giovedì 21 luglio 2011

L'orologio della ferrovia.

Ci sono a volte piccole cose o situazioni apparentemente di poca importanza che se trascurate ti lasciano come un sottile senso di colpa, una sfumatura di amarezza per un compito non svolto soltanto per pigrizia. Mio papà faceva il ferroviere, deviatore capo, come ci teneva a precisare e come tale è sempre stato legato ad una certa precisione per quanto riguardava l'ora. Si sa che una volta i treni arrivavano sempre in orario e questo è ormai un paletto fisso e inamovibile. Dunque a quel tempo ogni ferroviere veniva dotato di apposito orologio, per sua natura e necessità precisissimo a prescindere. Era un grande orologio da taschino con catena allegata di una serie speciale costruita appositamente per le ferrovie dello stato, anzi FF SS, allora istituzione sacra e immagine di serietà assoluta che veniva fornito gratuitamente e una sola volta nella vita. Era quindi un segno distintivo, una mostrina significante, un segno del comando in possesso di chi, evidentemente responsabile, doveva avere una certezza assoluta dello scorrere del tempo per regolare di conseguenza, in virtù di tabelle e orari, azioni e decisioni da cui sarebbe dipeso il regolare flusso del traffico. Si trattava di deviare i treni di volta in volta, decidendo quale binario era il migliore, smistando il traffico ed evitando magari di mandarne due sullo stesso binario alla stessa ora. 

Andando in pensione l'orologio rimaneva di proprietà del ferroviere stesso, quasi fosse una medaglia al valore, un riconoscimento che mantenesse anche a lavoro finito un segno distintivo di appartenenza ad una congregazione. Così l'orologio lasciò per sempre il taschino e rimase per decenni appeso ad un piccolo supporto sul mobile di quello che negli anni '60 si chiamava tinello. Ogni sera alle nove in punto, mio papà lo prendeva tra le mani con cura e, forse era una mia sensazione, gli dava un'occhiata acquosa piegando leggermente la testa da un lato, chissà se ricordando qualche fatto importante o semplicemente con un refolo di nostalgia, poi lo caricava facendo girare avanti e indietro il pomellino dentato superiore con un movimento ritmico sempre uguale, facendo attenzione a non spingerlo troppo a fine corsa. Poi lo riappoggiava con cura al suo supporto dandogli ancora un'ultima occhiata languida. L'esattezza dell'ora non veniva neanche controllata, neppure quando la radio dava l'ora esatta con il cinguettio dell'uccellino del Gazzettino Padano (incredibile, si chiamava proprio così il notiziario dell'una). Sarebbe stato come mettere in discussione un dogma. Quando me lo sono portato a casa mia, quel famoso orologio, l'ho messo pressappoco nella stessa posizione in cui ha stazionato per quasi cinquanta anni. 

Il cambio di abitudini è spesso deleterio per gli anziani e non avrei voluto che qualche posizione negativa (così almeno prescrivono le regole del Fang Shui) avesse influenza sulle sue performances, anche se avevo provveduto a fargli fare un check up completo prima di spostarlo. Il fatto è che adesso che sta lì ed è venuto il mio turno, ogni tanto, anzi se devo essere sincero, spesse volte, mi dimentico di caricarlo. Così, quando mi volto e ci fissiamo per un attimo, io per sapere l'ora, lui per dirmela, mi accorgo di colpo della mia smemoratezza e lui, fermo con le lancette bloccate, mi guarda con una espressione di muto rimprovero. No, certo non è arrabbiato con me, ma mi pare scrollare un po' il capo come a dire che non c'è niente da fare, dove avranno la testa 'sti ragazzi, cosa combineranno nella vita se neanche si ricordano di caricare l'orologio. Io allora lo prendo quasi di soppiatto, giro e rigiro la rotella quasi facendo finta di niente, come se pensassi ad altro, ma sto bene attento a non forzare il fine cosa, poi lo rimetto al suo posto e me ne vado al computer senza voltarmi. Ma quegli occhi continuo a sentimeli dietro le spalle come una carezza leggera.


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3 commenti:

Unknown ha detto...

Bellissimo questo tuo racconto.
Diciamo che calza a pennello con questa mia giornata non proprio ok.
Grazie perchè mi hai fatto ricordare che anche se ci sentiamo soli in realtà dall'alto qualcuno ci guarda e ci sta vicino.
Anche io conosco bene la storia dell'orologio, avevo un nonno che era capostazione e tutto quello che hai scritto corrisponde a sacrosanta verità.
Se permetti questo tuo post lo voglio dedicare a nonno Checco.
Ciao nonno ti voglio bene.

Unknown ha detto...

Delizioso questo racconto, piccoli oggetti che racchiudono più vite.
Cristiana

Ti ho risposto anche da me
Enrico, forse sei più adatto!(x il post)
Giorgio è entusiasta dei tuoi racconti di viaggio in "Soffia il vento dell'est".A me ne mancano ,ma quelli che ho letto sono uno più interessante dell'altro.
Cri

Enrico Bo ha detto...

@Anna - Grazie e un abbraccio anche a nonno Checco.

@Cri - Grazie anche a te. In verità la conoscenza del mondo sarebbe la mia prima passione tanto che volevo all'onizio farne un blog specifico, che avrebbe di certo avuto più lettori come in gebere i blog temetici, ma poi la mia voglia di cazzeggio ha preso il sopravvento, non mi va di rinunciare a dire la mia su tutto.

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