Mongolia, la pista dopo il confine - giugno 2025 |
Questa volta non siamo in ritardo ma ci siamo presi quel giuso lasso di tempo che consente di fare le cose con calma. Oltretutto Hohhot è una città che non sembra così congestionata come altre città cinesi e anche la stazione è decisamente più calma. E' la nostra ultima esperienza di ferrovie cinesi che ci farà raggiungere la frontiera mongola in un'ultima notte nella quale avremo tutto il tempo per meditare su questa esperienza inusuale e faticosa anche se fantastica. Il treno disponibile, questa volta, è un lento convoglio tradizionale che ci metterà addirittura più di 8 ore ore compiere i meno di 500 km che ci separano dal confine. Una notte intera, avvolti dal buio della oscurità, un simbolo anche reale del lasciare il certo, che ormai, con buona ragione, ci sentiamo padroni del territorio cinese, per l'ignoto, quella immensa, sterminata Mongolia deserta, terra incognita che ci aspetta al di là di questo remoto confine asiatico. Non ci sarà neppure una fermata, come se questo cammino fosse un viaggio senza ritorno. Ora che hai scelto di scendere nell'Averno, non c'è possibilità di tornare indietro, puoi solo andare avanti verso l'oblio definitivo, lasciate ogni speranza insomma, finita la pacchia delle auto elettriche e del tutto a disposizione, si va verso una terra desolata e selvatica, che se è rimasta spopolata per millenni ci sarà pure una ragione.
Come vi ho già detto, giustamente dato che siamo over 70, ci hanno assegnato le cuccette basse e quando arrivano i nostri due altri compagni di viaggio, due giovanotti di belle speranze, si sistemano subito con un balzo felino sopra di noi e poi via le luci, mentre il treno lascia la stazione verso l'ignoto. Arriveremo verso le sette, all'alba, quindi abbiamo tutto il tempo per farci una bella dormita, anche se a me riesce sempre difficilissimo avere un sonno regolare in viaggio, specie su mezzi di trasporto e non è che sia scomodo o per il movimento, ma è di certo una ragione psicologica, l'agitazione del non sapere si ci sarà mai qualche tipo di problema, fatto sta, che dormo a sprazzi, svegliandomi spesso, comunque alle 5 comincio ad andare a darmi una lavata e a rassettarmi per essere pronto all'arrivo, come sempre molto puntuale. Entriamo in stazione lentamente, si tratta comunque di un capolinea dove tutti scendono lentamente, tanto il treno non va più da nessuna parte. C'è un altro motivo per cui nessuno si affretta, infatti la frontiera, come sapremo successivamente, apre alle 8 e quindi abbiamo quasi un'ora per muoverci.
Nel piazzale antistante la stazione, piuttosto dimessa rispetto a quelle che abbiamo visto fino ad adesso, ci sono già diversi pulmini in attesa, pare infatti che questo passaggio di frontiera abbisogni di tutta una serie di tecnicalità, che necessitano un rituale preciso e non modificabile, per cui ci mettiamo nelle mani di questo tizio, che carica un po' di altri passeggeri, preleva il pattuito e poi comincia a girare qua e là, per eventuali colazioni, ultimi acquisti e in sostanza per perdere il tempo sufficiente a che apra il varco della frontiera. In giro non si vede uno straniero, a parte naturalmente i Mongoli, massicci e rotondetti, riconoscibilissimi in mezzo ai minuscoli cinesi. Alla fine prendiamo la strada verso la frontiera che è qualche chilometro fuori città. Ecco infatti in mezzo al nulla, alcuni grandi costruzioni in cemento con cartelli sulla strada che inneggiano alla imperitura amicizia tra i paesi confinanti. Scarichiamo i bagagli e ci avviamo all'interno, dove segui il percorso obbligato, guardandoti intorno nel timore di sbagliare qualche cosa che ti indirizzi in un canale diverso da quello previsto. Alla fine dopo gli opportuni controlli, a quello del passaporto la macchina comunque ti parla in italiano, tanto per ricordarti che siamo in Cina, dove tutto è sotto controllo, e ti scarica dall'altra parte dove passano anche le valigie.
Usciamo perplessi per capire cosa si deve fare adesso, ma, niente paura, ecco lì appena fuori, il tizio del pulmino che ricarica tutti i bagagli e ovviamente anche i passeggeri e riparte allegramente verso il nulla. Già, perché abbiamo fatto per il momento solo la frontiera cinese e quindi dopo un altro tratto di terra di nessuno, diciamo un paio di chilometri ulteriori, ecco l'altro edificio dove più o meno si svolgono le stesse pratiche, qui apparentemente un po' meno tecnologiche con relativo timbro di passaporto finale e uscita finalmente liberi. Qui ecco di nuovo il nostro tizio, che quindi, ha svolto un discreto lavoro, il che giustifica la prebenda richiesta e ci porta finalmente alla piccola città mongola di Zamyn Uud, scaricandoci davanti alla stazione ferroviaria, punto di arrivo di tutti, in particolare di quelli che prendono il treno per la capitale Ulan Bator. Noi no, ma abbiamo comunque un appuntamento lì, visto che sembra sia il punto di arrivo obbligato per chi arriva dalla Cina. Pare che presto la linea ferroviaria cinese verrà unita alla Transmongolica che, dopo la capitale, prosegue fino in territorio russo per collegarsi alla Transiberiana a Irkutsk, che dista da qui un migliaio di chilometri, ma al momento sembra tutto di là da venire.
