giovedì 21 gennaio 2010
Miguel e la gallina.
Panajacel se ne sta pigra sul bordo del lago Atitlan ad aspettare i turisti e i saccopelisti che hanno voglia di raggiungerla e che, tra i funghi e il resto, paiono aggirarsi per le stradine in stato di semi-confusione mentale permanente, tanto che, come secondo nome i locali la chiamano Gringotenango, per stare in linea coi paesi circostanti. Però poche cose ti fanno stare bene come rimanersene seduti sulla riva a guardare il gioco di luci sull'acqua del lago o seguire il sole che colora il cielo dietro i vulcani. Passammo la sera sulla terrazza del nostro bungalow coperto di buganvillee della pensione Vision Azul a fare progetti ed itinerari. In quelle condizioni ti viene davvero la voglia di smettere di essere turista, di diventare viaggiatore e proseguire il viaggio portandosi con sé la voglia di non tornare più (cito eh, qui solo il meglio della letterarura e della poesia). La mattina dopo, l'alba rosata ci prese sul pontile mentre salivamo sul battello che, in mezza giornata, fa il giro del lago fermandosi nei vari paesi che sembrano scivolare verso l'acqua lungo le ripide pareti dei vulcani. Scendemmo prima a San Pedro La Laguna, dove tra i pochi latinos, il mercato è popolato solo da Maya Tsutuhil e Cakchiquel, i cui huipiles ricamati sembrano un inno alla serenità, un aggroviglirsi di fiori, uccelli e piante che coprono le spalle e il petto di tutti quelli che ti circondano, un rutilare di colori che, da soli illuminano la giornata. Casualmente finimmo in una scuola, una quarantina di bambini vocianti agli ordini di una maestrina giovane giovane. Lasciammo un po' di biro, di cui ho sempre buona scorta. Sul fronte opposto del lago, Santiago Atitlan, forse il più bello dei paesini, di cui percorremmo la salita ciottolosa che porta alla chiesa bionca che domina dall'alto. Qui si venera Maximon, un incrocio tra Giuda, una antica divinità maya e Pedro de Alvarado (il feroce conquistatore del Guatemala) rappresentato da una maschera di legno scuro con un grande sigaro. Tutto attorno una schiera di statue lignee di santi ricoperte da scialli ricamati che i fedeli preparano nuovi ogni anno e sull'altare, assieme alle croci, YumKax il dio maya del granoturco con l'uccello quetzal che legge un libro. Fede, superstizione, sincretismo, unico legame rimasto della propria identità devastata e quasi perduta? Parlano poco e non sorridono quasi mai queste genti, solo nelle vesti, le strisce di tessuto colorato tra i capelli, le lunghe fasce attorno alla vita, le camicette, i ponchos huipiles ricamati, paiono sfogare il loro interiore, il loro desiderio di non mollare, ricordando ancora una volta come dice Sill Scaroni che questo è l'anno 517 della resistenza indigena continentale. Ci fermammo ancora a godere del tramonto a Santa Caterina Palopo. Lì si fermavano pochi turisti frettolosi di rientrare prima che calasse il buio. Sulla banchina di legno malandata ci aspettava un bambino, che finita la scuola cercava di piazzare qualche stoffa ricamata dalle sorelle. Si presentò come Miguel Godoy Gutierrez de la Peña e, con astuzia consumata, si rivolse particolarmente a nostra figlia, mostrandogli i ricami un po' a fatica perchè aveva le braccine impicciate da una bella gallina marmorata che gli impediva di esibire il resto della merce. Arathy avrebbe preso anche la gallina ma ci limitammo a una bella fascia di mille colori. Era l'unico che sorrideva, Miguel, salutandoci, mentre il battello si allontanava dal molo di legno.
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6 commenti:
Trovo incredibile la rarità del sorriso nei loro visi. E poi così taciturni. A cosa rimuginano, a cosa pensano? Come sarebbe entrare nella testa di un Maya?
Son sempre bellissime le narrazioni che ci proponi. Coinvolgono e danno l'impressione di vedere veramente genti e luoghi. Un caro saluto, Fabio
Grazie Fabio.
@Fabri - Secondo me da ridere hanno ben poco e se la loro cultura precolombiana non era delle più allegre, negli ultimi cinquecento anni hanno visto davvero i sorci verdi e anche in tempi recentissimi ne hanno passate di tutti i colori. Proprio la zona di Atitlan è stata una palcoscenico di massacri spaventosi neanche vent'anni fa e nel Chapas di tanto in tanto le polveri si infiammano. Dai un'occhiata al blog di Sill Scaroni che è molto aggiornata su questi argomenti.
http://umbilicum.blogspot.com/
Miguel sorrise perché è ancora un bambino ....
In Perù, anche di bambini non se ne vedono sorridere molti. Hanno la saggezza dell'eternità
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