sabato 30 aprile 2011

Calcinculo.

Immagine dal web
Non fatevi fuorviare dal titolo  ingannatore. Quello di oggi non è un post politico, non si può più parlare di questo argomento in questo paese. Subito ti assale una tristezza sconfinata che ingrigisce gli arcobaleni più smaglianti. Così la pioggia di ieri si è portata via i baracconi. Che anomalia per questa città. Come vi ho già raccontato una volta, la pioggia era una caratteristica fissa che accompagnava, forte o debole, tutto il mese delle giostre e la masnada di ragazzotti che si aggiravano negli interspazi ghiaiosi per dare la baia (vi piace questo indulgere a forme desuete, tanto per spandere? d'altronde è naturale se si vuole tornare indietro nel tempo con la memoria) alle compagne di scuola in calzine bianche che emettevano urletti sui primi ottovolantini, doveva saltabeccare tra le pozzanghere o riparasi alla meglio sotto le pensiline dell'autoscontro.

Però negli squarci di luce tra i nuvoloni grigi, c'era un punto più affollato degli altri, sempre gremito di spettatori che facevano cerchio attorno all'attrazione che, per sua natura abbisognava di uno spazio libero circolare più vasto, se pur transennato. Era la regina di tutte le giostre, divertissement per ragazzi già grandi, la favolosa calcinculo. Molto più alta ed imponente, nella sua semplicità a confronto delle altre giostrine da bimbi, stava lì, gigantesca con il suo gran piantone centrale e la schiera dei seggiolini penzolanti dalle catenelle deboli all'apparenza, quasi misera, quando era ferma. Ma quando cominciava a vorticare e la forza centrifuga sollevava a poco a poco i seggiolini carichi di ragazzine con gonne e capelli che svolazzavano fuori controllo e di ribaldi che tentavano di afferrarle, fintamente nolenti e spingerle con la leva delle gambe per scagliarle ancora più in alto, ancora più velocemente, ah, che sensazione di velocità, di pericolo incombente, di sfida futurista alle leggi della fisica!

Poi c'era la sfida per acchiappare il fiocco, posto là in alto, apparentemente irraggiungibile a quelle braccia che si allungavano nel cuore e nella mente senza poter avvicinare il nirvana, fosse esso la primazia della conquista del giro successivo o delle forme ammiccanti che stavano raccolte nel seggiolino davanti. Nel gruppo degli amici di Valle, c'era un giovin focoso e ancorché rozzo, ammirato dalle fanciulle, che aveva ideato una sua tecnica al riguardo. Invece di farsi parte passiva, prendendosi l'incarico di spingere con un forte calcione il passeggero avanti a lui, che generalmente veniva scelto per il suo scarso peso e quindi farlo volare più alto per raggiungere il fiocco, essendo lui stesso leggerino, utilizzava un metodo inverso. Si sceglieva, avanti a lui una figura bene inquartata, poi quando la giostra aveva raggiunto la corretta velocità, in posizione opposta al bersaglio, dava apparentemente contro ogni logica, la grande spinta  verso l'esterno, cosa che proiettava inutilmente il seggiolino anteriore completamente fuori tempo, ma la spinta contraria che lui più leggero riceveva, lo faceva sprofondare verso l'interno del vortice, lanciandolo subito dopo, per naturale sinusoide, all'esterno e molto più in alto, proprio nel momento in cui passava davanti al premio che invariabilmente acchiappava tra l'ooooh estatico delle sue ammiratrici.

Certo la parte più difficile era il punto esatto da cui calibrare il lancio, essendo completamente sganciato dalla vista del traguardo, ma il birbo aveva raggiunto ormai tale perizia, che il giostraio, gli poneva il trofeo sempre più in alto o addirittura glielo faceva ballonzolare al passaggio, per mettere un po' di pepe nell'agone e dare infine qualche possibilità anche agli altri. Io non ci sono mai salito sulla calcinculo. Forse era il timore, di un pericolo inesistente, che mia mamma astutamente mi istigava, raccontandomi di schiere di bambini maciullati dopo il probabilissimo sganciamento fortuito di seggiolini che si erano schiantati irrimediabilmente contro le dure pareti del retrostante  Tunnel dell'amore, altra attrazione di cui si raccontavano cose turche, al centro dell'immaginario delle schiere di brufolosi; ma credo che me lo dicesse per sviare la mia attenzione da quella giostra che rimaneva comunque la più costosa di tutte ed era irrimediabilmente fuori dal mio budget. Ci sono passato l'altro giorno per curiosità dopo aver letto le considerazioni di Maaleesh al mio post precedente ed era proprio così anche se  c'era il sole tra gli spazi polverosi e deserti dei baracconi silenziosi, chiusi per metà. Nessun odore di krapfen nell'aria, tre autoscontri giravano lenti e senza colpirsi, l'aria quasi ferma e senza che, come allora, vibrassero forte le note di In ginocchio da te. In un angolo, ancor più solitaria e triste la calcinculo pareva uno scheletro abbandonato con i suoi seggiolini di plastica spelacchiata che pendevano immobili. Neppure più un alito di vento a dar loro  una scintilla di vita.


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venerdì 29 aprile 2011

La prevalenza del coniglio.

Scusate se anche ieri non sono riuscito a postare nulla; ci sono dei buoni motivi, non è che mi sono impigrito, è che, da buon pensionato sono stato travolto dall'incombenza degli impegni. In particolare ieri ho dovuto portare mia figlia dal veterinario, cosa che tra annessi e connessi mi ha bruciato tutta la mattinata. Immagino già la levata di scudi. Tutte scuse, ti sarai alzato alle dieci, colazione lunga, traccheggio e cazzeggio vario. Oppure qualcuno che vorrà criticare il fatto in sé, avendo fatto finta di capire che noi alessandrini, per risparmiare, portiamo le figlie da questo stimato professionista invece che dal medico. Intanto non sarebbe così, perchè costa tanto quanto il suo omologo per umani e poi nella fattispecia si trattava di accompagnare la predetta figlia, luce dei miei occhi, a portarvi il coniglio da grembo che perde il pelo a chiazze. Alopecia incipiente, micosi o altri parassiti, avitaminosi perniciosa. Non si sa.

