Almaz era nato in un piccolo paese del sud del Khazakistan. Era cresciuto in un villaggio di contadini quasi al confine con l'Uzbekistan, da dove proveniva anche la sua mamma, ragione per cui non era venuto su grande e grosso come suo padre, un Khazako alto quasi due metri con un testone quadrato enorme ed il naso rincagnato come se da piccolo avesse sbattuto contro il muro, ma aveva mantenuto i tratti gentili e minuti degli Uzbeki, anche se i suoi occhi nerissimi mantenevano quel taglio orientale e le lunghe ciglia che rendevano il suo sguardo particolare e ammaliatore. Veramente il suo nome vero era Khadjmurat, ma sua mamma aveva cominciato a chiamarlo così, Almaz, Diamante forse proprio per quelle occhiate irresistibili che lanciava quando passeggiava per il villaggio mostrando magari appuntata al petto la medaglietta del Komsomol. Nel suo villaggio era cresciuto ai bordi dei giardini e sotto gli alberi di mele, bianche e rosse, le più profumate del mondo. Come tutti i suoi coetanei era stato nei campeggi dei pionieri e poi alla scuola tecnica nella grande città vicina e la dissoluzione dell'URSS lo aveva colto mentre cominciava a lavorare per un uomo particolarmente influente che stava emergendo nel bailamme politico ed economico sopravvenuto alla creazione del nuovo stato. Era molto coscienzioso e preciso e questo lo faceva benvolere dal signor Kurjalov, il boss, che spesso lo portava con sé quando andava in giro a controllare le sue attività. Anche se piccolino, quel suo sguardo assieme tenero e misterioso esercitava un discreto fascino su tutte quelle stangone bionde di origine russa che gravitavano negli uffici, segretarie, operaie e inservienti varie, ma anche molte khazake, tarchiate e forti, avevano spesso mostrato un interesse ingordo alle sue attenzioni. Ma lui sembrava piuttosto insensibile a quei richiami, tutto teso ad accontentare i capricci del boss e a guadagnare fiducia nella gerarchia dell'organizzazione.
Così lo accompagnava a vedere il nuovo stabilimento in cui sarebbe stato montato un impianto per imbottigliare bibite gasate, oppure nelle serre enormi dove si sarebbero prodotti i meloni più dolci del mondo, che avrebbero dovuto poi essere lavorati, tagliati ed essiccati a fette, il boss le chiamava le banane di melone, nel vicino impianto. Ogni tanto andavano invece a controllare il procedere dei lavori nell'area fuori città su cui Kurjalov stava costruendo un nuovo albergo, che nel progetto avrebbe avuto tutti quei lussi occidentali che aveva apprezzato con meraviglia andando in Italia, quando era stato in quella città dalle case tutte scrostate, senza auto, con i canali al posto delle strade e le barche al posto degli autobus. Un posto davvero strano per loro che conoscevano solo la steppa e il suo arido gusto di sale. Tante cose nuove difficili da capire, come quando per tutta la notte aveva telefonato ad un numero visto alla televisione nella stanza, ogni stanza aveva un suo proprio televisore moderno e completamente funzionante e un frigorifero pieno di piccole bottiglie di alcoolici, ma così piccole che se le era scolate tutte in un attimo, e intanto non capiva cosa diceva quella ragazza al telefono, che ansimava un sacco, ma non si decideva a venire nella sua camera per fare quello che evidentemente era il suo lavoro, come prometteva dalla TV e al mattino quel costo mostruoso in aggiunta alla camera. Per fortuna che ci avevano pensato quelli della ditta che li ospitava. Ma Almaz non pensava a queste cose. Almaz vuol dire Diamante e la sua mamma aveva scelto proprio quel nome forse proprio per il bagliore che già appena nato lanciavano in giro quei piccoli occhi neri e curiosi.
No, anche se aveva ormai quasi trenta anni, Almaz non sembrava pensare molto a queste cose, gli premeva di più la considerazione del boss, che ormai accompagnava quasi sempre. Così quando arrivò la delegazione dall'Italia per inaugurare la fabbrica delle bibite, era sempre al suo fianco un po' in qualità di autista, un po' come fiduciario. C'era il Presidente della ditta italiana che aveva progettato e fornito tutti i macchinari, il responsabile dell'Ufficio di Mosca, i tecnici che avevano seguito il progetto e anche la loro interprete italiana. Almaz, che si era messo al fianco del signor Kurijalov la guardava, mentre con spigliatezza traduceva i discorsi ufficiali, rivolgendosi di volta in volta ai due presidenti. Era bellissima, di quel fascino esotico occidentale, quali erano presenti solo le donne dei suoi sogni, minuta eppure morbida negli atteggiamenti e nel muoversi, con quel suo delizioso appoggiar la testa da un lato quando attendeva il suo turno di parlare. All'apparenza timida e riservata, lanciava occhiate qua e là, lasciando trasparire una energia insospettata e la profondità dei suoi occhi davano spazio a promesse non dette, ad un abbandono senza preclusioni verso la persona scelta. Almaz si sentiva battere forte il cuore, era completamente folgorato. Per un giorno ancora non disse nulla, rimase soltanto in estatica ammirazione della donna che rappresentava per lui la perfezione assoluta, la personificazione del suo desiderio. Il terzo giorno tutta la delegazione si trasferì a vedere l'albergo la cui costruzione era quasi terminata. Kurijalov voleva affidarne il completamento all'esperienza occidentale. L'edificio era venuto su con criteri sovietici e aveva l'apparenza di un'area bombardata da poco.
