Orchha - La cittadella |
Colori |
Davvero è una fatica lasciare i palazzi di Ochhra, la sua atmosfera di pacifica decadenza, forse simile a quella che provavano i viaggiatori del nord Europa durante il gran tour d'Italie, quando arrivavano nell'agro romano, con le sue rovine abbandonate e la sua vita agropastorale all'ombra delle stesse, quasi fossero elementi naturali del paesaggio tra i quali vivere. Anche qui alla base di antichi palazzi trovi vaste porzioni occupate, chissà poi se abusivamente, da attività commerciali, da famiglie e da negozi alla cui vista qualunque ufficio delle belle arti o di protezione del patrimonio archeologico si metterebbe le mani nei capelli, ma qui tutto contribuisce a creare una situazione, uno stato d'animo. Mi tocco il bozzo che ho in testa, poco più in su dell'illuminante terzo occhio e che mi fa ancora un po' male. Ma devo concludere che ogni cosa ha un insegnamento ed una motivazione, così adesso un gonfiore tutto sommato sopportabile, mi certifica il fatto che se il tuo tapiro guida, mentre procede davanti a te per le scalette contorte che salgono verso il tetto del tempio, recita un mantra continuo, oltretutto in italiano che dice "testa, testa, testa....", non sta pregando uno dei trecento milioni di dei della sua religione, ma tende in generale ad avvertirti del pericolo. Comunque sia ce ne andiamo guardandoci indietro, risalendo lentamente le scalinate sul fiume, schivando qualche vacca sacra, sotto lo sguardo sonnacchioso degli avvoltoi appollaiati sulle cupole ovali. Bisogna saltare in macchina e arrivare alla Jhansi junction, un grande snodo ferroviario, dove si incrociano diverse linee che collegano tra di loro le città più importanti del nord, prima delle due e per percorrere la ventina di chilometriche ci separano, ci vorrà meno di una mezz'oretta.
Pipistrelli nei templi |
Visto che siamo in anticipo possiamo anche fermarci per un pipì stop in una specie di hotel/autogrill lungo la strada, dove c'è anche qualche baracchino che vende frutta, che non si sa mai. Il vecchio rugoso che ha ammonticchiato con precisione matematica, pile infinite di mandarini, sta lì appollaiato sul carrettino in attesa che scegliamo. Immobile poi, allunga solo una mano col sacchetto pieno e prende i soldi, solo allora si scioglie in un sorriso sdentato e regala dei fiori alle nostre signore, così senza altro motivo che non il piacere di farle a loro volta sorridere. L'India è anche questo. Poi, dopo qualche altro chilometro, arriviamo sulla grande piazza di Jhansi. Anche questa stazione è grandissima, il nostro autista, invero un po' raffazzonato, che aveva l'unico compito di trasferirci questa mattina, ha evidentemente fretta di andare e infatti ci molla fuori della stazione, nel pieno caos indiano dell'orda di viaggiatori che prendono d'assalto le piattaforme, per cui, mi spiace molto ma non si becca la mancia, di cui evidentemente non si cura. Bisogna farsi largo tra la folla, perché qui passano i treni a lunga percorrenza, di per se stessi più curati, ma anche i locali, quelli tanto cari ai fotografi che si portano centinaia di persone appollaiate sui tetti dei vagoni o addirittura sulla locomotiva che vomita funghi di fumo puzzolente procedendo ai dieci all'ora. Come diceva il grande De Gregori, la prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento e puzza di sudore dal boccaporto e odore di mare morto e qui, schiacciati tra la folla che spinge per arrivare alle banchine, di puzza di sudore ce n'è parecchia.
Jhansi Junction |
Tra ingresso e treni c'è anche una specie di bar dove puoi buttar giù qualcosa, ma gli odori non sono per niente invitanti e la vista della broda che buttano nei piatti di alluminio del thali di ordinanza, ancora meno. Ci salviamo con qualche succo di frutta confezionato, biscottini al cocco comprate sul baraccotto della piazza e le banane saggiamente acquistate dal vecchietto, poi si tratta di trascinarsi dietro le valige cercando la banchina da cui tra un'oretta partirà il nostro treno. Detta così e visto quanto ci circonda sembra un'impresa assolutamente velleitaria, in realtà tutto si dimostra più semplice di quello che poteva sembrare e data un'occhiata al cartellone da una parte e richiesta qualche informazione in giro, tanto qui tutti parlano inglese e appaiono molto collaborativi con lo straniero dall'occhio smarrito, arriviamo alla nostra platform n. 4 ed occupiamo una bella panchina in attesa del nostro treno numero 11124, che arriva da Gwalior puntuale come un orologio svizzero. La cosa interessante di questi treni a lunga percorrenza è che sul binario è segnata anche la posizione in cui si fermano i vagoni e tu controllando il numero del tuo, sul biglietto ti puoi fermare ad aspettarlo proprio dove inevitabilmente come il destino barbaro e bastardo, arriverà e non dovrai fare altro che salirci sopra, ovviamente meglio chiedere prima di salire, non sia mai che poi ti ritrovi a Mmbai o a Kolkata. Sta di fatto che raggiungiamo il nostro scompartimento con una certa facilità, addirittura io, che avevo un postaccio in corridoio lontano dagli amici riesco a scambiare il sedile con un vecchietto che sul treno, che prosegue, deve passare la notte e che, causa artrosi, non riesce a salire sulla cuccetta superiore.
