giovedì 7 agosto 2025

Seta 17 - Il night market di Dunhuang

Specialità alimentari - Dunhuang - Cina - giugno 2024
 

Al treno
Certo in questa Cina modernissima e completamente rifatta ex-novo, anche gli alberghi sono decisamente di buona qualità, anche se si sta attorno alle tre stelle, non foss'altro perché sono del tutto recenti o quasi, quindi la sensazione è sempre quella di stare nel nuovo quindi nel pulito, l'abbondanza di marmi e di vetri lucidissimi aumenta questo senso di benessere che ti fa sembrare più facile il riposare tranquillamente. L'andirivieni nei corridoi del robot servitore, è un fruscio silenzioso, scandito solo dal leggero cigolio delle ruote e dai dlin dlin della sua scheda elettronica davanti alle porte dei clienti che hanno richiesto il suo servigio. Inoltre contrariamente a molti paesi vicini come Corea o Giappone, qui le camere sono decentemente spaziose e non senti assolutamente quel senso claustrofobico dei cubicoli dove hai problemi a trovare lo spazio dove aprire la valigia. E' vero che per come si viaggia noi, sempre di corsa per acchiappare il treno, l'hotel non hai neppure il tempo di godertelo, se è bello, quindi al massimo butti un'occhiata intorno e poi via che il tempo stringe e almeno andiamo a buttar giù un boccone prima di piombare a letto a gustarti il sonno del giusto. Qui a Dunhuang è facile decidere, pur essendo questa una piccola città secondo il metro cinese, risulterebbe che dispone di un night market di assoluto rilievo, con merce e cibi per tutti i gusti.

Night market

D'altra parte si sa che in Cina l'abitudine di andare alla sera a cena fuori in questi luoghi ricchissimi di banchetti e di offerte di cibo di ogni  parte del paese, è prassi comune, quindi eccoci subito smanettare sui telefoni per chiamare un Didi, l'app per i taxi che si usa da queste parti. In pochi minuti raggiungiamo la zona che poi costeggia il lungofiume, che come tutti i vialoni di questa città è completamente illuminato con una serie di lucine, tipo decorazione di Natale, che sono disposte su tutti gli alberi che costeggiano le vie, pendenti lungo i trochi fino ad arrivare a terra, dando la sensazione di aggirarsi dentro un presepe perenne e di una città in continua festa. Il quartiere del mercato comprende diverse vie ed è preannunciato da una porta coi palloncini rossi accesi, simbolo di tutte le antiche locande, come d'uso nella tradizione cinese. Qui invece siamo in presenza di intere strade costituite unicamente di ristoranti e quando lo spazio centrale si allarga, in mezzo si allunga la serie dei banchetti che offrono ogni tipo di cibarie. Tra fumi di vapore e sfrigolar di oli, come sempre c'è un sacco di gente, che gira, passeggia, osserva le offerte, facendo finta di non sentire o almeno di scansare i continui richiami dei venditori e di chi intanto cucina le sue specialità, ma alla fine, tutti finalmente convinti, ordinano e si dispongono sui tavoli circostanti a consumare quanto appena scodellato. 

Pane turcomanno

Naturalmente la sterminata varietà dei fritti la fa da padrone, qui non si parla naturalmente di friggitrici ad aria, che da noi vanno tanto di moda, ma di neri pentoloni dove nel magma incandescente di un liquido spesso nerastro vengono gettati ogni genere di carni, pastellate, infarinate o nude direttamente, per essere estratte poco dopo e distribuite in appositi contenitori, tra risate, richiami e grida, nel più confuso bailamme di ogni mercato orientale che si rispetti. Naturalmente qui, essendo ancora nell'area turchesca delle regioni dell'Asia Centrale, il montone la fa da padrone e la maggior parte delle carni offerte appartengono a questo animale, del quale trionfano, sui vari banchi, cosciotti, costolette, carcasse intere già debitamente rosolate e perché no, teste con occhi tristissimi e spenti che ti osservano meste da pentoloni di riso ricco di uvetta e verdura, cotto a puntino. E poi la griglia fa il resto, con una collezione di spiedini di ogni tipo ammucchiati o distesi ordinatamente prima e dopo la cottura in attesa di essere scelti e consumati. Dite pure quello che volete, ma il fascino dello street food che trovi in Oriente, con la sua sterminata ricchezza di scelte, con il suo colore di forme e di cibi diversi, con i suoi mille banchi che cucinano direttamente davanti a te invitandoti a cedere alla tentazione, ha un fascino assolutamente unico, che ti fa vincere anche quel naturale timore di cadere nella trappola igienica.

Incontri

Intanto lo sai già che ti farà sicuramente maledire, il giorno dopo, la tua decisione di impulso, ma che ti spingerà intanto a sederti tra le panche assieme a mille altri avventori, incerto sempre su quale cosa scegliere, tutte essendo oltremodo invitanti alla vista, pentendoti subito dopo di aver rinunciato a quell'altra dal banco vicino, sicuramente più buona e golosa. Noi facciamo la nostra parte, abbiamo deciso tra i mille dubbi che ti insinua la vista, quali delle carni diverse che si allineavano sugli stecchi già rosolati e appena tolti dal fuoco, fossero le migliori, le più tenere e le più desiderabili, pollo, manzo, montone, a grossi pezzi succosi o macinata e pressata attorno allo spiedo per rimaner più croccante e saporita, anche se magari  troppo cosparsa di spezie di cui ignori il gusto e la potenza, certamente sempre troppa oppure di sapori troppo estranei al tuo palato, ma sempre lì per appagare la tua curiosità di esploratore del mondo. Alla fine, con i nostri cartocci e piattini, ci mettiamo ad un tavolo all'inizio del mercato a rosicchiare le nostre scelte con la testa rigorosamente inclinata di lato per non sporcarci troppo. Io non resisto e  prendo anche una vaschetta di frutta con varie scelte locali, inclusi quelli che mi vengono spacciati come frutti di ginseng, non so se ho capito bene la lunga spiegazione tramite traduttore, ma con un gusto delicatissimo assolutamente unico e mai provato che mi manda subito in visibilio. 

