Lago Sarmiento e Cerro Paine Grande - Cile - novembre 2024 |
Camila |
Il mattino ha l'oro in bocca come dice il proverbio e quindi, eccoci nella cucina alle 5:30 a prepararci una bella colazione con uova, pane e marmellata, per sostenerci in tutta la lunga giornata che ci aspetta, anche se ci neghiamo con pervicacia assoluta ogni parvenza di trekking, per il quale però assumiamo le calorie che sarebbero necessarie a compierlo, che non si sa mai. La coppia di ragazzi che spentolano assieme a noi invece, hanno programmi più arditi; ieri hanno scarpinato fino alla base delle torri e oggi hanno in programma un altro giro impegnativo che li porterà fino a lambire lingue di ghiacciai secondari. Si fermeranno qui ancora qualche giorno. Certo questa area è un po' il paradiso dei camminatori e c'è chi si ferma per settima ad esplorare le parti più nascoste della cordillera per non parlare degli alpinisti veri e propri. Superata la fase del rifornimento eccoci quindi alle 6:30 fuori dal nostro ostello ad aspettare il pulmino che ci verrà a prendere per fare il cosiddetto circuito del Paine, un classico patagonico, sicuramente l'escursione più interessante ed obbligatoria per chi viene da queste bande. Queste zone solitarie e abbandonate dal mondo sono un unico grande parco in cui dovunque tu vada troverai il paesaggio bellissimo e sicuramente inusuale della catena andina che si estende verso sud e spazi infiniti dove lanciarsi lungo strade rettilinee e prive di auto.
Sicuramente questa è una delle zone della Patagonia più affascinanti proprio perché è un po' meno battuta di quella della vicina Argentina e la troverai ricca di spunti particolarmente affascinanti. Il circuito del Paine, come è chiamato, che penetra nel grande parco dei ghiacciai che poi è in comune con la vicina Argentina al di là della cordigliera, è uno dei classici e noi partiamo presto proprio per cercare in un solo giorno di vedere il più possibile. Considerato che non faremo trekking particolari, ma solo un avvicinamento alle montagne percorrendo il grande circuito che lo attraversa, lo avvolge tutto intorno e che ti porta in tutti i punti più importanti ed attraenti. Appena usciti dalla città, prendiamo la 9, la famosa carretera Austral detta anche la ruta de la fin del mundo, che risale da Punta Arenas, l'estremo sud del Cile e si perde tra i ghiacci del Hielo Continental, la terra impercorribile che impedisce di risalire più a nord se non attraversando le montagne e risalire l'Argentina. Tanto per cambiare questa definizione ci perseguiterà per tutti i prossimi giorni. Intanto, lasciato il mare, ci dirigiamo verso nord per una settantina di chilometri attraverso una larghissima valle glaciale ricoperta di erba rigogliosa, una specie di savana africana che qui è il tipico ambiente della Patagonia.Sullo sfondo montagne non molto alte ma dalla presenza selvatica e aspra. Arriviamo a Cerro Castillo, il bivio per la strada che porta verso la traversata Andina, fino in Argentina e che percorreremo anche domani per andare alla frontiera. Qui c'è un una specie di bar, punto di posta di tutti coloro che transitano queste vie, dove si fermano i pullman prima di transitare verso il valico. Ha l'apparenza del classico bar da far west, una casupola di legno piena di adesivi di viaggiatori e di tutti coloro che passando, vogliono lasciare un segno della loro presenza, del loro essere stati qui. Tre cani fuori dalla porta fanno la posta ai passanti, uno è talmente grande e mostruoso, una specie di molossoide dal muso gigante come quello di un vitello, peloso come un orso nero nordamericano che qui sia venuto in vacanza. Si guarda attorno con aria stanca, soprattutto di tutti quelli che si avvicinano per fargli delle foto e che lui degna di un'occhiata comprensiva, poi, si mette in osa offrendo quello che secondo lui è il suo profilo migliore, si sdraia a terra in mezzo alla strada e la occupa quasi per metà impedendo ai mezzi di transitare, aspettando il crepitar dei selfies. Ma qui di mezzi ne passano talmente pochi che non è poi questo grande problema.
