo viaggio. Comunque, mentre preparo la valigia, devo fare una considerazione che voglio girarvi su queste pagine, anche da voi sempre più neglette, mi pare, a vedere i numeri e va bene che siamo d'estate, ma tra crisi e maltempo, dovreste passare un po' più di tempo sul computer. Tuttavia come credo concorderete, va bene pensare ad andarsene di qua e di là, ma pure un po' di tempo a casa bisognerà passarlo, anche solo per pagare bollette e pensare a tutte le rogne che ti trovi nella buca delle lettere ogni volta che arrivi alla avita magione. Dunque bisogna pensare anche a mettere da parte delle robuste scorte per l'inverno, fare cambusa insomma, come deve fare ogni previdente formichina. A cominciare dalle patate. Ma che non siano patate qualunque. Vuole infatti la vulgata che, avendo la possibilità di metterci le mani sopra, le patate di montagna siano infinitamente più buone delle patatacce di pianura, enormi e rimpinzate di ogni porcheria kimica. Quindi da anni si cerca, durante la stagione estiva trascorsa tra i monti e le caprette che fanno bau o quello che è, di contattare un produttore di fiducia che possa fornirne un idoneo quantitativo. Purtroppo come ben immaginerete, da un lato la terra è bassa e dall'altro la montagna si sta spopolando e i montanari che integravano la magra dieta di tome dei pastori, frutti di bosco e funghi raccolti sulle balze dei monti, calano di numero di anno in anno e sono ormai ridotti ad una sparutissima schiera di malmostosi gestori di agriturismi che preferiscono fare il grano rifilando polenta e salciccia a cittadini sfiancati dalla fatica di salire a piedi fino ai vari alpeggi, che a spaccarsi la schiena a scavare patate tra la dura roccia. 

Quindi ogni anno devi correre qua e là a cercare, tramite raccomandazione di qualche  amico fidato, qualcuno che, proprio per farti un favore ti conceda un sacco di una cinquantina di chili di preziosi tuberi, raccolti in quota, pieni ti terra e di scabbia, perché capirà, io non gli do niente e quella è solo brutta da vedere e mica fa male. Così almeno ti raccontano chiudendo col piede la porta dello stazzo dove tengono chiusi i bidoni di antiparassitari di prima e seconda classe, come del resto prevede la legge. E fin qui va tutto bene perché chi si è almeno un po' interessato di agricoltura sa che se no, di roba non ne mangi, ma siccome per una certa parte della mia vita, ho lavorato nel settore e ho qualche nozione di base, ogni volta, non riesco a tenere la bocca chiusa e a chiedere almeno di che varietà si tratta. In generale mi ritrovo davanti due occhi stralunati che vogliono significare, ma come non ti basta, pasta bianca o pasta gialla? No vorrei sapere quale varietà mi fornisci. Si cincischia un po' e poi salta fuori, ma, mi sembra Agria o Spunta. E no, accidenti, capisco che non si seminano più le mitiche Piattelline e anche le Bintje sono cadute in disuso, ma proprio due varietà che o si disfano mentre le cuoci o sono più dure delle pietre, no. Capisco che producano tanto, ma allora vado a comprarle al supermercato e invece di 1 (uno) euro al chilo, le pago un terzo e sono cattive uguali. Così scottato ormai più volte, quest'anno mi sono procurato la dritta giusta. Quattro case arroccate su una montagna difficile da raggiungere, ma di grande impatto psicologico. Balze ripidissime, dove un povero contadino strappa a fatica tra le pietre e le rocce, piccoli tuberi, talmente buoni da far correre gli amatori da lunga distanza pur di avere il privilegio di averne almeno un po'. 

Infatti è bene, muniti dell'apposito biglietto che il villico ha provveduto a far stampare e a mettere in circolo, scarpe grosse ma cervello mediatico, prenotare la quantità necessaria, per dargli modo di prepararvela per tempo, prima di intraprendere la difficile strada che conduce alla borgata. Avuto l'assenso, eccoci, puntuali come agenti del fisco svizzero, guidati da appositi cartelli Qui si vendono patate di..., bussare alla porta della malga sull'alto del monte. Non c'è nessuno. Per forza. l'uomo è sulle ripe intento a strappare alla terra avara, i suoi frutti. Dopo una chiama il cui eco rimbomba a lungo tra i contrafforti della valle, eccolo che arriva, con la marra sulla spalla, affaticato ma ansioso di contentare il villeggiante. Intanto non è il proprietario, ma un rumeno, abbandonato sul monte a fare il lavoro di mano, lui probabilmente è giù in valle ad intessere relazioni commerciali. Evito i sacchetti di Agria, che anche qui hanno invaso l'area e carpisco tre confezioni di buccia rossa, Asterix, varietà nuova, di cui testeremo la validità. Al momento di pagare emerge la dura realtà. La fatica va premiata e si deve evitare lo spopolamento dei nostri monti e quindi il prezzo di 1,70 Euro/kg è più che altro un prezzo di affezione, una medaglia al valore assolutamente disgiunta dall'essenza epistemologica della patata acquistata, un premio alla volontà di proteggere il territorio e l'ecosistema. Insomma un contributo a combattere il dissesto idrogeologico delle nostre valli. Un buon esempio di filosofia di chilometro zero, quella che produce dieci o venti volte più inquinamento, tra consumi vari per andarne a prendere 30 kg e portarle a casa, che non farle arrivare direttamente in aereo dall'Olanda. L'importante è essere contenti, tanto per tenere bassa la glicemia bisogna mangiarne poche e poi a prezzo di gioielleria, sembrano sicuramente molto buone.