Tavola imbandita

Io sono un grande cultore delle frutta sconosciuta, che trovo sempre, chissà perché, deliziosamente buona; mi sembra di scoprirci tutta una serie di profumi e sapori complessi e nuovi oppure comprendenti quelli di altre specie, ma riuniti armoniosamente assieme e ancor più intensi e notevoli. Naturalmente sono sensazioni solo mie, i miei compari ai quali faccio assaggiare quelle delizie, li trovano assolutamente insulsi, insapori e privi di qualsiasi interesse (sic!). Vai a capire, i gusti sono gusti, eppure mi sembravano così buoni!. Comunque terminata la lauta cena, andiamo a farci un giro, più che altro per riempirci ancora per un po' gli occhi di tutti i colori ed i profumi di questo bellissimo e popolato mercato, che prosegue nelle vie adiacenti con il bazar vero e proprio, dove il turista trova sfogo alla sue passioni, dalle giade a tutta una serie di pietre luccicanti che piacciono molto ai cinesi, ma anche a noi, e poi borse, borsette, statuette, oggetti caratteristici, pennelli, set per la calligrafia, tessuti e vestiti di ogni tipo, anche se non vedo i tarocchi che speravo di incontrare e che anni fa erano i re assoluti di ogni mercato cinese che si rispettasse. Si vede che adesso i sudditi del regno di mezzo (perché solo al mercato interno si rivolge il commercio, vista la quantità di turisti locali che si muovono in città) non sono più attratti dai brand occidentali come un tempo; sembra infatti che ormai i giovani tendano a considerare il loro sistema e quindi anche i suoi simboli, marche, forme e modelli, migliori dei nostri e quindi l'applicazione di etichette fasulle abbia perso l'appeal di una volta. 

Spiedini

Eh già, i tempi cambiano, purtroppo dico io, e quando ci lamentavamo del fatto che i cinesi fossero solamente capaci di copiarci, non avevamo afferrato l'idea, che era molto meglio così, voleva dire che noi stavamo loro davanti e che mantenevamo un certo margine di vantaggio; adesso invece ci stanno passando avanti e siamo noi di rincorsa, avendo perso la primazia in molti punti, purtroppo. Ma così va il mondo ed è naturale questo trend, ogni cultura ed ogni civiltà, ha momenti di crescita e di sviluppo, raggiunge un suo apice a cui tutti guardano e da cui tutti gli altri sono influenzati, poi comincia una inevitabile e sempre più rapida fase di decadenza, dapprima lenta, poi sempre più rovinosa, tra i pianti e le lacrime di chi non si è saputo adattare nella continua corsa del commercio e della produzione. Noi intanto continuiamo a girare tra i banchi della frutta secca, il prodotto principe di tutta la regione. Ci sono grani di uva così grossi da sembrare prugne secche, assaggiarli è un obbligo, di comprarne poi, non si può fare a meno, non so come faremo a chiudere le valige, con tutti i pacchetti che continuiamo ad aggiungere. Camminiamo ancora lungo le strade illuminate, anche se siamo stanchissimi, la giornata in fondo è stata dura, ma non ci viene voglia di andare a letto. Le lucine che sfarfallano intorno a noi, mettono una allegria che ti spinge a proseguire il cammino, mentre intorno a te, i motorini silenziosi ti tendono continui agguati, sfiorandoti sui marciapiedi come ombre ninja che ti arrivano alle spalle senza avvertirti e poi scompaiono come spettri nella notte. Il fiume scivola lento sotto i ponti di pietra, la luna è quasi piena nel cielo.

Un banco di street food


Frutta secca
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mercoledì 6 agosto 2025

Seta 16 - Dunhuang ai margini del deserto

Dunhuang by night - Gansu - Cina - giugno 2025 - (foto T. Sofi)
 

Donna uigura
Stamattina si fa colazione presto per andare al treno che parte alle 9:30, se non sbaglio. Comunque sbrighiamo le pratiche piuttosto velocemente, solo il controllo dei nostri passaporti, essendo stranieri deve essere fatto da un'addetto manualmente e non come per i cinesi in automatico, cosa che rende la cosa più spedita. Comunque dato che siamo pochi, alla fine tutto si sbriga in fretta e arriviamo a prendere il nostro treno senza difficoltà. Inoltre bisogna dire che gli addetti sono davvero molto gentili, sia che si tratti del responsabile del vagone, in questo caso una cinesina, molto minuta ma disponibilissima, oppure di un poliziotto, ce n'è sempre un drappello sul treno stesso, evidentemente non si sa mai, che ti danno una mano a caricare la valigia, visto che l'anziano mostra una certa difficoltà a trascinare pesi. Questa volta ne abbiamo per circa 6 ore attraverso un bel paesaggio di montagne e di valli deserte, visto che siamo sempre nel collegamento tra i deserti del Taklamakan e del Gobi. Abbiamo definitivamente lasciato il Xinjiang e stiamo entrando nella provincia del Gansu, luogo giudicato piuttosto remoto per i giri turistici cinesi, ma che è anche l'unica via da percorrere per traversare la Cina settentrionale in treno. Siamo evidentemente il centro di attrazione per il convoglio, perché con le scuse più varie, dal controllo passaporti al voler sapere quale è la nostra stazione di arrivo, che tra l'altro è ovviamente già segnata nell'elenco in possesso del capotreno, arrivano via via tutti, dagli addetti del vagone ai poliziotti, a chiederci, dove vogliamo andare, come mai non abbiamo guide cinesi con noi, se ci piace la Cina e così via. 

Donna Uigura (i tempi cambiano)

In effetti c'è un certo stupore ad incontrare stranieri non orientali in questa zona della Cina, evidentemente non è cosa così consueta. Anche i nostri vicini, ci fanno molte domande, specialmente sulla motivazione che ci ha spinto a visitare questa parte del paese. Il mio vicino è molto gentile e spiaccica anche qualche parola di inglese. Vuol sapere la mia età, ma non fa commenti di sorta. I giovani dei sedili vicini poi offrono cibarie, che nel frattempo tutti hanno estratto dagli zaini, visto che non è ancora passato nessuno a vendere viveri di sostentamento, come ci aspettavamo, Noi abbiamo solo un po' di frutta avanzata dalle scorte precedenti, ma cerchiamo di non approfittare della gentilezza dei nostri compagni di viaggio. Il paesaggio è molto più vario ed interessante di quello delle precedenti tratte ed il tempo passa piuttosto in fretta, così prima delle 4 siamo a Liu Yu An, la nostra stazione di arrivo, visto che non c'era un treno diretto per Dunhuang, che sarebbe poi la nostra destinazione effettiva, che però è distante ancora più di 100 km. In effetti la stazione, piuttosto vecchiotta e malandata è un vero e proprio avamposto nel deserto dall'apparenza del tutto abbandonata, infatti scendiamo solamente noi, sotto l'occhio vigile della capovagone che è venuta a controllare che non ci perdessimo la fermata. Usciamo come si dice nel sole e andiamo alla ricerca di un mezzo per raggiungere la città. 