La gente entra ed esce dal bar dove ha preso qualcosa di caldo o ha comprato un souvenir che ormai si limitano soprattutto alle calamite da frigo e soprattutto è intenta a fotografare tutto quello che si muore, anche quello che sta fermo. Le montagne sono lontane e qui sono anche piuttosto basse perché siamo ormai nella parte meridionale delle Ande e le altezze non sono quelle estreme del nord del Sudamerica. Tanto per capirci le famose Torres sono attorno ai 3000 metri ma la loro particolare conformazione dovuta ad una erosione potente delle temperature e degli eventi atmosferici le rende prismi di roccia perfetti e scoscesi e difficilissimi da scalare, tanto che qui si sono misurati i più importanti scalatori del mondo, italiani per primi In particolare quelli di Monza che qui vengono ricordati addirittura intitolando alcune delle vette scalate ai loro nomi. Noi intanto proseguiamo sempre verso nord ancora per alcune decine di chilometri dopo aver lasciato il confine. La cresta delle montagne si fa sempre più vicina. La prateria sconfinata che si allarga a destra e a sinistra è di tanto in tanto popolata da famiglie di guanachi. Sono i primi che vediamo e quindi suscitano subito un grande entusiasmo.
Il guanaco è un animale bellissimo, portatore di una pelliccia nocciola chiaro, chiazzata di bianco, folta e dall'apparenza morbidissima sul lungo collo che alza il suo muso di camelide con quello sguardo un poco altero, un poco sussiegoso che mostrano tutti i componenti di questo genere. Ma in questo caso non possiamo neppure dire che, come il cammello, mantiene questo atteggiamento perché è l'unico a conoscere il centesimo nome di Allah, qui di Islam non si tratta e quindi possiamo concludere che il guanaco sta sulle sue proprio per il suo naturale carattere; ovviamente non si spaventa più di tanto perché sa che le macchine di passaggio non si preoccupano di lui ma curiosano solo il suo aspetto e si fermano a fare un po' di foto tanto per mantenersi il ricordo e portarselo a casa. I piccoli soprattutto, detti chulengos, sono bellissimi e teneri (anche da mangiare naturalmente). Incerti sulle lunghe zampe e tesi a seguire la madre dandole di tanto in tanto delle piccole testate sulla pancia forse per stimolare la cessione di latte; ce ne sono un sacco davvero molti, anche se mi risulta che vengono cacciati da qualcuno per la carne che infatti si trova comunemente come ho accennato (orrore, orrore) nei ristoranti.
Tuttavia ne muoiono anche molti nel tentativo di saltare le barriere di filo spinato che circondano le estancias. Infatti si vedono le carcasse di chi non è riuscito a compiere completamente il salto ed è rimasto impigliato nei fili più alti, non aiutato da nessuno fino a che non è arrivata la morte a coglierlo, infelice anelante alla libertà, appeso sulle staccionate. Una triste fine per una vita libera fermata dalle barriere e dai confini; anche loro come migranti in cerca di terra migliore che non ce l'hanno fatta. Di altri animali per la verità se ne vedono pochi, anzi nessuno. Niente armadilli che contavo di vedere in quantità ma in effetti sono piuttosto piccoli e mi dicono velocissimi e quando ti attraversano la strada fai appena tempo ad evitarli, altro che fermarsi a fotografarli. Dopo qualche altra decina di chilometri arriviamo al lago Sarmiento, una distesa grandissima lunga e stretta al fondo della quale si vede il fronte di un ghiacciaio che si butta nelle acque immobili. E' molto lontano per cui le foto che si riescono a fare non rendono merito alla bellezza dell'immagine.
Intanto ancora più lontano si staglia la catena del Paine; il tempo è ancora decente e le nubi poche. Spicca sulla destra il massiccio del Cerro Paine grande, la cima più alta che supera di poco i 3000 metri; sulla destra invece si indovina la catena delle Tre Torri formata appunto dai tre monoliti famosi. Apparentemente tutti abbandonati, questi terreni in effetti sono di proprietà e nella maggior parte recintati. Fanno parte di estancias enormi, ognuna di decine di migliaia di ettari, che allevano capi di bestiame; ogni tanto infatti, sparpagliate lontane nella piana, si vedono piccole mandrie di bovini che brucano oppure un gruppo di cavalli robusti dall'apparenza inselvatichita ma che in realtà vengono poi utilizzati nel campo del turismo. Infatti tutte queste zone ormai fanno un allevamento di sussistenza ma vivono soprattutto del flusso della gente che viene a visitare il parco e che ama anche soggiornare in queste strutture che potremmo chiamare agrituristiche e che hanno un loro fascino, quello del farvi passare qualche giorno in una terra estrema confrontandovi con la vita che facevano questi coloni coraggiosi che le vicissitudini della vita hanno condotto ad avventurarsi fino in questa parte estrema del mondo.
