mercoledì 16 ottobre 2024

Caucaso 25 - Il Nagorno Karabakh

Lo Syunik - Caucaso - Armenia - maggio 2024

Vorotan pass - m. 2400

Ce ne andiamo dal monastero visto che di strada da fare oggi ce n'è ancora parecchia, attraversando piccoli paesi nati attorno alla strada. Ci fermiamo in una food court, diciamo una specie di autogrill che si trovano di tanto in tanto in queste vie di scorrimento che traversano il paese. C'è un sacco di scelta di cibarie tradizionali oltre ai soliti ed onnipresenti hamburger, che con le pizze variamente presentate sono ormai diventati uno dei cibi globali che puoi trovare in qualunque parte del mondo. C'è comunque anche parecchia griglia che accontenta tutti. Comunque, con deliziose patate farcite al formaggio, la fame te la togli facilmente e con pochi Dram, cosa che non guasta affatto. Poi la strada prosegue salendo sempre di più. Siamo nel Caucaso minore o almeno credo, una catena un po' più bassa che corre parallela al Caucaso maggiore e che delimita i confini di Georgia, Armenia e Azerbaijan verso sud. Si tratta di una zona di semi altopiano circondata da montagne dalle cime ancora innevate, che non sembrano molto alte visto che siamo già in quota e anche qui il solitario paesaggio, molto diverso dagli aspri avvallamenti che abbiamo visto nei giorni scorsi, è molto bello, così dolce e apparentemente facile, ricoperto di pascoli verdissimi e spogli di alberi. Attraverso una serie di continue giravolte la strada arriva lentamente al passo di Vorotan, segnato da un alto monumento di classicità sovietica, che traversa la strada nel punto sommitale, il cui scollinamento in effetti quasi non si avverte a causa dei leggeri saliscendi attraverso i quali la strada si dipana. Intanto siamo arrivati a quasi 2400 metri e la temperatura esterna si è fatta decisamente freschina. 

Il gestore

Scendiamo a fare un giro nel prati attorno, già ricchi di fiori e di erba alta, spessa e rigogliosa, segno che qui la piovosità è piuttosto importante. Infatti, tanto per cambiare sbava leggermente e non invoglia a passeggiare fino alla cima vicina di una collinetta dalla quale lo sguardo spazia oltre il passo in una bellissima serie di ondulazioni leggere, che nascondono negli avvallamenti volti a nord, ancora placche di neve che non se ne vogliono andare. L'erba è costellata dai punti gialli dei ranuncoli mescolati ai punti rosso vermiglio delle nigritelle. Sul passo, un paio di costruzioni, forse un tempo studiate per controlli daziari, adesso ospitanti qualche tipo di attività commerciale, una specie di bar per camionisti di passaggio, perché questa è una strada importante che si dirige verso il confine iraniano. Da qui passa il commercio via terra verso quelle bande. C'è un grande banchetto davanti alla casa, pieno di funghi bianchi e, strano a dirsi, un sacco di secchiellini di asparagi, un po' piccoli, non saprei se coltivati o selvatici. Il tizio, con una barbaccia nera dall'apparenza talebana, che si rifugia subito nel suo baraccotto, non sa darmi informazioni precise, visto anche che non parla idiomi riconoscibili. Poi cominciamo lentamente a scendere un po' di quota; il cielo adesso è azzurro indaco damascato di sbuffi bianchi che corrono veloci verso i crinali lontani. Ci fermiamo su una balconata che aggetta sulla valle sottostante, ma sempre dolce nei suoi rilievi altalenanti. 

Pausa caffè

Il nostro Saro estrae subito la sua attrezzatura, fornelletto a gas e bricco metallico e ci prepara un bel caffè alla turca, chissà come si chiama qui, visto che ogni paese in questi casi reclama una sua orgogliosa primogenitura. Va giù bene, basta che tu resista alla tentazione di arrivare al fondo, momento in cui l'ingordo rimane punito dai residui che ti impastano la bocca. Il caffè fatto in questo modo, è un insegnamento esistenziale, più forte e profumato degli altri modi di declinare la bevanda, deve essere bevuto con calma, senza la furia che te lo fa ingollare nei nostri bar, perché stai correndo al lavoro. E' da sorbire piano, assaporandone la qualità, l'aroma, il sapore molto intenso e pastoso e poi quando stai oltrepassandone la metà, rallentare ancora, dominare la fretta, permettere ai fondi di depositare, un po' come dire, lasciamo sedimentare le bruttura del mondo che scendano in basso dove meritano di stare e poi arrivati verso la fine, lasciare quel che rimane senza rimpianti, avendone già delibato il meglio. Intanto che noi perdiamo il guardo all'ultimo orizzonte e accidenti che panorama stupendo, largo e maestoso, il nostro Saro ritira l'attrezzatura e siamo pronti a ripartire. Superiamo lunghe colonne di camion che si dirigono al confine. Per la maggior parte sono camion cisterna, sembra che si tratti di milioni dei milioni di barili di petrolio che vengono esportati di contrabbando per superare l'embargo. 

Asparagi

La determinazione dell'uomo la vedi sempre e dappertutto, puoi mettere vincoli, freni e imposizioni, ma lo spirito del mercante sarà sempre all'opera per trovare una via parallela, una soluzione che consenta alla sua voglia di commerciare il proseguimento dell'attività, trovandovi magari ancora maggior profitto, visto che magari c'è maggiore rischio. In fondo all'Iran, paese stranamente assai amico, nella contorta e spesso incomprensibile scacchiera geopolitica mediorientale, mancano poco più di un centinaio di chilometri, ma mentre perdiamo un po' di quota, entrando definitivamente nella regione di Syunik il tempo cambia e diventa bigio e quasi nebbioso, mentre il cielo comincia a lacrimare un poco, tanto per cercare, senza riuscirci, di trasmetterci il suo cattivo umore. Poi, perso nelle brume, sulle ondulazioni dell'altopiano, ecco la sorpresa della giornata, un fuori programma, poco conosciuto ed evidentemente ancor meno frequentato, visto che siamo gli unici ad accedere alla improvvisata biglietteria, risvegliando l'addetta che è stata mandata fin qui, forse per punizione, infagottata in un cappottone grigio e corroso dall'umidità. Una breve salita lungo una carrareccia sassosa, oltre la recinzione ed eccoci a Zorats Karer, un sito megalitico del VI millennio a.C. nascosto in questo luogo sperduto ed  isolatissimo. La serie delle pietre basaltiche aguzze e dai bordi taglienti, quasi fossero state scheggiate a mano e non dalle forze della natura, innalzano le loro punte, come frecce verso il cielo. 

