lunedì 21 marzo 2011

La festa del papà.


I fatti di ieri mi sembravano più importanti da commentare del post che avevo in mente sulla festa del papà, che riprendo quindi in ritardo. D'altra parte è questo il tragico destino o forse il bello della comunicazione globale. Ogni giorno una nuova notizia importante fa apparire desueta quella del giorno prima che viene inevitabilmente e subito relegata nelle pagine interne con caratteri sempre più piccoli. Certo che le feste istituzionali sono dei ciapa ciapa commerciali, anche quelli però utili a smuovere un po' questa pigra economia, però hanno almeno il merito di lasciarti ragionare un attimo su un concetto che poi, appunto come le notizie, metti da parte e non ci pensi più.


E' proprio l'idea di padre che è così straordinaria e affascinante, certamente arrivata molto dopo nella storia dell'uomo, successiva a quella di maternità, così immediata, così coinvolgente. Una figura però altrettanto bella a cui si legano oltre i sentimenti anche le parole, perchè con i padri si dovrebbe parlare. Alla madre basta uno sguardo, una carezza ed è già tutto compreso, in una completezza affettiva che coinvolge una identificazione totalizzante; il papà invece è una figura, un riferimento, uno che ti dice cose anche solo con lo sguardo, che ti indica la strada, che ti vorrebbe dare sempre e comunque aiuto oltre che amore, che pensa di non aver mai fatto abbastanza per te. E tu ti senti sempre in debito di parole. Il mio papà è mancato a 96 anni e durante tutta la vita gli sono stato comunque ragionevolmente vicino, eppure, ogni volta che ci penso, sempre emerge quel senso di non avere fatto a tempo a dirgli tutto quello che volevo, che c'erano ancora tante cose che avrei voluto raccontargli, che non sono riuscito completamente a fargli sentire quanto gli ero grato, quanto gli dovevo ancora.


E' un tempo che non basta mai, che ti fa sentire comunque mancante per non avere estinto un debito che non si deve comunque chiudere perchè non c'è ragione di farlo. Cosa di cui ti rendi conto perfettamente appena passi dall'altra parte. Come è capitato a me 24 anni anni fa, proprio in questo giorno (ed ecco quindi il senso del post di oggi), quando, travolto dai sentimenti, nel soffocare della stagione secca indiana, Suor Maria Grazia mi ha messo tra le braccia un fagotto di ossa pieno di riccioli neri che pur scrutandomi con occhi spaventati mi ha tenuto subito il collo stretto stretto, l'anello di un legame indissolubile che si formava in quel momento, in cui ho avuto il privilegio di esserle padre per sempre. Il giardino delle papaye assisteva muto. Si stava aprendo una stagione nuova e bellissima.


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11 commenti:

Ambra ha detto...

E' estremamente commovente quello che racconti. Certo che se il rapporto padre/figlio non è così viscerale come quello di madre/figlio, tuttavia è altrettanto forte. Come te anch'io dopo tanto tempo dalla morte sia di mia madre che di mio padre provo quel senso di inadeguatezza per tutte le parole non dette. Perché ogni giorno si pensa di vivere eterni e che il tempo viva perenne con noi.

Ambra ha detto...

Ma che bella la bimba nella foto! E' la tua? L'hai adottata?

nidia ha detto...

Tocchi sempre qualche corda intima quando scrivi, Enrico. Bellissima questa tua condivisione!

Nou ha detto...

Enrico, grazie per questo post!
Ti posso abbracciare? ...Sì, sì! Ti abbraccio!
Ciao :)

il monticiano ha detto...

Si capisce dal tuo sguardo che nella foto ci sei te con la tua bellissima figlia.
Auguri papà, anche se in ritardo.

Anonimo ha detto...

che bella la tua poesia sul padre
sei un padre felice e fortunato
sei un ottimo padre (dai frutti si vedono gli alberi, frutti che sono appena appesi e facilmente staccabili: ma si vedono bene)
sei un ottimo poeta
sei un ottimo intrattenitore
descrivi il Giappone come un artista vero
sulla politica non mi esprimo perchè la sento lontana, anche se la guerra la sento vicina
ma dopo che i nostri cari genitori pro hanno figliato, il loro primo frutto l'hanno chiamato Caino: chissà perchè?
G.M.

Unknown ha detto...

ciao enrico! è il primo tuo post che leggo. Veramente azzeccato il discorso del non aver detto abbastanza ad una persona cara ! io avrei voluto chiedere tante cose a mio nonno, ma per una serie di motivi non l'ho fatto,e ora che non c'è più mi manca sentirlo parlare , credo che avrebbe saputo rispondere alle mie domande, che avrebbe risolto i miei problemi. A volte è la paura di esser giudicati male specialmente da chi ci sta più vicini che ci frena ! tornassi indietro me le scriverei le domande ! grazie per questo post ! ti linko sul mio blog !

massimo ha detto...

Bello quello che scrivi. C'è però una storiella ebraica, che forse gia conosci e che io trovo toccante. il papà uccello deve trasportare i suoi tre figlioletti al di la del fiume e siccome non sanno ancora volare li prende uno per volta nel becco. Mentre porta il primo il papà chiede al figlio se quando sarà vecchio farà anche lui questo per il papà uccello, se si occuperà di lui. il primo risponde che certamente lo farà, di non preoccuparsi perchè sarà li quando lui ne avrà bisogno, e il papà uccello lo lascia cadere nel fiume. Così il secondo , che risponde più o meno la stessa cosa. Il terzo, cui ha fatto la stessa domanda degli altri due
risponde che non può assicurargli che lo farà, che ci sarà quando il padre sarà vecchio, ma una cosa può assicurargli: che lui farà la stessa cosa per i suoi figli.

Enrico Bo ha detto...

@Ambra - Grazie cara, sì è la mia bimba (anche se ha 25 anni e ormai è una donna).

@Nidia - Grazie per me è un tasto che mi fa un po' sciogliere, che ci vuoi fare sono un tenerone.

@Nou - Che bello il tuo abbraccio che ricambio assolutamente.

@Monty - Tra cuori di papà ci si capisce.

@Gian M.- Grazie di tutto,caro il mio estimatore, ma anche caino, poi preso per il suo verso doveva essere un bonaccione, è che Abele, diciamocelo tra noi , proprio se le tirava.

@PUcc - Grazie e benvenuto, ti linko anch'io

@Max - Non c'è dubbio che quello che è dato è reso.

Anonimo ha detto...

Caro Enrico,la foto vale mille parole ed il tuo viso rappresenta la felicità.Mio padre è morto in un lontano gennaio,relativamente giovane a 64 ann i. Durante quell'inverno me lo sono sognato quasi tutte le notti.Ho sempre avuto un rapporo di conflittualità con lui.Non gli ho mai perdonato alcune sue imposizioni anche se mi rendo conto che ,dal suo punto di vista, lo ha fatto per il mio bene.Non gli ho mai dato grandi soddisfazioni ad eccezione di un nipote di cui andava molto fiero.Mi è mancato e mi manca ancora il suo sguardo fiero e severo in cui si leggeva però sottosotto il grande affetto che lo univa me e a mia sorella.
Paola

Enrico Bo ha detto...

@Paola - E' proprio così, la sensazione di tutti è sempre la stessa. Alla fine ci manca proprio perchè vorremmo a continuare a dirgli qualcosa e non possiamo più.

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