Alla stazione


Ci sono dei pulmini fuori nel grande parcheggio, in attesa, evidentemente questo è un usuale servizio richiesto, visto che DunHuang è la città principale della zona. Infatti ci prende in carico un tizio che per la verità non ci sembra molto sveglio, ma che pare abbia capito quale sia la nostra meta. Però, dopo aver rapidamente raggiunto quello che appare come un semplice paesotto sulla strada, comincia ad aggirarsi qua e là, fermandosi in diversi punti, a volte compra qualche cosa, altre carica masserizie, nel bagagliaio, infine sembra cercare qualcuno da prendere a bordo. Probabilmente cerca altri passeggeri per partire a pieno carico, visto che il pulmino è grande e ci sono ancora diversi posti vuoti, ma, mancando completamente una qualsiasi lingua comune non riusciamo a capire cosa stia succedendo. Intanto il tempo passa e nonostante gli ripetiamo più volte la nostra meta, compitandone per bene le sillabe, lui continua a fare segni vaghi, come per dirci di stare tranquilli e poi scappa a fare le sue cose, lasciandoci in ambasce. Alla fine carica ancora un paio di signore, poi sembra che abbia finito di farsi gli affari suoi e partiamo decisi. Prendiamo allora una specie di autostrada nuova di zecca in mezzo alle dune di un deserto cupo e misterioso. Il mezzo scorre veloce e noi ci lasciamo andare allo scorrere degli eventi, alla fine da qualche parte arriveremo. In effetti in capo ad una oretta e mezza arriviamo ad una città, preannunciata da una serie di coltivazioni di mais e di orti. 

Sala d'attesa

E' finalmente Dunhuang, che poi in effetti significherebbe il "faro scintillante" visto che era uno dei capolinea della via della seta. Possiamo davvero immaginarci che tale apparisse ai viandanti che ne vedevano apparire le porte al termine della traversata del terribile deserto. La città però è piccolina, meno di 200.000 abitanti, ma nel passato aveva una posizione estremamente importante nel nostro percorso mercantile, essendo situata in uno degli incroci di etnie e di culture più significative per questa parte di mondo. Qui c'era in effetti, il punto finale in cui i viaggiatori che andavano verso occidente si trovavano al bivio, dove scegliere se aggirare il gran deserto del Taklamakan per dirigersi verso sud e quindi poi verso l'India o se piegare definitivamente a nord per prendere la via dell'Asia centrale. In effetti per i viaggiatori che arrivavano alle due porte della città significava aver superato sani e salvi una delle barriere più insidiose e difficili del percorso, lasciandosi alle spalle una via cosparsa di ossa calcinate di bestie e di uomini sfortunati che nel viaggio avevano lasciato la vita. A Dunhuang, i monaci buddisti avevano scavato una serie di grotte che ne facevano uno dei più importanti e conosciuti centri religiosi e tra le imponenti ultime dune del deserto si trovava il lago di Yueyaquan con la sua celebre forma di mezzaluna a cui tutti i viandanti miravano arrivare salvi in cerca di acqua. 

Sfatti nel pulmino

Proprio qui c'era l'ultimo baluardo della muraglia, l'opera titanica che le dinastie cinesi avevano prolungato per tentare di tenere lontano a nord le terrorizzanti orde mongole sempre desiderose di invadere i fertili territori del sud per razziarne le ricchezze. Accidenti mi direte voi, ma allora, se era così importante questa opera titanica di difesa, come mai Marco Polo non ne parla affatto, che sia vero allora che da queste parti non c'era mai stato e si era inventato tutto? Ma accidenti, fermatevi un momento a pensare. Quando il nostro Veneziano è arrivato laggiù, in Cina regnava ormai quella dinastia Yuan, creata proprio dai Mongoli di Kubilai Khan che della Muraglia se ne erano stropicciati allegramente, superandola senza problemi, invadendo il paese e rendendola in pratica inutile a tutti gli effetti, come è sempre successo a tutte le titaniche opere di difesa, create con grande dispendio di fatiche e di mezzi e poi mai utilizzate, cosicché all'arrivo di Marco, di questa opera si era già completamente persa memoria da quasi un secolo, era caduta in disuso, non rappresentando neppure un confine e ovviamente non più una barriera e rimanendo, in frammenti qua e là come uno dei tanti forti e castelli che vengono via via citati nell'opera. Abbastanza semplice da capire, non vi sembra? Ma a noi questo al momento non interessa molto, impegnati come siamo a cercare il nostro albergo che nonostante abbiamo in mano il nostro bell'indirizzo accluso alla prenotazione sembra di difficile intendimento per il nostro prode autista che continua ad aggirarsi per il centro della città. Ma alla fine come vuolsi a Dio, avrebbe detto il nostro Marco, eccoci arrivati alla meta, dove sbarchiamo bagagli e corpi sfatti in attesa di lanciarci nuovamente per andare ad esplorare la città.

Street food a Dunhuang

SURVIVAL KIT

Tien He Wan Hotel

 Tien He Wan Hotel - 512 Guangyuan road - Shazhou - Dun huang - Buon 3 stelle centrale, sul solito standard, camere ampie, pulite, bagno nuovo e ben dotato, TV grande, AC, free wifi in camera, personale molto gentile. Doppia con 2 letti queen, sui 250 Y senza colazione.

Dunhuang -  Città ai margini del deserto, che ospita diverse cose importanti da vedere. Tra queste le grotte di Mo Gao tra le più famose della Cina, patrimonio Unesco. Poi ci sono le cosiddette Dune cantanti delle Mingshan mountains con il lago di Yueyaquan, il Museo della città, il famoso mercato notturno. 


