giovedì 28 febbraio 2019

Bangla Desh 12 - Tra villaggi Tripura e Bhom


In casa

Salir le scale
Il villaggio Tripura è nascosto nella foresta. Per arrivarci devi fare una deviazione dopo l'ennesimo posto di blocco e passare un gruppetto di case attorno alle quali una volta o due a settimana si forma un piccolo mercato locale. Da lì parte un lungo sentiero in discesa verso il fondovalle. Le capanne compaiono d'improvviso dietro a gruppi di alberi dalle foglie grandi e polverose, che ti lasciano soltanto immaginare la scivolosa fanghiglia che ci sarà tra qualche mese. Sono grandi costruzioni approssimativamente quadrate di stuoie di bambù, alzate su palafitte alte un paio di metri che si raggruppano a tre o quattro attorno a spiazzi comuni, dove si radunano gli abitanti per lavori comuni o semplicemente per chiacchierare all'ombra, infatti tutto attorno ci sono basse panchette in legno dove qualche donna è seduta col proprio fagotto in braccio. Ho notato che qui i bimbi piccoli non piangono mai, stanno lì, semiaddormentati e infagottati in una coperta, fa freddo assai per il metro locale, di notte siamo sui dieci gradi e se non poppano, si guardano attorno con occhio vivo e curioso. Tre ragazze si danno un gran da fare attorno ad un mortaio di legno pieno di cereale da sfarinare. Con le pesanti mazze menano colpi ritmati senza impicciarsi le une con le altre.

Anziana Tripura
Al mortaio
Più lontano invece, un'altra donna, manovrando con perizia un grande vaglio circolare fa saltare in aria il macinato a favore di corrente. In controluce vedi la pula che un soffio di vento leggero fa volare via. Mi sembra che qui la pulitura del prodotto venga presa ancora sul serio, niente fuffa di integrale che fa tanto bene a tutto. Qui per prima cosa si deve pensare ai nutrienti non alle scorie da aggiungere, come nelle società più opulente. Si nota anche un'altra caratteristica, mentre le giovani sono alquanto disadorne, portando addosso solo la bellezza conferita dall'età e dai loro eleganti movimenti con i quali svolgono le loro incombenze, quelle più anziane sono letteralmente cariche di sottilissime collanine che portano a mazzi di decine di esemplari, quasi soffocate dal peso ed anche i lobi delle orecchie sono sformati dall'onere di ornamenti barocchi e metallici di una certa corposità. Come sempre ci arrampichiamo in una casa; sul terrazzino ci sono un sacco di ragazze molto eccitate dalla novità; anche quelle che pestavano nel mortaio sono arrivate per confrontarsi con gli stranieri. L'anziana padrona di casa va e viene esibendo i suoi ornamenti alle foto di rito. 

Buji
Buji è un ragazzo al di sotto della ventina con una moderna pettinatura aggressiva. E' lui che ci ha chiamato a salire, mentre sta appoggiato alla balaustra in legno con la sua maglietta moderna ed i jeans. Lo potresti scambiare facilmente per un qualunque ragazzo di città. Quando siamo davanti a lui capiamo subito perché non si è mosso per venirci ad aiutare a salire. Sulla tibia della gamba sinistra ha una estesa ferita infetta e necrotica che ha quasi mangiato la carne fino a mostrare l'osso sottostante. Deve fargli un male terribile, eppure ci sorride contento per la nostra attenzione. E' capitato un paio di mesi fa, quando giocando a pallone, si è preso un gran calcio sulla tibia che gli ha aperto un largo squarcio. Qui non c'è niente, né medicinali né altro e gli impacchi di erbe che gli ha fatto la vecchia madre non hanno fatto altro che estendere l'infezione. Non siamo medici, ma secondo me la situazione, anche sentendo l'odore di marcio che emana, è piuttosto grave e senza un intervento serio ed immediato qui si rischia non solo di perdere la gamba, ma anche di lasciarci la pelle. L'ospedale più vicino, o meglio qualcosa che gli somigli è a cinquanta chilometri e il ragazzo non ha la possibilità né di andarci né di fra fronte alle spese che le cure richiederanno e quindi rimane lì, seduto sul terrazzino a sperare che la cosa si risolva da sola. 

Al mercato locale
Eusuf non ci pensa certo su, mette mano al portafoglio e in qualche modo si recupera la miseria necessaria e prevedibile, che tuttavia gli viene data solo dietro promessa ufficiale da parte di tutta la famiglia e in particolare dalla madre che vediamo piuttosto preoccupata quando gli abbiamo spiegato senza mezzi termini che il suo ragazzo sta rischiando grosso, che domani mattina senza indugio venga portato all'ospedale di cui sopra. Tutti sembrano aver capito la gravità della cosa. Il ragazzo si lascia medicare alla meglio dal disinfettante in dotazione di Eusuf, anche se si tratta di un semplice palliativo. Non ho ancora avuto notizie in merito, ma spero che la cosa abbia avuto una soluzione positiva. Risaliamo il sentiero lentamente. Quante sono le parti del mondo dove semplicissimi problemi o incidenti minimi, diventano insormontabili e gravi occasioni per perdere addirittura la vita. Buji ci saluta con la mano, il suo ciuffo di capelli è ancora più alto e gli occhi sorridono sulla maglietta heavy metal. Credo che ce la farà, almeno lo speriamo tutti. Poi ancora chilometri di pista, ancora foresta, ancora paesaggi mirabili tra le cime delle colline. Dopo un'oretta arriviamo ad un grande villaggio di etnia Bhom, sparso addirittura tutto attorno su un paio di rilievi Le case sono un po' più malandate e col tetto di lamiera arrugginito, c'è più gente in giro, soprattutto schiere di bambini vocianti.

