Temporaneamente senza fotografie per cause tecniche
L'asfalto dura poco, è solo un attimo di speranza fino a quando non scompaiono alle tue spalle le ultime gher della periferia della città, ancora tracce di presenza umana sui rilievi lontani, poi di nuovo il nulla. La natura primordiale che ti circonda, gli spazi ondulati ricoperti di peluria verde, come l'epidermide di un pianeta alieno che rifiuta di essere abitato da presenze umane, scorrono lentamente ai tuoi fianchi. Dopo un'oretta la pista diventa un poco più difficile e tortuosa ed entriamo in una valla larghissima ai bordi della quale si intravedono bassi rilievi, lontani da entrambi i lati. Si nota che il terreno qui è più umido dal fatto che l'erba è un po' più fitta ed un poco più verde. A tratti, mandrie di armenti brucano sparse, cammelli, vacche e lontani, i piccoli cavalli per i quali l'esercito di Gengis khan era famoso. Sono piccoli, in genere bai con lunghe criniere e code nerissime. Alle prime appaiono piuttosto grassocci e con le zampe un poco più corte di quanto siamo abituati, ma caracollano spediti con le froge al vento, che comunque continua a soffiare con una certa intensità, facendo piegare gli steli dell'erba sempre nella stessa direzione. Da stamattina avremo percorso un centinaio di chilometri, la pista non consente una gran velocità, ma non abbiamo più incrociato nessuno.
I proprietari degli animali che abbiamo incontrato saranno lontani nella steppa a radunare qualche bestia dispersa con le loro motociclette scoppiettanti, oppure saranno andati fino a qualche paese sperso nel nulla a procurarsi qualcosa di assolutamente necessario. Alfine incontriamo un gruppetto di uomini che si affanna attorno a qualche decina di animali. Sono tutte cavalle, che hanno partorito da poco. I puledri, sono legati ad una lunga corda con poche possibilità di movimento; alcuni, forse nati da poco, sdraiati a terra, altri un po' più grandicelli che cercano di divincolarsi. Le giumente si aggirano attorno a fatica, impastoiate perché non si allontanino e si guardano attorno forse in cerca del loro nato. Gli uomini le stanno mungendo; raccolgono il poco latte strizzando i capezzoli magri e sporgenti, in grandi secchi, prima di metterlo in appositi bidoni di metallo. E' la stagione in cui si produce questo particolare prodotto, il latte di giumenta inacidito, che pare sia considerato un toccasana assoluto per la salute e del quale i Mongoli fanno un consumo notevole. Dopo la raccolta e la filtrazione, il latte un tempo veniva messo in orci e, dopo l'aggiunta di un po' altro di latte fermentato per innescare il processo, veniva appeso alla sella del cavallo in modo che fosse a lungo sbattuto fino a inacidimento concluso.
Si dice che il prodotto vada scrollato almeno 10.000 volte prima di arrivare alla maturazione perfetta e di certo oggi si utilizzeranno metodi meno tradizionali, ma il risultato sarà il medesimo. Gli animali si lasciano mungere tranquillamente e gli allevatori svolgono la pratica piuttosto allegramente, sembrano contenti e divertiti dal fatto che ci interessiamo al loro lavoro. Naturalmente ci offrono subito tazze fumanti di latte appena munto e anche altro, credo che sia appunto l famoso prodotto di fermentazione che viene chiamato Cege, almeno mi sembra, ma rifiutiamo cortesemente, l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questa landa è l'insorgenza di problemi intestinali, al di là delle sue miracolose proprietà terapeutiche che di certo saranno pure straordinarie, ma diciamo che stiamo bene così. Solo i puledri sembrano piuttosto mogi per la deprivazione del prodotto che doveva essere loro destinato, ma come sempre se ne faranno una ragione. Sembrano piuttosto magri e macilenti, ma pare che questa particolare razza abbia una resistenza estrema tanto che passano all'aperto tutto l'anno sopportando senza problemi o quasi, dai +35 C° ai - 35 C°, insomma una bella escursione, non c'è che dire, grazie alla loro pelliccia, che si nota subito per essere piuttosto folta.
Alla fine riprendiamo la nostra strada, avvicinandoci al rilievo alla nostra sinistra, che si distingue per il suo colore chiaro quasi si trattasse di asperità coperte ancora di neve. Invece si tratta semplicemente delle dune di sabbia del Khongoryn Els, la parte estrema del deserto del Gobi che presenta un fronte sabbioso lungo oltre cento chilometri e largo una decina. All'incirca 1000 chilometri quadrati di dune alte fino a trecento metri, tra le più affascinanti del mondo. Il vento qui soffia implacabile e in particolari momenti della giornata provoca una serie di suoni che sembrano riprodurre voci, musiche, richiami misteriosi e gemiti sommessi, tanto da meritarsi il nome di Dune che cantano. Il fenomeno, che già avevamo visto in Cina e che pare sia udibile anche in altre parti del mondo come Marocco o Oman, è stato studiato scientificamente e si è compreso che i suoni sono provocati dallo sfregamento dei granelli tra di loro e la tonalità varia in riferimento al diametro dei granelli stessi con frequenze che vanno dal re al fa diesis. Certo che a Marco Polo, capitato da queste parti forse proprio per la curiosità di provare questa emozione, questa situazione colpì molto, visto che racconta di viaggiatori rimasti indietro dalla loro carovana e persi fra le sabbie, là attirati da queste malie: … quando vuole poi andare per giugnere li compagni, ode parlare spiriti in aire e lì si perde per sempre… E molte volte ode l’uomo molti istormenti in aria e propiamente tamburi.
