giovedì 6 maggio 2010

Lettere dalla Kampuchea 5: La camicia di seta.

E' arrivata l'ora di lasciare Phnom Penh. Abbiamo in mano i biglietti di un bus della Capitol e in un tuk tuk carico di valige e sacchi fendiamo il flusso di motorini, facendo segno con la mano di svolta a sinistra, tanto per aiutare l'autista, per raggiungere la stazione, in realtà un negozio all'angolo di un mercatino, gremito di aspiranti viaggiatori. Il pulmann per Kampong Thom è in orario, ma servirà il nastro isolante per bloccare la bocchetta di aria condizionata che mi spara a palla sul collo, per il resto saranno tre ore tranquille. Ma che ci andiamo a fare a Kampong Thom? Il fatto è che il mio amico è stato invitato ad un matrimonio importante, nella provincia dove ha messo su l'acquedotto e io mi sono aggregato, imbucato ufficioso, ma con regolare invito nominativo. Però mica si può far la figura del cioccolataio, così per mettermi al pari del mio amico già attrezzato, avevo via mail ordinato una apposita camicia/giacca cambogiana da cerimonia. E' vero che le decine di misure richieste, le ho dovute reinviare due o tre volte riconfermandole, specialmente quelle del giro pancia (che non credessero ai loro occhi?); fatto sta che appena arrivato, la sarta appositamente convocata per la bisogna mi attendeva per la prova definitiva che ha necessitato solo di alcuni piccoli ritocchi nei punti dove "faceva difetto". Si sa che noi falsi magri siamo difficili da vestire, ma stamattina il capo splendido di pesantissima seta bordeaux con fodera nera, che mi è stato consegnato, calzava a pennello, pronto per la cerimonia che, vi anticipo, durerà due giorni e di cui parleremo domani. Sono proprio contento, però un cruccio mi è rimasto. Con questa storia, camicia, stoffa, sarta, misure e compagnia bella, ho fatto perdere un sacco di tempo ad una persona molto speciale, di cui vi voglio parlare adesso e che di tempo da perdere ne ha proprio poco. Quando si gira per il mondo, si incontrano molte persone speciali e questa si chiama Elisa, ma tutti la chiamano Lieke ed è una ragazza belga che dedica la sua vita a dare una mano agli altri e non è una cosa da poco. Dalle Filippine alla Cambogia, nei momenti più neri e più difficili, sempre ad organizzare e a cercare di far partire progetti per gente senza speranza, in situazioni che sembrano senza speranza, ma che, anche con il suo aiuto, oltre a quello di tante altre persone di buona volontà, alla fine, un po' di speranza riescono ad intravederla. Fame, malattie, mine, acqua fetida sono i piccoli problemi da affrontare ogni giorno ed io le ho aggiunto anche il mio problema, quello della camicia cambogiana da cerimonia. Sì, un po' mi vergogno, ma che piacere stare con questa ragazza, sempre di corsa ed indaffarata, che sembra fare ogni cosa con gioia, anche se i problemi sono tanti. E poi non basta mica voler fare le cose, voler aiutare la gente. Non basta farsi ore di camionetta per andare a vedere se i pozzi funzionano, traversare kilometri di risaie per controllare, verificare, seguire i corsi alle donne sull'uso dell'acqua potabile e delle regole fondamentali dell'igiene. Bisogna sapersi anche muovere nei posti giusti, negli uffici adatti, sapere le strade della burocrazia, conoscere le persone che ti possono aiutare a dare le autorizzazioni, convincere, trattare. Adesso vanno di moda gli abusi sui minori, c'è meno attenzione al problema dell'acqua pulita. Dunque parlare, convincere, ancora prima di cominciare a fare. E' per questo dunque che voglio ringraziarla di cuore, questa ragazza dall'allegria contagiosa, per avermi accolto come un amico e per il suo tempo prezioso che mi ha dedicato ed è per questo che voglio farle i miei migliori auguri, sono certo anche da parte di tutti voi che mi seguite, perchè tra pochi giorni Lieke compie 76 anni e con tutto il da fare che c'è, non so se li potrà festeggiare come si conviene.

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