Il sito dall'alto

Corrose dall'esposizione dei millenni, ricoperte di licheni che quasi colorano di verdi, di gialli e di rosa le loro glabre superfici, stanno lì immobili e silenziose a custodire il loro mistero. Individui subito il grande cerchio centrale dove si assiepano con grande regolarità, poi guardando con maggiore attenzione individui i bracci che se ne allontanano con larghi cerchi, quasi fossero i prolungamenti di una galassia a spirale, come la nostra e subito nascono le suggestioni. A lato altri piccoli gruppi di pietre suggeriscono la rappresentazione di piccoli ammassi periferici, Andromeda? le Magellaniche minori? Il mistero oltre ad infittirsi diventa sempre più intrigante. Cosa rappresenta questa diposizione e soprattutto a che cosa serve. Ad aumentare il mistero, ci sono le decine di grandi fori perfettamente posizionati in  molte di loro verso la sommità e presenti in circa un terzo delle pietre. La loro disposizione che consente di osservare durante giorni particolari, solstizi, equinozi, i punti di albe e tramonti e particolari momenti delle fasi lunari. Questo porterebbe a valutare il luogo come una sorta di osservatorio, che data l'età del sito, lo determinerebbe come il più antico in assoluto, tra quelli conosciuti al mondo. Ma c'è un altro punto controverso. I fori sono assai lisci e molto meno corrosi dal tempo, rispetto alle pietre e questo potrebbe far supporre che sono stati fatti successivamente al periodo megalitico, inoltre gli allineamenti non sono poi così precisi come sembra. 

Il cerchio

Sono stati fatti molti studi al riguardo, che comprendono anche la parte di necropoli ritrovata nei dintorni, che farebbero propendere verso una soluzione più banale, come quello di un sito utilizzato in epoca postneolitica, durante l'età del bronzo ed i massi potrebbero essere i resti di una sorta di cinta muraria, usati come rinforzi di un bastione di terra. Cadrebbe così l'ipotesi astronomica, che risulterebbe in questo modo un po' tirata per i capelli, cosa che per la verità sta prendendo forma anche per la sua omologa Stonehenge, a cui viene spesso paragonata. Così il mistero permane e aggirarsi tra queste pietre gigantesche ti fa apparire i belati del gregge che le sta attraversando, come lamenti lontani di una terra di un'epopea fantasy. Il pastore che segue l'armento cammina fuori dal grande cerchio e scruta tra le pietre, forse in cerca di qualche traccia di mondi ultraterreni. Poi si china e raccoglie qualcosa che mette nella sporta che tiene a tracolla. Se guardi meglio capisci subito che è piena di grossi funghi bianchi come quelli offerti al passo e tutto ritorna sulla terra. Poi scompare lontano, mentre nell'aria rimane solo il tinnare delle campanelle dei grandi arieti del suo gregge. Lasciamo il sito con molti dubbi anche se nella maggior parte dei casi le spiegazioni più semplici e lineari sono anche le più probabili. 

Un foro

La strada prosegue e qui gli occhi del nostro Gianluca si inumidiscono. Siamo solo a qualche chilometro da quello che è o meglio era, il confine con il Nagorno Karbakh, denominato Artsakh in armeno, uno stato che si era dichiarato autonomo dopo la caduta dell'URSS, una enclave, uno spazio che come tale non esiste più. Da pochissimo infatti, la guerra, che di guerra si tratta a tutti gli effetti, anche se a noi non è quasi neppure arrivata notizia, ha eliminato le resistenze degli abitanti armeni della zona, oltre centomila, presenti soprattutto nella piccola capitale Stepanakert, che hanno dovuto fuggire nella vicina Armenia, creando l'ennesimo problema di profughi in un paese che di problemi già tanti ne ha. L'Azerbaijan che lo ha occupato in tre guerre successive (1994, 2020 e 2023) e ne rivendica il possesso e se ne è a questo punto, definitivamente impadronito tra l'indifferenza internazionale e la rassegnazione armena che, non più difesa dalla Russia, dopo che ha mostrato intenzioni di entrare nell'Unione Europea, ha dovuto rinunciare all'ennesima porzione di territorio. Ancora uno dei tanti problemi che attanagliano il Caucaso, una terra che ribolle di ostili contrapposizioni, tra tribù, etnie, popoli, da sempre fratelli coltelli e dove le malefiche religioni aggiungono il loro carico da undici di impossibilità di accordo, essendo in ogni caso la superiorità e il giusto, sanciti dalla forza divina.

Zorats Karer

SURVIVAL KIT

Sito di Zorats Kare- Conosciuto anche come Karahunj e con altri nomi, dal significato all'incirca di Pietre parlanti, è un sito preistorico megalitico posizionato a 1800 metri di quota e con le dimensioni di circa 7 ettari. Noto come la Stonehenge armena, presenta oltre 220 menhir alti fino a tre metri e dal peso di circa 10 tonnellate cadauno, presentati fori e coppelle, disposti regolarmente in un cerchio centrale con lunghi bracci laterali. La spiegazione è incerta, così come la presenza di molte tombe di grandi dimensioni. Dato l'isolamento del luogo non troverete quasi mai nessuno salvo i pastori della zona. Ingresso un po' caro rispetto alla media. 1500 Dram. Luogo molto suggestivo.