Grotte di Mo gao


Una fenice
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sabato 2 agosto 2025

Seta 15 - Tra le rovine di città e villaggi di un tempo

Tuyok - Xinjiang - Cina - giugno 2025 (foto T. Sofi)


Le mura di Gaochang

A una decina di chilometri di distanza dal canyon delle grotte troviamo i resti della importante città di Gao Chang, forse la più grande rimasta, tra quelle che sorgevano lungo la via della seta. Ci arrivi seguendo la strada rettilinea che corre tra le Montagne fiammeggianti che sfilano lontane sulla sinistra e la piana infinita del deserto che si stende sulla destra a perdita d'occhio. Sulla superficie gialla uniforme si scorgono di lontano le immense mura che formano un quadrato che ti appare come una costruzione aliena a guardia del nulla. Una manufatto alto e regolare, incredibilmente conservato, visto che ha dovuto subire l'insulto di molteplici eserciti, che l'hanno più volte devastata e considerato anche il fatto che in fondo non di pietra si tratta ma di semplice mattone crudo, le cui perfette scansioni, date dalla sovrapposizione degli stessi, in alcuni casi è ancora perfettamente leggibile, mentre in altri è ricoperta dai coni di deiezione che le ingiurie del tempo hanno provocato, disfacendone i fianchi. Dopo aver superato il solito centro informativo costruito a somiglianza della struttura della città, ma dall'aspetto di una astronave appena discesa sul deserto di Tataouine, si viene trasportati all'interno da appositi veicoli che provvedono alle soste nei punti topici. Il senso di gigantismo è indubbiamente notevole e anche se si tratta di semplici costruzioni in terra, si può con buona ragione parlare di mura ciclopiche. 

Un tempio della città

Questa era una città di straordinaria importanza, un vero e proprio caposaldo di commerci e di passaggio di carovane, forse una delle più visitate dai mercanti e qui arrivavano personaggi di ogni genere, avventurieri, commercianti e monaci interessati a propagandare i loro credi, tanto che tra i pochi edifici rimasti all'interno, si possono annoverare ancora due grandi templi o per lo meno le parti che hanno resistito alle distruzioni apportate dall'iconoclastia islamica degli  ultimi secoli di vita della città stessa. Anche il grande palazzo che costituisce la terza cerchia di mura interna racconta della grandezza di questo regno, anche se il resto delle case che costituivano il tessuto della città, sono quasi completamente scomparse, nella maggior parte dei casi perché il loro materiale costruttivo è stato utilizzato dai contadini della zona come una sorta di fertilizzante per i loro magri orti. Bisogna dire che qui attorno si sono trovati un sacco di reperti e vestigia di ogni genere, attinenti ai vari regni che si sono succeduti e da quando, verso la fine dell''800 si comprese la rilevanza archeologica della zona, c'è stata qui una vera e propria corsa agli scavi ed all'appropriarsi di materiali che adesso arricchiscono tutti i principali musei europei. 

Nella città

Ci fermiamo davanti alle rovine del tempio sudorientale. La grande torre poligonale mostra ancora bene gli angoli a gradoni che ricordano un poco le piramidi mesopotamiche con gli spigoli che il vento del deserto ha lavorato con costanza, smussandoli in più dolci forme curvilinee. Ti aspetti che da un momento all'altro emergano dal suo interno figure di abitanti di altri pianeti, arrivati qui in epoche passate per procedere ad esperimenti paurosi e misterici. Eppure qui si fermavano monaci in arrivo dalla lontana India a declamare i loro sutra cantilenanti per raccogliere adepti e a recitare mantra o sacerdoti di quel culto manicheo oggi completamente scomparso o ancora preti nestoriani, mentre a poca distanza forse sorgeva uno di quei mercati dove si affollavano mercanti di ogni parte del mondo conosciuto intenti a contrattare pacchi di spezie, orci di vini pregiati e balle di ogni tipo di derrate, mentre più in là par di sentire le grida dei commercianti di cammelli, di cavalli, asini ed ovini. Sono suoni e grida che si stemperano nell'aria fina del deserto, che svaniscono nell'aria densa del meriggio bollente che lontano, nella piana gialla e tremolante provoca miraggi e visioni innaturali, quelli che confondono uomini e bestie e li fanno perdere tra le dune, dove non vengono mai più trovati, vittime di predoni feroci o peggio solo dalla spietatezza di una natura estrema che non concede quartiere a chi non riesce ad adattarsi ad essa. 

L'interno del palazzo

Scendiamo dal veicolo elettrico che scivola tra le rovine sparse sulla piana arroventata e subito ci perdiamo tra gli alti muri rimasti di quello che era il palazzo della corte, imponente come è ovvio che fosse. Il sole a picco picchia come il martello di Thor sull'incudine dell'universo. Nello spazio più interno quasi volesse proteggersi dall'ingiurie del tempo, una sorta di edificio che ricorda il Colosseo quadrato dell'Eur in tono minore, ma forse con la stessa prosopopea, fa bella mostra di se stesso, meglio conservato di ogni altra cosa che lo circonda, certamente un omaggio al re che lo aveva voluto. Uno dei tanti che si sono succeduti, turcomanni e uiguri, alternandosi nel tempo fino a che, la città perse a poco a poco di importanza, gli abitanti cominciarono a diminuire o a trasferirsi altrove e dopo la decadenza arrivò l'abbandono, la fine definitiva di un'epoca, in cui le vie ed i vicoli tra le case e le mura divennero via via sempre più deserte ed il vento del deserto con folate sempre più furenti e impetuose, spazzarono via la presenza umana, definitivamente, per lasciar spazio solo a lucertole e serpi velenose. C'è chi dice che questo avvenne dopo la furia spietata ed ingenerosa dell'orda di Tamerlano, chi invece, più prosaicamente incolpa semplicemente il cambiamento climatico, già anche questo aspetto è sempre in agguato, incombendo sulla nostra specie come una spada di Damocle impietosa ed implacabile. 

