Elefanti selvaggi |
Tapiro malese |
Uno dei punti fissi che hanno caratterizzato la preparazione di questo viaggio è stata una mia antica fissa. Volevo vedere il tapiro. Il tapiro malese. Un curioso animale, un maiale proboscidato che alligna solo da queste parti, ben nascosto nella foresta primaria, lento ed assonnato che bruca l'erba che lo circonda e si guarda attorno con l'occhio bovide, esibendo l'aria di chi tanto sa tutto e che alla fine se ne frega di tutto. Insomma l'atteggiamento che aveva, al mitico bar Baleta della mia gioventù, l'avventore che si sedeva all'angolo del tavolo da gioco, dove quattro fumantini giocatori si accapigliavano su quale fosse la carta giusta che andava giocata, scrollando la testa come per far capire a tutti che lui era l'unico capace a giocare, qualunque fosse il gioco, dato che da fuori, comunque, poteva vedere le carte di tutti. Per questo veniva chiamato tapiro e veniva malsopportato anche se la proverbiale tolleranza che vigeva al bar, gli consentiva di continuare ad esercitare la sua sgradita attività. Bene, io ho sempre sognato di arrivare fin qui, in questa Malesia di pirati e tigrotti, presenti nei libri della mia giovinezza, per vederlo di persona questo benedetto tapiro, anche se la sua veste esterna non corrisponde invero a quella della mia squadra, come ho già avuto modo di dire qui. Dunque bisogna sottolineare che un vasto territorio della penisola malese, in particolare quella nord al confine della Thailandia, è ricoperto da una fitta foresta primaria, una delle meraviglie di questo paese, dove, tra gli altri animali più frequenti che vi allignano, bufali selvatici, elefanti, cervi sambar e secondo qualcuno anche tigri e pantere, uno dei più frequenti è il tapiro.
Rain forest |
La strada che attraversa la penisola da Penang fino alla costa orientale, fino a Kuala Besut, in circa 360 km, scalando la parte montuosa centrale, prima di scendere verso il mare, la penetra profondamente passando addirittura in uno dei parchi più selvatici del paese il Royal Belum Park che si estende anche oltre il confine. Il paesaggio è davvero magnifico, essendo la strada circondata completamente da sconfinati panorami di erte colline ricoperte di fitta jungla, dove non indovini radure, ma solo cime di alberi che si perdono nell'orizzonte azzurrino reso pastoso dall'umidità. Cosa nasconde il fitto del bosco? Non certo case e uomini, gli insediamenti sono rari e limitati a piccoli raggruppamenti lungo la strada, ma di certo una fauna ricca e vitale. Infatti spesso i segnali stradali avvisano il pericolo di attraversamento animali, ma mentre da noi al più, la palina utilizzata per la bisogna è quella che riporta la sagoma nera di una mucca, qui spicca l'inequivocabile logo dei miei sogni, il tapiro che occhieggia mostrando il profilo inconfondibile della sua corta proboscide, quella di un elefante mal riuscito, destinato insomma a rimanere un animale minore e con una dignità capestabile, condannato a rimanere per sempre all'angolo del tavolo.
Il bosco |
Così, guidando il mio bolide con malcelata attenzione, buttando l'occhio oltre ogni curva, timoroso che di colpo mi spuntasse in mezzo alla strada il pericoloso animale, magari in gruppo, orda, gregge (ma come si chiama poi un insieme di tapiri?), ho percorso in ambasce tutta la parte centrale della distanza, badando più alla ricerca del desiato animale che godendomi il colpo d'occhio su uno dei più straordinari polmoni verdi del mondo. Beh, accidenti, sarà che lo sapevano e volevano farmi un dispetto, forse sospettando della scarsa considerazione di cui sopra, sarà che i maialoni in questione non amano mostrarsi troppo, ma preferiscono rimanere a brucare erba nel fitto tra le piante, ma alla fine di tapiri, non ne ho visto neanche uno e ho dovuto ritornarmene a casa con la delusione ed il groppo in gola. La bestia si è negata, il curioso mantello bianconero che pure spiccherebbe ben visibile ovunque, non ha voluto mostrarsi, tanto per farmi un dispetto. Così rimuginando e dolendomi per poco non investo quattro elefanti caciaroni, che quelli se ne fregano di nascondersi, anzi attraversano senza neanche guardare e neanche sulle strisce, tanto sono grandi e grossi e la macchina te la sfasciano se gli vai addosso e anche se li eviti, se li irriti al passaggio.