Per funghi
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7 -  Kazbegi

lunedì 14 ottobre 2024

52


 

Cinquantadue anni sembrano un tempo infinito, ma se li hai trascorsi con una persona straordinaria, con la quale hai potuto condividere tutto, sono la cosa più bella che ci si può augurare. Grazie Tiziana!


domenica 13 ottobre 2024

Caucaso 24 - La strada verso sud-est

Monastero di Noravank - Armenia - maggio 2024 (foto T. Sofi)


Nella chiesa

Possiamo ben dire che la giornata sta volgendo al termine e che non è stata una giornata qualunque, con un percorso di quattro tappe che ha percorso due millenni pieni di storia, presentandoci segni davvero notevoli. C'è di che essere contenti ed il rientro in città ci vede, come si dice, stanchi ma felici per la bella giornata trascorsa. Una volta questa battuta faceva ridere, ma i tempi sono cambiati, dunque prima di tutto bisogna pensare alla cena. Ci sostiene l'amico Gianluca che ci indica uno dei ristoranti che sembrano essere al top nelle preferenze dei locali, il Lavash, nella centralissima Tumanyan, pieno centro della movida serale. In effetti, anche se una fastidiosa pioggerellina continua ad insistere sulle nostre teste, il centro è pieno di gente, di ragazzi, di gioventù, che riempie i grandi viali di Yerevan che vanno in giro, pieni di voglia di divertirsi. In effetti il locale è ottimo sotto tutti i punti di vista. Riusciamo ad ottenere un tavolo buono, aspettando un po', ma alla fine ci piazziamo e cominciamo a spaziare nel menù, seguendo i consigli di Luca, per provare alcuni dei piatti tipici più interessanti. Ne proviamo sei, che scopriamo subito essere tra i più gettonati, delle tagliatelle molto buone, una zucca al forno con melanzane e altre verdure, che si scioglie in bocca, un bel piatto di formaggio al barbecue, un ricco piatto di pollo, patate grigliate e un plof particolare, di frumento invece che di riso, coi funghi, buonissimo. 

Il khor Virap

Purtroppo la famosa torta di sfoglia, gloria del locale, alta quasi quaranta centimetri, gloria del locale, che abbiamo tardato ad ordinare, è finita, maledizione, andata tutta in un attimo, eppure ce n'era un tavolo pieno. Memento per la prossima volta, perché tanto qui ci dobbiamo tornare. Accidenti, ce ne andiamo perché il turnover è velocissimo e non va bene far aspettare troppo gli avventori in attesa sulla porta. La caposala ci saluta con molta cortesia, visto che abbiamo mostrato di apprezzare le varie portate. Per strada ancora molta gente e nessuna traccia di manifestazioni dietro alla chiesa dove ieri c'era l'assembramento. Sono quasi le 10 e sembra tutto davvero molto tranquillo e anche alla sera si passeggia tranquilli per le strade. La nostra krusciovka ci aspetta serenamente nel buio della notte, defilata in una via laterale. L'alba delle 8:30 ci ritrova pronti alla nuova giornata. Facciamo prima un salto al supermercato SAS, che da queste parti deve essere una istituzione, come lo era a Mosca il primo Sadko, in epoca sovietica, dove convergevano, come aquile perdute nella steppa, tutti gli expat che vivevano laggiù, per trovare profumo di merci occidentali, a caro prezzo naturalmente, e cambiamo un po' di soldi in Dram, operazione che si rivela semplicissima. Complicato invece attraversare il corso, visto che c'è una fila ininterrotta di auto che marciano abbastanza spedite. Ci lanciamo con la tecnica imparata nel sudest asiatico di camminare decisi senza tentennamenti e tutti ti evitano alla fine. 

Il confine turco

Insomma salvi anche questa volta. Diamo un'occhiata agli scaffali. in particolare alla sezione cognac armeno, di cui non vorrei partire senza, più che altro per controllare i prezzi che si rivelano più o meno uguali come da ogni parte, quindi rimando l'acquisto alla prevista visita della distilleria Ararat, alla fine del giro e intanto partiamo verso sud est, verso quella che oggi sarà una sfilata di paesaggi naturali assolutamente magnifica. La strada che si allunga fuori città rimane perfettamente rettilinea per molti chilometri, attraversando paesetti anonimi e senza particolari attrattiva, ma una cosa ne accomuna l'immagine. La lunga sfilata di pali della luce che le costeggiano e che ospitano, invariabilmente in cima ad ogni palo, che finisce con un trespolo a croce per meglio sostenere i fili, un gigantesco viluppo di rami e ramoscelli, ben sistemati in tondo fino a diventare un grande nido. In ognuno di essi ecco manifestarsi una famiglia di cicogne. Le vedi apparire di lontano nel cielo, solitarie con grandi voli circolari che finiscono con planate lentissime, rallentate ancor più quando il grande uccello plana proprio su quel nido dove lo stanno aspettando tre o quattro becchi spalancati, in attesa che il genitore gli depositi in cibo che è andato a procurarsi in giro. E' un continuo andirivieni, prima del padre poi della madre, i becchi sempre aperti in attesa insaziabile. Sono uccelli splendidi nella loro figura secca ed allampanata, ma a suo modo elegantissima, specialmente durante il volo. Rimangono un poco a controllare che il prescelto ingurgiti il cibo, poi dopo aver atteso un po' l'altro coniuge che sta arrivando, ripartono in cerca. La cosa più impressionante è che per chilometri, non c'è un posto libero in cima ai pali. 