Intanto ho cacciato prontamente 30 euri per il consulto con la luminare e altri 35 di medicinali preventivi, che comunque forse non serviranno a nulla in quanto non è stata individuata la causa vera del malanno. Si sa i conigli non parlano al massimo zigano, anche se raramente e la diagnosi è difficile, ma c'è un sospetto, così almeno ha paventato la professionista in questione, che possa trattarsi di stress. Non si sa bene da cosa provocato, visto che il mangiacarote a ufo, se ne sta beato in panciolle tutto il giorno, mangiando e bevendo ogni ben di dio e ti lecca il dito felice quando lo trattieni amorevolmente sulle ginocchia, palla di pelo morbida e calda. Né peraltro, è stato trattenuto dal divorare con gusto il filo di alimentazione del PC, altro motivo del mio silenzio di ieri; cosa che comunque mi è costata altri 49,99 Euro, portando l'esborso totale della giornata del coniglio a 114,99. Comunque dichiaro ufficialmente che stress o non stress mi rifiuterò di fargli fare un ciclo di sedute di psicoterapia. Fieno di prima qualità e carote siano sufficienti. Non so più che dire, oggi tutto è stato ripristinato, la bambina è partita più serena e anche il giramento mi sta passando. E poi con quegli occhioni umidi che mi guatano sotto quelle orecchione pendule, come si fa a resistere!



PS. Ieri sera, affinchè non mi diate dell'insensibile, ho avuto modo di contattare un veterinario psicologo comportamentale, il quale, forse perchè stanco dopo una dotta prolusione, mi ha consigliato di rivolgermi ad una sua collega anch'essa psicologa comportamentale, ma specializzata in conigli nani.

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mercoledì 27 aprile 2011

Legittimo impedimento nucleare.

Nella credibilità, un punto fondamentale è la coerenza, quantomeno non bisogna mostrare di avere, almeno smaccatamente, secondi fini. Un bellissimo evento descrittivo di questo assunto lo abbiamo avuto in questi giorni. Chi mi legge sa quanto io appoggi incondizionatamente un approccio scientifico ai problemi, che deve essere sempre supportato da dati e da fatti reali, provati e ripetibili. Quindi decisa distanza da biocavolate varie e omeopatie  basate sul furore polare. Al nucleare invece, sono sempre stato e rimango, decisamente contrario. Mi sto contraddicendo? Non credo. Il problema va, come tutti gli altri esaminato sotto tutti i punti di vista e nel suo complesso. Dal lato economico, il nucleare non è come ci hanno raccontato, conveniente. Soprattutto se si considerano i costi, dalla costruzione delle costosissime centrali, al loro completo decommissioning (ancora più costoso della erezione). Dal punto di vista della disponibilità del combustibile poi, si sa che non abbiamo miniere di uranio e che queste, poche, si esauriranno addirittura prima delle fonti fossili.

A questo vanno aggiunti i costi per lo smaltimento delle scorie, di cui si continua a far finta che sia un problema secondario e non una patata bollente che non ha ancora risolto come quelle di Trino Vercellese, tanto perchè si sappia. Inoltre saremmo debitori anche della tecnologia, che è esclusivamente francese, come ben si sa. Ma la cosa più dura da accettare, riguardante la sicurezza, che in sé, potrebbe essere accettabile ed è il problema che mi spaventa di meno in linea teorica, è che sappiamo tutti cosa succederebbe in Italia, posto che qualche regione le accetti, all'assegnazione degli appalti. Cemento alla sabbia, strutture di sicurezza di cartone e assegnazione dello smaltimento delle scorie ad associazioni campane per lo sversamento nelle campagne casertane. Ma suvvia, come potete avere fiducia su questo lato della questione. Mi meraviglio e questo non c'entra nulla con la fiducia nella scienza, senza contare che come dice Rubbia, le strade tecnologiche accettabili, sono da studiare e non sono ancora quelle attuali. Chiuso il mio punto di vista è molto divertente esaminare quello di chi ci governa.

Uno dei punti fondamentali del programma era proprio il ritorno al nucleare, in barba alle decisioni degli italiani, che ci era stato presentato come unica soluzione sicura ed intelligente, da facce gravi e dispiaciute che il nostro paese fosse rimasto arretrato nel tempo a causa di pochi deficienti (mi sembra oltre l'80% di chi votò) che avevano condannato l'Italia al medioevo energetico quando il Giappone ricavava quasi tutta la sua energia proprio dal nucleare. Salvo i leghisti, naturalmente che mentre danno del coglione a chi al nucleare si appose, sono naturalmente contrari a farle nelle regioni dove governano. Non esageriamo la coerenza è una cosa, il consenso è un'altra. Certo le motivazioni erano ottime; da un lato, dai gruppi di appaltatori che già si stavano fregando le mani al profumo del grasso che cominciava a colare e dall'altro i famosi sondaggi, ormai unica fonte delle decisioni politiche. Poi appena succede il patatrak e i sondaggi cambiano bandiera, invece di venire a sostenere le loro decisioni, che se erano giuste ieri non saranno certo sbagliate oggi, ché la scienza non cambia in base ai sondaggi, gli stessi personaggi, con la stessa faccia grave, ci spiegano la necessità di sospendere prima e poi di cancellare le norme che erano state promulgate sulla questione.

Coerenti come sempre; si fa non quello che è giusto, ma quello che sempra piacere al popolo, che non sia mai che si perda qualche voto; magari come la Lega, attentissima a queste cose, si fa una cosa in parlamento e si dice il contrario nelle piazze, tanto per essere sicuri. Comunque l'importante di questo stop, non è certo il nucleare, che si sa è ormai morto e sepolto, salvo poter essere ripreso di nuovo, appena i sondaggi cambieranno allo spirar dei venti, ma il famoso secondo (e terzo) fine. Infatti l'inutile provvedimento di cancellazione di questi giorni, come ognuno ha capito, serve soprattutto a cancellare il referendum, che non sia mai che si capisca che la maggioranza della gente non ne può più di questi personaggi. Ma per calare anche l'asso, nei prossimi giorni verrà sistemato ed eliminato anche il referendum sull'acqua, per essere certi che vada poi in malora anche l'ultimo, quello davvero importante naturalmente, quello sul legittimo impedimento. Mah, mettiamola in ridere, date un'occhiata a questo video di un mio caro amico, grande attore che avevo cercato di distogliere dall'arte per fargli vendere pezzi di plastica.




PS. Leggo in questo momento sul giornale e porto alla vostra attenzione una notizia che mi lascia talmente basito da non riuscire a formulare nessun commento. Il nostro ineffabile capo del governo, ha confermato pubblicamente questa mattina che certamente la cancellazione dei provvedimenti riguardanti il nucleare è stata fatta solo per evitare il referendum, in quanto "gli italiani sarebbero indotti dall'emozione a votare male" e che tra due o tre anni il programma nucleare riprenderà come previsto. Questo incredibile candore non ha spiegazioni di sorta, lo lascio quindi al vostro giudizio sereno.


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martedì 26 aprile 2011

Orchidee in Cittadella.