Bimbi Bhom
In questo villaggio sono presenti almeno cinque chiese di varie confessioni cristiane, anglicani, battisti e altri. Evidentemente qui c'è stato una notevole presenza da parte dei missionari protestanti, come già avevamo visto nel vicino stato indiano del Nagaland. In una di queste è in pieno svolgimento una funzione. La piccola chiesa è piena di gente, soprattutto donne. Si canta molto, con un sound che potremmo definire gospel, poi parte una lunghissima predica, che ci convince a prendere il largo ed a ritornare con un gran giro fino alla nostra macchina. Lungo la strada schiere di ragazzini cercano di far correre i loro carrettini con le ruotine fatte coi cuscinetti a sfera, gli stessi che mi ricordano essere stato anche io bambino. Anche qui la corsa finisce irrimediabilmente nel fossetto laterale, ci si rotola dentro, ma senza farsi male, almeno quasi sempre, al massimo ginocchia sbucciate sulla ghiaietta, che qui però non c'è. La vita tra le montagne è ancora misurabile con la natura umana, forse non è ancora arrivata quassù, l'ansia dei traguardi da raggiungere, del benessere da mantenere, dei budget e dei target; Il turn over si limita a chi deve sbattere la mazza nel mortaio; forse è ancora lontano il concetto stesso di benessere; forse basterebbe avere un ambulatorio non troppo lontano e un infermiere che passasse una volta alla settimana con una cassetta di medicinali, magari non scaduti.


mercoledì 27 febbraio 2019

Bangla Desh 11 - Le colline di Bandarban


Al mercato



Frutti esotici
Vista di giorno Bandarban è una cittadina piuttosto grande che si stende lungo la riva sinistra del Sangu. La zona che scende verso il fiume, al mattino presto si anima improvvisamente per la presenza di un grande mercato tribale, con gente di diverse etnie che calano dalle colline circostanti per scambiare le merci prodotte dalla loro agricoltura di villaggio e per procurarsi a loro volta quelle derrate che arrivano da fuori ormai necessarie alla vita di ogni giorno assieme agli strumenti la cui produzione è diventata ormai troppo complessa per gli artigiani dei villaggi stessi. E' il consueto ma sempre divertente bailamme dei mercati d'oriente con i loro colori, la loro confusione e soprattutto con i loro odori, la sfilata di ortaggi strani e mai visti, l'esposizione delle carni macellate all'aperto, incipriate dalla polvere e ricoperte dalle mosche, il puzzo nauseabondo dei pesci secchi. Ma soprattutto, qui hai la possibilità di vedere una sfilata di volti interessanti, dai costumi particolari che caratterizzano queste etnie di confine. Puoi osservare le barbacce salafite magari color carota per gli effetti dell'henné, così come la pasta proteggi epidermide che ricopre la faccia delle ragazze, i costumi ed i lonji colorati, tessuti ogni giorno nelle capanne e le collane e gli orecchini tribali che danno alle donne la loro impronta etnica che subito ne identifica la provenienza.

Street food
Una passeggiata piacevole dove molti venditori, sorpresi per la nostra inusuale presenza, ti offrono di continuo assaggi, non appena ti fermi un po' di più per capire di cosa si componga la loro offerta. Questo è il regno del cibo di strada, dei fritti e degli impasti misteriosi. Nella maggior parte dei casi la voglia di provare è forte, poi, generalmente riesci a trattenerti anche pensando ad una cautela minima che prevede un rispetto di base nei confronti del tuo tubo digerente, conscio delle tipiche conseguenze che questo genere di debolezze generano. Poi si scende uno dei tanti vicoli maleodoranti sino al fiume che scorre verso il mare. Quando è gonfio per le piogge si tratta di un'azione benedetta dal cielo, in quanto la corrente impetuosa riesce a portarsi via con sé tutto quanto l'umanità varia produce, una sorta di lavacro purificatore che serve a mondare ogni cosa ed a consentire che altri arrivino a produrre altre scorie a far scomparire le quali penserà la natura. E' la solita storia che accompagna l'esistenza della nostra specie, che si moltiplica all'infinito con costante perseveranza, ma lo fa all'interno di un sistema chiuso e che produce scorie e monnezza per il solo fatto di esistere e con buona pace di tutti, anche con un correttissimo ed auspicabile, risparmio, riciclo e sostenibilità, riesce solamente a procrastinare più in avanti il problema, che consiste in primis nel numero. 

Tagliodel varano
Tranquilli, ci penserà una bella epidemia senza rimedio, che ci spazzi via per metà, lasciandoci ancor più forti e resistenti, più ancora delle guerre a cui riusciamo comunque a resistere abbastanza bene, più degli scarafaggi, credo, anche se loro hanno un trecento milioni di anni di storia più di noi da far valere. Vedremo. Il greto del fiume intanto è quasi completamente scoperto in questa stagione e vasti strati di sabbia sono attraversati soltanto da rivoli di acqua bassa. Intorno varie attività e, sparso dappertutto, l'immondezzaio del mercato in crescita costante. Intanto intorno qualcuno ammassa ceste di pesce, altri lo puliscono delle interiora prima di disporlo sui tralicci a seccarlo. Vengo attirato da un gruppetto di uomini che danno gran colpi di machete su un ceppo. Avvicinandomi vedo che stanno macellando un gigantesco varano di un paio di metri, facendolo a pezzi minuti, diciamo dei bei bocconi, bene identificati dal grasso giallo che fuoriesce tra pelle e carne, che poi andranno a fare bella mostra di sé su qualcuno dei banchi in paese. Dovrebbe essere, mi dicono gli operatori, una  squisitezza assoluta, non c'è dubbio che andrà a ruba in un attimo. Poi, risaliamo in paese e sazi di colori e di odori, schivati risciò a pedali e carretti carichi dei masserizie, ripartiamo verso le colline in cerca di altri villaggi nascosti. 