Così lo accompagnava a vedere il nuovo stabilimento in cui sarebbe stato montato un impianto per imbottigliare bibite gasate, oppure nelle serre enormi dove si sarebbero prodotti i meloni più dolci del mondo, che avrebbero dovuto poi essere lavorati, tagliati ed essiccati a fette, il boss le chiamava le banane di melone, nel vicino impianto. Ogni tanto andavano invece a controllare il procedere dei lavori nell'area fuori città su cui Kurjalov stava costruendo un nuovo albergo, che nel progetto avrebbe avuto tutti quei lussi occidentali che aveva apprezzato con meraviglia andando in Italia, quando era stato in quella città dalle case tutte scrostate, senza auto, con i canali al posto delle strade e le barche al posto degli autobus. Un posto davvero strano per loro che conoscevano solo la steppa e il suo arido gusto di sale. Tante cose nuove difficili da capire, come quando per tutta la notte aveva telefonato ad un numero visto alla televisione nella stanza, ogni stanza aveva un suo proprio televisore moderno e completamente funzionante e un frigorifero pieno di piccole bottiglie di alcoolici, ma così piccole che se le era scolate tutte in un attimo, e intanto non capiva cosa diceva quella ragazza al telefono, che ansimava un sacco, ma non si decideva a venire nella sua camera per fare quello che evidentemente era il suo lavoro, come prometteva dalla TV e al mattino quel costo mostruoso in aggiunta alla camera. Per fortuna che ci avevano pensato quelli della ditta che li ospitava. Ma Almaz non pensava a queste cose. Almaz vuol dire Diamante e la sua mamma aveva scelto proprio quel nome forse proprio per il bagliore che già appena nato lanciavano in giro quei piccoli occhi neri e curiosi.
No, anche se aveva ormai quasi trenta anni, Almaz non sembrava pensare molto a queste cose, gli premeva di più la considerazione del boss, che ormai accompagnava quasi sempre. Così quando arrivò la delegazione dall'Italia per inaugurare la fabbrica delle bibite, era sempre al suo fianco un po' in qualità di autista, un po' come fiduciario. C'era il Presidente della ditta italiana che aveva progettato e fornito tutti i macchinari, il responsabile dell'Ufficio di Mosca, i tecnici che avevano seguito il progetto e anche la loro interprete italiana. Almaz, che si era messo al fianco del signor Kurijalov la guardava, mentre con spigliatezza traduceva i discorsi ufficiali, rivolgendosi di volta in volta ai due presidenti. Era bellissima, di quel fascino esotico occidentale, quali erano presenti solo le donne dei suoi sogni, minuta eppure morbida negli atteggiamenti e nel muoversi, con quel suo delizioso appoggiar la testa da un lato quando attendeva il suo turno di parlare. All'apparenza timida e riservata, lanciava occhiate qua e là, lasciando trasparire una energia insospettata e la profondità dei suoi occhi davano spazio a promesse non dette, ad un abbandono senza preclusioni verso la persona scelta. Almaz si sentiva battere forte il cuore, era completamente folgorato. Per un giorno ancora non disse nulla, rimase soltanto in estatica ammirazione della donna che rappresentava per lui la perfezione assoluta, la personificazione del suo desiderio. Il terzo giorno tutta la delegazione si trasferì a vedere l'albergo la cui costruzione era quasi terminata. Kurijalov voleva affidarne il completamento all'esperienza occidentale. L'edificio era venuto su con criteri sovietici e aveva l'apparenza di un'area bombardata da poco.
Muri e piastrelle nuovi ma già sbrecciati, gradini sconnessi, scale sbagliate e soglie di marmo bianco storte e male applicate, tondini di ferro già arrugginiti che fuoriuscivano dalla facciata male intonacata.. Si aggirarono per un po' nell'edificio. Gli occidentali non avevano cuore di dire al boss che sarebbe stato meglio radere tutto al suolo e ripartire da zero. L'interprete traduceva accuratamente i consigli con quella sua voce dolce e la erre arrotata così sensuale. Il segretario prendeva nota e Almaz intanto, dietro, non aveva occhi che per lei, la guardava muoversi, quel leggero ondeggiare delle sua figura flessuosa che promettevano notti bollenti e gli pareva che di tanto in tanto, mentre si rivolgeva ridendo a Kurjalov, guardasse anche lui, anzi forse quello splendido sorriso era rivolto proprio a lui con il delizioso arco delle sue labbra, quasi fosse un invito a farsi avanti. Quella sera, attese che fossero terminate le infinite pridlazhenije che accompagnavano i brindisi, poi terminata la cena, mentre accompagnava il boss, decisamente allegro, tra gli infiniti cadaveri di bottiglie di vodka vuote, ebbe il coraggio di raccontare il suo segreto, chiedendogli di intercedere per lui. Il giorno dopo, mentre passavano dal paese dove Almaz era nato, fece vedere a tutti la sua casa e presentò suo padre che se ne stava seduto in silenzio sulla panca di fianco all'uscio. Chiese scusa, poi si appartò un attimo con lui a parlottare, mentre gli italiani girellavano intorno scattando qualche foto. Si sentì ad un tratto la risata sommessa della ragazza che stava accarezzando due bambini che giocavano nella polvere. Il vecchio alzò la testa in quella direzione e fece un cenno di assenso con la testa. Almaz chinò il capo su cui il vecchio passò una mano lieve, come una benedizione.