Cicogne
Ogni trespolo è occupato senza possibilità di scelta, anche se solo, curiosamente, in presenza di centri abitati, evidentemente la presenza umana, non solo non disturba, ma anzi probabilmente aiuta essendo fonte di comodi rifiuti. Ne vedremo ancora molte nei prossimi giorni, evidentemente le cicogne trovano qui un luogo perfetto dove rimanere ad allevare la prole in attesa che, come si dice, lasci il nido. Per chi non è abituato, è una presenza incredibilmente bella e staresti lì a guardare questo andirivieni per ore. Ma noi dobbiamo andare avanti e il paesaggio cambia mentre corriamo così guadagnando terreno e lasciando le zone più abitate. Il monastero di Khor Virap è adagiato su uno sperone di roccia sul fianco di una collina. La sua posizione è iconica e si aggiunge alla sua rappresentazione di essere uno dei più noti del paese. Infatti è una sorta di balcone sulla larga e sconfinata valle che si stende ai suoi piedi, la cui fine si perde nel tremolio dell'aria che confonde l'orizzonte. E al di là della valle la sagoma inconfondibile dell'Ararat incombe come un gigante addormentato. Ti pare di poterlo toccare con mano appena lì oltre la curva dolce della terra che si allunga sotto di te, eppure la cima è lontana ventuno chilometri, ma la dimensione della montagna, la fa sembrare talmente vicina che le distanza si annullano. Questo è una delle foto più rappresentative dell'Armenia, col minuscolo monastero murato, visto dalla collina antistante, la cupola aguzza che svetta al di là della basse torri, che si staglia contro la maestosità della montagna, diventando silhouette perfetta contro le nevi eterne che ne dipingono la cima, scendendo verso il basso fino a confondersi con le ocre della base che si mutano in verde sporco man mano che il terreno si spiana. 

Una khrachkar

Oggi però la cima è incappucciata di dispettose nuvole bianche che, anche se disturbano l'idea di foto che avevo in mente, sono tuttavia parimenti evocative.  La chiesa è punto di arrivo importante per la devozione popolare. La leggenda racconta di come qui in una grotta profonda nel terreno sia stato imprigionato dal re Tiridate, quel San Gregorio detto l'Illuminatore che portò la religione cristiana quaggiù nel III secolo, per ben 13 anni rinchiuso nelle profondità della terra, senza vista della montagna in attesa che rinunciasse a Cristo. Ma quando riuscì a guarire con l'imposizione delle mani, lo stesso re che di tanto in tanto andava a vedere se avesse cambiato idea, da una tremenda affezione della pelle che gli sfigurava il viso, ne provocò, nel 301, la conversione immediata assieme a tutta la corte e di conseguenza dell'intero regno. Bel colpo direte voi, ma intanto, nella chiesa sorta sul luogo e successivamente molte volte ricostruita e rinnovata, i fedeli fanno la fila per entrare nel famoso buco che porta alla supposta prigione sotterranea. Per la verità la discesa non è molto agevole, tanto che anche la mia determinata accompagnatrice, nonché compagna di vita da 52 anni (domani), rinuncia per la difficoltà a scendere i fortunosi e ripidissimi gradoni, spinta dalla folla, per infilarsi nel cunicolo. La costruzione è molto bella ma quello che ti incanta è comunque la vista con quella enorme montagna fondale perfetto che ti riporta sempre il pensiero ai suoi misteri inviolati, alla sua posizione strategica e poi quando butti l'occhio in giù ecco riconoscibilissimo il reticolato che corre a non più di qualche centinaio di metri di distanza e segna il confine con il turco rapace, che via via nel tempo ha guadagnato terreno, portandolo via a quella "picciola Arminia" come la definì Marco Polo quando passò da queste bande, raccontandoci del monte e delle sue leggende. 

Noravank

Vedi nettamente le piccole torrette di legno e la strada che costeggia i fili spinati. una piccola fascia di terra brulla che subito dopo lascia spazio ai coltivi di un verde spento, che questa è terra arida, ancorché le nevi siano così vicine. Non c'è nessuno laggiù in basso, non ci sono varchi di confine vicino, tutto sembra così innocuo e abbandonato, da far ragionare sulla completa inutilità di queste divisioni arbitrarie di queste cesure tracciate da menti contorte, traviate da religioni e malevolenza, ma questo è l'uomo con le sue storture. Riposare seduto su un muretto, mentre gli occhi passano dalla montagna alla pietra delle pareti che alternano colori ocra ai grigi, con le croci ricche di merletti ricavati dal paziente lavoro dei maestri scalpellini, che le disegnarono, mentre il nostro Gianluca ci fa scorrere il racconto di questo medioevo, di regni perduti, di un popolo che allora era grande e potente, dedito ai commerci che fiorivano in questo crocevia tra Europa e Asia; la storia importante che ha percorso questa terra ed ha molto influenzato tutta questa area. E' difficile capire una nazione e un popolo se non ti rifai continuamente alla sua storia e alle vicende che si sono succedute in un luogo, determinandone anche l'arte, lo sviluppo, lo stile di vita. Nella storia, se riesci a indovinarne le cause, le motivazioni, i mutamenti geopolitici, al di là del suo semplice dipanarsi nel tempo, c'è la spiegazione di tutto e risulta un poco più semplice capire gli avvenimenti che si sono succeduti anche a distanza di secoli. 