Suonando il flauto
Qualche chilometro dopo la strada è solo una striscia di asfalto malandato dalla quale di tanto in tanto si staccano sentieri di terra che subito scompaiono tra gli alberi. Basta fermarsi a qualche posto di sosta dei vari mezzi collettivi che la percorrono ed aver voglia di incamminarsi giù per la collina. Eccone uno dove si sono fermati anche un paio di uomini che costruiscono cesti e borse di vimini. Mangiamo qualcosa e poi prendiamo un viottolo alle loro spalle che scende a precipizio sul fianco della collina. Andare giù è facile, basta non pensare che la stessa strada bisognerà poi rifarsela in salita. Dopo un po' compaiono le prime capanne. Dalle finestre o sui terrazzini, alti sulle palafitte, fanno capolino i volti di qualche donna, i bambini invece sono i primi a correre intorno con la consueta curiosità. Entriamo in un paio di  capanne, in una, la più grande, probabilmente quella del capo villaggio, rimaniamo un po' a chiacchierare con la famiglia, bevendo un the nero, scuro e profumato. Dietro le stuoie hanno dei particolari flauti di bambù, con molte canne di lunghezza diversa, che vengono suonati durante le cerimonie. L'anziano di casa me ne mostra l'uso, non è semplice, il gioco di dita necessario per trarne una scala di nota appare subito decisamente complesso e rinuncio a proseguire la lezione, d'altra parte non so neppure suonare il piffero di canna, che pretendi? 

Lezione di agricoltura
Dietro una capanna malandata incontriamo una vecchia che dichiara di avere 101 anni ed è considerata come una assoluta rarità dai suoi vicini di casa. Difficile dire se i calcoli corrispondono alla realtà, spesso i mesi lunari vengono confusi col calendario solare, da queste parti non è che ci siano registri di nascita o similari. Risalire la china, comunque appare subito faticosissimo, tanto che io rinuncio ad un secondo villaggio per raggiungere il quale bisogna scavallare un'altra collina. In uno spazio aperto tra le capanne ci sono stesi a terra grandi teli di plastica. E' in corso una riunione di villaggio nella quale un gruppo di tecnici di una organizzazione internazionale, affiliata alla FAO, sta tenendo alle donne una lezione di agricoltura volta a migliorare le tecniche di coltivazione. L'attenzione delle allieve mi sembra assolutamente minima e svagata, essendo le donne più impegnate a badare ai bimbi che hanno attaccati al collo. Ce ne andiamo velocemente per non essere di ulteriore distrazione agli insegnanti e non venire poi additati come causa di un crollo della produzione. Dai cestai compriamo qualche papaya matura e provvediamo a sbafarcele seduta stante a morsi come fossero angurie del cocomeraro infradiciandoci tutti, ma che soddisfazione e soprattutto che dolcezza!

Donna Kimi
Uomo Marma
Proseguiamo tra le montagne per tutto il giorno in un paesaggio idilliaco, tra foreste e dirupi, sovente fermi ai posti di blocco, ce ne sono molti in queste aree non lontane dalla frontiera, fermandoci di continuo tra villaggi e piccoli gruppi di capanne al limitare della foresta. Registri polverosi da compilare, occhi assonnati da aprire. Su uno di questi vedo che l'ultima registrazione risale a quindici giorni prima. Un gran lavoro per questi soldati in mimetica verde blu. Ogni tanto ci si ferma ad un bar per bere un thé, sempre al centro dell'attenzione. Sono forse più le foto che vengono scattate a noi dai vari cellulari che compaiono in mano a tutti come per magia, che non quelle che riusciamo a fare noi. Da un viottolo laterale arrivano intanto tre donne di etnia Kimi, con le gerle cariche di masserizie e di prodotti, che stanno andando ad un vicino mercato. Hanno orecchini grandi di metallo, bellissimi, che caratterizzano la loro appartenenza. Come mettiamo mano all'attrezzatura, invece di filarsela, si fermano subito e depongono i pesi per meglio mostrarsi ed esporsi ai clik clak obbligati. Sono visi molto belli ma, non so come spiegarmelo, intrisi di una vena triste. Poi, ricaricati armi e bagagli, leggermente curve sotto il peso del loro destino, se ne vanno senza una parola, in tutto il tempo che sono state con noi, non hanno mai sorriso. Ce ne andiamo anche noi in silenzio. Tra gli alberi si avverte un chiocciare di uccelli. Un gruppo di scimmie cappuccine, lanciano sguardi interrogativi con le piccole facce nere, arrotolando su se stesse le lunghe code. 


Andando al mercato




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BD9 - Industria tessile

martedì 26 febbraio 2019

Bangla Desh 10 - Sul fiume Sangu


Ragazze tripura


Traghettatori
Il traghetto sul Karnaphuli è un punto di incontro per quelli che percorrono la strada verso sud, quella che porta fino alle aree più remote del paese, al distretto di Bandarban, dove le colline diventano montagne ricoperte da foreste sempre più fitte e misteriose, man mano che si avvicinano al confine birmano e gli abitanti che le popolano, appartengono a tribù isolate e lontane dalle tradizioni bengalesi. Il fiume è piuttosto grande anche in questo periodo dell'anno che corrisponde al suo momento di magra, è il momento in cui la corrente è debole e questo è l'unico punto nel quale si può passare, non essendoci ponti fino alla diga che lo sbarra più a monte. Al fondo della scalinata c'è un gran numero di piccole barche a remi che traghettano i pedoni che arrivano a piccoli gruppi dal vicino mercato con ceste e masserizie varie. I mezzi meccanici, invece, aspettano il pontone metallico che arriva sbuffando fumo nero da un corto comignolo. Auto e camioncini malandati salgono ingolfandosi lungo la scarpata; ci uniamo a loro per la breve traversata, dopo aver aggirato un gruppo di mendicanti che mostrano le loro deformità e malattie per muovere a maggiore commozione i passanti e introitare al massimo l'incasso delle elemosine. Traversato il fiume, la strada prosegue nel bosco arrampicandosi sulle pendici della montagna.