Cocomerai

Pare infatti che la cosiddetta piccola età glaciale, che cominciava appunto in quel tempo, proprio qui abbia operato in maniera irresistibile ed in un luogo dove ancora adesso si raggiungono temperature invernali di -30°C, con una imponente copertura nevosa, possiamo solo immaginare come fosse impossibile resistere. E forse proprio per questa ragione, questo tratto della via si interruppe definitivamente lasciando spazio alle altre più agevoli vie del sud. Spesso le ragioni degli avvenimenti sono più semplici di quanto si possa pensare. Quando alla fine completiamo il giro, le mura ciclopiche incombono ancora su di noi, lanciamo loro un ultimo sguardo così come il gruppetto di coreani che ci accompagnano nella visita, muti e stupefatti e certamente impressionati. Fuori nell'ampio parcheggio deserto i nostri autisti ci attendono, mentre il sole infierisce implacabile sui tettucci delle nostre auto, con le portiere spalancate, brandendo tra le mani due coltellacci minacciosi. Non si capiscono bene le loro intenzioni, poi finalmente a chiarire la situazione, spuntano fuori da un borsone alcune angurie tonde e grandi, acquistate nei campi che ci sono attorno. Con pochi precisi colpi, assestati dall'alto e i cocomeri, qui siamo proprio nel cuore della produzione, i mercati ne sono pieni e ad ogni angolo della città ci sono bancarelle che ne vendono di ogni tipo e dimensione, vengono divisi in fette generose e tutti abbiamo a disposizione la possibilità dilavarci la faccia, affondandola nella polpa rossa e dolcissima, fino al bianco della buccia. 

Essiccatoi

Una soddisfazione che non provavo da quando ero bambino e mio papà mi portava dal cocomeraio sul viale a mangiare la fettona d'ingüria, come si dice nel nostro ostico dialetto. Che piacere, affondarci la bocca, in piedi a gambe larghe per evitare che il liquido residuale coli sulle tue gambe sporcandoti tutto, e poi chi la sentiva la mamma! Comunque in pochi minuti i cocomeri a disposizione, senza fare troppo gli schizzinosi, ce li sgobbiamo tutti e buoni che sono. Sono ricordi di infanzia che tutti abbiamo ancora stampati nella mente, ma rinverdirli tra le sabbie di un deserto lontano, ha un sapore davvero molto particolare. Poi, rimangono solo le bucce verdi mordicchiate da abbandonare nella spazzatura dove il sole del deserto provvederà a fare giustizia. Noi intanto ci facciamo ancora una quindicina di chilometri infilando poi una valle laterale che scava una sorta di canyon nella catena delle montagne e zigzagando lungo il corso di quel che rimane di un fiumiciattolo magro e stentato arriva fino al villaggio di Tuyok. Probabilmente fino a qualche anno fa poteva essere uno di quegli antichi villaggi dove pochi abitanti vivevano ancora la vita dei secoli scorsi, dedita ad una agricoltura fatta di essicazione di uva e coltivazione di orti e scarsi raccolti faticosamente strappati alla terra secca ed avara. Oggi è un oggetto in trasformazione, perfettamente adatto a trasformarsi in una di quelle classiche trappole per turisti che tutti aborriamo, ma che sono il modo individuato da chi si occupa di queste cose per "valorizzare" il sito. 

La moschea

Una parte del villaggio infatti, è già stato "trasformato", mantenendo ovviamente la struttura esterna ma modificandone le destinazioni, così eccoci vagare tra negozi, locali, ristoranti e altre piacevolezze utili ad accogliere le sperate orde di turisti futuri, portatori di soldi, che questo conta, insomma. Ci fermiamo a mangiare un boccone e lo stile è ormai quello moderno ed efficiente della città. Fuori ci sono negozi che, come altrove affittano costumi storici e diverse belle ragazze si esibiscono lungo le vie davanti alle vecchie case dai bei portoni colorati che stanno scolorendosi al sole. La bella moschea sulla piazza, in cima alla salita, ha resistito alla furia della rivoluzione culturale, si dice perché un cane feroce ne ha difeso l'entrata impedendo alle Guardie Rosse di penetrarvi e di compiere le distruzioni che erano solite compiere. Probabilmente invece il paese era talmente periferico che i momenti più terribili di quel periodo, non riuscirono ad arrivare fin qua col caldo che faceva e le rivoluzioni si sa sono sempre troppo faticose, mentre al momento la pax cinese, nell'intento di estendere al massimo l'armonia pacifica tra le etnie del paese, ha allontanato il culto dall'edificio stesso trasformandolo in vari uffici utili alla gestione del comune e anche un posto di polizia che non si sa mai. Le case del circondario invece, ben conservate, sono in massima parte vuote ed in attesa di essere ristrutturate per altri più proficui utilizzi. 

L'antica moschea

Mi infilo in un vecchio edificio penetrando nel primo piano dove si vede ancora l'accesso all'essiccatoio e poi altri varchi consentono l'accesso ad una serie di terrazze, dove di certo venivano stese le stuoie di frutta al sole. Adesso si vedono solo travi malferme e sacchi di calce e cemento in attesa di operai per trasformare anche questa antica casa in un qualche tipo di struttura turistica. Lungo la via principale invece molti negozietti affacciano già banchi e stuoie dove sono offerti volenterosi souvenir in fiduciosa attesa dei turisti a venire. La moschea è deserta, puoi camminare nell'ampio porticato interno, del feroce cane, non c'è più traccia, un paio di gatti invece vengono a strusciarsi sulle tue gambe. Ma c'è una parte del paese non accora interessata dalla massa dei lavori; stradine laterali e vicoli si inerpicano sul costone della collina verso le vigne di uva che di certo ancora qualcuno raccoglierà. Ci arrampichiamo su una via erta e tortuosa che conduce in cima al paese, la parte forse più interessante, per il momento, qui ci sono i residui di un'altra moschea, più piccola ma anch'essa in disuso, a fianco un piccolo cimitero mostra le tombe lasciate all'incuria del tempo. Scendiamo lentamente verso le macchine, ormai si è fatto tardi e anche i pochi turisti rimasti hanno lasciato la piazza rimodernata del paese per tornare in città. Seguiamo le loro tracce per andare a dormire velocemente, domani abbiamo il treno presto ed è meglio andare a posare le teste sui cuscini, visto che la giornata bollente ha lasciato qualche segno sui nostri giovani corpi poco usi a queste temperature estreme.