Naturalmente prima di mollarci il nostro Caronte, già rubizzo assai la mattina presto, vuole farsi alcune foto con noi dato che non gli era mai capitato di traghettare occidentali oltrefrontiera e poi se ne va stupito che non corriamo a prendere il treno. Noi intanto ci aggiriamo intorno come zombie, un poco per la notte trascorsa, un po' perché cominciamo a preoccuparci nel non vedere nessuno che ci aspetti con un cartello in mano, visto che oggi sono previsti ancora all'incirca 700 km, quasi tutti fuori strada e intanto sono già quasi le 9. Gianluca comincia a girare nella piazza chiedendo a destra ed a sinistra se c'è qualcuno che aspetta degli stranieri, anche se siamo gli unici in vista, meglio sempre precisare. E qui abbiamo subito una delle prove che ci fa capire che siamo arrivati in Mongolia, dove le cose vengono evidentemente prese con una certa calma, in quanto il tempo è una variabile di imponderatezza assoluta e che non viene molto considerata. Dopo un po' saltano fuori due tizi che sarebbero quelli che ci aspettano, con un pulmino Mitsubishi, un po' malandato, che alla vista non promette benissimo. Comunque sono i nostri che non dimostrano certo di essere pressati dal bisogno di trovarci.
Comunque carichiamo il materiale e cerchiamo di capirci visto che parlano solo il mongolo. Il nostro tentativo di procurarci una Sim è subito frustrato dal fatto che i negozi deputati a questo tipo di servizio, posto che ci siano, sono chiusi e non è ben chiaro quando aprano, forse alle 10, forse alle 11, come vi ho detto il tempo è una variabile di scarsa rilevanza. Alla fine comunque si decide di partire, della Sim faremo a meno, tanto sembra che in giro il telefono non prenda quasi da nessuna parte, quindi ci penseremo a suo tempo, se e quando sarà necessario. L'unico tempo che riusciamo a risparmiare deriva dal cambio che ci fanno direttamente i due tipi, visto che pare che in banca, che comunque è ancora chiusa, ci voglia più di un'ora per effettuare questa complessa operazione. Intanto si sono fatte le 10 e la preoccupazione aumenta visto che la strada da fare prevista è moltissima. Finalmente ci si avvia e la strada non è male, almeno all'inizio e si va abbastanza spediti attraverso un deserto desolato e piatto, completamente spopolato che ti dà veramente l'idea di un luogo sperduto nel nulla. Verso le 13 abbiamo già fatto almeno 200 km e arriviamo ad un paesotto fatto di baracche basse e malandate che sembrano messe assieme con lamiere e muri di fortuna; le strade sono sterrate e sottosopra, non c'è un vero e proprio centro.
Capiremo in seguito che questo è l'aspetto standard di tutti gli abitati mongoli. La maggior parte della casupole sono circondate da un muro di terra che forma un cortile da cui si accede all'interno, Ci fermiamo in un locale che appare pretenzioso all'interno, quantomeno messo insieme in tempi recenti, ma la scelta del cibo è disagevole e alla fine dobbiamo ripiegare su degli straccetti di pollo fritti che ci guardano tristissimi da un contenitore dove riposano da giorni e che l'addetto ci serve con una certa stanchezza. Sono abbastanza immangiabili e neanche troppo a buon mercato, visto che questo dovrebbe essere un locale in, forse il migliore del paese, ma a questo punto si fa di necessità virtù, basta che ci muoviamo, ma i nostri conduttori se la prendono calma, alla fine riusciamo a muoverci, ma subito prendiamo una pista un po' malandata sulla quale la velocità media cala decisamente. Siamo in un paesaggio ondulato, fatto di pascoli poveri e di un verde giallastro, come se non piovesse da giorni, popolato di greggi numerose e a tratti vedi altri gruppi di ogni genere di bestiame, mandrie di cavalli piccoli dalle lunghe code e che scuotono criniere abbondanti, costituiti da molte femmine con puledri al seguito, nati da non molto; bovini che si aggirano con aria stanca cercando di brucare la poca erba che li circonda e infine gruppi di cammelli che paiono sentirsi maggiormente a loro agio in quei terreni estremi e disagiati.