Ieri si è concluso l'ultimo evento di questa tornata nella Cittadella di Alessandria. Già vi ho parlato di questo splendido contenitore, che si meriterebbe altra attenzione, altri investimenti, forse un'altra città. All'interno del bastione S. Michele, una delle decine di immensi saloni sotterranei nascosti sotto le fortificazioni, era allestita una impegnativa ambientazione di foresta tropicale con una esposizione di orchidee, da fare invidia ad un piccolo settore di Euroflora. Suggestiva e coinvolgente con le sue molte curiosità e le bellezze di questo fiore ammiccante ed allusivo, da sempre simbolo della più carnosa sensualità e del mistero profondo, una vera e propria folla ha fatto per giorni una coda ordinata per aggirarsi, stupita tra i vialetti dove risuonavano i rumori della foresta. Cose mai viste ad Alessandria. Si parla più o meno di 100.000 visitatori, più della intera popolazione intra muros, alla faccia di chi dice che la città non risponde mai. Sì, sì, già vi sento che tirate fuori che l'ingresso era a gratis, come si dice qui e che ci fosse stato da cacciare un euro, i paganti si sarebbero ridotti a qualche centinaio di amatori. Forse, però vedere tutte quelle migliaia di persone che sciamavano festose nei grandi spazi interni di questa città nella città, tra i palazzi ed i bastioni, i tanti ragazzini che si guardavano intorno con occhi spalancati, fa venire qualche dubbio, che se fai delle proposte valide, la gente risponde.

Colmo dei colmi, nel bel museo delle uniformi che occupa il piano terreno del palazzo del governatore, ho sentito una famigliola che parlava in tedesco. Vuoi vedere che nonostante i commercianti alessandrini, che fanno barricate contro l'isola pedonale in centro e che preferiscono tenere chiuso il lunedì mattino nonostante arrivi l'Autozug dalla Germania con quasi 200 persone ogni settimana che, appena sbarcati si aggirano sperduti alla ricerca di un bar aperto nella città morta, prima di partire desolati verso una civiltà più accogliente, qualcuno, se hai qualcosa da mostrare, lo intercetti? Certo poveretti cercavano invano la biglietteria, increduli che non si pagasse nulla per vedere un posto che, nella vicina Gallia, ti avrebbe spolpato una decina di euro all'ingresso e qualcos'altro nelle varie esposizioni. Per fortuna un bersaglere volontario gli ha indicato un cestino per le offerte talmente vuoto da far apparire orfana la banconota da 10 euro che vi hanno deposto. Va bene consideriamolo un investimento di accoglienza, se la voce comincia a girare, chissà che non ne arrivino degli altri, salvo trovare chiuso. Comunque non turbiamo con i rimpianti questa iniziativa che ha avuto un considerevole successo e potrebbe dare anche grandi insegnamenti.


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sabato 23 aprile 2011

Sixty-five.

Qui è tutto un tourbillon! Si sono appena spenti i fuochi artificiali del compleanno della mia bambina, che si accendono quelli di un altro genetliaco, ovviamente meno importante anche se più ponderoso. Altroché, ieri mattina mi sentivo gli stessi 25 anni della creatura e poche ore dopo eccomi sprofondato nel baratro senza fondo dei 65. E' un po' un'età limite, uno spartiacque tenebroso che ti fa pretendere lo sconto quasi dappertutto, meno che dove serve, dall'idraulico per esempio, che se ne catafotte degli anni e se il tuo scarico perde, vuole tutte le svanziche al completo e senza fattura, se no le tasse gliele paghi tu. E gli amici che ti fanno gli auguri. Per carità saranno due parole buttate lì, sarà l'aiuto dello schermo e di FB che ti comunica tutti i giorni che oggi è il compeanno di questo e domani di quello, ma io sono un nostalgico e anche quelle due paroline, mi fanno davvero piacere.

L'uomo è davvero un animale strano, gode ad essere presente nei pensieri degli altri, forse è per questo che anela all'immortalità. Aveva ragione Foscolo, siamo tutti qui a sperare di rimanere il più a lungo possibile nei ricordi degli altri. Forse è proprio questo anelito che spinge alla ricerca della fama, anche quella più abborracciata e meschina. Parlatene pure, anche male, purché se ne parli. Non so. Io intanto mi godo la mia giornata con la mia GS (gentile signora) che è già uscita per comperarmi la torta che mi piace tanto, poi dite che questo non è amore. Dopo, bambina finalmente presente di persona e non solo su Skype, daremo inizio ai grandi festeggiamenti appaiati. Fuoco alle polveri e chissenefrega se son già sessantacinque. L'importante è esserci alla festa e aun aprender!


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La stagione secca.
Buon compleanno
Quel treno per Yuma


venerdì 22 aprile 2011

Buon 25° Compleanno!

Oggi era nato un piccolo fiore
uno stelo bruno
fragile e delicato
da crescere con amore.




Tanti auguri.
Che tutti i tuoi sogni si avverino
e che ogni giorno ti sia lieve e sereno
bambina mia.




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Buon compleanno

giovedì 21 aprile 2011

Euroflora 2011.




Euroflora è una magia che si ripete ogni cinque anni, sempre uguale e sempre diversa. Sarà che l'uomo si sente naturalmente affascinato dal verde dagli alberi, ma soprattutto dai fiori, per giustificare il successo travolgente che ha questa, come del resto altre manifestazioni simili. Un sacco di persone sono ben contente di pagare un biglietto per passeggiare, ammirare, godere di piante che arrivano da tutte le parti del mondo. Certo si dirà che questa edizione è in tono leggermente minore a causa della crisi e dei soldini che mancano. Certo tutti, se possono, limitano le spese, ma non rimarrete comunque delusi da questa che comunque rimane un punto fermo tra le floralies europee.




Io, essendo stato coinvolto per fare il giurato in 5 dei numerosissimi concorsi, me la sono potuta godere, diciamo in privato e con più calma, nella giornata che ha preceduto l'apertura, evitando la folla pressante che sicuramente ci sarà nei prossimi giorni. Che delizia passeggiare tra i vialetti, facendosi largo tra le fronde, confrontando i concorrenti, valutando la consistenza dei capolini, la grandezza di petali, i colori, la rispondenza varietale. Discutere sulla bellezza è sempre una cosa straordinaria, farlo con la simpaticissima e competente signora con cui mi sono accompagnato è stato anche un piacevole privilegio. Un tripudio di colori e di cose belle, anche se alla sera il gonfiore ai piedi si è fatto sentire in tutta la sua potenza distruttrice. Per fortuna che i delicati piatti a tema floreale della cena della premiazione, hanno saputo attutire il grido di dolore. Accompagnati da fragranti focaccine, ecco incedere bagnati da un profumato pigato, pinzimonio nel bambu, riso con seppioline, spigola ripiena di verdure e gelato al cioccolato elegantemente presentati, mentre i membri delle varie giurie si mimetizzavano tra le felci per sottrarsi alle ire di chi aveva mancato di poco gli ambiti premi. Per dare gioia anche a voi ecco le foto dei piatti, per i fiori, mi spiace, ma dovrete pagare il biglietto.











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martedì 19 aprile 2011

Pioggia ai baracconi.