SURVIVAL KIT

Gao Chang

Rovine di Gao Chang - Antica città, una delle più importanti della via della seta, arrivata fino a 30.000 abitanti, a circa 45 km da Turfan, abitata dal 100 a.C. fino al 1400 quando fu distrutta da Tamerlano e abbandonata dai suoi abitanti. Dai primi abitanti euroasiatici, le tribù Cheshi, poi conquistate dagli Han attorno all'anno 0, poi presa successivamente dai Tang che la trasformarono nella forma che si vede ancora oggi, strutturata secondo la pianta di Chang'an e poi caduta in mano Uygura nell'800, che si alternarono ai mongoli fino al 1300 con il cosiddetto regno di Qocho. Con la caduta della dinastia Yuan cominciò la decadenza. Fu anche importante centro religioso, dove si diffuse il buddismo ed in seguitò ospitò anche un tempio confuciano e una chiesa nestoriana. Rimane l'immensa cinta muraria, 12 metri di spessore e quasi altrettanti di altezza, fatta di mattone crudo, un quadrato di circa 1,5 km di lato con alcuni edifici all'interno, nove porte e due templi agli angoli, oltre ad una cinta interna più piccola di circa 3 km di perimetro. Ben visibile il palazzo, un rettangolo dal perimetro di circa 700 m. Il giro si compie a mezzo veicoli elettrici che fanno diverse soste all'interno di un percorso fissato. Ingresso 70 Y.

Tombe di Astana - A circa 10 km da Gao Chang, volendo si arriva a quello che era il cimitero della città, dove sono state scoperte migliaia di tombe. Le mummie sepolte con importanti corredi funerari, tra cui splendide sete e stoffe varie, splendidamente conservate grazie al clima secco, sono al museo di Urumqi o a quello di Turfan, assieme ai relativi affreschi tombali e hanno consentito di studiare la storia di queste popolazioni caucasiche. In generale venivano inumate con una moneta iraniana in bocca. Al momento solo 3 tombe sono visitabili. Ingresso 20 Y.

Nel paese

Villaggio di Tuyok - A 70 km a est di Turpan, in una valle laterale delle Flaming mountains. Piccolo villaggio molto ben conservato, ormai dedicato alle visite dei turisti, che tuttavia sono ancora ragionevolmente pochi, per cui potrete girare tranquillamente tra le antiche case, la moschea ben conservata e gli edifici tutti muniti di essiccatoi per l'uva, con le sue famose varietà apirene. Ormai sono poche le case normalmente abitate, la maggioranza si stanno convertendo in strutture turistiche, negozi e così via. Nei dintorni sono presenti anche un quarantina di grotte buddiste con statue e affreschi, simili a quelle di Bezeklik che al momento risulterebbero chiuse. Ingresso 30 Y.

Interno della moschea di Tuyok

L'antica moschea
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mercoledì 30 luglio 2025

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Flaming mountains - Depressione di Turfan . Cina - giugno 2025

Statua di demone

Bisogna dire che la colazione abbondante e di tuo gusto, ti mette di buon umore per tutto il resto della giornata, almeno per me è così e questo Hotel Metropolo, il gioco di parole mi piace pure, ci sa fare per quanto riguarda il servizio. Dopo aver schivato più volte Battista, così abbiamo ormai battezzato il robot che consegna cose di ogni tipo direttamente nelle camere, scendiamo nella grande hall ad aspettare i taxi. Intanto Battista ritorna, fa il giro per non disturbare un chiassoso gruppo di cinesi in partenza e si va a posizionare vicino al suo punto di ricarica. Ormai i rider che portano i fagotti di cibo ordinato nei vari ristoranti della zona, non passano neanche dalla reception, ma vanno direttamente a metterlo nel suo apposito vano superiore che si apre automaticamente al loro arrivo e via, se ne va verso l'ascensore a ultimare la consegna. Evidentemente all'ordine l'app dà già tutte le indicazioni della camera e il tizio non deve impostare nulla, naturalmente non becca neppure la mancia, ma tanto qui in Cina, la mancia è una istituzione che non esiste proprio, anzi i camerieri si offendono. Prova provata. L'altra sera stavo facendo il pagamento della cena con Alipay e forse per un mio errore o per un problema di cambio, la cifra che veniva mostrata nel pagamento era di poco superiore al dovuto, poco più di un euro o due di differenza, così che poteva sembrare una sorta di mancia. 

Rocce

La cameriera, tutta  rossa in viso, vi ha pregato di correggere la cifra, dichiarando di essere estremamente imbarazzata per l'accaduto e visto che non riuscivo a cambiare la cifra, abbiamo dovuto cambiare il sistema di pagamento, perché la ragazza si rifiutava di accettarla. Non siamo abituati a queste situazioni ma, paese che vai... Intanto arrivano i nostri taxi, uno dei due è quello che avevamo preso dalla stazione e che oggi ha portato una cugina e si è dato come molto ben disposto a farci fare il giro completo di una giornata, a prezzo concordato. L'itinerario di oggi ci porta subito fuori città, dove comincia il deserto, quel tratto di terra arida che congiunge il Taklamakan al Gobi, fatto di montagne e di altopiani sconfinati di terra tenera e sabbia, in qualche punto segnata dal passaggio di antichi corsi d'acqua oggi scomparsi, che hanno tracciato valli profonde, scavate come unghiate dal tratto feroce e aspro nei loess gialli e polverosi che ricoprono le terre che scendono dalla catena del Tien Shan. Sul fondo di questi canyon che procedono a zig zag nella pianura, senti solo il ricordo dell'antica presenza, ma sotto sotto, nei punti dove compare ancora qualche simulacro di una pozza o un sentore di umidità, vedi subito che qualche residuo di vegetazione si muove, annaspa e cresce con fatica, ma pretende di segnalare la sua presenza, la sua possibilità di vita.

L'eroina del romanzo

Subito lì attorno si radunano sparuti greggi di capre, gli animali più adattabili, a cui basta davvero poco per sopravvivere, con i grandi musi che nascondono canali nasali complessi e profondi per riscaldare l'aria inalata nei gelidi inverni e il vello lungo e protettivo per le stesse ragioni. Brucano di gusto la poca erba, guardandosi all'intorno per vedere il prossimo cespo, strappandola con cura per non sprecarne un filo e poi seguire il capo branco dalle lunghe corna ritorte che controlla la mancanza di pericoli prima di procedere. Deve essere dura la vita da capra da queste parti. Dopo una ventina di chilometri, la strada costeggia una serie di colline che man mano che si procede, si fanno sempre più erte e scoscese, fino a formare una specie di catena di alture che corre parallela. I fianchi dei rilievi diventano sempre più scoscesi e scavati lateralmente in solchi precisi e verticali, come se le poche precipitazioni che eventualmente cadono durante gli anni, compissero una progressiva opera di scavo fino a formare calanchi regolari che tuttavia, data la scarsità di acqua non riescono a modificare troppo velocemente l'aspetto del paesaggio, che in ogni caso è davvero singolare se si considera il suo disporsi secondo una scansione di spigoli che sembra non finire mai, davanti a quella che invece è una liscia superficie che forse in tempi passati più umidi, era ricoperta da strati di acqua, paludi o addirittura piccoli laghi. 