Lavatoio
Arrivati a una decina di chilometri da Bandarban, il centro più importante dell'area, c'è la fermata d'obbligo al cosiddetto Golden temple, una pagoda buddista piuttosto recente ma che è meta di molti pellegrini. Risaliamo la consueta lunga scala che porta in cima al rilievo su cui sorge la pagoda circolare, nella quale, identificati come stranieri, veniamo subito invitati ad entrare per ammirare la grande statua del Buddha che troneggia al centro, zona ufficialmente vietata ai visitatori. Evidentemente la scarsità di occidentali in visita, fa premio e noi godiamo di una sorta di lasciapassare automatico che fa il paio con il gran numero di selfie che tutti vogliono fare non appena ci identificano. Il panorama dall'alto è come sempre grandioso e spazia in lontananza sulla foresta. La sosta successiva, in un ristorante di Bandarban, ci mette a contatto più stretto con la cucina bengali, che comunque ha una caratteristica certa. I piatti, non ostante richieste e assicurazioni, sono così carichi di spezie e chilly che dopo il primo boccone hai la bocca completamente anestetizzata e non riesci a riconoscere più alcun altro sapore. Ma anche questo si supera, soprattutto l'allegria che comunica Eusuf con le sue canzoni, il tutto con l'aiuto di Anis, ottima spalla, che con la sua guida sportiva contribuisce a mantenere viva l'attenzione alla strada.

Sul Sangu
Tra curve e controcurve si arriva infine al fiume Sangu che serpeggia lentissimo in questa stagione, sul fondo di una larga valle verdeggiante. Il programma è di trascorrere il pomeriggio a risalire questo bellissimo corso d'acqua verso monte, godendoci lo spettacolo della vita che si svolge lungo le sue rive. Le zone più vicine all'acqua, che nella stagione delle piogge vengono poi coperte dall'impeto dei flutti e della corrente, molto più vigorosa, sono adesso scoperte e coltivate ad ortaggi e altre colture di cereali e legumi. I villaggi invece sono nascosti al di là della prima linea degli alberi e sulle rive si svolge una vita piuttosto intensa che testimonia come queste tribù dipendano molto dal fiume stesso. Gruppi di donne lavano i panni ed i contenitori di alluminio di cui si servono nella vita quotidiana. Bambini seminudi schiamazzano nell'acqua bassa con grande divertimento. In altre zone  invece, si preparano prodotti agricoli, aspettando qualche imbarcazione che carichi il tutto per andare in qualche mercato più lontano. Nella lenta corrente sfilano barche, a testimonianza che questa è la più importante, se non l'unica via di comunicazione che consente di penetrare in questa area remota, oltre solo sentieri di terra che penetrano nella foresta.

Casa Tripura
Più avanti, una lunghissima scalinata risale la ripida scarpata, porta ad un villaggio di etnia Tripura, lo stesso nome del vicino stato indiano che si estende più a nord. Da qui capisci bene il crogiolo di popoli che vive in questa parte di mondo che per secoli è rimasta difficilissima da penetrare. Qui i commerci dell'occidente non si sono mai allontanati molto dal mare e le genti che vivevano in questa vastissima area che si estende ad est, sono rimasti in un isolamento completo che ha contribuito a mantenere intatte le loro abitudini e le loro tradizioni. I Tripura si caratterizzano per i tratti somatici decisamente orientali. Le donne sono solite ornarsi con grandi masse di collanine sottili di perline colorate e la maggior parte degli adulti fuma piccole pipe dall'impugnatura leggermente ricurva. Qualche bambina ha il viso coperto di pasta bianca per proteggere la pelle dai raggi del sole come è molto più consueto vedere nel vicino Myanmar. Entriamo in una capanna di anziani amici di Eusuf che ci accolgono con molta cordialità. Anche nel villaggio successivo, pochi chilometri più a nord la gente è molto disponibile, forse tutto questo dipende dal fatto  che i visitatori sono scarsi e rappresentano comunque una novità nella monotonia della vita di tutti i giorni.

Villaggio Marma
Anziana Tripura
Si respira una atmosfera di  pacifica tranquillità, di vita apparentemente serena, pur senza bisogni se non quelli essenziali del nutrimento che viene consentito da un'agricoltura di sussistenza e dal fiume vicino, che garantisce acqua e possibilità di pesca. Dall'altra riva del fiume saliamo fino ad un villaggio di etnia Marma, dalle capanne apparentemente più grandi ed articolate in più ambienti, alcune di fango invece che di bambù. Qui caratteristiche sono le scalette per salire sui terrazzini che stanno sulla palafitta davanti all'ingresso, costituite da un grande tronco verticale in cui vengono intagliati i gradini per salire in alto. Devo dire che per i gatti di marmo come me, l'accesso non è così semplice e per entrare in casa devo fare una certa fatica, evitando per miracolo di precipitare a terra, tra l'ilarità dei presenti. Ma anche questo fa simpatia e il ciccione impedito viene così accolto in casa con molta maggiore bonomia. I Marma sembrano disporre di mezzi maggiori e le case appaiono più fornite di gadget moderni. Il nostro ospite vuole assolutamente che entriamo per presentarci la sua anzianissima madre. La vecchina ci riceve con grande degnazione e mostra evidente soddisfazione a mostrarsi senza cessare di emanare nuvole di fumo dalla pipetta che alimenta di continuo. Di certo arrivare a questa età non è comunissimo da queste parti, dove la presenza di ospedali o anche di semplici ambulatori con un medico è assai remota.