Intanto non piove neanche oggi. Sembra strano, ma ad Alessandria è una cosa contro natura. Qui, nella Padagna depressa, quando comincia aprile, arrivano a braccetto i baracconi e la pioggia. Sono un po' un binomio inscindibile e nostrano, una coppia che, come quei vecchi coniugi che festeggiano le nozze di diamante, non riescono a stare lontani neppure per poco, perchè hanno costantemente bisogno l'uno dell'altra. Da tutte le parti le chiamano giostre o Luna park, se si fa ad essere fini, ma da noi li hanno sempre chiamati baracconi; un corpo unico un po' alieno che invade oggi la piazza d'armi, ma che quando ero piccolo io, si impadroniva per tutto il mese di Piazza Garibaldi, che era un po' la sala di rappresentanza della città con le sue omogenee quinte di palazzi ottocenteschi.

Come sugli altri ragazzini, i baracconi avevano su di me un'attrazione morbosa, forse iniziata come per tutti i bambini quando mi ci portò, la prima volta che mi ricordi, il mio papà per farmi salire su una giostra, che mi pareva grandissima, con tante buffe macchinine. Io volli a tutti costi la vespa, che rimase poi per sempre un desiderio inappagato, ma quando tutto iniziò a girare vorticosamente, ero talmente emozionato che mi dimenticai di suonare il clacson, come mi ero preposto, nonostante i grandi segni che mi faceva mio padre a cui avevo comunicato di stare ben attento ad ogni mio passaggio. Così il giro finì in fretta, troppo in fretta, ma se ne poteva fare solo uno, come era nei patti, così me ne tornai a casa con una lacrimuccia incipiente, mesto con il magone nel cuore e senza neanche la voglia di raccontare alla mia mamma la grande avventura. Poi, un po' più cresciuto, ci potevo andare da solo, appena finiti i compiti e mi piaceva passare un paio d'ore anche se ero quasi sempre da solo, riparandomi sotto le tettoie, perchè pioveva sempre come vi ho detto, a guardare le varie attrazioni, come venivano chiamate.

Mi piaceva guardare i bulletti che sparavano con le carabine dei tirassegni, rompendo i gessetti uno dopo l'altro o meglio quelli dei fuciletti a tappo con cui si vincevano sempre e solo dei grossi wafer rettangolari, o le gabbie che forzutissimi ragazzotti, tra l'ammirazione delle ragazze, facevano girare dondolandosi all'interno con la forza delle braccia, cosa che mi pareva assolutamente superiore alle mie forze, anche perché il mio rapporto peso/muscolatura era già leggermente sbilanciato. Guardavo ammirato da fuori la presentazione delle moto che facevano il giro della morte, miracolo della fisica o le macchine di una grande pista ad otto dove andavano solo i ragazzi più grandi. L'unica parte semiattiva me la prendevo sugli autoscontri dove facevo spesso il terzo trasportato non pagante, come da tradizione, di qualche mio amico che mi prendeva a bordo volentieri per aumentare il peso del mezzo e rendere così gli scontri con le macchine avversarie più devastanti. Mi aggiravo così quasi sempre solitario fino all'imbrunire, quando l'orologio della piazza segnava le sei e mezza, che mancando l'ora legale, segnava un po' il limite spartiacque prima dell'accensione delle luci colorate. Perchè mi ero ritagliato soltanto una posizione di guardone passivo, nonostante, nella maggior parte dei casi fossi dotato ogni volta di 30 lire, che credo corrispondessero al prezzo di una corsa, non so. In realtà me le baloccavo in tasca per tutto il pomeriggio come se fossi nel dubbio di cosa scegliere.

Poi verso la fine crollavo e (so che mi criticherete) mi fermavo invariabilmente davanti al banchetto dei Krapfen, di cui ho ben stampato in testa quell'odore netto di olio bruciato, ma con un delizioso fondo zuccherino che veniva spolverato sul tortello dorato mentre usciva unto e bollente dal pentolone nero. Non avevo mai la disponibilità per quello rotondo da 50 lire che gongolava enorme, ricco e desiderabile, ma ripiegavo deciso per quello da 30 fatto a losanga che che atteneva perfettamente al mio budget. Lo afferravo  attraverso la carta gialla e già unta al primo contatto, bello, caldo e gonfio e ci affondavo un morso ingordo che ne spezzava la dorata superficie croccante a rivelare il paradiso del morbido interno dove abitavano delicati sentori di mela. Indimenticabili.

Chi se ne frega se non avevo sparato coi tappi o fatto due giri sull'autoscontro. Così me ne tornavo a casa un po' riscaldato da quelle sensazioni, in fretta, rasente i muri per ripararmi naturalmente dalla pioggia implacabile, anche se, chissà perchè un po' mogio, ma si sa che post coitum omne animal triste est. Poi, cominciato il liceo, non ci andai più, non so perchè, anche se mi risulta fosse luogo in cui si scambiavano occhiate roventi con quell'altro sesso misterioso e distante. Li rividi solo una trentina di anni dopo, portandoci la bambina, ma era ormai l'ora del brucomela e anche la piazza era cambiata, non si sentiva più nell'aria il profumo dei krapfen anche se pioveva sempre. Ieri ci sono passato davanti e mi sembrava tutto deserto; forse sono cambiati gli orari e il sole batteva a picco. Sarà la radioattività giapponese.



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lunedì 18 aprile 2011

Ospedale.

L'ospedale è un non luogo. Per definizione come un carcere, più ambiente di sofferenza che di redenzione. Anche la sua forma fisica, gli interminabili corridoi, le volte alte dai rimbombi inquieti, gli odori negativi che ci respiri, le attese inerminabili, contribuiscono a costruire una intelaiatura che respinge, anche se tecnicamente dovresti sentirti come dal meccanico dove vai per rendere qualcosa nuovamente in grado di funzionare in modo egregio. L'ospedale non è neppure un tempo, perchè qui l'orologio si ferma e non si riesce ad apprezzare fisicamente lo scorrere delle ore. Ti senti come sospeso in un limbo privo di riferimenti che prevede solo attese, sia che tu ti trovi al di qua o anche al di là della barriera del letto. Al carrozziere chiedi tra quanti giorni potrai andare a ritirare il mezzo, qui aspetti. Aspetti che la cura faccia il suo effetto qualunque esso debba essere. I reparti geriatrici poi, sono l'esasperazione di questo concetto. Limbo nebuloso dove i corpi spesso privi di specificità individuabili, stanno lì stimolati variamente, con tentativi di dosaggi da calibrare di volta in volta in attesa di reazioni spontanee di organi, che la natura aveva progettato per tempistiche diverse e che l'intelligenza dell'uomo riesce ad adattare a funzionalità più lunghe.

