domenica 26 febbraio 2012

Lettere dal Laos 9: Il caffé di Bolaven.



Gente di villaggio.

Tat Yuan.
L'altopiano di Bolaven ti presenta quella che è l'altra faccia del Laos. Basta salire un po' e, superato il piccolo borgo di Paksong, lasci la vita del grande fiume per passare a quella di un paese di montagna, dalle vallate segrete circondate da alte colline antiche, corrose da una natura vitale ed aggressiva che le ha modellate in forme contorte e le ha ricoperte di una vegetazione fitta e corposa. Un paese poco popolato dove il poco terreno si conquista a fatica, si strappa alla foresta con furia, col devastante sistema taglia e brucia dell' agricoltura più primitiva e che la foresta stessa tenta di ripigliarsi appena sia possibile. E' la terra degli insediamenti tribali che frammentano questo mondo in tanti gruppi separati e diversi che l'isolamento ha mantenuto più o meno legati alle tradizioni del passato, con le loro lingue incomprensibili ai vicini di pochi chilometri, i loro costumi ricamati, le loro credenze animiste che nessun predicatore è riuscito a scalzare. Puoi viaggiare a lungo seguendo piccole strade che si inerpicano in valli laterali a scoprire un mondo di cascate, dal grande salto della Tat Fan che si precipita lontana in un fondale di nebbie azzurrine di cui non indovini il fondo, alla Tat Yuan dove una lunga scala di legno ti permetterà di goderne appieno i salti successivi o la Tat Lo, vicino alla quale potrai goderti un frullato di banana guardando gli elefanti lontani in atmosfere dai sentori coloniali. 

Donna Laven.
Passeggi un po' tra gli alberi e ti senti subito perso nel bosco, fino a che sul sentiero non incontri una vecchia Laven, che torna a casa con la sua sporta ed il volto nascosto dagli sbuffi di fumo che esce corposo dalle braci del mozzicone che sta fumando di gusto. Ammicca ridendo e scompare tra gli alberi. Tornava a casa ad un villaggio sulla collina, molto diverso da quello di etnia Katù che troviamo più a valle, pieno di bambini coperti di stracci, che si ammassano attorno per vedere le foto, ma che poi si mettono in fila ordinata se si prevede una distribuzione di penne o di caramelle. Girando tra le capanne tra fango e maiali, fatichi anche a vedere le bare seminascoste sotto le palafitte, che la tradizione preveggente vuole preparate per tempo in modo che sia pronte quando verrà il momento. Capanne di legno e di frasche ornate di corna e teschi dei bufali sacrificati durante le feste, quando gli uomini del villaggio compiono una danza religiosa chiudendo al centro di un cerchio gli animali impauriti e per poi finirli con le lance e distribuirne la carne a tutto il villaggio. Tradizioni queste che in diverse varianti percorrono questa porzione di mondo, basti pensare al culto di morti e all'importanza del bufalo nella cultura Toraja nella apparentemente lontana Sulawesi. 

Donna Katù.
Tutti mondi che di anno in anno stanno sbiadendo, per finire in una omologazione che relegherà ogni cosa in un passato, certo rimpianto da storici e turisti che rimpiangeranno di non poter fare la propria foto ricordo alla signora dai denti neri e le orecchie deformate dagli orecchini, ma che forse consentirà anche una vita diversa, che non mi voglio esporre a dire se migliore o peggiore. Da un lato i costumi saranno tirati fuori una volta l'anno per la festa e si perderà la lingua dei padri, dall'altra i bambini avranno accesso ad una forma di istruzione e non moriranno come mosche per banali infezioni. Forse si sorriderà di meno ed aumenterà lo stress adesso sconosciuto, ma magari si avrà la speranza di campare un po' di più e anche di mangiare meglio e di più, che trasborderà subito in troppo, in questa altalena infinita in cui l'uomo non riesce a trovare mai il vero punto di equilibrio. Come è difficile vivere e come invece è facile filosofeggiare a pancia piena. Sull'altopiano ti riuscirà particolarmente piacevole, tra il mormorio delle acque delle cascate ed i rumori della jungla, davanti ad una bella tazza di denso e nero Café lao, uno dei doni di queste colline, che i francesi hanno lasciato in eredità. Diverse varietà di Arabica sono coltivate su tutto l'altipiano, assieme ad altrettante di thé. Danno un prodotto davvero interessante per la sua ricchezza di sapore e per la sua corposità. Un liquido denso e profumato che macchia le dita tanto è ricco e che ti lascia soddisfatto a meditare di sapori passati e di possibilità future.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

6 commenti:

il monticiano ha detto...

E' così caro Enrico. Chi dice che sia una fortuna per certi luoghi e certi popoli avere una vita diversa da quella attuale?

Nidia ha detto...

Tutto ciò fa riaffiorare ricordi. Qualche gruppo minoritario in Cina. Il bellissimo viaggio nel Guizhou lo porto nel cuore. La nostra guida cinese aveva bisogno di un locale che le traducesse la lingua del posto, incomprensibile. E poi i bellissimi costumi e ornamenti. Questo Laos mi attira, le tue cronache come sempre ci danno il privilegio di entrare in realtà straordinariamente interessanti. Grazie Enrico!

Silvia Pareschi ha detto...

Bello il tuo blog, Enrico, davvero unico e prezioso.

Enrico Bo ha detto...

@monty - Infatti, al turista sembra tutto bello ed esotico, ma quando l'acqua che bevi ti fa venir la dissenteria un giorno sì e uno no...

@Nidia - Mi piacerebbe molto fare un viaggio nel sud della Cina che non conosco affatto (Yunnan ecc.)

Silvia - Grazie sono passato anche da te con molto interesse.

Massimo ha detto...

Inevitabilmente anche qui, come in tutto il resto del mondo, la gente cambiera' e cerchera' di omologarsi, ricercando il benessere materiale a discapito di quello spirituale.

Gia' li vedo davanti ai miei occhi questi cambiamenti tanto sono veloci.
Gente praticamente analfabeta che ha conosciuto solo la foresta e la natura piu' selvaggia che passa le giornate attaccata ad un telefonino mentre, come dice giustamente Enrico, i bambini (anche i loro) ancora muoiono per banali malattie o semplici infezioni.

Quando ero qui negli anni 90 non vi era nulla in questo paese, e nulla la gente agognava se non quanto necessario per sopravvivere.

Sono passati da una cultura di sussistenza al mondo globalizzato nel giro di 15 anni.

Sta cambiando tutto alla velocita' della luce qui, ho paura che le conseguenze sociali saranno seriamente negative nelle nuove generazioni con i primi effetti che gia' si vedono nella capitale Vientiane, dove la criminalita' e tutti i problemi di una citta' sono in continuo aumento.

Questa e' la natura umana, Plauto due secoli prima di Cristo gia' scriveva "Homo Homini Lupus", quindi non ci resta che vivere nel rispetto del prossimo e sperare che sempre piu' gente seguira' questa semplice, ma basilare, regola per il raggiungimento di una societa' migliore.

Enrico Bo ha detto...

@max - E' proprio così, d'altra parte l'omologazione e la globalizzazione non è ne un male né un bene, è un fatto, che accade comunque. Il male ed il bene sta dentro l'uomo.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 114 (a seconda dei calcoli) su 250!