Il fondo della valle

Insomma se vai in giro è bene informarsi anche sul passato se vuoi conoscere il presente. E dopo questo pistolotto di saccenza spicciola, scendiamo dalla collina e proseguiamo verso sud. Cominciamo a salire verso le montagne ed il paesaggio diventa sempre più severo e solitario. Siamo circondati da una natura non dominata da nessuno, con pareti alte, rocce scabre sempre più rosse, man mano che procediamo verso l'Iran, con boschi di piante basse e contorte, fitte ed impenetrabili anche agli armenti, dei quali infatti non si vede traccia; in ogni caso ti sembra di penetrare una terra incognita nella quale l'uomo è estraneo. I chilometri scorrono fino a quando pieghiamo in una valle laterale, se possibile ancora più stretta e selvatica. Il torrente che ne percorre il fondo rimane quasi invisibile, coperto com'è da vegetazione e anfratti rocciosi, montagne di massi che indovini crollati a valle dalle pareti fragili, durante millenni di solitudine. La valle finisce in un circo maestoso di pareti rosse come il fuoco che si innalzano quasi verticalmente, corrose dall'acqua e dal vento. Su una balconata ecco spiccare il muro basso del monastero ed all'interno di esso si eleva la sagoma verticale della chiesa di chiesa di Surb Astvatsatsin, la Santa Madre di Dio, che quasi nasconde quella più bassa ed un poco più nascosta di Surb Karapet (S. Giovanni Battista), che anche forse a causa del colore delle pietre con le quali è costruita, anch'esse di colore rosso in varie tonalità, tende a confondersi, almeno da lontano con la montagna che le sta alle spalle. 

Il portale 

Le due chiese sono note soprattutto per gli esterni, straordinariamente ornati da bassorilievi di particolare raffinatezza ed eleganza, nella maggior parte opera di un famoso artista, architetto e scultore armeno Momik, noto soprattutto per le sue khachkars, le croci scolpite molte delle quali ornano il monastero, che tra l'altro ospita anche la sua tomba, per la quale l'artista, sommo esempio di modestia, ha scelto una delle sue croci più semplici, ma non per questo meno elegante. Anzi si può dire che proprio per questa sua semplicità spicca ancora di più tra le altre, per finezza di stile. Ma ogni antico manufatto è circondato di leggende e quella riguardante la croce di Momik, me la racconta l'anziano guardiano mentre mi stavo riposando sul muretto nell'ammirazione della facciata. Pare infatti che Momik si fosse innamorato, ricambiato, della figlia del principe Syunyats, il finanziatore dell'opera. Il principe, come tutti i padri un po' innervosito della cosa, si dice disposto a darla in sposa a quello che, per quanto abile e famoso, rimane pur sempre un artigiano, se lui gli costruirà il monastero finendolo in soli tre anni. Il maestro si  getta a capofitta nell'opera e lo finisce in due. Il Principe sempre più incattivito manda un servo a controllare con ordini precisi e questo visto che l'opera era praticamente compiuta, obbedisce all'ordine avuto e, dopo aver condotto il maestro sul tetto con la scusa di controllare meglio la compiutezza del lavoro, lo spinge giù dal tetto affinché si spiaccichi proprio sul sagrato.

La facciata

Così la croce più elegante scolpita dal maestro che era stata progettata proprio più piccola e semplice per finire in tempo, fu usata proprio per la tomba di Momik. Così sono le leggende, da sempre sovrapposizioni di verità e mito, a noi posteri rimane solo l'ammirazione per la bellezza assoluta di questa filigrana di pietra. Ma la chiesa è famosa soprattutto per la sua facciata, che si eleva quasi verticalmente con una curiosa doppia scala esterna, fatta solamente di gradini di pietra sporgenti, unica possibilità che  consente di arrivare al secondo piano, di norma chiuso. Anche sulla scala quindi è vietato salire anche a causa della sua pericolosa verticalità, oltre che per preservare l'opera, ma la sua presenza è un segno distintivo del tutto particolare che individua immediatamente la costruzione ed essendo unica te la farà immediatamente rimanere nella memoria. L'interno non è particolarmente stimolante, più chiaro dalle analoghe chiese già viste, grazie alla serie di aperture ad arco presenti nel tamburo superiore, sormontato da un magnifico cono, restaurato di recente. Tutta la costruzione mantiene in ogni caso un aspetto di rara eleganza, con questo suo andamento verticale e le definite costolature che ne delimitano i bordi, assieme alla perfezione degli altri elementi stilistici, colonnine, archetti, bassorilievi. C'è poca gente in visita e l'interno, che al contrario delle pareti esterne che spiccano per un colore ocra smagliante, è di un grigio deciso. 

Una ballerina bianca

L'ampio Gavit, il vestibolo privo di colonne di sostegno, è invece particolarmente suggestivo, oscuro per la mancanza di luce che vi penetri se non dalla stretta porta di ingresso, sorretto com'è da magnifici semiarchi che emergono dai muri, incrociandosi fino a formare un quadrato centrale, una soluzione architettonica davvero interessante. Il pavimento poi è completamente coperto di lastre tombali di pietra grigia scolpita, da superare come camminando su un terreno rigonfio da pulsioni interne, come fosse stato squassato da terribili terremoti. L'unica navata interna, quadrata, è apparentemente più grande di quanto ci si aspetta dall'esterno e qui noti subito la differenza tra il rito armeno e quello della vicina Georgia. Infatti le chiese armene non prevedono l'iconostasi ed al posto della classica divisione lignea ricoperta di immagini sacre che nascondono alla vista dei fedeli i membri del clero officianti prevista dalla chiesa ortodossa, c'è solamente un filo steso in alto su cui scorre una tenda da tirare, evidentemente alla bisogna. Usciamo per goderci ancora il sito nella sua bellezza selvaggia, circondati dalla sfilata di khachkar che si susseguono lungo la parete di roccia e nel piccolo prato adiacente. Schegge rosse nel verde vivo, memorie straordinarie più che per i i morti a cui erano destinate, ricordo degli artisti che le hanno immaginate e scolpite. Sulla bella croce si posa un uccellino grigio col capo ricoperto da un ciuffi di piume nere, è una ballerina bianca dalla lunga coda, che si gira attorno un attimo per capire se corre qualche pericolo, fa un cip deciso, si sporge verso la valle, poi, senza riconoscere il sacrilegio compiuto, lascia cadere sulla pietra rossa una traccia del suo passaggio, una piccola goccia biancastra, inconsapevole della caducità e della importanza di cui vuole ammantarsi l'uomo. Anche Momik saprà farsene una ragione.

