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Un ponte |
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Verso il Khumb |
Al nostro campo c'è pochissima gente, un gruppetto di Avventure nel mondo, un po' di famiglie indiane che evidentemente non vogliono mescolarsi alla massa meno abbiente e una coppia strana, lui antropologo di Benevento, lei blogger regista che girano da queste parti in cerca di storie da raccontare. Dopo il grande bagno andranno nel Kerala per partecipare a qualche festa dove i santoni si fanno appendere agli uncini e poi camminano sulle braci. Gli do qualche dritta sugli Apatani dell'Arunachal Pradesh e i Konyak del Nagaland, etnie nascoste che vale la pena di visitare, poi lui va a riposare perché sembra che gli stia salendola febbre e da queste parti è una roba piuttosto fastidiosa, che ti becca sempre nel momento sbagliato. Intanto mi informo un po' da quello che sembra il factotum del campo sulla logistica di quanto c'è intorno a noi, degli orari topici e dove conviene dirigersi in queste due giornate per non perdersi le cose più interessanti. Sembra piuttosto bene informato e mi da' suggerimenti apparentemente buoni; intanto a suo dire sembra che stia convergendo nell'area una quantità di gente mai vista a memoria d'uomo e questo è un fatto. Stanotte ha fatto piuttosto freddo, per fortuna avevamo una coperta supplementare, ma evidentemente qui i primi giorni di febbraio sono abbastanza rigidi oppure il cambiamento climatico sta colpendo duro anche da queste parti. In giro, di primo mattino, vedi solo gente intabarrata in scialloni e spesse coperte per difendersi da temperature a cui la gente di queste parti non pare troppo abituata.
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I gruppi |
Quindi dopo una frettolosa colazione ci incamminiamo appena dopo che il sole è salito sopra l'orizzonte. La strada che conduce al fiume attraversa una specie di paesetto, una delle ultime propaggini della periferia estrema di Allahabad o meglio di Praiag, come adesso questa città, che ha visto un tempo i fasti dell'islamizzazione Moghul, vuole essere chiamata, da quando il fondamentalismo hindu ha preso vigore. La riva del Gange è a circa un chilometro, che percorriamo praticamente incolonnati in una scia di genti che arrivano da villaggi più lontani e si dirigono anch'essi nella stessa direzione. Qualcuno che evidentemente viene da lontano e non tornerà indietro per qualche giorno e porta con sé masserizie necessarie alla sosta notturna, coperte, viveri, altre cose infagotti che le donne del gruppo portano in equilibrio sulla testa; altri invece viaggiano leggeri, segno o che sanno già dove andare, in una qualche struttura che li accoglierà per la notte oppure, che abitano nelle vicinanze e pensano di ritornarsene a casa prima che cali la notte. Tutti però camminano nella stessa direzione verso il fiume, chi investi normali, chi ricoperto da teli arancio e la fronte ornata di simboli religiosi, Qualcuno prega a voce alta seguito dal coro di chi lo segue. Di tanto intanto si leva un grido: Maha Dev, Maha Dev, un inno alla divinità che forse potrebbe anche tradursi con un classico Dio è grande, fratello gemello di quell'Allah akbar, vituperato per contraltare.
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In attesa |
Arrivati al fiume la folla si ingrossa e prosegue verso destra dove, lontani, compaiono le sagome degli accampamenti e le silohuettes delle costruzioni posticce che segnano i punti nodali della manifestazione. Sulla riva del fiume, in corrispondenza con l'arrivo della strada si notano subito ampie gradinate che scendono nell'acqua, anche qui si tratta di sacri
gath, dove molti cominciano a fare le prescritte abluzioni. Dopo un centinaio di metri parte un lunghissimo ponte pedonale che si perde nella nebbia, dato che l'altra riva, nell'aria un poco fosca del primo mattino si scorge a malapena, nascosta com'è da un'aura di rosa diffuso che ne nasconde i contorni precisi. E' un ponte provvisorio steso su centinaia di galleggianti giganteschi, che la debolissima corrente del fiume non smuove più di tanto. Sopra un incredibile nero serpente umano si muove con lentezza misurata e ancor più accentuata dalla distanza. Par di vedere quelle immagini di umanità dolente che fugge da guerre o da carestie, senza neppure più la forza di camminare, eppure obbligata a farlo dalla fame o dalla minaccia di morte che li insegue. La processione infinita, fatta di uomini e donne che appaiono nella distanza curvi per la stanchezza, non è noto da quante ore o giorni stiano camminando, prosegue lentissima e si scarica sulla nostra riva per unirsi al nostro fiume di pellegrini che vanno nella medesima direzione per lo stesso fine.