Pozzi e statue

Sono queste le famose Montagne fiammeggianti, una delle bellezze naturalistiche del Xinjiang, delle quali si raccontano leggende infinite, pluricitate anche nella storia letteraria cinese. Oltre al loro caratteristico aspetto, questi rilievi presentano in alcune ore del giorno, marcatamente al tramonto, quando la luce del sole le colpisce secondo particolari angoli, grazie al colore della loro composizione, una tonalità che qualcuno definisce addirittura rosso fuoco ed il fortissimo calore della zona, dove si raggiungono le più alte temperature del paese, fanno sì che le rocce si illuminino e l'aria caldissima provochi vortici simili a fumo che si leva dalle creste, dando l'impressione che l'intera montagna arroventata, bruci. Una delle leggende uigure racconta di un drago che imperversava sopra questi monti e quando l'eroe di turno lo uccise, il suo sangue colò sul rilievo colorandolo di rosso vivo e le fiamme del suo alito rovente continuarono ad infiammarne le creste. Invece secondo il capolavoro della letteratura cinese di epoca Ming: Viaggio in Occidente, che racconta il lungo viaggio del monaco Xuanzang, figura storica, che coi suoi discepoli portò le sacre scritture buddiste fino all'occidente, lungo quella che divenne poi la via delle grotte, al capito 60, narra del tempo in cui le montagne bruciavano a causa di una lotta tra dei che stavano da quest e parti. Il cattivone di turno, certo Sun Wukong, che ne faceva di tutti i colori, fu rinchiuso dal dio buono all'interno di una fornace, di cui però il malefico riuscì a liberarsi scalciandone i mattoni in fiamme tutto attorno, che ricadendo al suolo divennero appunto le Montagne fiammeggianti. Ma subito dietro ecco anche pozzi che pompano oro nero, che la natura è cosa bella ma il grano è grano, non scherziamo.

Il termometro

Sia come sia, qui fa un caldo porco e oltretutto proprio qui, puoi assaggiare cosa sia l'overturism che comincia ad infestare i luoghi più famosi del paese, infatti nel punto di accoglienza del parco, c'è un tale afflusso di macchine, anche se non siamo in piena stagione, che quasi tutti i giganteschi parcheggi sono occupati, Tocca fare chilometri a piedi sotto il sole cocente e dire che è ancora mattino presto. In realtà non c'è poi molto da vedere, perché la catena delle montagne in queste ore è di un giallognolo spento, solo al tramonto, forse, puoi vedere il famoso colore infiammato, posto che le foto esposte non siano potente lavoro di photoshoppatura, e tutta la parte sotterranea non è altro che una serie di scenografie che raccontano la storia del romanzo di cui vi ho detto, mentre all'esterno una serie di statue dei protagonisti stanno lì a fare da sfondo ai selfie dei turisti. Al centro della costruzione, a cui si accede dal sotterraneo, evidentemente il punto della depressione, qui siamo abbondantemente sotto il livello del mare, circa -50 metri, così sembra, dove si presuppone che ci sia la temperatura più alta, c'è un gigantesco termometro che si innalza verso il cielo e che tutti fotografano per dimostrare di essere stati al caldo. Al momento in cui eravamo lì, segnava 40°C, ma bisogna considerare che erano solo le 10 del mattino. 

Sabbie del Taklamakan

Comunque c'è una grande agitazione intorno, tutti si scatenano con i telefonini e le guide tentano di dimostrare come le uova si cuociano con facilità, se deposte a terra appena sotto la sabbia. Insomma direi un po' una trappola per turisti che non fa vedere un gran che, se paragonata al molto altro che si può osservare da queste parti. Però visto che ci si passa davanti e che l'anziano non paga, ci si può anche fermare a dare un'occhiata e poi tirar via veloci, che non vale la pena di perderci troppo tempo. Dunque lasciamo la zona e procediamo di un'altra decina di chilometri, dove nella barriera delle montagne fiammeggianti si apre un lungo canyon dalle pareti ripide che si insinua in profondità. Si tratta della valle del Mutou, un fragile corso d'acqua che scende dal Tienshan. Lungo la ripida parete occidentale si apre una serie di grotte dette dei mille Budda di Bezeklik, uno dei tanti siti religiosi presenti con queste caratteristiche lungo la via della seta. La natura friabile della parete rocciosa che ha reso possibile lo scavo delle grotte stesse, ha fatto sì che nel tempo molte di esser siano crollate facendo scomparire le opere in esse rinchiuse, create, come le altre della serie tra il V e il X secolo, dai monaci che risalivano questo itinerario favorendo lo sviluppo di questa religione. Successivamente l'afflusso di popoli portatori del messaggio islamico ha contribuito a fare declinare questo credo ed inoltre lo spirito iconoclasta dell'Islam stesso ha provocato la distruzione fisica di molta parte di esse. 

Afreschi

Al momento ci sono circa 77 grotte contenenti dipinti, alcuni di scarso valore, altri invece di grande pregio, mentre molti sono stati nel tempo rovinati, sia per l'incuria che intenzionalmente durante le invasioni succedutesi nel tempo. Al momenti solo poche sono aperte per la visita, ma alcune di queste sono di particolare interesse anche al di là della bellezza intrinseca dei dipinti presenti. Ad esempio la numero 17 rappresenta la cosmogonia e l'inferno come viene immaginato nella religione Manichea, un credo antico dell'Asia centrale, oggi quasi completamente scomparso e di cui sono rarissime le vestigia rimaste, così come in altre si possono vedere le tracce dello sciamanesimo che era largamente presente in questa parte dell'Asia, prima dell'avvento degli altri credi; mentre la n.31, come del resto anche altre, presentano il particolare interesse di rappresentare uomini e fedeli di molte razze diverse, caucasiche, europee, orientali, indiane e mongole, a dimostrazione che questo era effettivamente un crocevia importante per gli scambi di questa parte di mondo, dove si incrociavano la seta e le derrate alimentari, con cavalli, pietre preziose e oggetti di vetro. In altre la razza caucasica è rappresentata in modo preminente, segno che la presenza indoeuropea era di certo preesistente in questa parte di mondo come ha dimostrato del resto il ritrovamento delle mummie del Tarim. 