La crociera del vestibolo

SURVIVAL KIT

Croci khrachkar

 Restaurant - 21, Tumanyan str. - Yerevan - Locale che va per la maggiore in città, sempre pienissimo, infatti dovrete prenotare per trovare un posto, anche se il locale è molto grande. Tipica cucina armena ma molto curata e a prezzi assolutamente accessibili. Noi abbiamo provato diverse proposte nelle due sere in cui siamo stati, sempre molto valide. Piatti abbondanti e servizio molto curato e veloce, con camerieri gentilissimi. Non perdetevi assolutamente la gran torta di sfoglia, che sembra enorme, ma è talmente leggera che anche le gigantesche fette che vengono servite, vanno giù molto bene, ma prenotatela subito perché vanno via velocemente e rischierete di rimanere senza. In quattro 15.000 Dram, assolutamente valido e consigliatissimo. 

Monastero di Khor Virap - A 40 km a sud della capitale è uno dei più famosi del paese con splendida posizione davanti all'Ararat. La costruzione attuale è del 1661 con vista imperdibile sull'Ararat. Il confine turco è giù nella valle a pochi passi. Meta di molti pellegrinaggi, ci è venuto pure il Papa. 

Monastero di Noravank - A 120 km dalla capitale sempre proseguendo verso sud est. Racchiuso da mura in fondo ad un profondo canyon. Costruito nel XIII secolo con due chiese principali e diverse cappelle, con molte croci armene del famoso scultore Momik. La chiesa principale presenta bellissimi bassorilievi sulle mura esterne e anche la posizione nella stretta gola è molto suggestiva 

Le tombe nel gavit

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7 -  Kazbegi

giovedì 10 ottobre 2024

Caucaso 23 - Tra templi, chiese e natura

Il tempio di Garni - Armenia . Caucaso - Maggio 2024 )Foto T.Sofi)


 

Nartece

Prendiamo la strada verso sud est, risalendo colline aspre e siccitose. Pochi chilometri e siamo a Garni, zona dove sorse una fortezza strategica nel controllo della piana che si estende davanti all'Ararat. E su una specie di sperone di roccia che si spinge sulla valle, ecco spuntare una piccola ma deliziosa gemma. Proprio sulla punta estrema, sollevato da una serie di gradoni piuttosto alti, forse appositamente disposti per far sentire più piccolo chi li saliva e indurlo, stanco per l'ascesa, a genuflettersi ancora di più di fronte alla potenza della divinità, ecco ergersi una costruzione piccola, se paragonata ad altri grandi esempi religiosi, un tempietto che forse, anche per il fatto di essere stato rimesso in piedi una cinquantina di anni fa, pur con tutti i materiali originali rimasti per tre secoli nella polvere a causa di un terrificante terremoto, appare adesso come nuovo. Per la verità la storia del tempio è avvolta nel mistero, non è chiaro neppure se si tratti davvero di un edificio religioso o di una costruzione civile. Tutti gli altri templi pagani sono infatti stati distrutti nella furia cristiana dei primi secoli e quanto meno sostituiti da basiliche del nuovo culto, invece questo non è stato toccato, non si sa se per il voler mantenere un raro esempio di bellezza classica o se per caso. Certo, il fatto che una basilica di piccole dimensioni sia stata eretta accanto farebbe propendere per l'assenza di sacralità riferita al luogo, fatto sta che non è neppure chiaro, se si trattasse di un tempio, a quale divinità fosse dedicato, forse al Sole, per uno di quei tanti culti orientali che stavano sorgendo in quel periodo di confusione mediorientale, dove sotto ogni pietra trovavi un predicatore o un santone. 

I mosaici

Certo che l'edificio è architettonicamente perfetto con le sue linee eleganti e le decorazioni pur fitte ma non barocche o esagerate. Vedetela come volete, ma il periodo classico ha comunque lasciato ovunque nell'area mediterranea e oltre, segni incancellabili del suo passaggio e ben si può affermare che, comunque abbia condizionato tutta la storia successiva. Anche il mosaico che è venuto alla luce nei vicini bagni termali, ha una eleganza davvero unica e anch'esso marca il livello raggiunto anche da queste parti per un impero che era riuscito comunque a livellare culturalmente ed economicamente ogni zona controllata, anche se era molto lontana dal centro del potere. E' una capacità non secondaria, ancora più importante di certo di quella della facilità di conquista e che probabilmente, è anche uno dei segreti che ha contribuito a tenere insieme un impero così vasto per quasi quattro secoli. Insomma siamo stati bravi, mi sento parte di questa storia e quindi voglio arrogarmi una piccola parte di merito come discendente, anche se lontano, ma sì, diciamolo pure, abbiamo insegnato tanto al mondo e un po' di orgoglio ci sta tutto. Dunque andiamo pure a mangiarci un paio di spiedini di carne con vista tempio, che qui sembra proprio di essere in campagna, tra orci di vino e griglie che crepitano, anche se i prezzi sono condizionati dalla vicinanza delle rovine, temo, come si usa in tutte le parti del mondo. Ad un tavolo vicino un gruppo di gente festeggia qualche ricorrenza, cantano, qualche ragazza si alza e volteggia attorno al tavolo al suono di una canzone tradizionale. 

