lunedì 15 dicembre 2008
Il rasoio a due teste.
Era magrissimo il nostro contatto di Kharkov, secco e allampanato, il viso scavato con una barbetta semi incolta sugli zigomi appuntiti, gli occhi neri ed infossati ancor più evidenziati da spesse lenti. Pareva uscito direttamente da Delitto e castigo, con il suo cappottino nero, stretto e leggerissimo nonostanteil gelido inverno ukraino. Così quel mattino, stando impettito, con i folti sopraccigli aggrottati, ci annunciò, come sempre a bassa voce, che ci avrebbe ricevuto il direttore di un grosso Kombinat che aveva un progetto interessante per le mani. Uscimmo, calcandoci le schapke in testa, nel gelo sferzato dal vento teso della pianura, e in una mezz'ora una Zigulì malandata ci scaricò dentro la fabbrica. Il glavny ingenier ci fece fare il giro di ricognizione, mostrando anche quello che non poteva nascondere: montagne di materiali abbandonati, macchinari decrepiti, presse Quassy anteguerra, patina di ruggine a ricoprire ogni ferro visibile, maestranze qua e là assorte a fingere di lavorare. La fabbrica produceva rasoi elettrici (ne avevo appena comprato uno di campione ai magazzini Zum in centro al prezzo di circa un dollaro) ed il progetto, nell'ambito delle nuove possibilità previste dalla ventata di liberalizzazione economica della glasnost, era produrre un nuovo modello, copia esatta del Philips, da esportare in valuta, per cui occorreva la fornitura di una serie di stampi. Il direttore e il presidente in gran pompa ci spiegarono il progetto. Era gente giovane e tutto sommato sembravano determinati a entrare con decisione nel nuovo corso. Parevano decisi a cogliere le opportunità nel nuovo vento che irrompeva in una URSS squassata dai propri problemi profondi. Mentre ci illustravano minutamente l'idea, andammo nella stalovaija aziendale, dove in una saletta VIP, un rubiconda operaia travestita da cameriera ci servì i piatti più ghiotti della mensa, tra cui il famoso pollo alla Kiev, ripieno di burro fuso che morso con disattenzione colò improvvidamente a macchiarmi la cravatta tra l'ilarità generale. Ma nella trattativa commerciale, tutte queste cose fanno simpatia e infatti, terminata la bottiglia di vodka eravamo tutti molto in sintonia, tranne il nostro magrissimo Alexey che senza appoggiarsi allo schienale della sedia beveva con metodo, senza ridere, limitandosi di tanto in tanto a proporre una pridladjenija all'amicizia tra Italia e URSS, levando il bicchiere che poi beveva tutto d'un fiato con grande serietà. Aumentata la confidenza, andai più a fondo nel progetto, chiedendo agli aspiranti capitalisti che prevedevano di vendere il nuovo rasoio a 10 dollari (e già brillavano loro gli occhi, resi più tondi dai sorsi di vodka Gorilka) quali fossero i costi di produzione che avevano calcolato, per capire in quanto tempo potevano rientrare dell'investimento. Mi guardarono con occhio sospetto, poi, dopo una lunga pausa il Presidente sbottò: "Ma perchè, è proprio necessrio saperli questi dati?". Gli spiegai che se il costo fosse stato di 11 dollari forse il business non sarebbe stato molto valido. Lui ci pensò un po', poi guardando sconsolato il direttore, emise un lungo sospiro e si aprì la diga. "Gospadin Enrico (tovarish già non si usava più), noi cerchiamo di adattarci al nuovo corso, ma non è facile. Un tempo il piano ci diceva che dovevamo produrre 100.000 rasoi all'anno; ci mandavano tanta plastica, tanto filo di rame e tutto il necessario; noi li facevamo sempre uguali e qualcuno se li veniva a prendre e se li portava via, che funzionassero o no. Se la roba non arrivava in tempo o se non se li ritiravano e stavano a marcire sotto la neve , ufficialmente era come se li avessimo prodotti; mettevamo la foto degli operai meritevoli ogni mese nella bacheca e tutti erano contenti. Adesso tutti si lamentano; le operaie vogliono più soldi (e qualcuna fa anche difficoltà ad essere, diciamo così, gentile con i capi), bisogna preoccuparsi che arrivi la materia prima, studiare un nuovo modello come se quello vecchio non tagliasse la barba, vero Kolija che la taglia benissimo? -e il glavny ingenier assentiva col capo- preoccuparsi di venderlo e adesso arrivate voi e ci raccontate che bisogna anche preoccuparsi di quanto costa farlo. Darogoy Enrico, per noi è troppo dura, non so ce ce la faremo a star dietro a tutto questo". Ce ne andammo in un turbinio di neve guidati da un sempre più impettito Alexey, una figura nera e sottile che ci traghettava verso l'uscita, tra i capannoni del zavod. Quel rasoio mi sta funzionando ancora adesso, seppure in modo approssimativo e lascia le guance rosse e irritate come la carta igienica dell'epoca che si chiamava "la vendetta di Stalin", ma ultimamente mi faccio poco la barba.
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