L’auto che ci avrebbe portato a vedere due villaggi sulla montagna, ci aspettava fuori dell’albergo. Miguel dai grandi baffi spioventi si stringeva le spalle nella giacchetta leggera, silenzioso. L’umidità e la temperatura pungente delle prime ore del mattino rendevano gradevole il percorso tortuoso, anche in quell’agosto torrido. Arrivammo a Chamula dopo una sosta ad un cimitero cosparso di piccole croci di legno colorate. Ogni tomba, appena rigonfia di terra nera, conteneva diversi defunti della stessa famiglia, sepolti uno sopra all’altro, in tempi diversi. Nomi e date successive che si sovrapponevano nel tempo, in un abbraccio di eternità. La piazza del paese era semideserta, solo pochi ragazzini curiosi che fanno la posta ai nuovi arrivati, ma quando sei in tre, difficilmente dai troppo fastidio. Così entrammo nella chiesetta bianca con le profilature blu e verdi, che chiudeva la piazza, di soppiatto, quasi non visti. Questo è veramente un luogo magico, dove, a patto di stare acquattati e silenziosi nella penombra del fondo senza disturbare nessuno, si può assistere ai riti cristiano-maya in una atmosfera pagana ed allo stesso tempo di rara intensità. Si dice che il solo sciocco mostrare una macchina fotografica, abbia provocato violentissime reazioni, ma nessuno fa caso a chi si mescola ai fedeli con rispetto. Tutto il pavimento della chiesa, completamente vuota era cosparso di aghi di pini che riempivano l’aria di odore di resina, mescolato ad uno spesso fumo di incenso che rendeva l’ambiente ancora più oscuro, appena scandito dalle lame di luce che entravano dalle alte finestre. Le pareti erano circondate da piccoli altari con statue di legno di santi vestiti di stoffe colorate , croci e simboli diversi. I gruppetti di due o tre persone, famigliole o singoli, che entrano a chiedere grazie, sono passate prima dal negozio del Majordomo, a fianco della chiesa. Lui, dopo aver sentito il caso, ha prescritto la tipologia dell’offerta, il colore delle candele, il rituale da compiere e il Santo a cui fare riferimento. Le persone allora entrano e, dopo essersi fatto il loro spazio nel luogo indicato, scostano gli aghi di pino per mettere le candele, rosse per i soldi, blu per la salute e così via, tanto che tutto il pavimento della chiesa è pieno della cera sciolta, poi depongono le offerte, un uovo, una lattina di Coca Cola, una bottiglia di Tequila con cui viene irrorato ad esempio un gallo da sacrificare per ottenere la grazia richiesta, con una lunga preghiera, in ginocchio davanti al Santo specializzato nel settore. Segni di croci e prostrazioni pongono fine al rito, poi la gente se ne va in silenzio e lascia il posto ad altri. Si sente solo un brusio nell’aria pesante di odori forti e densa di fumo che ha annerito quasi completamente il soffitto. Una volta o due all’anno compare un prete, che fa finta di non accorgersi di quanto è successo nella chiesa e tiene una funzione a cui gli abitanti del villaggio e tutti quelli che abitano la selva degli Altos del Chapas partecipano mostrando grande devozione e facendo finta per un giorno che i loro dei si chiamino San Juan, San Francisco, San Antonio, San Miguel. Uscimmo dalla chiesetta quasi intontiti, la nostra bambina era molto colpita soprattutto dal silenzio che sembrava avvolgere tutto. In fondo alla piazza la macchina di Miguel, anche lui silenzioso, ci aspettava.
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