Tribù Marma
In effetti quando con orgoglio dichiara di avere 74 anni, uno più di me, mi dà molti motivi di riflessione. Ce ne andiamo dopo averle fatto i complimenti ed augurandole una futura lunga vita. Fuori altri anziani, forse sessantenni, costruiscono trappole per gamberi di giunchi. Qualche cane scodinzola lungo la scalinata che riconduce all'acqua. Ripercorriamo il corso del fiume a ritroso, diamo un passaggio ad una ragazzina che porta il fratellino in città e rimaniamo a goderci la vita sulle rive, nella magica luce della sera che piace tanto ai fotografi, quella in cui i raggi dell'ultimo sole della giornata si intrufolano tra i rami bassi degli alberi e scivolano radenti sull'acqua incendiandola di arancio, mentre le le gocce che scendono dai capelli appena lavati delle ragazze, brillano come diamanti, lanciando barbagli di luce. I bambini gridano, inseguendosi nudi sulla fanghiglia della riva. I rumori dei motori delle barche, attutiti dalla distanza si allontanano verso monte. Una pace assoluta riempie l'aria che a poco a poco diventa più fredda e tagliente. E' ora di tornare. Ormai è buio. Ci fermiamo allo stesso ristorante di mezzogiorno. Qui ci raggiunge uno strano personaggio che ci viene presentato con grande deferenza. Non sto a dirvi chi è, ma noto che gli viene offerta la cena e anche qualcos'altro corre sottomano. Bisogna tenersi buoni tutti da queste parti per avere buone relazioni senza problemi, anche a semplice scopo preventivo, evidentemente.


Sorno Mandir

SURVIVAL KIT


Sul fiume
Bandarban - A circa 100 km a sud di Rangamati sulla R161, è il centro in cui conviene fare base per visitare tutta l'area che va da qui ai confini con la Birmania. Si tratta di aree piuttosto remote e popolate da etnie piuttosto interessanti, Chakma, Tripura, Marma, Kimi, Bhom che vivono in villaggi nella foresta e che si mescolano solo nei mercati locali. Di qui si possono fare moltissime escursioni, in auto, jeep o a piedi tra le colline alla ricerca dei villaggi più remoti. Imperdibile una giornata o una mezza in barca sul fiume Sangu alla ricerca di vari insediamenti sulle sue rive. La zona è anche ricca di cascate visibili dopo la stagione delle piogge.

Sorno mandir (Golden temple Dhatu Jadi) - Tempio buddista sulla cima di una collina molto visitato da vari pellegrini e turisti locali. Bella vista sul panorama circostante.

Kalapata restaurant - Banbardan - In centro vicino alla fermata degli autobus, frequentato da turisti locali, considerato piuttosto lussuoso, pulito, fornisce cucina bengalese con piatti piuttosto speziati.

Governement Hotel Bandarbar - Un po' più vecchio del precedente e un po' più disastrato, senza frigo, vecchia  TV, AC, acqua calda solo in bagno.


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lunedì 25 febbraio 2019

Bangla Desh 9 - L'industria tessile

Una fabbrica tessile

Il parco
Una delle caratteristiche sociali più nota del Bangla Desh è la sua vorticosa attività nel campo dell'industria tessile a tutti i livelli che vanno dalle grandi fabbriche cittadine che impiegano migliaia di lavoratori alle piccole realtà di paese o di villaggio dove nuclei familiari o fabbrichette sempre più piccole si aggiungono alla filiera per produrre una enorme massa di produzione che a prezzi stracciati invade tutto il resto del mondo. Un insieme di fattori collabora a rendere possibile tutto ciò. Il primo è l'attività tradizionale che, come abbiamo visto nei villaggi tribali, coinvolge ogni donna attraverso un lavoro manuale con l'uso di telai rustici e che occupa il tempo lasciato libero alle donne dai lavori agricoli e domestici. Il secondo aspetto deriva dalla grande offerta di manodopera a prezzi assolutamente stracciati che accetta di lavorare in condizioni reputate impossibili in quasi tutti gli altri paesi del mondo ed infine anche dalla richiesta del mondo occidentale che è continuamente alla ricerca di minimizzare i costi del lavoro e, adesso, new entry, anche di quello dei paesi emergenti dove ormai la crescita del benessere comincia a mettere fuori mercato la propria manodopera, a partire dalla Cina, che, essa stessa ha cominciato a delocalizzare, in una sorta di karma negativo che punisce chilo ha inventato. Qui vengono a pescare tutti e questo, in un certo senso, riesce a dare fiato ad una economia altrimenti esangue.

La strada sul crinale
Dunque ho chiesto a Eusuf se c'è la possibilità di vedere da vicino qualche realtà anche piccola, per tentare di capire qualcosa sull'argomento. Quindi appena partiti, andiamo subito a fermarci in mezzo alla zona commercial-industriale di Rangamati. I negozi del mercato sono ancora tutti chiusi, essendo solo le 8 del mattino, ma, incuneata tra le case, c'è un piccolo capannone, in cui già si intravede un po' di movimento. Ci infiliamo in un vicolo, dopo una porta sormontata da un'insegna scalcagnata, attraversando corridoi malandati tra pareti di lamiera cadenti e rugginose, fino ad arrivare ad un ambiente scuro in cui entriamo abbassando la testa per non sbatterla contro basse travi di legno che sostengono le lamiere del tetto, cercando di abituare la vista. Dal soffitto, da cui pendono vistose ragnatele, scendono fili volanti a cui sono attaccate piccole lampadine che emanano un debole chiarore. L'ambiente è chiuso, quasi senza aperture sull'esterno e si indovina che non appena salirà la temperatura, dovrebbe diventare soffocante. Manca l'aria anche adesso che siamo nel momento più freddo dell'anno. Uno accanto all'altro sono affastellati una serie di telai verticali manuali, più o meno complessi fino ad otto pedali. Il lavoro di tessitura viene svolto sul livello del pavimento e per fare posto a chi esegue l'operazione, sono stati scavati nella terra nuda dei buchi profondi in cui infilare le gambe e rimanere seduti. 

