sabato 29 maggio 2010

Martin Gardner, un filosofo dei nostri tempi.

Qualche giorno fa, lo hanno già ricordato in molti, se n'è andato Martin Gardner. A 95 anni, segno ulteriore che coloro che cercano di far funzionare i neuroni, hanno più possibilità di campare, ci ha lasciato così un personaggio che per tutta la vita si è occupato di giochi logico-matematici. Giocava coi numeri e con le idee, sempre teso a dimostrare la preponderanza della ragione sull'accondiscendenza al non dimostrabile, sempre disponibile al dubbio. Era prima di tutto un filosofo come tutti i grandi matematici, ma ciò che lo attraeva maggiormente era entrare nel meccanismo dell'enigma, per scioglierlo, per trovarne il grimaldello che porta alla soluzione. Una delle chiavi della vita. Si era occupato anche di smascherare le pseudo scienze e le magie varie che sempre di più tendono a circuire la credulità dell'uomo sfruttandone il suo innato desiderio di trascendente. La sua rubrica su Scientific American, in cui inventava nuovi giochi o andava a riscoprire quelli antichi, da Lewis Carroll (altro straordinario matematico e poeta) al lontano passato, arricchendoli di varianti e divertenti osservazioni, aveva migliaia di appassionati. Io ne conobbi il lavoro alla fine degli anni '60, con la diffusione dell'edizione italiana. Eh sì, allora eravamo ragazzi strani, ma in grande compagnia e nel nostro covo di universitari in via Ormea, le nostre letture andavano da Le Scienze al Mondo di Pannunzio, l'Urania settimanale, Bertrand Russell e Linus con i commenti di Del Buono. Tutta roba che ci ha bacato le menti definitivamente, lasciandovi virus resistenti ad ogni tentativo di debugging, che non ci permette ancora oggi di accettare assunti senza almeno ragionarci sopra, metterli in discussione, esitare sempre prima di prendere per oro colato quello che ti vogliono far apparire come evidente, quasi scandalizzandosi se vuoi approfondire, se vuoi capire se il meccanismo sta in piedi o se ti prendono solo per il naso. Tanto per rimanere in tema, colgo l'occasione per proporvi qui un suo bellissimo e difficilissimo enigma tratto dal suo libro, che ho ripescato in fondo allo scaffale, a cui nel '69, per averlo, sacrificai due o tre settimane di paghetta e che mi travolse per sempre in questo mondo.
Una gara difficile.
Tre scuole - Washinton, Lincoln e Roosvelt - fecero un incontro di atletica. Ogni scuola un solo concorrente per ogni gara. Susanna della Lincoln seguiva il suo compagno campione di getto del peso. A casa il padre le chiese cosa aveva fatto la Lincoln.
- Lui ha vinto il getto del peso, ma Washinton ha vinto il meeting con 22 punti, mentre noi e Roosvelt siamo finiti alla pari con 9 punti.-
- E quali erano i punteggi per le gare?-
- Non mi ricordo, so solo che il primo riceveva un certo punteggio , il secondo un po' meno e il terzo come ovvio ancora meno, (tutti numeri interi) uguali comunque in tutte le gare. E non mi ricordo neanche quante sono state le gare, sai, a me interessava solo il getto del peso.-
- E chi ha vinto il salto in alto?-
Susanna, confermò che c'era stato, ma che non ricordava chi lo avesse vinto.

Non è facile (la spiegazione occupa assai più spazio dell'enunciato), ma c'è soluzione unica. Provateci anche voi. Quindi grazie Martin a nome di tutti quei ragazzi che hai appassionato a queste cose e se ne hai la possibilità, dove sei adesso, continua a giocare con le idee e prima di credere a quello che vedi, mi raccomando, chiedi spiegazioni.

1 commento:

Barni ha detto...

5 gare con punteggio 5-2-1, mi pare.
Le gare possono essere solo 2, 4 o 5 (3 non è divisore di 40, i punti totali), ma nè con 2 nè con 4 è possibile vincere una gara e fare solo 9 punti, mentre un'altra squadra ne fa 22. Così le gare devono essere 5, e la squadra che fa 22 le vince tutte tranne il getto del peso dove arriva seconda, la squadra della ragazza vince questa e arriva poi sempre ultima, e il resto di conseguenza.
Spero che tu abbia ragione sugli effetti dell'aver frequentato il covo di via Ormea.
Ciao
Barni

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