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giovedì 28 agosto 2014

Mercato del lavoro

Sono perplesso. Da un lato, leggendo il Buongiorno di Gramellini di oggi, che racconta di come un noto cantante offra lavoro a giovani, nella sua tenuta in Toscana per raccolta credo di uve e chiede in cambio di essere pagato lui, circa 250 euro al giorno, solo perché concede loro questa possibilità. Qui capisco che il povero Paularius di Surakhis è stato ancor di più scavalcato, quando io credevo che il massimo si fosse già raggiunto con il concorso dell'ARPA di Aosta a stipendio zero. In pratica se vuoi avere il privilegio di lavorare per me, devi pagare. Poi c'è l'altra faccia della medaglia e qui non siamo al sentito dire o letto sui giornali, ma vissuto direttamente sulla pelle e mi riferisco al mondo degli artigiani. Già avevo voluto soprassedere al raccontarvi di quanto accadutomi nella necessità di dover sostituire un lavello. Il primo interpellato ha dichiarato che il lavoro era troppo piccolo per interessarlo e che andassi a comprarmelo da solo direttamente (gli avevo dato questa opportunità per invogliarlo con una piccola cresta). Il secondo ha detto che non poteva farsi carico del problema, in particolare dell'asportazione e relativo smaltimento del vecchio lavello, in quanto aveva la macchina nuova e non voleva rischiare di rigarla!!! Così ho provveduto ad acquistare direttamente il pezzo che mi è stato consegnato dopo circa un mese, perché capirà, con tutto il lavoro che abbiamo in questo periodo e poi sa, sono tutti in ferie... Ma veniamo all'ultima necessità. 

Dovevo montare una nuova antenna televisiva, perché quella vecchia non prendeva che 2 o 3 canali (per la verità anche troppi) e solo quando ne aveva voglia. Il primo antennista interpellato, ha detto che data la posizione, era un bel problema e che alla fine era probabile che non avrei visto molto di più, quindi non valeva la pena di affaticarsi ad intraprendere il lavoro e se ne è andato a fare un giro in mountain bike, che è una delle sue passioni. Il secondo, molto più professionale, è venuto con un aiutante a studiare il problema, poi dopo aver ponderato le diverse soluzioni e dopo opportuno consulto, ha sentenziato che, per risolvere ogni cosa, ci voleva un'antenna logaritmica, che avrebbe con grande sforzo, fissato nel punto più elevato del tetto. Data la difficoltà dell'impresa, si è dichiarato disposto in via eccezionale a venirmi incontro facendomi pagare solo 350 Euri. Esaminata con calma la situazione e senza lasciarmi prendere dal nervosismo, scoperto che al di là della pomposità del nome, l'antenna logaritmica è la più semplice in assoluto, in pratica due bacchette rivolte verso il ripetitore e costerà esagerando una settantina di euro, ho tentato di fare resistenza, chiedendo una revisione prezzi a mio favore, uno sconticino insomma, al suo buon cuore. Niente da fare, prezzi fissi, prendere o lasciare, perché deve capire, caro signore, che quello che costa, non è l'antenna, ma la staffatura! A questo punto ho capitolato, se no avrei dovuto rimandare ad un altro anno, come già avevo fatto in precedenza. Mi sa che probabilmente nel mercato del lavoro c'è qualche cosa che non riesco a capire.

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Spirito di servizio.

mercoledì 27 agosto 2014

Fenestrelle: la festa del paese

Il lancio delle lanterne - Fenestrelle - Agosto 2014


Il corteo - Fenestrelle - Agosto 2014
Sembra davvero incredibile, siamo tutti scafati viaggiatori e avventurieri dell'impossibile, specialmente seduti su un comodo divano, portati a pensare che i vecchi riti paesani di una volta abbiano fatto ormai il loro tempo. Così quando viene il giorno della festa del paese, in ogni piccola località di campagna o di montagna, ci si pensa con una sorta di annoiato ammiccamento. Sempre le solite robe da anni, a chi vuoi che interessino. Invece, quando viene il giorno famigerato, eccoli tutti lì attorno alla chiesa a salutarsi e a godersi la ritualità di ogni anno, sempre uguale e sempre diversa, ma con uno speciale calore dentro che accompagna saluti, strette di mano, commenti e chiacchiericcio. Ecco che anche quest'anno è arrivato San Luigi dei Francesi e per Fenestrelle, all'ombra austera del suo Forte, quinta perfetta che ne incornicia lo sfondo, è un momento speciale. Quest'anno è stata davvero un'estate infame. Tutti quelli che campano sulla villeggiatura piangono calde lacrime, ma non importa. Adesso è ora di far festa e anche il tempo sembra avere deciso di indire una tregua unilaterale. Forse ce la farà a resistere un paio di giorni senza piovere. E la gente che prima non c'era o se c'era se ne stava rintanata in casa, comincia a girare per l'unica strada del paese, finalmente affollata. Alla sera prima, tutti al campo sportivo. Quest'anno con la serata gastronomica sotto l'acqua non si è riusciti neppure a raccogliere i soldi per i fuochi artificiali, eppure ecco che la Pro Loco si è inventata il lancio delle lanterne cinesi. 