Sul treno |
Insomma anche questa è fatta, basta aspettare sei ore e mezza e poi saremo a Lucknow senza problemi. Di giorno la Second Class AC, non è triste e desolante come di notte. Imbucate le valige sotto i sedili ed occupato con una certa baldanza l'intero scompartimento si tratta solo di far passare il tempo, sbucciando i nostri dolcissimi mandarini e mordicchiando le bananine gialle del vecchietto. Fuori la campagna è piatta e monotona, anche se piuttosto verdeggiante di frumenti in levata e canna da zucchero. Vedi villaggi lontani di poche case e sugli arginelli, qualche gruppo di ragazze con la gerla in testa, piena di sterco di vacca, prezioso dono del sacro bovino che va raccolto fresco, impastato con cura e poi messo ad essiccare in forma di belle torte rotonde oppure sagomate a ricordare delle specie di gianduiotti (il colore aiuta) lungo le pareti delle capanne, prezioso combustibile gratuito che fornisce oltre la metà del materiale di riscaldamento e dei fuochi da cucina di tutte le campagne del paese. Confinati nel nostro scompartimento questa volta abbiamo poca occasione di comunicare con gli altri passeggeri, che oltretutto neanche ci hanno notati, dato che siamo saltati su tra i primi in un totale quanto inutile arrembaggio, dato che intanto i posti sono già prenotati. Comunque ogni volta che passa il controllore o qualche altro graduato all'apparenza recante qualche tipo di responsabilità del convoglio, continuo a chiedere se siano sul treno giusto per Lucknow, ottenendone un assenso di sufficienza. Ma si sa che la prudenza non è mai troppa, tanto che devo fare, mica possiamo saltar giù se abbiamo sbagliato. Un vicino evidentemente esasperato dalle mie continue richieste di assicurazione mi mostra una app sul suo telefonino che, come per i voli aerei, evidenzia lo stato di viaggio del convoglio con l'ora prevista di arrivo.
Lucknow station |
Tuttavia questo treno è piuttosto lento e si ferma spesso in stazioncine apparentemente secondarie, dove non sale o non scende quasi nessuno. Il tatàn tatàn delle ruote sul binario triste e solitario, si fa insolitamente lento e singhiozzante. Intorno tutti dormono come se ormai disperassero di arrivare. L'ora dell'arrivo teorico è ormai passata e comincia a sorgermi il dubbio di avere saltato la stazione, anche se mi sembra impossibile dato che il nostro punto di arrivo dovrebbe essere molto grande. Provo a chiedere in giro e mi si tranquillizza con cenni stanchi di chi è abituato ai ritardi. Alla fine questo trenaccio puzzolente è quasi sempre fermo e nonostante si capisca bene che siamo ormai alla periferia della grande città, cosa segnalata dalla presenza lungo i binari di baracche e teli addossati ai muri di confine della ferrovia, pieno di una umanità di disperati evidentemente affluiti dalle vicine campagne in cerca di opportunità, ci si muove a passo d'uomo e quando entriamo finalmente nella central station abbiamo accumulato quasi un'ora di ritardo. E' ormai buio, sono già passate le nove ma per fortuna il tizio che ci aspetta è lì davanti alla piazzola dove il vagone si deve per forza fermare, col suo bravo cartello in mano. L'albergo è ancora lontano e anche se il pollo in umido si rivelerà superiore alle attese così come l'hotel davvero carino, va però giù dal gargarozzo solo verso le 11 e alla fine, la giornata risulta essere stata piuttosto faticosa. La ferrovia stanca o almeno mi stanca aldilà di quanto dica De Gregori (che poi ce l'aveva coi piroscafi).
Al bar |
SURVIVALKIT
Treno 11124 /GWL_BJU MAIL Express. In partenza da Jhansi Junction alle 13:55 con arrivo previsto a Lucknow alle 20:15. Biglietti di Second Class AC : 717 Rp. E' molto facile se avete il biglietto prenotato, trovare vostro il treno. Ci sono molti cartelloni che alternativamente in Indi e in Inglese elencano i vari treni in partenza. Recatevi alla piattaforma indicata. Il treno nelle grandi stazioni come queste, sta fermo almeno mezz'ora e il vagone su cui ci sono i vostri posti prenotati si ferma esattamente nel punto indicato dai segnali, per esempio il nostro era A1. Quando avrete individuato il vostro (in seconda classe ci sono quattro cuccette nello scompartimento e due lungo corridoio) cercate di scambiarle con qualcuno dei vicini se non sono tutte nello stesso scompartimento. Non si capisce perché anche prenotando con largo anticipo i posti sono assegnati un po' a casaccio e quindi tutti cercano di scambiarsi i posti appena saliti sul treno. In genere passa un servizio con bottigliette di acqua e qualche genere di conforto, thé con il latte incluso (Chai)
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