1938 - argini del Tanaro . Mio papà è quello in piedi a destra. |
Però non si è mai espresso chiaramente sul voto, neanche con me; è pericoloso esprimere le idee politiche, evidentemente questo imprinting se lo sarebbe portato dietro per sempre. Larvatamente e solo nell'intimità della famiglia, mi aveva fatto capire che forse i socialisti avevano a cuore gli operai e quindi c'era convenienza a che avessero forza. Teniamo conto che allora erano sempre sotto il 10%, un partitino insomma. E mi raccomando bisogna sempre andare a votare. Per esercitare un grande diritto, direte voi, macché, perché se non vai alle urne, ti segnano e non si sa mai cosa ti può succedere, e mia mamma china sul rammendo delle calze assentiva con larghi cenni della testa, per rafforzare quella che apprezzava come la saggezza del capofamiglia. Il "povero" si difende mantenendosi distaccato dalle passioni e dalla fascinazioni politiche, guai a lasciarsi catalogare, ha solo da rimetterci. Tutto questo potrebbe far pensare ad una vita in sedicesimo, nascosta e schermata. In realtà, se era pur vero che non bisognava mai esibire nulla per non far pensare a possibilità economiche troppo vistose, vigeva il concetto che chi più spende meno spende e quindi, le poche cose che si compravano dovevano essere di qualità. Certo senza esagerare. Il salame non doveva essere del tipo migliore in assoluto, se no lo mangi tutto subito, ma neanche di qualità scadente che se no fa male, diciamo di seconda. Il cappotto si rivoltava, ma la stoffa era stata comprata in quel negozio sotto la galleria che aveva solo roba buonissima.
Le scarpe, un paio ogni due anni, erano poi un punto fisso, anche perché il mio papà si riteneva del mestiere e se le scarpe non sono perfette, poi ti fanno male e i piedi si rovinano. E lo diceva lui che aveva tutti i mignolini accavallati perché da giovane erano di moda le scarpe a punta. Probabilmente "l'operaio" ci teneva molto all'eleganza, che aveva spiato dai vetri della guardiola di mia nonna mentre le dames de chambre e i signorini salivano lo scalone del palazzo e di certo quando era giovanotto, per lo meno ad osservare qualche vecchia fotografia, puntava molto su questo punto, Borsalino sulle 23, pantalone largo e panciotto scuro, cappotto cammello e scarpe fatte a mano, per forza, se le faceva lui da solo. Evidentemente grazie allo straordinario, di soldini ne guadagnava abbastanza e se li spendeva tutti in vestiti, forse per ammaliare le fanciulle. Mi sa che è in questo modo che ha accalappiato la mamma alle fonti di Valmadonna. Poi dopo il matrimonio deve aver campato di quel che aveva prima, rivoltando cappotti e rifacendo polsini e colletti, cosa a cui pensava mia mamma. Però il suo orgoglio massimo, quello che considerava davvero il top dell'eleganza, lo teneva ben riparato, avvolto da una pezzuola di stoffa, in una scatola nell'armadio, che non si rovinassero, un paio di scarpe a "cestino" marrone chiaro. Al posto della usuale tomaia avevano tutto un intreccio di sottili fettuccine di chevrot che si incrociavano diagonalmente in maniera perfetta, tanto che da lontano pareva un disegno e non un sapiente lavoro di alto artigianato.
Quando era tarda primavera, e non pioveva, certo, guai a metterle nell'acqua, le tirava fuori con religiosa attenzione, poi prendeva una pezzuola morbida e il lucido Brill dalla scatola rotonda con una curiosa chiavetta laterale che si ruotava per far alzare il coperchio e, dopo aver sporcato il panno, ma pochissimo, perché troppo lucido corrode il cuoio, cominciava a passarlo con movimento dolce e ripetitivo, quasi accarezzando la scarpa che la mano sinistra inserita dentro, faceva ruotare come la testa di un burattino. Sfregava leggero a lungo, rimirando l'opera di tanto in tanto e allungando il collo all'indietro. Che splendore quelle scarpe, poi se le metteva, legando con cura le stringhe delle stesso colore e usciva con gli amici per andare ai giardini. Solo che le scarpe a cestino hanno una caratteristica unica, specie quando sono ben lucidate. Mentre cammini, ad ogni passo emettono un imbarazzante scricchiolio, che mi faceva tanto ridere. Sembrava quasi un gemito chioccio, uno stridio iterato ed inevitabile che segnava il movimento con cadenza imbarazzante. Crick crock, crick crock, il mio papà si allontanava con la bicicletta nera coi freni a bacchetta per mano e quando tornava per cena, eccolo là crick crock, crick crock, lo sentivi arrivare dal fondo delle scale. Una volta entrato e ricoverata la bici, se le toglieva e con cura le ripuliva ancora prima di avvolgerle nella stoffa e riporle con la soddisfazione dell'operaio signore, nella scatola dell'armadio, prima di sedersi a tavola tutto soddisfatto. Adesso ho il tacco della scarpa sinistra che scricchiola continuamente, mi sembra di camminare con le scarpe a cestino ed è anche tutto consumato, ma non c'è più il mio papà ad aggiustarmelo.
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4 commenti:
Solo una domanda: da voi il lucido per scarpe si chiamava "crom" come da noi?
E le scarpe di scamoscio (adesso posso dirlo che non mi piacevano per niente).
@Juhan - no da noi si chiamavo solo semplicemente Luster.
Bellissimo il ricordo di tuo padre. Anche il mio era sempre elegante e profumava di colonia,quella autentica, che aveva imparato ad utilizzare quando era un bancario in carriera nella Germania di Hitler. Uomini forti che,superata la guerra ,ci hanno presi per mano e traghettati nel benessere purchè studiassimo,ci facessimo una cultura ed una posizione. Grazie per tutto quello che abbiamo ricevuto anche il ricordo di un paio di scarpe a cestino o il profumo di colonia che ogni tanto ritrovo ancora negli armadi.
Paola
@Paola - I ricordi sono sempre una cosa dolce che scalda il cuore. Per fortuna abbiamo avuto in regalo il dono di averli e di non poterli perdere mai.
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