Il pain benit
Così nella notte, centinaia di piccole mongolfiere, ognuna con il suo lumino dentro, si è alzata diritta verso il cielo, con un effetto davvero coinvolgente. Tutti lì, i piccini a bocca aperta col naso in su, i grandi con un pizzico di emozione nel lasciar andare nell'aria quella piccola luce, un soffio di voglia di serenità forse, di cui tanti, perennemente scontenti di tutto, hanno disperatamente bisogno. La mattina dopo, il ritmare un po' inquietante dei tamburi del gruppo degli Spadonari, rulla di lontano dall'alto fuori del paese, poi a poco a poco si avvicina, con una scenografia da tutti conosciuta perfettamente. Eppure sono tutti lì, per le vie del paese ad aspettarne il passaggio. Un rito identico ogni anno eppure atteso come nuovo ogni volta. Il tatatàn tatatàn tatatàn tan tàn, si avvicina lentamente, ecco il sindaco davanti con la fascia, il labaro del gruppo che da oltre cento anni esegue la cerimonia. Poi a coppie i personaggi della recita. Le ragazze vestite nel costume tradizionale, le cuffiette bianche di trina, grembiule e gonna nera lucida, l'ampio scialle coi ricami colorati e la croce d'oro sul petto che si riceve in dote dalle nonne. Ognuno guarda e commenta chi sfila quest'anno. Quella e la figlia del tale, questa è la nipote del talaltro. Ognuna ricorda quando era toccata a lei quella parte, con un po' di commozione, forse un po' di rimpianto. 

Le ragazze del gruppo folkloristico
Ecco la distribuzione del pane benedetto, ognuno col suo bel fiore infilato ad ornarlo, da conservare con cura per un anno, dopo aver bruciato nella stufa quello dell'anno precedente. Poi i ragazzi con le spade, i costumi turcheschi, chissà perché erano nati così, già allora c'era il racconto delle terre lontane, dei costumi assai strani dei saraceni, che anche nelle loro incursioni nelle terre di mare, non riuscivano ad arrivare fin quassù, ma di cui si raccontavano gesta e barbarie. Poi ancora i due personaggi che rappresentano la legge, coi costumi la cui foggia li fa assomigliare ai carabinieri di Pinocchio e infine l'Arlecchino, un po' pazzo, un po' birichino, come dirà lui stesso nel proclama che farà come ogni anno alla popolazione. Il personaggio che rappresenta la libertà popolare, che come giullare può dire e fare quello che vuole, infatti corre qua e là, fa dispetti, ruba cappelli e sculaccia i turchi. Allora la forza pubblica lo rincorre, lo acchiappa e infine lo riduce a miti consigli, perché la legge va rispettata, ma eccolo che alla fine esce e trionfa su tutti e augura alla gente un altro anno buono. Poi il lugubre rullo dei tamburi si interrompe e lascia spazio alle fisarmoniche che cominciano a suonare motivi occitani. Prima un gruppo di ballerini esibisce le proprie capacità. Curente, fandango e chappelloises e tutti quelli che ne conoscono i passi si buttano nella mischia. Il tempo tiene. Suoniamone ancora una e poi la festa è finita e tutti se ne tornano a casa contenti, commentando qualche malignità sui vicini. Ci si rivede un altr'anno.

Gli Spadonari: La treccia - agosto 2014 


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domenica 24 agosto 2014

Delta del Po 3: Dove finisce il fiume

L'abbazia di Pomposa


La centrale di Porto Tolle
La zona del delta è un mondo a parte. Una terra antica e nuova allo stesso tempo. Dai contorni mutevoli e condannati dalla natura a cambiare spesso e che l'uomo ha tentato nei secoli di irreggimentare e condizionare, tracciando segni, erigendo barriere, cercando di esercitare un controllo che alla terra sta stretto, tanto da venire spezzato spesso, di colpo e rovinosamente. E' una terra dove l'uomo campava a fatica, sopravvivendo con la sua micidiale adattabilità, tra umidità, fango, malattie, piene improvvise e abbandoni dolorosi. Terra di acque morte e terra conquistata a fatica, che un reticolo infinito di canali, riesce a rendere libera e coltivabile e quando non può la fisica della gravità e delle leggi idrauliche, ci pensa con macchine gigantesche che provvedono a gettare quell'acqua che cerca di riguadagnare il posto a cui ritiene di avere pieno diritto, al di là di barriere erette a fatica, a forza di braccia da eserciti di umani con badili e carriole. Un'epopea incredibile che ancora ritrovi nelle raccolte di antiche fotografie ai vari Musei delle bonifiche come quello di Ca Vendramin, accanto alle gigantesche idrovore, mostri di metallo, cani da guardia a protezione di un territorio ormai incedibile al fiume. Una pianura sconfinata, dove infiniti campi di grano si alternano al mais, squadrati, perfetti, produttiva opera dell'uomo che lavora per sfamare un paese, specchio di cosa significa l'agricoltura vera, reale, non quella del ragioniere della domenica che sogna l'orto di suo nonno. 

