venerdì 27 novembre 2009
Bakshish radioattivi.
Il passaggio vicino a Ciernobil lo avevo vissuto con un certo brivido, se devo essere sincero, mentre invece notai, negli scambi di idee sull'argomento, che in quel mondo, si guardava a questi fatti con un occhio molto distaccato e possibilista, nel senso che se c'erano delle situazioni o dei lavori pericolosi, ma necessari, qualcuno doveva pur farli e la questione si esauriva con uno stipendio maggiorato. Tutto ciò era legato anche ad un certo trombonismo diffuso, per cui la forte fibra dei lavoratori russi se ne faceva un baffo delle radiazioni o delle emissioni venefiche di certe aziende chimiche e che tutto si poteva guarire con delle buone bottiglie di vodka. A Minsk, sottovento rispetto a Cernobil, anche se a 600 kilometri di distanza, vedevano la cosa con un po' più di preoccupazione, ma sempre con una certa rassegnazione. Anche qui, la situazione economica sembrava allo sfacelo, forse ancora più che in Ukraina, ma un più stretto legame con Mosca aveva suggerito di denominare la nuova moneta Rubley, forse per non spiazzare troppo i Bielorussi. Non vi tedierò raccontandovi della proposta che ricevemmo per finanziare un impianto per la produzione del furfurolo , partendo dallo sfruttamento delle bagasse esauste, anche perchè ne ho già parlato qui, rimango comunque a disposizione per eventuali spiegazioni tecniche. Voglio invece rimarcare la sensazione di squallore che dava la città, completamente rasa al suolo durante la guerra e ricostruita frettolosamente con una serie interminabile di parallelepipedi grigi e cadenti simili a quelli della periferia di Berlino Est, anche in pieno centro. Il nostro contatto, Vladimiro che, come secondo lavoro faceva l'accompagnatore della locale squadra di calcio, ci portò ai vari appuntamenti con la sua Zigulì attrezzata di tutto punto, incluso un radar che segnalava con un ticchettio accelerato, una specie di contatore Geiger, la presenza delle auto della polizia in agguato in ogni angolo ed ansiose di raspare soldi ai pochi privati proprietari di auto. Infatti, non appena avvertimmo il pigolare dell'apparecchio, rallentò vistosamente, giusto in tempo per potersi fermare senza scivolare sul manto nevoso, alla esposizione della paletta di stop di una pattuglia acquattata dietro un cumulo di neve sporca. Venuto però meno l'argomento della velocità, ci contestarono la mancanza di cinture di sicurezza, oggetto introvabile in URSS, ma evidentemente obbligatorio. Pagammo con un mazzetto di rubley che scivolarono nella capace tasca del Gay (è la sigla della polizia stradale, non pensate male) che purtroppo aveva finito il blocchetto delle ricevute, ma ci aiutò a rimetterci in strada con un ampio gesto del braccio. Come avevamo previsto la Russia Bianca poteva dare assai poco in termini di scambi commerciali e arrivammo in anticipo alla stazione per passare l'ennesima notte sul treno per Riga. Purtroppo, Valery doveva aver combinato qualche pasticcio per i nostri biglietti ed la capavagone sembrò irremovibile, il treno era al completo ed i nostri biglietti non valevano per qualche motivo misterioso. Mentre confabulavamo sul da farsi, una vecchina di fianco a noi cominciò con un pianto sommesso a pregare il cerbero. Doveva essere assolutamente a Riga il giorno dopo per un funerale e anche lei stringeva tra le mani un biglietto, evidentemente della categoria di quelli non valevoli, come il nostro. Le lacrime scendevano copiose, ma con l'alterigia del potere conferito dal cappello con visiera e dai gradi esibiti sulle mostrine, la poverina fu rimproverata aspramente e respinta senza pietà. Se ne andò muta e china, borbottando maledizioni. Cominciai a paventare che saremmo rimasti a Minsk per sempre, mentre il vento gelido da sud avrebbe continuato a spalmare su di noi il Cesio e lo Stronzio che volavano liberi e leggeri nell'aria come coriandoli nel carnevale radioattivo. Prendemmo da parte la donna, chiarendo subito che non volevamo certo sottrarci ad un corretto pagamento dei biglietti, pur di trovare la persona giusta per farlo. Subito si rabbonì e poco dopo riuscimmo a sistemare i pesanti bagagli nelle cappelliere dello scompartimento numero 7. Mancava ancora una mezz'ora alla partenza, ma non fummo più disturbati.
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