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Fedele |
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Santone |
Quando li vedi vicini, però non mostrano affatto la tristezza che sembrava accompagnare quell'esodo, ma al contrario, molti ridono o scherzano, perché quella a cui vanno partecipando è una festa anzi La Festa in assoluto, una delle grandissime occasioni della vita, come per gli altri il viaggio alla Mecca, non per niente arriva una volta ogni dodici anni, per mostrare a tutti la loro fede, per acquisire meriti e chiedere grazie che sicuramente saranno concesse e per vedere da vicino un mondo del quale forse al villaggio si favoleggia, nei racconti di chi c'è stato una volta, una occasione in fondo per uscire dalla monotonia della vita di tutti i giorni. Vedi subito i gruppi formati, la gente più stretta tra di loro, donne e uomini, generalmente divisi anche nell'interno delle stesso gruppo, che si addossano gli uni agli altri, molte addirittura che si tengono per mano per non perdersi tra la folla. Per molti forse è la prima volta che si allontanano dal loro villaggio. Altri, più scafati, forse gente che arriva dalla città, camminano più sicuri, a testa alta, questi non si perdono di sicuro. Se ti metti di lato, magari salendo un poco più in alto quando si forma un rialzo nella strada, ti appare subito uno scenario assolutamente inusuale e stupefacente. Tutta la spianata dei sabbioni che la magra del fiume ha lasciato scoperta per chilometri e chilometri, è completamente ricoperta da un formicaio umano di cui non riesci ad individuare la fine. Tutto si muove come un blob arancio, una ameba giallastra che ricopre il terreno invadendolo, sciamando lungo segmenti rettilinei che si incrociano tra di loro, delimitando spazi ricoperti di piccole tende, ricoveri di fortuna, di stracci, di tratti aperti e fangosi, di piccole costruzioni che paiono mattoncini di Lego che nascondono gabinetti, orinatoi, sfilate di stoffe lavate e stese ad asciugare.
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Bucato |
Al fianco di quella che ormai è diventata una strada che si infila tra i vari settori, quelli che del Khumb vivono, seduti a terra, su stuoie o stracci, qualcuno con un carrettino sgangherato, venditori di ogni cosa, costituiscono la continua sfilata immobile dei mercanti nel grande tempio a cielo aperto. Viveri, frutta, bevande, colori con cui ornarsi la fronte, riso e popcorn per le
puje, fiori offerti da soli o in lunghe collane e ogni altra cosa possibile, ognuno a cogliere l'opportunità che concede questa occasione unica. Per la verità, noi, unici occidentali visibili a colpo d'occhio, gli altri, se ce ne sono, dispersi e diluiti in questo mare magnum indescrivibile, veniamo fatti oggetto di attenzioni benevole, saluti, sorrisi di accondiscendenza, domande di selfie, richieste di provenienza, di motivazioni, di numero di figli, insomma il solito vademecum indiano. Superiamo alcune grandissime insegne, archi innalzati su lunghi pali sul quale si indica l'insegna del Khumb 2019, accanto ai faccioni dei politici giusti. Questo è il segnale che siamo ormai entrati nella città di carta, sorta dal nulla e che scomparirà tra circa una settimana alla fine della fiera. Qui la folla si fa più pressante e forse pericolosa, siamo stretti gli uni agli altri come le classiche acciughe nel barile e non oso immaginare se improvvisamente sorgesse il sospetto o l'allarme per qualche bomba o cose del genere, di certo le centinaia di migliaia di persone che ci circondano, comincerebbero di certo a muoversi impaurite, a cercare di fuggire da ogni parte calpestando chi cade, con movimenti inconsulti e pericolosissimi con chissà quali risultati. Capisco che è sempre meglio tenersi sul bordo del fiume di gente, dove almeno ad occhio ci si può defilare tra le tende o negli spazi laterali.
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Lungo la riva |
La cosa più impressionante avviene quando due "strade" si incrociano. I due fiumi per un attimo sembrano fermarsi, il flusso si blocca e si mescola come tra due grossi vasi sanguigni, poi gli uni egli altri cercano di insinuarsi proseguendo, non senza difficoltà per la propria direzione, ma tutto questo è molto difficile, bisogna farsi largo con una certa forza, sgomitando senza troppa cortesia. Sugli angoli, da grandi torri di legno, militari con fischietti sonori, lanciano continui avvertimenti e ordini, diciamo pure intimidazioni sulle direzioni da prendere, quelli a terra tra la gente, usano senza troppi complimenti i
lathi, i lunghi bastoni di legno duro in dotazione alla polizia, che vengono calati con decisione sui polpacci e sulle groppe dei riottosi a mettersi in riga. Quando la folla diventa esagerata, forse pericolosa, alcuni tratti vengono chiusi da pesanti transenne di metallo e la massa indirizza lungo percorsi meno affollati. In ogni caso vi assicuro che non avevo mai visto tanta gente tutta insieme. I cori religiosi intanto si levano intorno a noi, la gente canta, in una ossessione quasi morbosa e la tensione sale di continuo, tutti vogliono gridare le lodi alla divinità. In alto, elevati su baldacchini o addirittura sopra altari preparati alla bisogna, santoni dall'occhio esagitato, con gesti scalmanati urlano alla folla mantra ossessivi. Di sotto, la folla risponde. Si capisce che siamo arrivati al centro dell'area più interessante. Qui si sta preparando l'evento chiave del Mela. Questa sarà la notte della luna nuova, la notte più buia del mese, quella che i sacerdoti, con lunghi calcoli, hanno decretato perfetta per il grande bagno. La panna sta montando, l'eccitazione collettiva anche, dagli occhi dei religiosi che arringano alla folla, capisci che c'è anche qualche aiutino. Buttiamoci nella mischia.
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In preghiera |
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In marcia |
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