Anche da qui capisci come la nostra specie si è imposta sul pianeta. E' la volontà di forzare comunque la natura a nostro vantaggio, di sfruttare comunque il più a lungo possibile questa opportunità che abbiamo avuto e che in teoria tutti vorrebbero prolungare all'infinito. Però anche se non c'è scelta si sta male in ospedale. Nonostante tutto. Anche se sei circondato da persone che si prodigano per farti sentire meglio. Anche se in mezzo a difficoltà continue, ci mettono tanto del loro, perché la com-passione, il soffrire insieme, ti aiuta a stare meglio ed è comunque consolatorio e utile ad abbreviare il non-tempo di attesa. Tante persone che danno il meglio di sé nei giorni scuri e nelle lunghissime notti, continuando a lavarti, a nutrirti, a curarti, ad aiutarti a svolgere tutte quelle funzioni che credevi legate ad una intimità solo tua, a cercare di metterti in grado di tornare serenemente alla tua casa. Che lavoro difficile e duro.

Che ammirazione per questo esercito di soldati che riesce spesso anche a darti un sorriso o una risata leggera come aiuto non previsto, ma utilissimo per accelerare la tua liberazione anche se spesso è circondato, assalito da pazienti tignosi ed insofferenti che comunque una giustificazione ce l'hanno, ma anche da torme di parenti incarogniti, pretenziosi, arroganti, a cui il bisogno e lo stato di necessità fa perdere ogni remora di comprensione e di pazienza. Tutto e subito come sarebbe di teorico diritto, come si è ormai abituati a pretendere anche di fronte ad una realtà fatta di carenze oggettive, causate da un sistema in cui tutti hanno colpe e nessuno è davvero interessato alle soluzioni. Però alla fine, anche se per gli stessi addetti è una cosa assolutamente incredibile, nella maggior parte dei casi, si torna a casa. Senza ringraziare nessuno. E continuando a lamentarsi.


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sabato 16 aprile 2011

Le case fiorite.


La mentalità cinese è sempre stata in bilico tra il Tao e Confucio. Da una parte l'assenza di preoccupazione, comunque ilare e gioiosa, dall'altra il severo rispetto delle regole e dell'autorità, unico collante dello stato, una sorta di calvinismo bacchettone che ammantava ogni cosa di una vigile ed ossessiva etichetta. Ma come si dice l'ommo è ommo e anche gli aspiranti alle cariche di funzionario imperiale che si recavano nel periodo Tang, nella capitale Chang An (l'odierna Xi An) per sostenere i difficilissimi esami, unico modo di accedere ai più alti livelli della pubblica amministrazione, quando dovevano stemperare la tensione avevano a disposizione un intero quartiere, quello di Bei Li, la zona delle "case fiorite". Perchè bellissimi fiori sono state sempre per la pruderie cinese, le ragazze di piacere.

Anzi in caso di passaggio dell'esame, l'usanza imponeva al candidato, ormai entrato ufficialmente nel governo, di offrire agli amici una gran festa a Bei Li con uso ed abuso, come si suol dire, dei fiori più belli. Naturalmente quando qualcuno di questi fiori saliva nella considerazione, grazie alla sua bellezza o capacità, diveniva prezioso e sommamente desiderabile ed il suo costo per partecipare ad una gioiosa e simpatica serata, poteva arrivare al mantenimento di tre servi per un anno. Quelle di più infimo rango costavano invece assai poco, venivano cacciate dalle dimore costose e finivano in infimi "giardini fioriti" dove erano talmente occupate da non avere il tempo materiale di mangiare, tanto che venivano imboccate da una inserviente, un altro fiore ormai completamente appassito, potremmo dire, durante il loro continuo lavoro.

Tuttavia trattandosi di una società progredita, si previde anche ad un sorta di INPS, così un editto imperiale stabilì che venisse prelevata e conservata con cura dallo stato una parte dei guadagni dei giovani fiori e quando questi fossero alfine sfioriti irrimediabilmente, il denaro fosse loro restituito a poco a poco oppure, se lo desideravano avrebbero potuto entrare nell'ospizio imperiale. Ma i fiori più belli per tradizione, rallegravano continuamente le feste dell'imperatore e si dice che qualcuno, più delizioso degli altri avesse anche incarichi importanti nella corte, cosa che provocò la totale decadenza della dinastia, che imbarbarì l'impero suddividendolo nel buio periodo dei 5 regni, spazzati poi via dai feroci e barbari Sung. Poi le stagioni si sono alternate con sistematica scansione. Finalmente, anche qui da noi però, dopo un tedioso e duro inverno, è scoppiata la primavera e nell'aria si spande il sentore delicato seppur penetrante di una fioritura rigogliosa e fiera della sua bellezza. Di certo sarà facile trovare loro posto nei preziosi vasi di porcellana della reggia.


Refoli spiranti da:  C. Leed - Storia dell'amore in Cina - SEA -1966

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venerdì 15 aprile 2011

Bala i ratt.

Che bellezza la Svizzera con le montagne , la neve e le vallate, con Heidi e le caprette che fanno ciao, i cucù e la cioccolata tanto buona, per non parlare degli orologi e dei formaggi, gruyère incluso di cui vado pazzo. E così proprio sul formaggio bisogna puntare per intercettare il sentiment (come si dice ora) della gente, anzi a questo punto della gent, se si vuole accalappiarne i voti, che poi alla fine, diciamolo è l'unica cosa che conta. Allora proprio da una bella forma di Emmenthaler, quello coi buchi, è partita la simpatica campagna elettorale dell'UDC , partito della brava gente del Canton Ticino, detta Bala i ratt. Per renderla ancora più attrattiva e divertente, con sagacia tipicamente Luganese (o Luganica , come si dirà?) si è pensato di mettere attorno alla forma, ormai sbocconcellata, tre ratti da fogna in rappresentanza dei nemici da combattere, degli affamatori del popolo ticinese. Il primo, ratto Fabrizio, con tanto di casco in testa e canottiera, è il frontaliere varesotto che fa il piastrellista, mangiatore a ufo dei poveri tartassati svizzerotti; il secondo, Giulio, che sgranocchia un bel pezzettone di formaggio, anch'egli con tanto di tricolore sul petto, ha uno scudo con Tre Monti per difendersi dai proiettili che giustamente gli vengono tirati, mentre il terzo, Bogdan, con tanto di maglietta europea e mascherina alla bassotto si sta rubando un bel sacco del formaggio medesimo.