Paesaggio del Delta
Territori enormi strappati alle paludi e resi fertili; pianure che sono in realtà isole che i bracci del grande fiume circondano, abbracciano e sostengono prima di arrivare al mare, di giorno in giorno più lontano, con le sabbie che creano nuova terra protesa quasi all'infinito verso est. Il battello che ti porta in giro lungo i rami del Po si muove lento lungo le rive. Bisognerebbe leggere Guareschi o Bacchelli, quando descrivono il fiume, mentre le sponde coperte di canneti ti scivolano lungo i fianchi senza rumore. Man mano che ti avvicini al mare, all'ultimo lembo di sabbia che separa le acque, che troveresti ogni volta diverso ad ogni visita, aumentano le barene e gli stagni. Senti la vita delle zone umide pulsare tra le erbe alte, nei piccoli canali laterali. Garzette, aironi, germani e tanti altri uccelli becchettano nell'acqua bassa, formando gruppetti numerosi che neppure si accorgono del tuo passaggio. I pellicani formano una elite più scorbutica e si distinguono separati e senza voglia di mescolarsi al volgo dei gabbiani schiamazzanti. I cormorani neri e sottili pensano solo a gettarsi sott'acqua per riemergere, deglutendo ingordi e rapidi, come se qualcuno fosse pronto a portare via loro il pasto. Le spatole continuano a scavare il fondo col loro becco curioso, i cavalieri d'Italia si spostano appena sulle secche e lunghissime zampe rosse su cui sembrano galleggiare sull'acqua. Che silenzio vigile, che sensazione di tranquilla attesa. 
Avifauna del delta

Solo un ronzare basso, uno stormire di steli spostati dal vento, qualche schiocco debole sulla superficie dell'acqua, forse un pesce che insegue una libellula blu. La grande mole della centrale termica abbandonata di Porto Tolle, grava alle spalle, l'altissima ciminiera protesa verso il cielo, il dito di una mano agonizzante un attimo prima della morte. Sta lì, testimone muta, un monumento archeologico che ormai definisce una intera zona. Non si può rinunciare a trascorrere una mattina su uno dei rami del Po, navigando in apparenza senza meta fino a vederne la fine, dove la forza delle acque dopo più di 600 chilometri finalmente si esaurisce nella calma maturità della vecchiaia. Acqua che scorre per costruire altra terra. Non aggiungo altro per non turbarmi questo ricordo così intenso e pieno, né parlerò degli spettacolari pranzi a base di pesce che si fanno da queste parti, né del Boscone della Mesola, né dell'abbazia di Pomposa, monumento di tale importanza da essere così conosciuto ed ammirato, da rendere inutile ogni ulteriore presuntuosa descrizione. Date un'occhiata ai link che vi sottopongo, poi andate da quelle parti e non rimarrete delusi.
Tra fiume e mare


Museo della Bonifica del Delta - Taglio di Po - 2 € - 9-12,30/14-18

Per le crociere sul Delta ci sono un sacco di proposte avete solo l'imbarazzo della scelta, date un'occhiata qui e poi scegliete con comodo, basta che non vela perdiate.

Ristorante Italia - Via matteotti 471 -Porto Tolle - Pesce buono a prezzi accettabili.



Museo della bonifica di Ca Vendramin

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sabato 23 agosto 2014

Delta del Po 2: Le valli di Comacchio

Museo della bonifica ferrarese - Le idrovore




Comacchio - Al museo dell'anguilla
Mattina a zonzo per le valli a sud del Po. E' la zona della bonifica ferrarese che consente di visitare luoghi di grande interesse storico e naturalistico. L'oasi di Campotto ad esempio, dove sorge il museo delle Valli d'Argenta meriterebbe di certo una visita più approfondita in termini di tempo, magari per approfittare delle diverse escursioni in barca o in bicicletta, per godersi tutta l'avifauna ospitata in questi stagni, gli ultimi rimasti dopo le gigantesche operazioni di bonifica che risalgono al periodo estense, approfittando magari dei capanni di osservazione costruiti lungo le rive da dove, credo, ci sia la possibilità di fare delle eccellenti foto naturalistiche. A noi è rimasta l'opportunità della visita dell'interessante ecomuseo, che oltre alla storia del territorio, mostra tutta la varietà di animali ed uccelli della zona. Nel vicino Museo della bonifica, con la fruizione dell'appassionato racconto del responsabile del sito, potrete visitare un insieme di tutte le gigantesche macchine necessarie a mantenere coltivabili i terreni liberati dalle acque. Indubbiamente una visita di grande impatto, che permette di comprendere le dimensioni dell'impegno necessario a condurre queste opere epocali. Una bellissima serie di fotografie e filmati d'epoca chiude la vista davvero interessante. Il pomeriggio è stato dedicato a Comacchio. Un paese d'altri tempi, tra i cui canali passeggiare cercando di difendersi dal sole forte e dall'umidità che lo circonda. 