Torsioni laterali

Sembra di essere nel nostro sud, con le vestigia di pietra sullo sfondo. E pensare che dagli anni trenta in poi i Soviet volevano spostare tutto nella capitale per arricchire qualche piazza di Yerevan con questa bellezza, poi per fortuna (o meglio per il costo) ci hanno rinunciato. Benvenute le ristrettezze economiche, a volte riescono ad evitare lo scempio. E' ora di andare ,ma non vogliamo ritrarci da questo luogo particolare e scendiamo nelle gole del fiume Azat, che fa una grande ansa attorno allo sperone di roccia su cui giganteggia, pur nelle sue minuscole dimensioni, il tempio e segue poi la spaccatura della valle e qui in fondo appare uno dei più grandi spettacoli naturali del paese, la Sinfonia delle pietre. Se lo vedi, scendendo la stradina in discesa che porta direttamente sotto alla parete di roccia in questione, capisci subito il perché di questo nome. I basalti colonnari sono formazioni rocciose presenti in molti posti del mondo e dovunque per la loro bellezza attirano visitatori a compiacersi di questo prodigio della natura, che si forma durante una eruzione interna alla crosta terreste, durante la quale le rocce schiacciate da forze titaniche assumono questa regolarissima forma di colonne di diversa altezza che la compressione stessa costringe ad assumere una impressionante forma esagonale. Quando poi l'erosione libera queste rocce più dure dagli strati esterni, la loro bellezza esplode alla vista come una magica costruzione innalzata da giganti di ere perdute. 

Ne ho visti molti. per il mondo, di questi spettacoli, dalla Giant's causeway all'estremo dell'Irlanda del nord, a quelli coreani della costa sud dell'isola di di Jeju, a quelli della Namibia, in una valle selvaggia, alla cascata Svartifoss, in Islanda, proprio per questa presenza detta la cascata nera, per non parlar della Devil's tower americana, ma queste sono per dimensione, quantità e perfezione, assolutamente le più straordinarie che mi sia capitato di vedere almeno fino ad adesso. Per una lunghezza di quasi un chilometro, si allungano in curve successive, alte fino a cinquanta metri, cascate di pietra allineate in un perfetto colonnato che finisce per i fusi più esterni ed esposti alla vista ad una certa altezza da terra formando anfratti, rientranze e grotte che appaiono come gli angoli delle moschee, le affascinanti muqarnas a nido d'ape, le volte a stalattite dell'architettura islamica più decorativa. Cammini avvolto dalla perfezione di questa opera della natura, che poi a tratti si contorce come fosse stata schiacciata da forze sovrannaturali, formando archi, diagonali, disegni complessi, pur senza perdere mai la sua struttura perfettamente geometrica, apparentemente diresti artificiale, tanto è precisa. Alla base i frammenti di pietra che sono via via piombati giù a causa delle dilatazioni termiche della roccia, appaiono come piastrelle esagonali posate lì, in attesa di qualcuno che venga a ripristinare un pavimento devastato da qualche titanica devastazione. 

Il rumore dell'acqua del torrente suona la sua musica lieve, un arpeggio di strumenti antichi che accompagna il tuo passaggio, mentre dall'altra riva, altri spettacolari rilievi si alzano verso il cielo, creando altre quinte grigie, altri fondali destinati nei prossimi millenni a spezzarsi, un frammento alla volta, precipitando in basso e formando coni di deiezione dalla forma anch'essa perfetta, come per non turbare le forme di colore ardesia che splendono sulle pareti in verticale. Santo cielo, che bello e che privilegio poter essere qui. Insomma fatichi a venir via, in verità mi piacerebbe davvero restare fino al tramonto del sole, per vedere se l'astro rosato, riesce a schivare nella discesa i crinali più alti e a far penetrare i raggi dorati della sera a carezzare il colonnato perfetto, quasi fossero luci che passano le vetrate di rame di una cattedrale eretta da esseri di altri mondi. E forse essere aiutato a capire come mai in questa terra hanno trionfato tanti culti dedicati proprio alla maestà del Sole. Risalgo l'erta verso l'auto a malincuore, tre asini scendono verso il basso cariche di robuste signore velate che vanno anche loro a godersi la vista del fondo della gola, fino a fermarsi davanti all'antico ponte che la sbarra, proprio dove finisce lo spettacolo. Poi ecco ancora scendere anche una cavalla con un puledrino al seguito, di certo nato da pochi giorni. Porta in groppa un'altra signora abbondante, che si guarda intorno con aria incerta, evidentemente non abituata a quel mezzo di trasporto, preso nell'entusiasmo di poter evitare la scarpinata. 

La volta centrale con l'oculo

Il cavallante tira la cavezza per farla scendere più rapidamente, anche questo è lavoro insomma e anche il turismo serve a far girare il mondo. Mentre tiro il fiato alla fine della salita, ho un contatto umano con quattro torinesi che stanno girando il Caucaso dopo aver affittato un'auto, insomma anche così si può evidentemente, ragiono buttando ancora un occhio indietro per imprimermi nella testa un immagine di questa meraviglia, che rimanga indelebile, almeno per un po'. Insomma nel giro di tre ore son rimasto già due volte senza parole e la giornata non è ancora finita. Risaliamo quindi ancora qualche chilometro per arrivare al monastero di  Geghard, incapsulato in una gola secondaria da cui vedi sempre più in basso, il tortuoso corso dell'Azat. E' uno degli insediamenti cristiani più antichi del paese, tipico della cultura rupestre dei primi secoli, con una serie di chiese scavate nella roccia e ricavate da anfratti ingranditi mirabilmente fino a farli diventare ambienti regolari e complessi, dalle semplici grotte da anacoreti che erano all'inizio. Abbiamo visto tante di queste tipologie costruttive in giro per il mondo, dai templi indiani di Ellora e Ajanta, alle meraviglie di Lalibela in Etiopia, alle decine di chiese della Cappadocia e altre ancora, tutte portatrici di questa ansia di sacro che porta gli uomini a scavare la roccia per ricreare quella sorta di ventre materno nella quale la piccola dimensione umana cerca di protezione e rifugio. Nel tempo, qui, tutto si è ingrandito e alcune costruzione si sono allargate all'esterno fino alla chiesa principale, sorta nella forma attuale attorno al 1200, che rappresenta un esempio davvero mirabile di questa tipologia di costruzioni religiose. A parte le dimensioni notevoli e l'armonia delle proporzioni, quello che ti colpisce maggiormente è la complessità degli ambienti interni alcuni dei quali proseguono fin dentro alla montagna. 