La campagna va avanti da mesi ed è proseguita con il manifesto  Ronfa i gatt, dove grassi gattoni dei partiti concorrenti anch'essi ormai rimpinzati dormono alacremente mentre i ratti malefici, hanno ormai divorato quasi per intero la forma di formaggio. La campagna ha avuto un finale entusiasmante con l'ultima opera Sem a la fruta, i cui gli odiosi ratti padani ormai ingrassatissimi, finito il formaggio divorano anche un grappolone di uva. Anche se si tratta di roba in fondo riciclata dagli anni trenta nel paese vicino, la lista ha stravinto le elezioni naturalmente, perchè in fondo la brava gente ha bisogno solo di sapere che ci sia qualcuno che la difende dalle orde di barbari padani che vanno a rubar loro il pane (e anche il formaggio) e l'importante è trovare un sud per ciascuno con cui prendersela e su cui gettare le colpe per nascondere i propri problemi e le proprie incapacità. Però se non fosse per il video inquietante a cui potete dare un'occhiata qui, con bei bambini dalle facce pulite e mamme felici attorno agli odiosi ratti, che meriterebbero come minimo di essere rinchiusi in un bel campo con un po' di filo spinato attorno per poter far stare un po' più tranquille quelle brave famigliole, un po' di soddisfazione ci sarebbe a veder questa gente a Bellinzona che grida ai Borghezio, ai Trota, ai Calderoli, ai Bossi un bel Fora di ball a piena gola. L'unica grana è che questi dobbiamo invece tenerceli qua.



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giovedì 14 aprile 2011

Occhi pieni di sogni.

Quando dei ragazzini si incontrano cinquanta anni dopo, l'atmosfera è rarefatta. Forzatamente non riesci a distaccarti da pensieri e da ricordi di allora in un continuo flashback di momenti, di episodi apparentemente dimenticati che tornano lì, vividi come piccoli quadri a tinte pastello. Il ricordo è il piacere dei ragazzi di una volta, un piacere a cui puoi non rinunciare senza senso di colpa, tanto poi non devi controllare il colesterolo o aver timore di avere il fiatone. E' lo stato sereno di questa età, felice per chi se la sa, o meglio è, in condizione di goderla. Ieri, attorno ad un tavolo delizioso, che una padrona di casa aveva preparato amorevolmente con i colori ed i profuni della primavera eravamo sette di quei ragazzini depassé, a raccontare di cose, a scoprirci l'un l'altro con cosa ci era successo in quel mezzo secolo di intermezzo. In genere le ragazze son sempre più timorose di questi incontri, ma poi basta poco e anche loro si lasciano andare alla corrente che infine non è mai troppo impetuosa, come si conviene.


Che piacere ritrovare in tutti quella leggera ironia che fa trasparire in fondo vite condotte in una direzione corretta, che hanno saputo accettare e superare le eventuali e naturali difficoltà, navigando in mari che allora non potevamo conoscere e che ipotizzavamo soltanto senza conoscerne i pericoli, le procelle tempestose di cui ogni mare è compagno e nel contempo le isole meravigliose da vedere e conoscere. Si sta bene insieme, comunque, anche se, per carità, l'atmosfera alessandrina generata dal bagnetto verde con le ovette di quaglia, i peperoni e acciughe, la classica insalata russa, i tradizionali rabaton, la tasca piemontese ed asparagi e un vascone di gelato di Cercenà aiuta, oh se aiuta! L'aria è tornata frizzantina sotto il sole vero di primavera sulle colline di Valle. Se ti giri verso il crinale o intravedi solo tra le cime degli alberi la sagoma controluce della chiesa, ti pare ancora di sentire il sapore del 1960, quando avevi gli occhi soltanto pieni di sogni. 


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mercoledì 13 aprile 2011

Forza Giappone.

Tutti coloro che hanno degli amici giapponesi, avranno notato nei loro sguardi e nei loro atteggiamenti, dopo gli avvenimenti spaventosi che hanno percosso duramente quel paese e che nonostante tutto non accennano a risolversi, un cambiamento, anche se non immediatamente percettibile. Anche se non sono stati direttamente toccati dalla tragedia, c'è sembra un' ombra di tristezza nei loro occhi, mentre le loro labbra non riescono a sorridere come prima. Come ben racconta qui Acquaviva, i fatti hanno toccato questo popolo in maniera globale rendendoli come è a loro consueto, compleramente partecipi e personalmente colpiti da tutto quello che accade nel loro paese. Ci è ben presente, per chi guarda anche al di fuori dei problemini enfatizzati dalle beghe di cortile del nostro sfasciato paese, l'infinita tristezza, composta e consapevole, con cui in questi giorni i Giapponesi passano qualche ora nei parchi a compiere un rito di bellezza che di solito ha come fine un arricchimento spirituale e un nutrimento per la propria serenità interiore.

Hanami, significa guardare i fiori del ciliegio. Ogni anno, quando esplode la fioritura meravigliosa dei sakura, questi delicatissimi ciuffi di bianco pallido sfumato che ricoprono i rami allo sbocciare la primavera e vi rimangono per un periodo brevissimo, è tradizione per le famiglie, trascorrere un po' di tempo ad ammirarne la bellezza, quasi che fosse un vero nutrimento dell'anima, quasi un antidoto che sia sufficiente a combattere le brutture del mondo che ci circonda e possa dare pace a chi ne gode, considerando assieme alla brevità, anche la bellezza infinita dell'esistere. Perchè è proprio nella bellezza che si può trovare la forza di superare le prove che la vita ci propone. Quest'anno, questa tradizione è stata seguita con animo carico e pesante, ma come sempre per cercare nella bellezza la forza di andare avanti. Proprio per questo aderisco con affetto alla richiesta della mia amica Kinué di informare chi volesse contribuire alla tragedia giapponese, di condividere il sito ufficiale dedicato a questo scopo dal Consolato Giapponese in Italia.

Il Consolato Generale del Giappone ringrazia sentitamente tutti coloro i quali hanno espresso per iscritto, telefonicamente o di persona il loro sostegno al popolo giapponese in occasione della catastrofe naturale avvenuta lo scorso 11 marzo. Grazie per la solidarietà. Per quanto riguarda il sostegno economico, con cui la maggior parte delle persone ha espresso il desiderio di contribuire, Vi preghiamo di collegarvi al sito: Donazione per il Giappone, clikkando qui.

Se c'è un popolo che può riuscire a risollevarsi dopo una serie di disastri come quelli che si sono succeduti, sono convinto che sia quello Giapponese. Con questo augurio, oggi vi lascio con un famoso haiku di  Yosa Buson. Forza Giappone.

Tornando a vederli
i fiori di ciliegio, la sera,
sono diventati frutti.



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La baia.

martedì 12 aprile 2011

150 anni.