Comacchio - il ponte
Paese d'acqua, rosso di mattoni a vista, tra ponticelli, barche e lunghe vie diritte che fondava la sua ricchezza sulla pesca delle anguille. Proprio il Museo dell'anguilla, situato in una vecchia struttura dove avveniva un tempo la lavorazione del pesce, fornisce una completa informazione a riguardo della economia comacchiese, fondata un tempo proprio sull'anguilla. Un bell'itinerario che spazia attraverso i mezzi di pesca nelle valli, la lavorazione ed i metodi di conservazione ed affumicatura. Di particolare impatto la grande sala dei fuochi con 12 grandi camini, dove schiere di donne provvedevano a cuocere le anguille pescate ogni giorno e che ancora oggi, in minore misura, naturalmente vengono lavorate nel periodo idoneo con l'antico procedimento a cui è possibile assistere. La visita si conclude nella sala degli aceti accanto ai giganteschi tini dove veniva preparata la salamoia e dove venivano quindi conservate le famose anguille prima dell'inscatolamento. Naturalmente il famoso film La donna del fiume con una giovanissima Sophia Loren, girato proprio in questi ambienti, viene riproposto continuamente, mostrando la vita del tempo. I vicini ristoranti di Comacchio, provvedono poi a proporre il piatto forte a quanti, incuriositi dalla visita, non vogliono andarsene senza avere provato la specialità della città.

Le famose anguille marinate.

Ecomuseo delle valli d'Argenta - da martedì a domenica - 9-13/15,30-18 - 4€ con guida

Museo della bonifica - da martedì a domenica - 9-13 - 4€ con guida

Museo dell'anguilla - Comacchio - Possibilità di acquisto di anguille marinate o affumicate in stagione.

Comacchio - un canale

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venerdì 22 agosto 2014

Al rifugio Selleries, l'elogio della polenta

 
La cappelletta del rifugio Selleries

Polenta concia
Quando degli amici simpatici ti vengono a trovare, vorresti accoglierli al meglio, farli sentire a casa insomma, in modo che quando se ne andranno si portino con sé anche la voglia di ritornare. E qui intorno a me, in questa valle di periferia, ci sono un sacco di cose che possono facilitarti questo compito. Così ieri non è stato difficile proporre una giornata attorno a Fenestrelle, complice anche un tempo finalmente clemente. Intanto un'occhiatina ai paesini posti a solatìo sul fianco della valle. Usseaux con i suoi murales e le case sistemate a dovere e ricche di fiori colorati, poi, a vol d'uccello lungo le strade alte per contemplare da lontano quei gruppetti di case ammucchiate le une contro le altre, quasi a difendersi nei freddi inverni passati, dagli assalti della neve e forse dei lupi, il Puy infossato nel ventre di una spaccatura del monte, Pequerel, indifeso tra i pascoli e i fantasmi di terrazzamenti ormai abbandonati, col suo paravalanghe testimone di tragici eventi, la piccola gemma blu del laghetto del Laux in fondo alla valle. La vecchia strada militare costeggia i forti che punteggiano queste montagne. Le forme severe e squadrate del Serre Marie, sembrano un punto ideale, preparato appositamente per andare a stendersi al sole tra le pietre squadrate, ma un cartello improvvido con una serie minacciosa di divieti di accesso, ne sconsiglia l'ingresso come, ragazzi, abbiamo fatto per anni. Dopo Pra Catinat la strada sterrata prosegue verso il Rifugio Selleries. Andarci in macchina è un vero divertimento, ma quanta gente a piedi o in bici! Che la montagna stia tornando di moda? 

Polenta integrale con salciccia, cervo e gorgonzola
Forse la spiegazione è più semplice. Si tratta con ogni probabilità della capacità di gestione dei ragazzi che lo mandano avanti da qualche anno, della loro simpatia e delle continue iniziative che pongono in atto per farsi conoscere e per diffondere la loro offerta, anche attraverso FB o col vecchio e collaudato passaparola. Non solo in estate ma anche durante la stagione della neve, ormai, gruppi di amici ci arrivano con le ciaspole, per trascorrere una o più notti tra queste montagne antiche e un po' severe, ma piene di fascino. Intanto quando ci arrivi, come noi, stanco del giro fatto, verso ora di pranzo, ti puoi godere un bel bicchiere di Chardonnay al sole di fronte alla valle, al lato della cappelletta bianca. Puoi rimanere ad osservare con calma il verde dei boschi circostanti o le piccole figure di chi, non contento della camminata per arrivare, risale i sentieri ripidi per raggiungere i laghi superiori e spingersi poi verso la Cristalliera o l'Orsiera, le due cime circostanti. Siamo nel cuore del parco Orsiera-Rocciavré e non è difficile talvolta scorgere tra gli alberi i palchi regali del cervo, mentre dai prati lontani arrivano i fischi delle marmotte. Ma direi che viene subito il momento di entrare al coperto perché sono in arrivo dei robusti taglieri di spek, tomini conditi, cusòt al brusc (zucchini in carpione), torsa salata, insomma il meglio dei classici antipasti alla piemontese. Ma questo è solo il contorno, perché la regina dei cibi da rifugio è una sola: la polenta. 