L'elefantessa |
Si trattava di due grandi femmine con due piccoli già abbastanza cresciuti da mostrarsi aggressivi, infatti appena lasciata la strada per riguadagnare l'erba alta che la costeggia, si girano con occhio innervosito, sventolando le piccole orecchie per dimostrare il proprio disappunto, come a dire, fuori dai piedi, non rompere le scatole, tenetemi, tenetemi che se no vengo lì, eh! Anche loro hanno la proboscide certo, ma che differenza dal timido tapiro, che forse soffre un po' questo problema di dimensioni, vista la sua misera e corta protuberanza nasale. Va bene, facciamocene una ragione, accontentiamoci dei pachidermi sfacciati e godiamoci la foresta, davvero affascinante. All'ingresso del parco attraversi un grande lago con una isola centrale di cui raccontano meraviglie, ma gli addetti ad acchiappare visitatori, sono talmente pieni di voglia che ti sconsigliano caldamente qualunque gita nel parco, la barca costa cara, siete solo in due, tanto di animali non se ne vedono, i villaggi degli Orang Asli, i nativi che popolavano l'area prima dei malesi, sono troppo lontani in fondo non sono molto interessanti, insomma, voglia di lavorare saltami addosso. Alla fine basta lo spettacolo che si vede sul ponte che attraversa la parte stretta del lago, al di là delle colline più alte, la Thailandia ormai a portata di occhio. Davvero bella questa strada interna. Cinque o sei ore attraverso un'area di natura rimasta uguale da oltre cento milioni di anni, che detto così non ti rendi neanche conto della cifra.
Arrivare all'isola |
Scendendo verso il mare, la presenza umana si fa più visibile, piccoli paesi, qualche stazione di servizio, posti di ristoro improvvisati, la vita civile insomma, che ti fa capire, l'invasività della nostra specie che per vivere deve forzatamente sopraffare e ricondurre ai suoi bisogni l'ambiente che la circonda. Un assembramento più corposo indica che anche qui si sta svolgendo un matrimonio. Arrivano con le auto dai paesi vicini, tende e festoni colorati, musica a palla e tavolone attorno al quale si affollano tutti per mettere nei piatti, vistose porzioni da grandi contenitori fumanti; le donne nei loro vestiti migliori; si sentono risa e canti. In ogni parte del mondo, lo schema è uguale, è uno dei momenti comuni dell'uomo. Un momento di gioia per tutta la comunità, un simbolo comune della continuità della nostra disgraziata specie. Ma bisogna andare, la strada ti chiama, il viaggio on the road è un piacere che non conosce tregua. Ancora un piccolo balzo ed ecco il mare, il Mar Cinese Meridionale è lì, uno specchio di acqua che è sempre stato uno dei crocevia del mondo, oggi ancora più di ieri, importante, dove molti interessi si disputano uno spazio ed una preminenza. Una delle aree chiave del mondo, tanto per cambiare. Ma proprio questo mare ospita alcune delle gemme nascoste più belle d'oriente. Isole dei mari del sud, un sogno dell'immaginario collettivo, che stanno lì ad aspettare il tuo abbraccio.
Da Penang a Kuala Besut |
SURVIVAL KIT
Parco Royal Belum - A circa metà strada tra le due sponde della penisola, all'estremo nord del paese. Sull'isola al centro del lago attraversato dalla strada, il centro ricerche ed il punto di partenza per entrare a visitare il parco. Una barca per fare un giro di mezza gornata costa 350 R. per approdare in diversi punti, fare una passeggiata nella foresta e vedere un villaggio di Orang Asli, che non risultano, a sentire i pareri dei visitatori, molto interessanti. Sembra che le probabilità di vedere grossi animali siano piuttosto scarse anche se dovrebbero esserci anche alcuni grandi felini. Possibilità di fermarsi all'interno della foresta pluviale nel vicino resort con una ottantina di euro al giorno. Sceniche viste sul lago e sulla foresta. Un'oasi nel wild insomma, per amanti della natura a prescindere.
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5 - Passeggiare