domenica 12 luglio 2009
Neve nera.
I primi di novembre del 1991 non erano particolarmente freddi a Mosca e la Moscova non ancora ghiacciata scorreva lenta, quasi oleosa, come invischiata tra i lacciuoli di un sistema morente. Da ogni parte si avvertiva netto il senso del disfacimento, dello sfilacciarsi delle ultime tenute, dell'anarchia che stava per esplodere. La perestroica di Gorbaciov, aveva dato l'ultimo e definitivo colpo a tutte le poche strutture ancora funzionanti ed nel paese c'era netto il senso di sbando totale, in cui nessuno più produceva niente e allo stesso tempo tutti pretendevano quello a cui ritenevano di avere diritto, mentre i più svegli cominciavano a riposizionarsi in attesa del momento giusto. Lunghe code per strada in cui la gente si fermava appena saputo che lì c'era qualcosa da comperare, qualunque cosa fosse, invece di andare a far finta di lavorare. Nel momento in cui tutto stava andando a rotoli, si favoleggiava della disponibilità di mirabolanti tecnologie, militari ovviamente, tenute segrete per anni, che adesso, nel momento della crisi più totale, erano disponibili per chi potesse investire, per chi avesse ambiti dollaroni da spendere, l'unica moneta che facesse aggio. Anche noi pensammo che ci potessero essere opportunità e sfruttando le conoscenze che si avevano del mercato si creò una piccola società di acquisizione e sfruttamento di brevetti scientifici, inserendovi anche un politico che ci evitasse di intraprendere strade non corrette e uno scienziato, che ci spiegasse cosa valesse veramente la pena. Ed eccoci all'occasione; un centro studi voleva cedere un brevetto interessante, si trattava di un sistema di indurimento superficiale degli utensili con un particolare trattamento laser. I furboni, ecco come trasformavano acciai di seconda categoria in materiali di durezza incredibile; un po' la pietra filosofale sovietica. Era buio giallognogno e fumoso come tutti i tardi pomeriggi invernali russi, quando passò a prenderci una grande Volga nera a fari spenti. La guidava un armadio ingiacchettato col muso duro e tesserino KGB stampato sul muso rincagnato. Lo scienziato era seduto davanti armeggiando con un telefono da auto con una cornetta anni trenta in bachelite bianca. Non avevo mai visto fino ad allora un telefono fisso su un auto. Salimmo nel cortile, nascondendoci alla vista dei rari passanti che rientravano in casa con le sportine vuote e la macchina si lanciò a velocità folle nelle strade deserte di una Mosca avvolta nel giallino lattiginoso dei fiochi lampioni. Arrivammo in una delle tante periferie della capitale dirigendoci verso una bassa costruzione che pareva una vecchia stazione di servizio in disuso. Eravamo attesi, perchè un omone avvolto in una gigantesca mimetica aveva già aperto il cancellone sbilenco, dopo aver posato il kalashnikov a terra. Parcheggiammo facendo stridere le gomme e scendemmo in fretta in un clima di sospetto, guardandoci intorno. Entrammo nel basso edificio, sede del centro di ricerche segreto. I primi ambienti sembravano una officina anni 50 col pavimento unto di olio e vecchi torni malandati sparsi a casaccio. Ero ammirato. Con quale astuzia si celavano le ricerche di avanguardia! Nessuno avrebbe potuto sospettare che quella malandata costruzione nascondesse cose di tale importanza, anche se il filo spinato intorno e gli OMON sparsi dovunque indicavano che forse lì non si distribuivano gelati. Comunque pareva di essere in un film; da un momento all'altro un ascensore ci avrebbe portati nelle viscere del centro dove un mondo di fantascienza spio-bondistica ci avrebbe trasportato nel futuro. Invece no. Il centro era proprio quello lì che vedevamo, con le frese mezze rotte e un generatore spompato che faceve tremolare le luci delle lampadine da 25 candele. Lo scienziato ci spiegò che purtroppo da anni, non si poteva avere di più, ma le idee, quelle non hanno bisogno di finanziamenti. Al di là di una tramezza di compensato traballante fummo introdotti nella sala laser, dove troneggiava un baraccone di ferro arrugginito in diversi punti. Consegnammo le punte di trapano di materiale tenero che avevamo portato con noi per testare il trattamento ed un addetto claudicante le inserì negli appositi alloggiamenti, poi tutti ci ritirammo dietro l'apposita paratia. Qui, il tecnico, davanti ad una plancia tentò più volte di avviare la macchina, ma i grossi interruttori marroni, consumati dall'uso non ne volevano sapere. Maledicendo il governo e quanti gli negavano i fondi lo scienziato prese a battere su alcune leve di cui una si ruppe subito, poi il tecnico, utilizzando l'arte di arrangiarsi comune ai due popoli, infilato un grosso cacciavite nell'interruttore renitente riusci a far scattare l'avvio. Il mostro cominciò a ribollire con sordi brontolii di fronte a noi, poi, in un crescendo rossiniano, assai poco tranquillizzante, prese a ronzare sempre più forte fino a che, tra la preoccupazione che ormai si palpava intorno a noi, scaricò con un gran botto tutta la sua potenza e di colpo si tacque. Il bombardamento laser sembrava concluso. Lasciammo quatti il centro con le preziose punte trattate, filando ai cento all' ora nella notte verso l'Hotel Pekin, gelido come una bara. Al test in Italia le punte di trapano trattate si rivelarono molli come banane, così almeno ci relazionò il tecnico che eseguì i test. Al nostro rientro a Mosca, Gorbaciov stava per cadere, lo scienziato disse che forse, il processo andava ancora affinato per poter dare risultati convincenti, ma che aveva utilizzato lo stesso trattamento in Ukraina in un allevamento di maiali, bombardandoli nelle chiappe e pareva che i prosciutti aumentassero del 20% in peso a parità di alimentazione. Un vero business. Lo lasciammo nella Tviershajia che ancora si sbracciava per mostrare la forma delle coscie. Il gelo invernale era ormai sceso implacabile e le strade erano coperte di neve ghiacciata nera come il cielo.
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