Locale di affinamento delle tome
Ecco infatti che arriva in capaci ciotole di coccio, una buona razione di polenta concia, in modo che possa formarsi un fondo consistente, poi in successione, con una buona polenta integrale dalla giusta consistenza, un fujòt di salcicce in salsa, una delicata e succulenta crema di gorgonzola e infine un ghiottissimo insieme di teneri bocconcini di cervo annegati in una salsa con un fondo esotico al cioccolato e chiodi di garofano, che sono certo sarete curiosi di approfondire. E' una lotta a quale approcciarsi per primo, li provi tutti uno dopo l'altro, poi ritorni da capo al principio, non sapendo decidere quale sia il migliore, intanto finisci ingordamente la polenta e supplice, ne chiedi un rabbocco, che subito caritatevole arriva, insomma alla fine finisci che ne mangi una quantità esagerata, a cui solo il boccone finale di un delicato dolcino, scelto tra il classico bunèt, una bavarese ai frutti di bosco o qualche torta maison, daranno un segnale di calo del sipario. Fate conto che tutto questo vi verrà addebitato 17 euro, poi capite come mai ci sono due turni e se non prenotate, vi tocca sedervi nel prato a mangiare un panino. Quando riuscirete a trascinarvi fuori, carponi, potrete fare anche un salto alle soprastanti grange di un pastore che produce formaggi di un certo rilievo, tome saporite e ricotta fresca, oltre alla ormai famosa toma del Pleisantif, il cosiddetto formaggio delle viole, attorno al quale si è formato ormai un certo interesse e che viene disponibile solo a settembre, ma solo per chi lo prenota a tempo, perché, il buon pastorello, più di tanto non riesce a produrne e alla fine di agosto la produzione del prossimo anno è già tutta venduta. Vedete voi, chi sa far bene le cose e soprattutto, le sa vendere, non conosce crisi.

Rifugio Selleries - Quota 2023
Aperto tutto l'anno
0121.842664
info@rifugioselleries.it
www.rifugioselleries.it

La malga del Pleisentif

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mercoledì 20 agosto 2014

Delta del Po 1: Il Ferrarese


Dumo di Ferrara - La facciata



Ferrara - Il castello 
Approfitto di questa estate strana e frescolina che tra acqua e fulmini consiglia di stare rintanati in casa, per darvi conto di un breve giro che avevo fatto a giugno e che il turbillon degli eventi mi aveva impedito di raccontare fino ad oggi. Si tratta del consueto viaggio di studio che l'Associazione Amici del Museo di Agricoltura del Piemonte organizza annualmente e che permette di visitare luoghi meno frequentati e ricchi di temi attinenti agli interessi dell'associazione. Quest'anno toccava ad una meta italiana e il solito pullman dell'amico Fassino di Italian Wine Travel, agenzia di viaggi molto specializzata, come si evince dal nome, si è diretto speditamente verso l'area compresa tra il delta del Po e i lidi ferraresi. Il nostro valente organizzatore ama prendersi cura dei suoi amici/clienti, quindi alle 9 si è proceduto immantinente ad una breve sosta per una colazioncina a base di salami, tome e vini del Monferrato; d'altra parte è noto che il primo deve essere il più importante pasto della giornata, specialmente se si deve procedere ad un numero serrato di visite. E infatti poco prima di mezzogiorno eccoci a Ferrara, per un giro panoramico dall'esterno delle mura, davvero imponenti e quindi per una breve passeggiata attraverso il centro storico per permettere a chi ancora non conoscesse la città degli estensi, quel colpo d'occhio  che merita assolutamente. 

Una via del centro di Ferrara
Il palazzo Diamanti, una sosta nel cortile del famoso castello per approfondire un poco la storia del ducato d'Este, il Duomo mirabile sia all'interno imponente, che nella complessa facciata, da osservare con attenzione nelle scansioni minute del romanico della Romagna, con tutta la sua serie di delicate colonnine a delimitare una alternanza di vuoti e di pieni che rendono il tutto così splendidamente bilanciato. Deliziosa la sequenza dei piccoli strombi divisi a metà da due esili sostegni, nella parte sommitale tripartita. Magnifico il protiro col gioco di sostegni umani ed animali a protezione dell'entrata finemente decorata. Rimarresti ore a guardare ad una ad una le sculture dal sapore medioevale che si rincorrono lungo i leggeri stipiti marmorei o il grande loggiato rosso del fianco che porta all'imponente campanile. Ma bisogna andare, passeggiando per le strette vie del centro guardando qua e là gli archi e le fughe laterali delle antiche case. Una sensazione piacevole, come di una città in cui si vive bene e senza troppo stress e forse non dipende solo dalla salama da sugo.

