Il binario infinito, metafora della mente, mi ha riportato a casa. In un attimo, cosa è il tempo per il rincorrersi contorto del pensiero, il cerchio si è chiuso ed il ritorno tra le mura domestiche mi è apparso così rapido da far mettere in dubbio il fatto che la nostra primavera romana sia avvenuta davvero e che non sia stato soltanto un sogno delicato, l'espressione di un desiderio, una fantasima di ricordi letterari, una galleria di immagini virtuali. Invece no. Scacciate le tensioni di una alluvione scampata, questa breve vacanza capitolina è caduta come un delicato antipasto a futuri e succosi incontri. In una bella e chiara primavera, passeggiare sul lungotevere ed inoltrarsi nel cuore della Roma più nota, travolti dalla disputa tra Bernini e Borromini, poi in luoghi più silenziosi, quasi appartati e poi ancora uno sguardo fugace, di chiesa in chiesa a quella più importante, più totalizzante. E la calma domenica di Trastevere, dove invidiare gli abitanti nascosti dietro le piccole finestre, per allontanarsi dalla città fino ai castelli, all'Abbazia di San Nilo, a noi ignota e pur così piacevole. Tutto bello certamente, ma solo e soltanto sterile giro turistico sarebbe stato, se alla base della costruzione non ci fosse stato il nostro ormai consueto piacere di ritrovarci tra amici e compagni usciti di nuovo alla luce da un passato lontano che ci aveva visti vicini sui banchi di scuola ed ora felici come ragazzini di ritrovarci insieme, in molti e inseguiti dal rammarico di chi avrebbe voluto essere con noi a richiamare il ricordo del professor Angelino o del preside Mulas, del 7 in condotta, marchio dell'infamia che aveva colpito alcuno e penalizzato altri con maggiori pene, i pensi infiniti che ancora adesso sappiamo recitare a memoria. Che bello, dopo 45 anni stare a casa di Peppino a goderci un aperitivo e passeggiare con Claudio. Certo non di solo spirito vive l'uomo, anche di cultura, cultura gastronomica intendo. Ecco allora che gli amici ci hanno preparato un incontro particolare con la gioia di vivere della romanità, che con religioso desiderio di capire, di comprendere nelle sfumature più nascoste, abbiamo indagato con attenzione dedicata. Così abbiamo dapprima esplorato una serie di fiori di zucchina in pastella, frittatine e bruschette calde, seguite subito senza interruzione di continuità, da fagioli con le cotiche (di grande intensità), trippa al verde e coratelle in umido. Non poteva mancare un approccio seppur solo sfiorato con la tradizionalità dei primi piatti, così abbiamo incontrato, in un breve ma significativo avvicinamento i maltagliati con fave ed asparagi al guanciale croccante e gli spaghetti all'amatriciana. Infine il gioco si è fatto duro, ma resi forti dall'esperienza e dalla determinazione, abbiamo affrontato con decisione il sapido, ma di morbidezza difficile da definire, guanciale al vino e la gloria di uno strepitoso abbacchio al sentor di limone che ci ha definitivamente conquistato. Il dolceamaro del ramolaccio selvatico e le piccole ma sincere e croccanti patatine al rosmarino, hanno chiosato il concerto degli strumenti di accompagnamento col sottofondo di un casalingo vino dei castelli, colorito ad oltranza da una corposa presenza polifenolica, oltre che non troppo moderatamente alcoolico. Non potevamo finire che con un tiramisù angelico, che tutti hanno mangiato, nonostante dinieghi e dichiarazioni ferme di impossibilità a poter ingurgitare altro che non fosse un ostia sacra. E qualcuno ha fatto anche il bis. Adesso non ci resta che meditare sull'esperienza in tutti i suoi aspetti. Grazie amici romani.
martedì 12 maggio 2009
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