Di tanto in tanto lontano dalla strada gruppi di alberi morti, tronchi spelacchiati, rami secchi che si alzano verso il cielo come braccia in cerca di aiuto aiuto che ormai non potrà più arrivare. C'è stato qualche problema atmosferico non molto tempo fa e questi scampoli di foresta se ne sono andati per sempre lasciando anche loro lo spazio all'erba bassa dei pascoli stepposi. È un paesaggio che ancor di più accentua la sensazione di solitudine di questi luoghi di mancata presenza dell'uomo, anche se in fondo l'uomo ci è arrivato lo stesso e ci si è adattato e non riuscendo a coltivarli li ha trasformati in luogo di allevamento. Tutto però viene rallegrato dalla presenza dei guanachi, animali stupendi e delicati che si associano immediatamente all'idea di morbidezza che ti suggerisce quel loro mantello peloso apparentemente soffice e caldo. Ricordo che quando mi sono sposato ci regalarono una coperta di pelli di guanaco delicatissima ma di una piacevolezza senza fine, forse ancora da qualche parte. Bisognerà davvero tirarla di nuovo fuori per ritrovarne la piacevolezza al tocco, forse un lontano segno del destino che mi suggeriva che un giorno sarei riuscito ad arrivare anch'io in queste terre selvatiche e lontane.
L'erba dei pascoli, rigogliosa in questa stagione, con la parte superiore degli steli di un colore rossiccio così che visti da lontano questo infiniti prati hanno una sfumatura rosata che li fa apparire come un po' alieni ed estranei al nostro pianeta. È un colore decisamente diverso da quello a cui siamo abituati e contribuisce a conferire al paesaggio un che di esotico molto accattivante. Ormai la sierra Bahuales è alle nostre spalle, avendo superato da un bel po' Cerro Castillo e abbiamo costeggiato quasi completamente anche tutto il lago Sarmiento, avendo percorso ormai più di 150 km da stamattina. Pare che ci siano un sacco di pesci qui, visto che il lago ospita una sorta di cianobatterio che produce ossigeno in quantità e quindi il lago è vivo e vegeto anche se profondo più di 300 metri; per questo è molto frequentato anche dai pescatori, aspetto ulteriore per frequentare queste zone. Proseguiamo verso Laguna Amarga, un altro bel lago dalle sfumature straordinarie. Le trasparenze ed i colori di queste acque sono davvero unici, forse per l'aria, forse per l'ambiente o per i minerali disciolti in queste acque.
Ma le sfumature che le colorano sono davvero uniche e molto evocative. Di tanto in tanto dei piccoli miradores lungo le rive consentono di fermarsi e dare un'occhiata e scattare qualche foto, così Josè, il conducente del nostro pulmino non si fa pregare e ci lascia scendere ogni qualvolta lo desideriamo. Allora è tutto un crepitio di scatti quasi fossero mitragliatrici le nostre macchine fotografiche. Da qui si ha una bella vista del Cerro Almirante Nieto proprio dietro al gruppo delle Tre Torri che comparirà tra poco alla nostra vista. Purtroppo il cielo si sta rannuvolando sempre di più; ho paura che oggi non saremo fortunati con la visuale. Comunque rimanendo in attesa tra un movimento e l'altro delle nuvole nel cielo si riesce a scorgere qualcosa. Le Tre Torri stanno lì immobili ricordando un poco le cime di Lavaredo per forma e dimensioni, quella centrale più alta, la Sud e la Nord a far da corona vanno dai 2400 ai 2850 metri. Non molto altro certamente, tuttavia bellissime a vedersi e dalle pareti verticali apparentemente impossibili da scalare. La torre Nord fu scalata per la prima volta dal nostro Monzino e per questo porta anche il suo nome e quella sud dal gruppo degli alpinisti monzesi che vi salì lungo una difficile via per la prima volta nel 1963 e per questo è intitolata al prete Salesiano ed esploratore patagonico De Agostini.