La bottega del barbiere del Centro
 Poco lontano, a San Bartolomeo in Bosco, il Centro di Documentazione del Mondo Agricolo Ferrarese, di cui vi invito a visitare il bellissimo sito, raccoglie grazie alla passione di un privato, una grandissima collezione di oggetti riguardanti le colture della zona nell'ultimo secolo, dalla canapa, alla vite, a tutta la cerealicoltura, ma anche una serie di ambienti d'epoca riguardante tutti i negozi e le attività artigianali presenti in passato nel borgo, che sarebbero andati perduti, dall'ufficio postale, al calzolaio, al barbiere, alla salumeria, al fotografo, alla tipografia e moltissime altre attività, che, alla loro cessazione hanno donato a questa raccolta, strumenti del mestiere e ambientazioni d'epoca. Assieme a moltissime macchine agricole, questa collezione non è soltanto uno dei tanti musei agricoli, ma anche un ricchissimo specchio di tradizioni e costumi della zona che merita assolutamente una visita. Direi che per oggi basta. Io intanto butto un'occhiata alla lunga spiaggia del lido degli Estensi e mi pappo un gelato formato famiglia alla faccia di chi mi vuol male. 

La collezione di trattori d'epoca


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martedì 19 agosto 2014

A Briançon

Briançon - la piazzetta



Quest'anno l'estate è un po' strana e qui tra i monti, ancor di più. Acqua e ancora acqua, nebbie e nuvole, pochi gli sprazzi di sole, e anche un certo frescolino, roba da accendere la stufa insomma. Così le cose da fare rimangono poche, scartabellare FB per farsi un po' gli affari degli altri, leggere un libro e mettere i piedi sotto il tavolo, cosa che, tutto sommato non è poi così malvagia se penso all'apoteosi di gnocchi di ieri sera dalla mia amica Carla. Poi se si ha voglia di salire in macchina si può andare a fare qualche giretto intorno. Ad esempio a poco più di un'oretta di strada di montagna, decisamente panoramica, se si vedesse qualche cosa al di là della nebbia, puoi arrivare a Briançon, la porta della Francia, arrivando da qua. Intanto in una ventina di minuti arrivi a Sestriere ed è già sole forte, perché qui siamo al colle e o pioggia e tormenta o sole pieno, poi giù di corsa sulla strada della Cesana-Sestriere, tutta curve come si conviene ad un tracciato scelto per l'automobilismo di montagna. Poi risali i contrafforti del monte verso il confine di Monginevro di fianco al gigante dello Chaberton e infine la rapida discesa verso la cittadina francese che se ne sta lì ad aspettare i turisti. L'architettura delle fortezze del Vauban dominano tutta la valle, dal forte alto alle mura che circondano la città antica. Pare che ai francesi si possa toccare tutto tranne Napoleone e il Vauban, questo architetto militare che ha costellato le Alpi con le sue fortezze, anche se i maligni dicono che ha tratto pesanti ispirazioni dagli esperti italiani del settore di tutto il '500. 

Ma tant'è anche per come sono conservate queste vestigia, è davvero un piacere passeggiare lungo le mura, affacciarsi ai bastioni, sporgersi dalle garitte di guardia agli spigoli delle tenaglie. Poi si scende lentamente la via centrale, lungo la rapida discesa, circondata da negozi di souvenir, di ristorantini e di locali che si alternano ai portoni antichi e alle fontane di pietra. questo è un esempio di come una cittadina di montagna possa campare di turismo, il triste contraltare dei nostri paesini del versante italiano, dove i "villeggianti" sono a mala pena sopportati, salvo le lamentele di prammatica per gli alloggi sfitti e i bar semideserti. Sarà anche colpa del tempo o della crisi, ma al di là del confine è tutto un organizzare eventi, proporre divertimenti e offrire possibilità di gite guidate nelle più varie soluzioni, bici, piedi, asini e chi più ne ha più ne metta. Bisogna dire che anche qui si notano molti negozi vuoti e con la scritta à vendre o à louer e che lungo la via centrale di gente ce n'è molto meno, soprattutto di turisti italiani che qui la facevano da padrone. Che sia arrivata anche qui la crisi? Chissà. Intanto godiamoci una tartiflette, piatto tipico di quest a parte delle Alpi, patate, prosciutto e reblochon al gratin, poi si torna alla base.