Il lago Kaptai
In una metà circa dei telai c'è già qualcuno che lavora; a quelli più complessi, uomini anziani, evidentemente di molta esperienza, che muovono velocemente la spoletta da un lato all'altra e pigiano sui pedali a testa bassa, mentre agli altri, sono infilate nei buchi, donne e ragazze anche molto giovani, più rilassate e chiacchiericce, che ci accolgono con grandi sorrisi e disponibilità a mostrare il loro lavoro. Intorno si aggira una signora evidentemente responsabile del locale che distribuisce gli incarichi alle ragazze che intanto stanno arrivando alla spicciolata e vanno ad occupare la loro postazione, cominciando il lavoro. La produzione consiste in pezze di cotone larghe oltre un metro, con belle strisce verticali di colori vivaci e sempre diversi. Il lavoro è a cottimo e chi lavora viene pagato 115 taka per ogni pezza finita, che impegna circa cinque ore di lavoro, poco più di un euro, molto meno quindi dei 500 al giorno di quelli che lavoravano i tronchi di legno nella fabbrichetta di ieri, lavoro tuttavia molto più faticoso e pericoloso anche apparentemente. Eusuf ha ordinato al baretto che sta davanti, thé e biscottini per tutti e le ragazze smettono di tessere e si godono la pausa dividendolo con noi; solo gli anziani continuano il lavoro a testa bassa. Dunque la sensazione è che qui, in linea di massima, ognuno lavora secondo il suo ritmo, e la pressione della sorveglianza non è fondamentale, intanto il guadagno è commisurato al lavoro fatto, forse, se vieni giudicato troppo batticanna, il tuo telaio, viene dato a qualcun altro più volenteroso.

Trasporto pietre
Difficile dare giudizi e fare valutazione. Di certo per il nostro metro, l'ambiente di lavoro è terrificante, ma proviamo a paragonarlo con quello in cui questa gente abita, le differenze forse sono minime e quindi questo potrebbe non rappresentare un fattore così negativo per loro. L'altro punto negativo è dato dal compenso orario effettivo, davvero minimo. Il contraltare è che in questo lavoro ti puoi, in una certa misura autogestire secondo le tue esigenze, cosa meno pesante, certo se rapportata ad altre tipologie di attività assai più faticose e pericolose. Insomma quello che col nostro metro sarebbe uno sfruttamento insopportabile, nella scala locale degli inferni, appare come uno di quelli meno feroci, almeno questa è la mia impressione. Probabilmente assai peggiore è la situazione nelle grandi fabbriche dove il lavoro è più meccanizzato e quindi più pericoloso, malsano e meno autogestibile. Rimane comunque sempre molto difficile fare questo tipo di valutazione, forse ci mancano altri elementi da valutare, quindi se pure questa visita sia stata molto interessante, non vorrei sparare giudizi affrettati. Come sempre, per me per lo meno, più cose vedi e più ti aumentano ii dubbi, le certezze tranchant le lascio agli altri. Usciamo invece dalla città ancora semiaddormentata e risaliamo le colline entrando nella assoluta bellezza del parco naturale che circonda il lago, di certo uno dei luoghi imperdibili di questo paese.

Alla fonte
La strada procede con una serie di curve cieche e strettissime seguendo la complessa e scoscesa orografia della zona, cercando di mantenere la linea contorta della sommità dei crinali e che consente di vedere gli strepitosi panorami che si estendono dai due lati. Il sole ormai alto penetra le insenature delle valli profonde, scoprendo specchi di acqua blu scuro, isolette verdi e dirupi di terra gialla, nei quali indovini o prevedi frane rovinose e fiumi fangosi, non appena le cataratte del cielo si apriranno con l'arrivo del monsone. Case sparse nel bosco e villaggi di poche capanne occupano rilievi e piccole radure sui poggi più esposti. In qualche zona più scoperta indovini anche gente china su un suolo difficile e ripido nel tentativo di ritagliare orti di fortuna e campetti dove seminare qualcosa. Ogni tanto gruppetti di donne risalgono la china con fasci di legna o addirittura frammenti di tronchi in equilibrio sulla testa. Passandoci accanto muovono solo gli occhi per squadrarci di sguincio, senza far cadere il peso incredibile che le schiaccia. Ricaricarlo ritrovando il precario equilibrio, sarebbe forse impossibile. Ci fermiamo continuamente perché i punti di vista sono sempre differenti e più belli, via via, strette finestre su valli profonde o larghi squarci che mostrano la superficie del lago lontano e più libero. Poi, mentre il lago si restringe vieppiù, la strada precipita in basso verso l'emissario, il fiume Karnaphuli, che bisognerà attraversare in qualche modo per procedere verso sud.

