sabato 30 gennaio 2010
Laguna umida.
Il giorno dopo, alla bambina la febbre era scesa e decidemmo di fare un lungo giro in macchina traversando tutto il nord dello Yucatan fino a raggiungere la parte rivolta verso l’interno del golfo del Messico. La strada che tagliava tutta la foresta era una retta quasi perfetta che per decine di kilometri sembrava dividere il verde chiaro della massa di alberi, evidenziavano un terreno rosso e poco fertile. Più o meno a metà, Merida, una cittadina piuttosto anonima dove vi consiglierei di comprare un Panama, se vi serve naturalmente; li fanno lì, quindi a un acquisto a kilometri zero, tanto per essere à la page. Dopo altri duecento kilometri arrivammo a Celestùn, su una grande laguna, che è anche un immenso parco nazionale ornitologico. Ci prendemmo una lancha guidata da un vecchietto, Miguel, che sembrava dormire sempre, mentre la dirigeva adagio tra la foresta di mangrovie. E’ il classico posto dove si può far finta di essere Indiana Jones alla ricerca del tempio maledetto. Si scendeva, ogni tanto dove il terreno sembrava più solido, cercando, a fatica di camminare tra le mangrovie in precario equilibrio, fino a che non diventavano troppo fitte per proseguire a piedi. Ci aggirammo per ore scivolando tra anhingas, gli uccelli serpente ed egrette, per nulla timide e disponibili a mettersi in posa senza problemi, ma le centinaia di flamingos che stazionavano in fondo allo specchio di acqua, quando si levarono in volo, coprirono il cielo con tutte le sfumature del rosa, come in una debole fiammata tremolante. L’emozione fu così forte che, appena scendemmo dalla barca, Tiziana scivolò sulle tavole umide e batté una testata così forte che tememmo il peggio. Ma si sa, le donne hanno la testa particolarmente resistente e ce la fece anche quella volta. Cercammo di metterne insieme i cocci in un ristorantino lungo la spiaggia, bianca di minuscoli frammenti di conchiglie, caldissima e completamente deserta. Servivano dei camarones alla plancha in salsa tex-mex assolutamente enormi e deliziosi. Ne mangiammo molti, diverse porzioni direi, anche per lenire il dolore e tirarci su il morale e toccando il bozzo che gonfiava. Se ne ricorda ancora adesso della botta, poverina, però non è mai più scivolata da allora, su una barca almeno. Quando ritornammo sulla costa est, era ormai notte fonda, il giorno dopo ce ne saremmo tornati a casa, con la nostra borsa piena di esperienze nuove, sperando di aver capito qualche cosa tra le tante che avevamo visto, cercando di incasellare le emozioni per non perderle troppo in fretta. Sono tornato altre volte in Messico, è un paese dolce.
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