Ieri il mio Liceo ha compiuto 150 anni, in concomitanza naturalmente con l'altro avvenimento e bene ha fatto l'associazione Amici del Plana ad organizzare una ricca serie di manifestazioni che si svolgeranno per tutta la settimana nel Liceo stesso. L'apertura, direi che è stata col botto, con l'intervento dell'ex-allievo e gloria alessandrina, Umberto Eco che ha tenuto una dotta ed interessantissima lectio magistralis su Dante e la lingua italiana, ricca di riferimenti e richiami alla spigolosità del personaggio. L'accoglienza è stata corale e le molte autorità intervenute non hanno mancato di sottolineare l'importanza dell'avvenimento e della importante presenza. Mancava soltanto il Comune che in questo periodo è preso da tanti importanti impegni e per la verità mi aspettavo anche un maggiore intervento da parte della cittadinanza, anche se l'aula magna, che mi provoca forti emozioni ogni volta che ne varco la soglia, era comunque gremita. L'Alessandrino come già vi ho detto, è parco di dimostrazioni di affetto, anche quando l'ingresso è "a gratis", ma sono certo che sabato con l'intervento di Benedetta Parodi, altra ex-allieva e dei suoi libri di ricette, bisognerà fare a pugni per entrare. D'altra parte è innegabile che abbia venduto più copie del Cimitero di Praga.


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lunedì 11 aprile 2011

Country line dance.




Metti una sera dopo cena. Una corsa veloce nella notte già calda di una primavera quasi estiva, zigzagando tra le risaie della Lomellina, ormai scure e deserte come della badlands dell'Arizona. Un paesino, Frascarolo, ormai addormentato dopo le 9 di sera, un piccolo bar con le finestre accese ed una tenda dove si sta aggregando un gruppo di persone. Comincia la musica, ma niente canti di mondariso o consueti revival da sagre paesane. Sonorità ed accordi di chitarre introducono cappelli similstetson, stivali texani operati, camicie a scacchi e fazzoletti con bandiere del sud. E tutti cominciano a ballare, il gruppo compatto si coordina in automatico in ranghi ordinati con coreografie complesse e difficili, evidente risultato di lughi anni di allenamento. Tutti si divertono, uomini compresi, che si sa, sono una parte del genere umano assolutamente inidoneo al ballo, eppure in questa Country line dance dove non acchiappi neanche una dama tutta per te, eccoli lì un sacco di maschi che si muovono a tempo. Niente da fare, qui si che soffia e forte il vento del west.

Sarà che tutti, da ragazzi sognavamo di fare i cowboy, quando ancora gli indiani erano i cattivi; sarà che il cappello in testa e le cinture con la grande fibbia d'argento muovono la fantasia e tutti hanno desiderato la mitica route 66 con vento che corre tra i capelli, mentre la Harley corre tra i deserti rossi e le rocce di Monument valley, che la bandana non l'ha inventata Silvio. Sognavamo Tex tra i Piute e i Navajos che in fondo erano brava gente già allora e ci vedevamo in un saloon di Abilene, con l'Appaloosa legato alla staccionata e i manzi ormai marchiati, ma con la pistola pronta e veloce casomai si dovesse dare una mano al ghigno triste di John Wayne, anche quando dovevano issarlo sul cavallo con la gru.

E' così, la country music mette allegria e forse davvero i piedi si muovono da soli quando scattano il Toush Poush o il Cannibal Stomp, pensate poi alle femmine che ballerebbero anche al sentire cetre e ditirambi, chè Tersicore è donna, non c'è niente da fare, figuriamoci poi se di mezzo ci sono gonne con le frange o jeans attillati. La birra scorre a fiumi naturalmente e il tempo passa in fretta, con l'unica concessione mediterranea di una pasta all'amatriciana di mezzanotte, che le calorie si devono pur recuperare. Quando si spegne la console e i gruppo del Country Fever e gli altri amici si disperdono tra saluti e arrivederci ai prossimi appuntamenti, la notte è fonda ormai. Il gancio della luna illumina il deserto intorno alle ultime case del paese che pare abbandonato. Lontano, al di là delle risaie immense e solitarie, ulula il coyote.


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sabato 9 aprile 2011

Ofelé fa 'l to mesté 2 - La vendetta.

Essendo calato il week end con la sua coercitiva implacabilità, che, a causa della non presenza sui luoghi di lavoro della maggioranza dei miei lettori, provoca di norma un forte calo di attenzione, approfitto, meno soggetto alla critica, per proporvi un altro miracoloso ritrovamento degli anni '60. Naturalmente il valore estetico, come per i più classici juvenilia è assolutamente nullo, ma volevo comunque farvene parte, per contraddire quanto sostenuto nel post in cui vi ho mostrato la mia pagella di cattivo studente. Infatti in quei tempi pre-cortei studenteschi avevo provveduto a tentare una traduzione della mia poesiola  di brufoloso sedicenne di prima liceo in endecasillabi faleci, verso assai classico, largamente usato per la sua sonorità da Saffo a Catullo, fino a Simia di Rodi. Scelsi questa metrica stichica per la sua sonorità gradevole e più vicina alla nostra e anche perchè con l' ampia possibilità delle sue forme acefale o catalettiche si poteva adattare con maggiore plasticità all'improbo compito a causa delle mie difficoltà di traduttore con l'insufficienza fissa. Tanto per ricordarvelo, se ve ne siete scordati, trattasi nella sua forma classica di un gliconeo seguito da un monometro giambico catalettico con molte possibili varianti accettate. Ma bando alle ciance ed ecco il lavoro.

23  gennaio 1963

Resta con me
nella pace silenziosa della morte.
Resta e vivi con me
questa calma immensa
in cui posano tutte le cose.
Non turbare col pianto
l'ombra lieve
che sfiora il tuo volto.

Mecum reside in silentïoso
mortis otïo. Hac tranquillitate
mecum reside viveque infinite
Una lacrima tibi ne turbaris
levem quae radit umbram os suave.
E come si dice: Allegria! Avrete notato che la metrica per essere mantenuta abbisogna di concessioni, col trascurare alcune elisioni e con l'inserimento di un paio di dieresi, ma sono certo che complice la tenera temperatura primaverile ed i boccioli in fiore, mi sarete indulgenti nel giudizio, anche se giustamente l'amico Gian Luigi, grande latinista a cui l'ho proposta per controllare che almeno non vi fossero svarioni gravi da matita blu, mi ha lasciato intendere che è bene che terminato il week end, ritorni alla prosa che mi è più congeniale.


Refoli spiranti: Catullo - Carme I

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venerdì 8 aprile 2011

Pulcini elettorali.

Si avvicinano le elezioni e ricominciano le diatribe sul voto di scambio, dimenticando che già il buon Lauro dava una scarpa sinistra in regalo, consegnando la destra solo ad elezione effettiva avvenuta. Non bisogna però dimenticare che tutto il mondo è paese e la voglia di comprare il voto è sempre stata una costante comune sotto tutti i cieli. Mi direte, al nord è diverso, tutta gente seria, che lavùra, mica suonatori di mandolino e putipù! Allora vi riporto, a cuor leggero essendo ormai prescritta, questa mia esperienza personale di tanti anni fa. C'era nell'Alessandrino un Onorevole della Bonomiana, allora fortissima tanto da portare a Roma una ottantina di parlamentari, assai famoso per le sue topiche clamorose, non si sa bene se, come le gaffes di Mike, volute e studiate per rappresentarsi come uomo umile del popolo o naturali a causa della sua pochezza nella lingua di Dante.