Musico uiguro

Insomma non solamente un bel monumento da vedere sotto il punto di vista artistico, ma una testimonianza storica di grande importanza. Ciò detto, le poche grotte visitabili presentano dipinti davvero belli e raffinati. Si dice che i moderni scopritori tedeschi abbiano trovato colori così vivi da crederle opere molto recenti, tanto lo stato di conservazione era ottimale, grazie al clima estremamente secco del deserto circostante. Quando arriviamo sulla spianata antistante le grotte principali, un anziano che staziona davanti ad una di queste, inforca lo strumento a corda di cui dispone e attacca immediatamente Bella ciao, avendo evidentemente subito riconosciuto la nostra nazionalità, da qualche tratto a noi ignoto, ma evidentemente visibilissimo. Bisognerà naturalmente fare un'offerta, che probabilmente comprende anche la chiusura di un'occhio sul divieto di fotografare, che non si sa perché troveremo pressocché dappertutto, ma ovviamente nella maggior parte dei casi assolutamente disatteso. Dalle balconate che si percorrono per passare da un gruppo di grotte all'altro, non puoi tuttavia non rimanere impressionato dalla bellezza del paesaggio. Le rocce dalle sfumature ocra carico emergono da gigantesche dune di sabbia che si stendono fino all'orizzonte, dato che siamo all'estremo nord del deserto del Taklamakan. Cento tonalità diverse si alternano lungo le curve sinuose della sabbia ed è facile supporre quante ancora si muteranno col passar delle ore e con i diversi angoli della luce. 

La valle

Il colpo d'occhio è assolutamente straordinario e così come nel punto delle Flaming mountains di cui vi ho parlato prima, tutto sommato banale e privo di grandi interessi, la folla era strabocchevole, qui dove i colpi d'occhio e la bellezza del luogo sono davvero incomparabilmente più interessanti, non c'è quasi nessuno. Poca gente affronta la pur breve salita sulle scale preparate per risalire la scarpata ed arrivare alle grotte e alla fine te le puoi godere quasi in completa solitudine. Gli strati sedimentati della roccia sconvolti dai sollevamenti avvenuti per la pressione della placca himalayana, emergono diagonalmente spezzati in mille strisce dai contorni acuminati e dai colori che variano continuamente. Una tavolozza spettacolare che puoi goderti da mille punti di vista spostandoti solo di pochi metri. Una carovana di cammelli si avvicina, lasciando nella sabbia le tracce del passaggio ricurvo lungo i fianchi delle dune; pare di essere tornati indietro di mille anni, mentre il loro lento andare verso Turfan segna il ripetersi di abitudini secolari. Chissà cosa porta, uva secca, stoffe, sale o forse più banalmente manufatti di vile plastica per il mercato? Cambiano le cose e il tempo ma non le abitudini evidentemente. In basso il serpentone degli alberi bassi che segnano il corso del fiume, sono una traccia verde scuro a scandire il giallo carico della montagna, uguale da millenni. Intanto le figure nascoste nelle grotte rimangono lì a raccontare le loro storie di devozione, a manifestare il passaggio di eserciti di fedeli, di eserciti in cerca di tesori da razziare e di terre da conquistare per imperi millenari ormai perduti e dimenticati tra le sabbie di questo deserto infinito. 

Una carovana nel Taklamakan


SURVIVAL KIT

Dune

 mountains火焰山huǒyàn shān - Le montagne fiammeggianti sono una catena di rilievi lunghi quasi 100 chilometri, per una larghezza di dieci, che si estendono sul bordo del bacino del Turpan, estensione della catena del Tien Shan, con una altezza media di 500 metri ed un massimo di 800. Alla loro base i resti di laghi salati oggi scomparsi e una depressione al di sotto del livello del mare dove si registrano le più alte temperature della Cina, vicino ai 50°C dell'aria, mentre nella sabbia della superficie si superano facilmente i 70°C, tanto che una delle classiche curiosità che si mostrano ai turisti è la cottura delle uova che vengono messe direttamente a questo scopo a terra e ricoperte di sabbia. Lungo la strada a circa una decina di chilometri dalla periferia della città, sorge il solito parco tematico, di fronte ad un punto panoramico da cui si vede tutto il costone della catena, costituito da circa 9000 mq coperti con museo e curiosità riguardanti le leggende di queste montagne, in particolari quelle legate al famoso romanzo Viaggio in Occidente, uno dei grandi classici della letteratura mitologica cinese del periodo Ming attribuito a Wu Cheng. Se non ne conoscete la trama non potrete apprezzare tutta la serie di statue che troverete ne percorso sotterraneo all'esterno, né le pose estasiate in innumerevoli selfie che la gente si fa davanti ad ognuna. Il sito è gremito di turisti e si rivelerà piuttosto deludente specie durante la giornata, per la luce inadatta e per la gran massa di gente che ci troverete. Meglio, forse, al tramonto per la luce. Ci sono autobus per arrivarci dalla città ogni mezz'ora, direzione Shanshan. Ingresso 60 Y. Bambini e anziani gratis. 

Le grotte

Le grotte di Bezeklik -  Circa 70 grotte rimaste, di dimensioni medio piccole, rettangolari con volte a botte, in cui sono rappresentate anche diverse religioni preesistenti nell'area, al Buddismo, scavate tra il V e il X secolo fino all'arrivo dell'ondata Uygura che ne segnò la decadenza. Poche quelle visitabili. Bellissimo l'ambiente desertico che circonda il canyon che si insinua tra le Flaming mountains. Si trovano proseguendo lungo la strada verso Shanshan a circa 10 km da Gaochang, che si visita successivamente. Molti degli affreschi sono stati staccati dopo il ritrovamento e ora si trova in musei tedeschi. Gli affreschi sono molto importanti dal punto di vista storico, rappresentando i popoli che frequentavano l'area. 

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