Di lontano ogni tanto vedi una gher, le tende rotonde e bianche che popolano tutta la Mongolia e che sono le uniche vere abitazioni dei pastori nomadi, che si possono smontare in una giornata e spostare rapidamente verso altri pascoli quando la situazione lo richiede. In una zona un po' più selvatica dove non compare alla vista alcun tipo di bestiame, vediamo due gru grigie, le cosiddette demoiselle che trascorrono qui l'estate dopo aver attraversato in volo l'Himalaya e che arrivano dalla lontana India e in lontananza un gruppo di gazzelle che si mettono in fuga veloce non appena sentono avvicinarsi il nostro mezzo. Evidentemente conoscono il pericolo che rappresentano i cacciatori. Sta di fatto che dopo tre orette abbiamo fatto appena un centinaio di chilometri e non si riesce a capire come faremo ad arrivare a destinazione visto che siamo a malapena a metà strada o anche meno. Alle 8 cala il buio e la strada diventa sempre più difficile. Arriviamo in un altro paesotto senza nome, che sembra completamente abbandonato visto che non si vede anima viva in giro, dove facciamo benzina e ripartiamo nella notte. Nessuno dei nostri due pare minimamente preoccupato della situazione. Comunque sia e a questo punto dico per fortuna, un paio di chilometri fuori del paese, mentre la pista è diventata una serie di avvallamenti scoscesi, sentiamo un bel crac deciso dell'avantreno e il mezzo si pianta nel terreno.
Scendiamo a vedere, maneggiando le torce dei telefonini, ed i più negativi del gruppo dichiarano che, essendo, almeno così pare, sia partito il semiasse, il mezzo è definitivamente fuori uso e rimarremo qui in mezzo al nulla per sempre. Mentre i due autisti sono coricati sotto il pulmino a trafficare, a mio parere più per far vedere che cercano di fare qualcosa, arrivano un paio di macchine dal paese, non è chiaro se casualmente o chiamate ad hoc, Poi arriva anche un sedicente meccanico che si butta anche lui sotto il mezzo. Le donne scendono dalle auto e con una schiera di bambini a bordo, si mettono anch'esse a guardare e a fare competenti dichiarazioni in mongolo. Cerchiamo un disperato contatto con la nostra referente di Ulan Bator, per cercare di risolvere la situazione che tuttavia, non pare essere minimamente preoccupata di quanto sta succedendo, anzi, dichiara che se arriva qualcuno dal villaggio, il mezzo sarà riparato in due o tre ore e potremo proseguire senza problemi per i successivi 3 o 400 chilometri fino alla meta raggiungibile probabilmente in una decina di ore! Ma qui siamo fuori di testa. Dopo un primo litigio telefonico, si giunge alla definizione che sarà trovata una sistemazione alla meglio nel villaggio e chi vivrà vedrà. Ho capito che questa tratta mongolica si sta rivelando più complessa del previsto.
SURVIVAL KIT
Treno da Huhehaote (Hohhot) a Erlian - K7932 - 22:15 - 6:49 - 480 km - 79 Y (cuccetta in Coupé 4 posti)
Come passare la frontiera da Erlian a Zamin Uud - Il treno cinese si ferma a Erlan, per proseguire in Mongolia, occorre passare la frontiera che apre alle 8 del mattino e chiude alla sera. C'è tutta una organizzazione di pulmini, fuori della stazione di Erlian, che si occupa della operazione, che necessita di un certo numero di spostamenti. Il costo è attorno ai 100 Y a testa o qualche cosa di meno. Comunque sarete trasportati fino alla frontiera cinese, che è appena fuori città, qui il pulmino vi scaricherà coi bagagli e vi aspetterà all'uscita dopo che avrete espletato le formalità di uscita con relativo timbro di passaporto, poi vi porterà al posto di frontiera della Mongolia distante qualche chilometro, dove ripeterà la stessa operazione, aspettandovi fuori dopo che sarete stati accettati dai doganieri mongoli. Le pratiche sono laboriose ma senza problemi, anche i controlli doganali sono solo formali e non invasivi. Da qui vi trasporterà alla piazza della stazione di Zamid Uud, la prima città sulla strada dove è possibile prendere il treno che va fini alla capitale in circa 660 km. oppure potrete prendere se già non siete attesi sulla piazza. un mezzo per proseguire verso la vostra destinazione. Il mio consiglio però, è di evitare questa soluzione sicuramente più romantica dell'ingresso via terra, perché vi farà perdere troppo tempo , quasi 3 giorni, senza nulla di sostanziale da vedere, a parte la città di Hohhot, rispetto ad un aereo che da Pechino (che potrete raggiungere da Datong in un paio d'ore a circa 140 Y) vi porti direttamente nella capitale mongola in poco più di paio d'ore e circa 130 €.
Nessun commento:
Posta un commento