La gerla




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domenica 24 febbraio 2019

Bangla Desh 8 - Tramonto sul lago Kaptai


Tentando di accendere la pipa

Telaio di villaggio
Risaliamo lentamente il lago, che adesso, nel primo pomeriggio ha tutto un altro aspetto, se paragonato a questa mattina all'alba, quando appariva come un immenso palcoscenico invaso da una nebbia di apparente ghiaccio secco, da cui emergevano dietro ogni quinta, quadri di vita che sembravano impersonati ad arte per far stupire il viaggiatore emozionato. Un luogo fatato quasi irreale. Adesso, mentre il sole alto ha riscaldato l'atmosfera, la bellezza selvatica della foresta che si inerpica lungo i ripidi fianchi delle colline, si mostra in tutto la sua splendida impenetrabilità. Qualche barca attraversa lo specchio di acqua ed attracca in insenature nascoste da cui partono sentieri scoscesi, tagliati nella terra gialla che subito spariscono nel folto tra gli alberi.  Qualche pescatore ritira le reti. Adesso non puoi non vedere immediatamente la grande statua di Buddha in piedi che corona la cima di una piccola isola in mezzo al lago. La sua sagoma che si staglia all'orizzonte, ti guida da lontano e la raggiungi attraverso una scala contorta che mantiene la tradizionale salta verso l'alto che caratterizza la filosofia di questa religione. Per ogni tempio c'è sempre una lunga scala che ti obbliga a compiere un percorso per raggiungerlo, quasi fosse una via spirituale, come tutte, difficile e faticosa per arrivare fino all'illuminazione. Le tribù delle colline sono per la maggior parte buddiste e quindi sono molti i templi, quasi tutti moderni, sparsi qua e là sul territorio. 

Dalla collina
Quando arrivi in cima, la grande statua color dell'oro, troneggia alle tue spalle, senza particolari meriti artistici, come tutte le altre che vedremo quaggiù, ma si accompagna ad un magnifico panorama che ti permette di allungare il punto di vista su tutta l'area circostante, quasi disponessi di un piccolo drone per controllare dall'alto, questo altro e più convincente punto di vista. L'orografia particolare di questo territorio, fatto di alte colline ricoperte dalla jungla, tra le quali la fortissima piovosità ha eroso valli contorte e profondissime, ha consentito alle acque del bacino di insinuarsi in profondità, su di un'area vastissima, costituendo una serie infinita di contorti e frastagliatissimi bracci laterali, con la creazione di strutture frattali di particolare bellezza, ancora più evidenti quanto più si sale in alto. Tutto appare come una terra magica di un pianeta alieno, fatta di grandi massi verdeggianti piantati o caduti dal cielo su una piatta superficie di argento. Davvero un colpo d'occhio mirabile, che varia in continuazione se percorri il sentierino che si infila tra gli alberi radi, sul crinale della montagna. Mentre scendi ti appariranno evidenti quei piccoli spazi piani ricavati terrazzando le rive che si inabissano nel lago, che le acque, nel loro continuo variare a causa delle fortissime piogge monsoniche, questa rimane comunque una delle regioni più piovose della terra, alternativamente a seconda delle stagioni, ricoprono o, ritirandosi, lasciano scoperte. 

Risaie 
Qui nascono immediatamente piccolissime risaie, fazzoletti di pochi metri quadrati, che a seconda della loro distanza in verticale dalla superficie del lago, fanno notare subito differenti stadi di crescita, dal verde chiaro delle piantine appena messe a dimora, ancora incerte nel fango dell'acqua appena ritiratasi, al verde pieno di quelle in fase di levata, al giallo oro di quante invece, più in alto, sono ormai nella loro fase di definitiva maturazione, dove l'acqua è ormai assente, in attesa di essere mietute. Un'agricoltura che riesce a sfruttare le minime variazioni stagionali, per ottenere il massimo da una terra ed una climatologia difficile. L'uomo adatta le sue scelte con esperienza millenaria, con un unico e onnipresente scopo, quello di ottenere il massimo possibile dal territorio che ha a disposizione, tutto il resto è chiacchiera. Un giovane monaco in tunica rosso mattone incrocia il mio cammino, lungo il sentiero, mi lancia un sorriso con gli occhi bassi e prosegue, scomparendo in fretta tra gli alberi. Avrà raggiunto il suo solitario luogo di meditazione, dove potrà rimanere seduto per ore o giorni distratto solo dalla bellezza del panorama che lo circonda o starà solo cercando un luogo appartato dove espletare le sue necessità corporali? Non ci è dato di saperlo, ma in fondo, che importanza ha tutto questo, nell'economia dell'universo. 

Costruzione di una parete
Poche centinaia di metri dopo facciamo un altro scalo. Dall'insenatura dove scendiamo a terra evitando il fango della riva, parte un sentierino che conduce ad un minuscolo villaggio Chakma. I nostri soldati, armi in spalla, ci seguono pigramente. Poche capanne squadrate, disabitate all'apparenza; sul promontorio le piccole risaie che avevo notato dall'alto, più in alto piccole corti dove grufolano maiali grigi di piccola taglia. Un vecchio seduto davanti alla soglia di casa, fuma la caratteristica pipa ricavata da un grosso nodo di bambù pieno d'acqua, in cui è infilato un fornelletto di argilla, di cui avevamo già visto parecchi esempi al mercato. Il fumo passa attraverso il liquido in una sorta di narghilè artigianale, che vedi dappertutto ed è una caratteristica propria di questa tribù. Davanti ad un'altra capanna, una donna sta mondando i rizomi di tamarick, una spezia dalla forma simile allo zenzero, che cresce abbondante da queste parti, preparandone una gerla da portare al mercato. I pochi abitanti sono assolutamente accoglienti e mostrano l'interno delle loro abitazioni, piuttosto spoglie in verità, senza problemi, così come quelli di un altro villaggio Chakma, molto più grande che incontriamo più a valle. Anche qui bisogna risalire una lunga scala che raggiunge le capanne scarse nel bosco. Qui incroci gruppi colorati di donne intente a chiacchierare, circondate da bimbi in buona salute e ragazzetti che giocano con gli strumenti improvvisati dei paesi poveri, vecchie ruote o rotelline attaccate a bastoni, l'armamentario comune a tutti i bambini del terzo mondo e molto simile comunque a quello dell'infanzia dei nostri padri. 