Bassorilievi

Sei circondato dalla pietra grigia ricoperta da bassorilievi arcaici e severi, che ricordano i nostri Antelami e i primi scultori medioevali o le figure inquietanti di Wiligelmo. Leoni e pantere a coppie ti scrutano dagli architravi e dagli archi oscuri. Figure dalli occhi rotondi e spenti scrutano lo spazio avvolti dall'ombra. Ma è soprattutto la volta centrale del cosiddetto Gavit, con una ricopertura di stalattiti che richiamano molto le successive muqarnas islamiche, sostenuta da grandi e robuste colonne, anche ricavate dalla roccia. Evidentemente un tipo di decoratività ispirata dalla natura, più legata al gusto geografico che alle tendenze religiose specifiche. Il pavimento è irregolare, formato come appare, da enormi lastroni di pietra, alcune sono lastre tombali ricoperte di scritte e bassorilievi che ricordano il sepolto, mostrandone le fattezze, reali o solamente immaginate. La luce è scarna, penetra da un oculo al culmine della cupola e contribuisce al senso straordinario di mistero, un artificio imparato di certo dai romani e dalla loro capacità architettonica. Tutto attorno alla sala centrale, su una serie di scansie, un letto di ceri, con la flebile luce di gialle fiammelle aggiunge magia alla scena. La devozione popolare contribuisce sempre alla sacralità dei luoghi pur se in forme diverse. Un luogo assolutamente mistico. Fuori, un'altra meraviglia. Appoggiate ai muri di contenimento o addossate alla parete di roccia, ecco sfilare una interminabile serie di Khachkar, le croci della tradizione, uno dei mezzi espressivi con cui si manifesta l'arte religiosa armena. Nella maggior parte dei casi vengono scelte per questo uso delle lastre di pietra morbida, una specie di arenaria, dal delicato colore dorato. rettangolari con il lato maggiore di almeno un metro o più. 

Croci nella roccia

Il colore magnifico della pietra le fa apparire ancor più come oggetti di meravigliosa ornamentazione. Il bassorilievo raffigura una croce inscritta nel rettangolo e in essa ed attorno ad essa, si scatena la fantasia dell'artista, con una ricchezza infinita di disegni geometrici, di trine e di intrecci fantasiosi, delicati e complicatissimi, fino a farla apparire come un lavoro di filigrana nella pietra. Una diversa dall'altra sembrano fare a gara per mostrare un risultato finale sempre più complicato, raffinato e mirabile. Una gara di abilità tecnica artigianale o forse qualche cosa di più. Anche qui, rimanere sul muracciolo a guardare la sfilata delle croci sulla parete, la cupola maggiore che svetta su tutte, le cappelle che emergono dalla roccia, è emozione, non sai da dove distogliere gli occhi per passare alla meraviglia vicina e poi alla successiva. Certo che oggi nel raggio di una cinquantina di chilometri siamo passati attraverso una delle meraviglie della natura di milioni di anni, ai tremila anni di Erebuni, all'arte ellenistica di mille anni dopo di Garni ed eccoci qui dopo un altro millennio a godere della capacità artistica dell'uomo, che riesce sempre a rappresentare la storia che via via si dipana nel tempo, accoppiando la forza mentale agli avvenimenti, capace sì di guerre e violenze indicibili che tutto vogliono distruggere, o per lo meno tentano, ma alla fine qualche cosa rimane a raccontarla questa storia infinita ed appagante, per chi la percorre ed ha il privilegio di poterla considerare. 

Devozione

SURVIVAL KIT


Tempio di Garni - Data di costruzione incerta, verso il termine del I sec. dopo Cristo, citato come Gorneas negli Annales di Tacito e molto famoso anche nell'antichità; rimane l'unico edificio che rappresenta la cultura greco-romana o ellenistica, secondo alcuni non è neppure un tempio in quanto non fu distrutto in era cristiana. Esastico, periptero in stile ionico, contiene una piccola cella dove probabilmente si ergeva una statua. Si ipotizza dedicato al sole e a riti mitridatici. Attualmente centro di neopaganesimo. Crollò invece nel grande terremoto del 1679 e fu ricostruito solo negli anni '70 del secolo scorso. E' una delle meraviglie architettoniche del paese ed era raffigurato anche sulle banconote da 5000 dram. Nell'area visibili anche i resti di una basilica e bagni romani con un bel mosaico ben conservato. 

Sinfonia delle pietre - Fenomeno naturale nelle gole dell'Azat, Imperdibile. Visita che si abbina normalmente col tempio di Garni. Comoda strada lastricata da percorrere tutta per godere l'intero spettacolo delle colonne di basalto scuro. Meglio sarebbe arrivare al mattino presto per evitare la massima affluenza, nelle parti centrali della giornata, anche le ore prima della sera dovrebbero avere una bella luce, prendendo in pieno gli ultimi raggi del tramonto. Ingresso 300 Dram. Calcolate come minimo un'ora per godervi una passeggiata aventi ed indietro.

Monastero di Geghard - A circa 12 km dalle gole, proseguendo sulla H3, è costituito da una serie di chiese scavate nella roccia a partire dal IV sec. La più importante costruita all'inizio del 1200, si dice conservasse la lancia che diede il colpo di grazia a Gesù sulla croce, poi portata ad Echmiadzin. E' la più imponente, Qui sono conservate alcune delle più belle e antiche Khachkar, le tradizionali croci armene scolpite nell'arenaria. Almeno un'oretta per dare un'occhiata alle varie grotte e ambienti e soprattutto apprezzare le croci istoriate.

Le gole dell'Arat

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