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lunedì 18 agosto 2014

Recensione: Kadaré - I tamburi della pioggia

Ed eccoci al secondo ed ultimo purtroppo, suggerimento di lettura, diciamo così propedeutica al vostro futuro viaggio in Albania, ma di certo leggibile con gusto anche se si prevede di starsene a casa. Ancora Kadaré, il poeta romanziere albanese, che nella sua opera canta continuamente la sua terra. Un'altra città di pietra da raccontare, questa volta andando più indietro nel tempo. Ma qui, nessuna struggente poesia di mura che raccontano storie personali; risuonano invece suoni di guerra, clangore d'armi e grida di uomini. Questo I tamburi della pioggia è, come primo impatto, un romanzo storico che racconta l'inutile assedio che l'esercito ottomano portò nel XV secolo alla roccaforte di Kruja, allora  caposaldo e capitale albanese, in cui si rifugiò l'esercito rimasto al comando Skanderberg, il leggendario condottiero, per resistere all'avanzata turca che stava dilagando in tutti i Balcani. Naturalmente la parte squisitamente storica dell'opera è soltanto il pretesto per raccontare, da un lato l'epica della resistenza di un popolo all'invasore, sottoponendosi così all'inevitabile critica di voler esaltare l'isolazionismo del regime (il libro è del '70) e una propensione al nazionalismo che ha poi dato prove davvero funeste negli anni successivi in tutta la penisola balcanica, dall'altro gli aspetti della guerra, dai suoi orrori, al dipanarsi delle vicende personali. 

Così da un lato la glorificazione del popolo resistente, visto sempre nel suo insieme senza dettaglio di personalità specifiche, mentre dall'altro la contrapposizione dell'esercito invasore, di certo il più potente e organizzato dell'epoca, descritto minutamente nei suoi personaggi, dai comandanti, al poeta, alle concubine al seguito e a tutta quella umanità che all'epoca faceva da contraltare all'arte della guerra. E' il romanzo della continua contrapposizione, dell'eroe più debole e disposto a tutto per difendere caparbiamente un ideale (oltre ovviamente la vita) all'organizzazione moderna ed efficiente, ricca, potente, tra l'altro anche multietnica e meritocratica e forse per questo alla fine incapace di battere la forza dell'esaltazione che spesso ha il più misero contro il potente. La descrizione degli assalti, delle battaglie e della vita del campo sono magnifiche e cariche di poesia. Su tutto grava il caldo torrido dell'estate che sembra finire troppo in fretta senza che l'assedio abbia successo e l'ineluttabilità dell'arrivo dell'autunno con i suoi tamburi della pioggia che sanciranno l'inutilità dell'operazione e la sconfitta a cui il comandante in capo dell'esercito ottomano dovrà rendere conto. Anche questo è un libro che andrebbe assaporato tra gli ulivi che circondano la Kruja di oggi, distesi tra l'erba a guardare quelle mura dal basso, con il castello invitto che le domina, spiando sentieri e dossi dove si nascondevano i soldati e radure dove era acquartierato l'esercito. La pietra testimone dei fatti è ancora lì e il suo cantore la sa raccontare sommessamente come se volesse prendersi pause e lunghi respiri tra un colpo e l'altro del grande cannone.

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sabato 16 agosto 2014

Recensione : I. Kadaré - Cronaca della città di pietra

A conclusione delle chiacchierate albanesi, voglio darvi due indicazioni letterarie, da leggere prima o meglio durante il vostro viaggio. Purtroppo non ho conoscenze più approfondite di autori albanesi e per questo mi limiterò a citarvi due opere di Ismail Kadaré, scrittore internazionalmente conosciuto, ma ancora piuttosto discusso tra i suoi connazionali, per una sua supposta connivenza o quantomeno mancanza di presa di distanza dal passato regime. Tuttavia Kadaré nei suoi romanzi racconta la sua terra con tocchi di lieve poesia e a mio parere è molto adatto per il viaggiatore che si avvicina a questo mondo. In particolare questa Cronaca della città di pietra, che racconta la sua città di nascita, Gjirokastro. Direi che leggere il libro e passeggiare per le strade della città, sentire il rumore del selciato e guardarsi nella pietra delle sua case antiche è davvero coinvolgente. Anzi vi darei un suggerimento. Salite alla fortezza e, con il libro in mano, sedetevi sul bordo di un camminamento o dall'estremo delle mura. 

Avrete sotto di voi la magica città e potrete rivivere il racconto del piccolo bambino che esorcizza la guerra, trasformando l'orrore in gioco e curiosità. Vedrete attraverso i suoi occhi le case di pietra, il mattatoio, le stradine ed i muri improvvisamente animarsi delle ombre di personaggi di un mondo che non esiste più, ma che lì è vissuto. Le ragazze immaginate, le straniere bellissime di quella casa in cui le finestre erano sempre chiuse, i soldati che si alternavano, italiani, greci, tedeschi, i compagni di giochi, l'infinito stuolo di donne, zie, nonne e bisnonne, con le loro manie, le loro superstizioni e i presagi funesti, le paure, le cose che si dicevano e che un bambino non riusciva a capire, ma interpretava a suo modo. Il nonno che gli passava i sigari e gli avrebbe insegnato il turco, la donna baffuta, i vecchi ai tavolini dei bar a bere raki. Crescerà il bambino, ma al suo ritorno ritroverà solo ombre di quel passato ormai perduto, ma fissato per l'eternità nella pietra della città fatata. Poi scendete voi lungo i selciati bianche e neri delle strade ripide e ritrovatene l'anima raccontata. Non sarà tempo perso.

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