Sfoglie di legno
Qualche donna sta preparando un telaio di villaggio, di quelli semplici che consentono di preparare lunghe pezze o scialli, con l'ausilio di semplici bastoni a trattenere l'ordito, sedute a terra, maneggiando con destrezza la spoletta, lanciata avanti ed indietro. La preparazione dell'ordito è lunga e da qui, attraverso l'alternarsi del colore dei fili, nasce poi la ricchezza e la complessità del disegno che è soltanto nella mente di chi lavora e che apparirà solamente alla fine della lunga operazione. Scendiamo al molo circondati da una schiera di ragazzini, che hanno abbandonato le loro occupazioni, per la ben più interessante novità del giorno. Inoltre sanno che Eusuf ha preparato per loro qualche pacchetto di biscotti per meglio ingraziarseli. Tre uomini sulla riva preparano grandi stuoie di bambù, intrecciando le stecche con maestria, che diventeranno pareti di una nuova capanna. Riprendiamola barca per fermarci più avanti su un altro belvedere a sgranocchiare qualcosa riempiendoci gli occhi di altre cartoline, altri fondali dipinti all'orizzonte. Intanto percorrendo queste strade sul lago si sta facendo sera. Più vicino a Rangamati, le capanne si addensano lungo le rive che appaiono sempre via via più popolate. Ci sono anche alcune attività che potremmo chiamare industriali, come una fabbrichetta con macchinari anche di una certa rilevanza che lavora i tronchi del Sal, uno dei legni duri, che assieme al Tek viene anche coltivato in tutto il paese. 

Al telaio
Sono tronchi grandi e molto regolari, che acconciamente tagliati vengono sfogliati da una lama, mentre l'albero gira su una sorta di tornio, ricavandone lastre di legno che mostrano i bellissimi disegni dei cerchi di accrescimento e che viene usato per foderare ed impiallacciare mobili, porte e altri materiali di legno. L'ambiente è rumorosissimo e l'aria densa di una spessa polvere di legno che le macchine spandono allegramente. Gli addetti, molte donne, principalmente alla taglierine che riducono i fogli in rettangoli regolari, hanno una mascherina che li protegge in un certo modo e misi dice prendono circa 500 taka al giorno, che non è poco per un lavoro che mi sembra abbastanza pesante, ma è difficile fare valutazioni serie. Poco più in là un'altra fabbrichetta lavora ulteriormente il tamarick, che già avevamo visto mondare al villaggio, bollendolo, poi scorticandolo e raffinandolo ulteriormente prima di confezionarlo in grandi sacchi da inviare lontano, che,  riempiranno all'inverosimile i cassoni di traballanti camion che li porteranno a qualche altra industria in città, per qualche successiva lavorazione. Alle spalle, un altro grande paese, ma qui avverti già di più l'aria cittadina, degli scarichi e dello sporco della densità abitativa. 

I nostri soldati
Qui la gente è mescolata e le facce tonde dai caratteri birmani si mescolano ai visi scuri e minuti del bengalesi, gli occhi a mandorla delle donne che si lavano nel lago nell'arancio del tramonto, sorridono meno, sembra essersi perduta la serena mancanza di fretta della foresta. Anche qui, camminando tra le palafitte, puoi entrare nelle case, dove però il fine, più che il piacere di accogliere un ospite più o meno gradito, è indirizzato a mostrare la propria produzione, non sia mai che, al termine della visita qualche cosa glielo compri. Andiamo a trovare una famiglia di amici di Eussuf che ci accolgono invece con grande entusiasmo. Anche qui si tenta di fumare la pipa con scarsi risultati, tra thée biscottini tanto per gradire, intanto che la padrona di casa mostra i suoi lavori. Calcolando che per fare una bella sciarpa ci mette cinque giorni e mezzo, 400 Taka non sembrano tanti. Intanto è oramai buio e non rimane che calcolare le mance che spettano al barcaiolo e ai tre soldati che hanno passato con te la giornata. Sarà, ma stare seduti tutto il giorno in barca, è fatica, così prima di cenare, sbaglio anche piano e cerco con foga, perché la porta ha difficoltà ad aprirsi, di entrare nella camera di una giovine signora che essendo già a letto si mette a gridare. Fuggo in ritirata scusandomi, è ora di andare a dormire.

Lago Kaptai al tramonto


SURVIVAL KIT

Pollo al bambù
Marmaid cafè - Locale sulla riva del lago, ben visibile per le ampie insegne e più o meno a metà strada tra il pontile di Rangamati ed il mercato di Shuvolong. La sosta è assolutamente consigliata, per la piacevolezza del luogo, disponendo di una magnifica terrazza con bella vista sul lago sulla quale riposarsi ammirando quando ti circonda e per la cucina, locale e non solo, interessante, sia per la qualità, che per la presentazione, direi addirittura elegante e ricercata. Ottimo il pollo al curry nel bambù, i pesci del lago fritti, il riso con verdure, un buon dal, noodles con pollo ed altro. Toilettes curate e divertenti, con ampi specchi che permettono di autocontrollarvi durante le operazioni. Quasi tutti i turisti si fermano qui durante il giro che occupa tutta la giornata ed i gestori consci della tipologia di questa clientela, sono abbastanza parchi nell'uso del chilly, cosa non sgradita. Di norma il pranzo completo è incluso nell'escursione. 

Lo standing Buddha




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