lunedì 20 settembre 2010

La vita è un casino.


Non riesco a scrollarmi l'atmosfera marina che mi è rimasta sulla pelle assieme al sale (anche se la doccia me la sono fatta eh). Deve essere un sale più che altro psicologico, un'attitudine mentale che mi rimanda allo stesso sale di oltre quaranta anni fa, quando la Liguria ci sembrava un'avventura e ci arrivavo sul sellino del galletto Guzzi dell'amico A. Erano le prime uscite dal guscio ed il mondo ignoto che stava al di là del Turchino, era già così pieno di fascino e ti invitava alla scoperta. Finale Ligure pareva allora a noi, non ancora ventenni, la promessa di un lido sconosciuto ed invitante.


Allora di soldi ce n'erano pochissimi, andavano centellinati con cura, quindi per esplorare quelle terrae incognitae avevamo fatto base nell'entroterra, a FinalBorgo, poche case dove la rapacità ligure che comunciava ad affilarsi gli artigli testando le vittime ed i modi con cui si sarebbe nutrita nei decenni successivi, era ancora alle sue fasi iniziali e quindi ancora sopportabile. Ci eravamo stanziati presso due amabili vecchietti che abitavano in una vecchia casotta con molte camere che aveva visto tempi migliori. La sistemazione era spartana, ma l'uso dell'unico bagno del pianerottolo agevole, dato che mi sembra non ci fossero in quel momento altri ospiti. Erano entrambi magri e segnati dal tempo, forse avevano vissuto momenti difficili, eppure apparivano sereni e accomodanti, come abituati a schivare le difficoltà della vita.


Lui, segaligno e piegato dagli anni, si muoveva poco e amava stare seduto su una vecchia sedia impagliata a cogliere tutto il calore del sole. Si sa, gli anziani hanno sempre freddo, ma lui se ne stava a lungo con gli occhi semichiusi e una specie di berretta calata sulla fronte quasi a bearsi dei raggi che lo sfioravano, portandogli i sentori di borragine e santoreggia e i profumi mediterranei del mare lontano. La moglie era invece in perenne movimento a sistemare e a rassettare, con il piglio deciso di tutte le donne che sanno chi si occupa nella pratica della gestione della vita. I pranzetti che ci preparava erano in linea con la semplicità dei tempi che non avevano ancora previsto i futuri successi della cucina molecolare, ma qui conobbi per la prima volta i sapori del pesto e il profumo delle alici, cucina povera che si alternava a tristi piatti freddi serali a base di formaggio e prosciutto, ma allora mangiare era l'ultimo degli interessi e poi se ci lamentavamo, lui, il Memo, faceva un ghigno sadico e ribatteva: - Eh, belin, va là che poi la carne la mangiate a casa-. Non avevano figli e man mano che si prendeva confidenza, la scontrosità ligure lasciò spazio alla chiacchiera, prima di andare a dormire nei letti dalle lenzuola ruvide che sapevano di lavanda. Me li immaginavo a portare avanti una fatica di vivere, con i pochi mezzi strappati da una terra avara o forse da un mare minaccioso e sempre in agguato.


Una vita trascorsa nelle difficoltà di tempi astiosi, la guerra con le sue privazioni, l'assenza di possibiltà di agi che solo i redditi sicuri sanno promettere. Ma gli occhi, in cui di giorno in giorno riuscivo a leggere un tono più sornione e il sorriso furbetto che via via si rivelava, non facevano optare per un passato di grandi sofferenze, così chiacchierando venne a poco a poco alla luce il loro passato. I vecchi amano raccontare, ma loro, abitanti antichi di quella grande casa a solatìo vicino al torrente, non si sbottonarono molto. - Oh già - ci disse lui ridacchiando una sera, quando gli chiedevo dei periodi difficili, della guerra, della fame - qui non si stava mica male; nelle stanze grandi di sotto avevamo l'osteria e poi, arrivavano i piemontesi in bicicletta e con la borsa nera si guadagnava bene. E nelle camere di sopra tenevamo un po' di ragazze, belline anche, che allora si poteva e avevamo anche un bel giro. - e buttava indietro la testa, masticando il bocchino della pipa consunta e strizzando gli occhi come ad un ricordo per nulla spiacevole. La vecchia sogghignava mentre il mento quasi le toccava il lungo naso, nascondendo la bocca senza denti mentre sbrogliava i piatti. - Bei tempi, eh, zënotti! - e se ne andava in cucina sciabattando. Tornando più tardi nella nostra camera , la vedemmo sotto una luce diversa anche se sconosciuta a noi ragazzi del post-Merlin. La vita è sempre stata un casino, basta saperla prendere per il suo verso.



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3 commenti:

Sandra M. ha detto...

Bellissimo, questo racconto!

Enrico Bo ha detto...

@Sandra - e dovevi vedere i vecchietti, li ho ancora stapati davanti agli occhi dopo 45 anni

Angelo azzurro ha detto...

La vita è movimentata dagli accenti
:O)

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