Chi sa se anche lui ha voluti fermarsi ad ascoltarli con la curiosità di un Ulisse che non voleva rinunciare a conoscere il canto delle sirene! Certo erano altri tempi e queste cose venivano favoleggiate in maniera diversa, ma certo che il luogo ha un suo fascino particolare. Noi intanto continuiamo a percorrere la parte bassa della valle e la pista è diventata talmente sabbiosa che c'è pericolo di piantarsi negli avvallamenti. Non facciamo che dircelo continuamente, così che quando una cosa la chiami, alla fine arriva. Eccoci dunque che, dopo un po' di gira e volta, un avvallamento più profondo accoglie le ruote del nostro pulmino con la carezzevole abbraccio della sabbia più morbida, la velocità decresce di colpo, il motore arranca un po' girando a vuoto ed eccola là, sprofondiamo definitivamente rimanendo immobili con le ruote che scovolano scavando fino a non uscirne più fuori. Porco qui, porco là, si scende tutti, ma l'autista non sembra minimamente preoccupato, evidentemente è cosa che succede normalmente, purtroppo noto che non dispone della minima attrezzatura per cavarsi di impiccio in questi casi, che credo siano piuttosto frequenti. Si ferma intanto un altro pulmino, carico di Coreani, ancora meno attrezzato, niente pale o liste di metallo da mettere sotto le ruote. Tutti cominciano però a scavare sotto gli pneumatici impiantati, con mezzi di fortuna, pezzi di legno e pietre che poi vengono messe sotto le ruote stesse a formare una sorta di percorso più solido.
Alla fine con un po' di volonterose spinte da parte di tutti ne veniamo fuori e si riprende il cammino, con grandi saluti al gruppo di ragazzi coreani che hanno dato una mano. Se ho capito bene, quando c'è una macchina ferma, tutti si aiutano l'un l'altro, è praticamente un obbligo morale che non viene disconosciuto da nessuno, la solidarietà del deserto. Proseguiamo lungo la pista sempre più tortuosa, avvicinandoci sempre di più alla barriera di dune che ormai sono arrivate alla loro massima altezza, formando un cordone giallo e imponente che strapiomba verso il basso e contrasta con il verde della valle. Di tanto in tanto gruppi di gher compaiono alla nostra destra, segno che in molti arrivano da queste parti attratti dalla notorietà del posto che è al centro del parco nazionale del Gobi Gurvai saikhan. Alla fine arriviamo ad un gruppetto di sei gher, piuttosto isolato, proprio di fronte alle dune. Un'ansa del fiumiciattolo che scorre al centro della valle lo separa in parte da altri accampamenti più lontani, che si vedono all'orizzonte. Siamo arrivati a casa di Nyamkaa, il nostro autista, che poi non è altro che la gher un po' più defilata all'estremità del gruppetto.
Accorrono padre e madre, non ci sono segni di stupore per il fatto che siamo in ritardo più o meno di un giorno intero sulla tabella di marcia, evidentemente, come ho già detto, da queste parti il tempo non conta, cosa volete che significhi oggi, ieri, domani, conta solo il fatto che sei arrivato e per prima cosa devi mangiare qualche cos. Ecco che compaiono come per magia, prima una buona dose di tè arricchito di grasso latte di non so cosa, e poi diversi piatti con pollo, uova fritte, verdure e riso, che mangiamo di gusto accoccolati sugli sgabellotti in dotazione alla gher. L'accampamento, evidentemente usato solo a scopo turistico, ha un po' il sembiante di un camping, con docce e bagni in fondo al cortile. Ci sono cammelli che pascolano vicini, ma a disposizione per chi vuole andare a farsi un giro per provare l'ebbrezza della carovana che attraversa la steppa. Noi avendo già avuto modo più volte di trafficare con dromedari, bestie ancor più spocchiose di questi che hanno un aria assai bonacciona, passiamo la mano. Intanto sta arrivando la sera ed è venuta l'ora di fare i pochi chilometri che ci separano dalla fila di dune che ormai incombe davanti a noi cime una barriera apparentemente invalicabile. Non ci resta che andare rimane ancora più di un'oretta prima che il sole tramonti. E' l'ora d'oro che tutti i fotografi aspettano ansiosi ed a cui anche noi, dilettanti dell'obiettivo non possiamo rinunciare.
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