Poi le nubi capricciose ci coprono quasi completamente la vista dei tre mastodontici monoliti di granito nascondendoceli alla vista. Contro il cielo non si può nulla, inutile recriminare. Proseguiamo lungo il circuito che aggira il massiccio fino ad arrivare al Rio Paine che scende dalla montagna e che ad un certo punto precipita le sue acque in una bella cascata. Alle sue spalle un altro magnifico scorcio delle Tre Torri che vanno e vengono come se le nubi fossero ferme e fossero loro a spostarsi. La roccia viva e rosa dal ghiaccio, dall'acqua e dal vento, fatica a mostrarsi davanti a noi quasi si vergognasse del far vedere al mondo quanto sia difficile aggrapparsi alle sue pareti per salirne le cime. Quasi non le piacesse appagare questo desiderio moderno dell'uomo di arrivare al confine tra terra e cielo che si è manifestato solo negli ultimi secoli, forse negli ultimi due, mentre prima le vette erano terreno solamente degli Dei. Forse è la morte di questi ultimi che ha suscitato nell'uomo il desiderio di sostituirli essendo aumentati i suoi poteri meccanici e organizzativi in cerca di nuove sfide.
Così a poco a poco tutte le cime della terra sono state sfidate e poi una dopo l'altra, vinte, anche a caro prezzo naturalmente, pur di lasciare una traccia, un segno, una bandierina, un qui l'Uomo ci è arrivato con l'orgogliosa prepotenza che non lascia nulla di inviolato per l'affermazione di un potere sul mondo che ci circonda. Non è un giudizio di per sé negativo o malevolo e neppure troppo critico, è un dato di fatto, un modus vivendi proprio di questi tempi che crea per l'uomo nuove sfide che lui stesso si inventa per affermare la sua unicità sul pianeta e che in ogni caso non si può definire indifferente. Comunque i tre monoliti di pietra stanno lì davanti a noi immobili, mostrando sfumature tra il bianco e il grigio che le nuvole basse rendono uniformi e ci fanno invidiare i cieli limpidi che avevamo visto quando li abbiamo sorvolati ieri. Beh, non si può avere tutto dalla vita e non si può prevedere il tempo ma bisogna accettarlo e prenderlo per quello che è, accontentandosi di quello che ci è dato di vedere oggi che pure non possiamo certo definire una vista peregrina. Vedremo se potremo avere qualche scorcio migliore nel corso della giornata.
SURVIVAL KIT
Escursioni al parco delle torri del Paine - Ci sono diverse soluzioni che si propongono una volta che sarete arrivati a Puerto Natales. Difficile dire quale sia la preferibile o la più conveniente; noi ci siamo rivolti a una delle tantissime agenzie che fanno più o meno lo stesso giro. In ogni struttura o albergo o ostello troverete numeri di telefono a cui rivolgersi; a mio parere non ci sono grossolane differenze tra le tante. La nostra scelta è stata quella di una escursione di gruppo, eravamo sette su un apposito pulmino, al costo di 60.000 pesos cileni a testa incluso l'ingresso al parco. In generale si parte verso le 6:30 di mattina e si ritorna verso le 18 alla sera; alla fine percorrete quasi 500 km perché il parco è piuttosto lontano. Al ritorno ci si ferma alla famosa Cueva del milodon (opzionale) per una veloce visita (ingresso 22.000). L'alternativa a questo giro è prendere un taxi per una escursione privata, ma è molto più costosa oppure affittare la macchina che vi costerà circa 100.000 pesos più la benzina e gli ingressi. Non so consigliarvi quale sia il meglio perché anche se ben segnalato, con un mezzo proprio potreste perdervi qualche punto importante nel circuito anche se i vari Miradores sono ben segnalati. Vasta scelta di uno o più giorni per chi vuole fare trekking o scalate. Ci sono proposte per ogni esigenza. Il parco è raggiungibile anche da El Calafate in Argentina con un paio di ore in più di strada o da Punta Arenas.