martedì 22 settembre 2009

Yak e tori.


Se meditate un viaggio che abbia molti punti di interesse e magari anche diversi spunti di riflessione, vi consiglierei di progettare un paio di settimane (almeno) in Tibet. Non è difficile, con internet a disposizione, e se ci andate con mente aperta e senza preconcetti, cosa inusuale, ma almeno tentare è già positivo, si possono portare a casa riflessioni interessanti. Magari uno crede o è convinto di certe cose, poi, guardando con i propri occhi, ascoltando campane diverse, comincia a far lavorare il santo germe del dubbio che dovrebbe stare nella testa delle persone pensanti. Dare più spazio al relativismo e cercare di restringere quello delle certezze assolute. Magari partendo da osservazioni marginali, teoricamente di poca importanza. Ad esempio, uno degli animali più conosciuti ed ammirati della zona è lo yak (Bos grunniens mutus), tutti i turisti sono bramosi di toccare con mano questo magnifico animale che, puro tra le vette, sa vivere nella rarefazione dell'alta quota permettendo che la vità si svolga anche lassù. Come sempre, però le cose vanno interpretate e capite. Sì, popolava un tempo solitario gli altipiani dall'aria fine, ma era (ed è) animale stizzoso, per nulla docile all'aiuto dell'uomo con le sue bizze fastidiose e le sue bizzarrie continue. Ma verso il suo territorio, col tempo ci fu una continua infiltrazione di bovini (bos taurus), possiamo dire uno stillicidio di migrazione clandestina di animalacci dediti a faticare senza lamentarsi che, pur molto malvisti dai duri e puri, hanno cominciato a mescolarsi con gli aristocratici yak, dando luogo a sempre più frequenti incroci. Questi ultimi chiamati Dzo o Dzopkio, assai più resistenti e validi (probabilmente anche più intelligenti) che assommano i pregi di entrambe le razze, sono ormai la maggioranza assoluta sul territorio. E' un po' la storia del mulo, insomma. Forse qualche gruppo di yak ha cercato di contrastare questo andazzo, non gli andava certo di spartire il territorio con i nuovi venuti, sporchi di letame e incolti al massimo, che, tra l'altro, si sdraiavano dappertutto senza rispettare le tradizioni e le convenienze, se potevano si acchiappavano le femmine e muggivano anche in un modo del tutto incomprensibile, ma la storia compie inevitabile il suo corso ed è difficile opporsi. Inoltre gli yak, a suo tempo non avranno avuto neanche giornali o capi partito o non avranno potuto formare leghe o gruppi per opporsi al destino che incombeva inevitabile. Ma tant'è così sono andate le cose nel lontano Tibet. Tra l'altro, se ci andate, evitate di chiedere, come ho fatto io, informazioni agli abitanti, sul famoso burro di yak, che è un po' la bevanda nazionale. Infatti lo Yak è un nome riferito soltanto al maschio della specie, la femmina si chiama Dri, un po' come toro e vacca e chiedere del burro di yak ha un significato assolutamente disdicevole.

2 commenti:

Martissima ha detto...

io passo di qui e mi bevo tutto quel che dici, gustandolo in pieno relax ;-))

Enrico Bo ha detto...

Anche io, quando passo da te mi berrei (e mi mangerei)tutto quello che vedo nelle foto, ma purtroppo posso solo leggere con l'acquolina in bocca!

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