Il ragazzo tornò alla macchina e disse a Kurjialov: "Mio padre ha dato l'assenso al matrimonio." A questo punto il boss decise di prendere a cuore la causa del suo uomo fidato. Si era deciso di andare al paese dove sorgeva l'impianto delle serre, per mettere le basi per il progetto degli essiccatoi per le banane di melone prossime venture. La strada correva diritta lungo la steppa arida; lontane verso sud la catena delle montagne dalle cime innevate. Le auto si fermarono, al fianco della carreggiata, in un grande spiazzo, un gruppo di cavalieri correvano in ogni direzione disputandosi con gran colpi e spallate, una carcassa di montone. Era il buzkashi, il gioco delle campagne che diventa vetrina ed esibizione dell'abilità a cavallo dei giovani del paese. Spinte e colpi proibiti, tutto vale per strapparsi la bestia e portarla, inseguiti dagli altri, al palo per segnare il punto. Kurijalov, forte della sua autorità scese dall'auto e interruppe il gioco, richiamo i capi delle squadre e distribuì loro, con la larghezza di un sovrano mongolo, una gran mazzetta di tenghé, le sudice banconote khazake che circolavano a pacchi, perché mostrassero agli ospiti occidentali il gioco in tutta la sua feroce violenza. Mentre tutti erano sul bordo della strada a guardare il volteggiare dei cavalli e gli strattonamenti per strapparsi l'animale, qualcuno cadeva malamente, altri galoppavano verso il fondo dello spiazzo e tutti gridavano avvolti dal polverone sollevato dagli zoccoli, Kurijalov si avvicinò al Presidente parlottando a lungo.
In soldoni, il suo Almaz chiedeva ufficialmente in sposa l'interprete italiana, di cui si dichiarava perdutamente innamorato. Lui come suo garante, assicurava la copertura di tutte le spese del matrimonio e una congrua dote agli sposi, eventualmente anche l'acquisto di un gregge di proporzioni maestose qualora avessero voluto sistemarsi nel villaggio di origine di Almaz o in alternativa una casetta in città. Bastava che il presidente fosse d'accordo e la cosa si poteva concludere anche subito. Il Presidente preso alla sprovvista cercò di tergiversare assicurando che avrebbe comunque parlato all'interprete della serietà delle intenzioni di Almaz e alla sera in albergo, quando spiegò alla ragazza, completamente sorpresa, la vicenda, le consigliò di tenere un profilo basso fino al giorno dopo, data prevista per il rientro in Italia. Quella sera ci fu una gran festa, la cena di addio e Kurjalov non voleva certo sfigurare di fronte agli ospiti italiani. C'era una orchestra tradizionale e si ballò molto, mentre le casse di Stolichnaja si vuotavano. A un certo punto un suonatore di dombrà si staccò dall'orchestra e si mise davanti alla ragazza che si teneva proprio di fianco al Presidente e cominciò a suonare una melodia struggente.
La canzone doveva però essere divertente e con qualche salace sottinteso, perché tutti ai tavoli si davano gran manate sulle spalle ridendo a crepapelle. Solo Almaz non rideva e seguiva la serenata con gli occhi bassi mentre la ragazza, imbarazzatissima cercava di darsi un contegno continuando a tradurre banalità. Nella penombra delle luci basse i suoi lunghi capelli si muovevano come onde ed i suoi occhi che guardavano nella sua direzione di sfuggita, sembravano ancora più belli. Con molta diplomazia il Presidente prese da parte Kurjalov, per la verità già un po' alticcio, fece presenti le difficoltà della situazione, consigliando di soprassedere e il giorno dopo la delegazione prese il volo, con l'interprete ancora leggermente scossa dall'intera vicenda. Almaz rimase a lungo sulla balconata dell'aeroporto a guardare le ali d'argento che gli portavano via la donna della sua vita. Kurijalov gli sbatté una delle sue manone sulla schiena e con la sua risata grassa gli disse: "Ricordati che le donne ed i montoni li devi scegliere sempre al tuo paese". Un anno dopo arrivò la notizia che aveva rapito, col suo consenso naturalmente e con quello del boss, una bella uzbeka dagli zigomi alti, pare bravissima a fare yogourth di latte di cammella, una fuitina centroasiatica insomma.
Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:
Nessun commento:
Posta un commento