Ancora oggi si ricorda lo sbigottimento di un importante personaggio posto alle sue spalle, quando alla fine di un comizio, l'onorevole chiosò il suo intervento con un:  "Adesso che ho finito io, vi parlerà il mio di dietro", oppure quando, essendo amante dell'apicultura, augurò ai suoi attenti ascoltatori: "Tutti voi dovreste avere un'ernia." mentre il pubblico allibito si toccava. Bene, in periodo preelettorale, avendo la Bonomiana diritti e potere assoluto nei Consorzi Agrari da cui suggeva tutto il nettare possibile, salvo poi abbatterla quando non dava più latte, per farne spartire le ricche spoglie a stormi di avvoltoi (ma questa è un'altra storia), partiva l'operazione Pulcini. Al martedì mattina, il rag. F. , mio mentore consortile, reduce dalla Russia dove aveva lasciato una gamba, alle ore 6, aspettava il camioncino del produttore dei pulcini medesimi che venivano scaricati in scatole da 50. Con grandi forbicioni le divideva in due ed alle 8 precise, io, che ero stato appena assunto, grazie alla mia laurea in agraria, assieme ad altri disgraziati caricavo all'inverosimile la 500 che mi ero acquistato usata grazie a lavoretti durante il periodo universitario e partivo per le campagne. La macchina era piena zeppa di scatole pigolanti e scagazzanti che tentavano in ogni modo di lordare il mio meraviglioso boudoir.

Il rumore era così forte che non si sentiva più neanche il clacson, né si poteva vedere dal finestrino di destra essendo anche il sedile anteriore occupato dai potenziali pollastri. Arrivavo nelle varie agenzie del consorzio dove l'agente operava lo scarico e la distribuzione ai vari contadini che convenivano come chiamati dal pifferaio seguendo il magico pigolare, dove venivano debitamente registrati con nome e cognome e se ne tornavano a casa felici con i loro 25 pulcini e il relativo santino. Tutto questo durava per 5 martedì, appunto la durata della campagna elettorale. Poi finalmente potevo provvedere a ripulire con attenzione i preziosi sedili di similpelle beige dai residui delle tenere piumette gialle e dai meno gradevoli residui di scagazzamento. Per qualche anno non ho mangiato pollo.


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giovedì 7 aprile 2011

Recensione: Boris il film.

Se avete un'oretta e mezza in cui non sapete cosa fare, potreste anche impegnarle con questo Boris, un classico discorso di metacinema senza pretese. Anche chi non conosce già la serie, sorriderà nel vedere la carrellata di personaggi mediocri di livello basso, a cui dopo aver passato la vita a confezionare tristi serial televisivi a basso costo capita l'opportunità di passare al grande cinema di impegno sociale, avendo fortunosamente in mano i diritti de "La casta". Lo scontro con l'ambiente supponente e pretenzioso del mondo della pellicola non può durare più di tanto e il povero Ferretti, regista storico di Gli occhi del cuore 2,  deve ritornare nel suo pianeta d'origine, ripescando al completo la massa di macchiette con cui è solito lavorare. Il progetto a poco a poco si sbriciola fino a diventare quello che in fondo tutti, spettatori compresi vogliono, un bel cinepanettone, tra il giubilo della produzione, tette e flatulenze. Una storia triste di backstage, che forse è anche un po' una rappresentazione di tanti altri aspetti della vita del nostro paese, in cui la lamentela è forte su tutto, ma alla fine gli stessi comportamenti dei singoli ricalcano e danno di gomito ai vizi criticati e quello che dovrebbe essere fonte di vergogna e di esclusione, alla fine viene premiato dal consenso della maggioranza, che non è manco più silenziosa.



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mercoledì 6 aprile 2011

Ladro di polli.

Dire che la mia città è immobile tra le nebbie, ha un significato un po' più esteso. Anche oggi, in cui è scoppiata la primavera, è un po' questo stato mentale simile a una leggera nebbiolina virtuale che ne costituisce assieme il limite ed il fascino. perchè forzatamente una città anziana, è legata a situazioni di un tempo passato e a sensazioni nostalgiche non prive di rassicurazione. E' un po' un modo per allontanare problemi troppo nuovi, guerre incomprese alle porte, torme di temuti barbari e sconvolgimenti troppo moderni per individuare se vi sono comunque aspetti positivi, sfide da raccogliere ed opportunità da cogliere. Così mentre il mondo è attento a reati che vent'anni fa neanche si immaginavano, clonatori di crediti, furti di identità, stalking e criminali elettronici che dipingono un nuovo archetipo di malavitoso, ecco che ad Alessandria spunta un delitto che nella sua antica tipologia, quasi rasserena la cittadinanza.

Altro che giustizia lumaca, in pochi giorni è stato colto sul fatto e condannato un ladro di polli. Il fatto in sé è degno di racconto proprio per il fascino della storia. Un pensionato, abitante sopra uno degli storici negozi alessandrini, noto per i suoi spiedi avicoli, è stato incaricato di eseguire piccoli lavoretti artigianali all'interno del negozio, perchè è sempre meglio fidarsi delle persone conosciute. Eseguiti gli stessi con perizia e restituita la chiave, di cui pare sia stata fatta debita copia, per quasi un anno, il mariuolo si introduceva nottetempo nel grande frigorifero del negozio stesso, prelevando ogni giorno vuoi un polletto allo spiedo, vuoi un fesa di tacchino, vuoi qualcun'altra delle delizie prodotte durante la giornata e tanto apprezzate dai miei concittadini. Sulle prime nessuno si accorgeva della cosa o quanto meno le mancanze erano numericamente così lievi da non destare sospetti, incidendo, come dicono gli statistici, in maniera non significativa sul monte polli.

Ma alla lunga, poiché, si sa, l'appetito vien mangiando, mancò anche qualche soldo in cassa e una attenta verifica di magazzino suffragò i sospetti di un Arsenio Poulin seriale. Fatti gli appostamenti, già alla seconda sera, il birbo venne preso come si dice, con le mani sui polli e assicurato alle patrie galere dove giudicato per direttissima viene condannato ieri ad un anno di prigione. Oltre alla flagranza di reato infatti hanno giocato a suo sfavore l'evidente stato di buona nutrizione, incompatibile con lo status di pensionato, evidenza che il difensore non ha potuto negare. Poichè il reo ha comunque meno di 65 anni, non potrà nenche sperare in una legge speciale ad personam con effetto retroattivo che riduca i termini di prescrizione su un processo che comunque per prudenza è già stato celebrato. E comunque non aveva neanche il cognome cominciante per B.


Refoli spiranti da: La Stampa, 5 aprile 2011.


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