domenica 19 giugno 2022

La vita va avanti comunque

 In fondo cosa cerchiamo dalla vita, niente di più di un minimo di tranquillità. Quel mancare dell'assillo che ti costringe, più che a correre, a pensare di doverlo fare; di avere quella serie di famigerate incombenze dell'entro e non oltre, pena il subire inenarrabili punizioni fisiche, materiali e morali. Così poi capita regolarmente che stai per oltre due anni e mezzo fermo, immobile, barricato in casa come le oche da foie gras, con i piedi inchiodati su un solido asse di legno, poi quanto riescia sganciarti per una decina di giorni, ti capitano tutte addosso in un colpo solo, ti arrivano in serie sequele di telefonate: e no, lei deve, entro e non oltre, presentarsi, ma di persona e deve fare questo e quello e su e giù che il diavolo se li porti via tutti. Per carità, nulla di tragico, di gravissimo o di esiziale, le cose davvero disastrose che ti possono arrivare tra capo e collo sono ben altre, ma è questo smarronamento molesto, questo tritamento continuo di cabbasisi, per risolvere le mille piccole difficoltà e fastidi che i meccanismi perversi del, peraltro benedetto sistema di vita che ci siamo concessi (e speriamo che duri ancora a lungo per carità) ci costringe contro la nostra volontà, che sarebbe solo quella di poter esser lasciati in pace a goderci la tranquillità che ci sembra assolutamente e meritatamente dovuta, avendo raggiunto quell'età nella quale ci siamo nevitabilmente persi tutte le altre motivazioni di turbamento e di tormenti interiori. 

Invece il desiderio di tutti noi, raggiunto il sacrosanto assopimento temporale, qual è: potersene uscire tranquilli, dopo aver fatto una piacevole colazione, andare lemme lemme fin sulla riva del mare, travare parcheggio senza problemi dopo aver ficcato quache moneta dell'apposita macchinetta, trascinare un piccolo ombrellone ed un paio di asciugamani sulla battigia, possibilmente libero da assatanati combattenti, uniti contro la Bolkenstein, ma pronti a risucchiarti fino all'ultima goccia di sangue e sdraiarti sereno, godendo del dolce suono della risacca e rosolandoti all'ombra dell'ultimo sole, magari prevetivamente spalmati di creme da mani amorevoli. Questo in fondo si chiede alla vita, mica tanto di più. Pace e sereno giorno lontano da notiziari infausti, da elencatori di fatti dolenti, da turbative social. Lasciare l'odio al largo, che il suono del mare lo confonda e lo disperda in quel mare di fogna e di liquami che inquina il mondo e le menti. Di certo così la pensava quel signore, credo più o meno coetaneo, che come me si era sdraiato sulla battigia alla brezza ancora tenue e fresca del mattino. Avrà mangiato un bel croissant da una delle tante boulangerie che riempiono le vie adiacenti al lungo mare di profumi di forno, un caffè dall'aroma delicato e forte al tempo stesso e magari una bella spremuta di arance rosse che ti danno una piacevole sferzata di vitalità e di vitamine. Magari prima di sdraiarsi sulla sabbia avrà portato con sé un bel libro da centellinarsi nelle ore più cade o un sudoku per mantenere in esercizio la mente, alla nostra età è importante. 

E invece ecco che vedi un po' di agitazione intorno, la moglie che sbraccia, qualcuno che telefona e in cinque minuti o poco più piombano lì tre ambulanze, la macchina del medico, tutti che corrono sulla spiaggia, due alzano un telo bianco, un altro si affanna con tutte le forze a fare un massaggio cardiaco, compare un defibrillatore, una bombola di ossigeno. Almeno una decine di persone agiscono disperatamente per più di mezz'ora allorno alla figura immobile, le gambe nude allungate sulla sabbia dove la curva cambia inclinazione e scivola verso il mare. Poi ad uno ad uno si alzano, con sguardi delusi, dispiaciuti, addolorati di chi ce la messa tutta inutilmente. Il telo bianco viene disteso, questa volta a coprire completamente il corpo, che ormai appartiene ad un altro stato. Attorno qualche altro addetto pone un gazebo chiuso per proteggere il tutto in attesa che arrivi l'autorità competente a svolgere il suo obbligatorio lavoro. Tutto attorno, dopo gli sguardi rivolti anche da lontano, ogni cosa è rilassata e scorre nella sua sconvolgente normalità. La gente si butta in acqua, si spruzza di spuma, gioca coi racchettoni sul bagnasciuga. Se arrivassi adesso sulla spiaggia neppure potresti supporre quale tragedia personale si è appena compiuta a pochi passi da te. Tutto prosegue secondo il mormale ritmo della vita che, come logico, comprende anche la morte. L'acqua è fresca ma piacevole, dopo un attimo, la tragedia interessa solo più quella famiglia probabilmente straziata da quella inattesa bastonata che la sorte ha deciso di infliggere loro in una piacevole mattina di estate. 

I bambini schiamazzano intorno, tutti si buttano in acqua per buttarsi alle spalle anche soltanto la sensazione della tristezza, io per primo, appena in tempo per sentire alle spalle la pugnalata di una mefitica medusa violetta, una delle più malefiche, dicono subito intorno quelli che sanno, gli abitué del posto. Mentre soffro in silenzio sono circondato da una serie di bambinetti di varie età, frignanti, in quanto a loro volta colpiti, che mostrano a nonne terrorizzaate le staffilate rosse inflitte dalla malvagia bestia alle tenere carni dei loro eredi. Una giovane mammina russa (ma quanti ancora ne circolano da queste parti), subito corsa in farmacia, spreme un tubetto di prodigiosa crema sulle dolenti ferite, distribuendola a tutti, forse per generosa indole sarmatica o per il timore di essere scambiata per una riprovevole putiniana condannata al generale disdoro. Anche io approfitto naturalmente della panacea miracolosa che la gentile moscovita mi spalma sulle orrende bolle violacee di un livido paonazzo che mi sono fiorite sulla schiena. Lo fa con grande accuratezza forse acchiappata dal fatto che mi sono rivolto a lei con le poche frasi di russo che ancora riesco a ricordare e che tento ancora a pronunciare con rapidità e sicurezza in modo da spacciarmi infingardamente per vero conoscitore della lingua, cosa che crea sempre un certo alone di simpatia. Fortunatamente non ho ancora completamente perduto le mie arti da mercante della parola. Così termina la giornata, la convalescenza sarà lunga, soprattutto per quelle che rimangono  le ferite dell'anima, ma come si dice qui: tout casse, tout lasse, tout passe e qualcuno ha aggiunto tout se remplace


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